sabato, gennaio 01, 2005
Auguri di Buon 2005
E’ arrivato da poche ore e già tutti si augurano che sia migliore di quello che lo ha preceduto: mi riferisco al 2005, anche se questo auspicio è dettato dalla catastrofe che ha segnato gli ultimi giorni del 2004.
So benissimo che è ben difficile che un anno sia migliore di quello che lo ha preceduto, però in questo caso il nuovo anno non ha molte difficoltà da superare per essere meglio: con quello che è successo da Natale 2004, basterebbe anche un annetto “normale”, senza grandi spunti di felicità e già saremmo tutti contenti.
Come era pensabile in anticipo, la raccomandazione delle autorità di non scatenarsi con botti e fuochi artificiali, è rimasta in parte inascoltata: ma solo in parte, poiché non mi sembra – anche se non ho dati da confrontare – che si sia tenuta la stessa linea del 2004 in fatto di confusione; probabilmente saranno state anche le cancellazioni di molti dei concerti di musica leggera e rock già organizzati dai Comuni e annullati dopo gli eventi nel Sud-Est asiatico.
Della tragica vicenda che stanno vivendo quei disgraziati abitanti di quei luoghi tanto belli quanto sfortunati, diciamo che le cose stanno andando come previsto: i morti rinvenuti sono sempre più numerosi, per quelli fin qui considerati “dispersi” si comincia a ventilare l’ovvia ipotesi di considerarli “deceduti”, anche se non si è rintracciato materialmente il corpo (in questo caso le cifre riferibili agli italiani diventerebbero alte, comunque aspettiamo la conferma ufficiale).
A proposito dei cadaveri rinvenuti, è interessante quanto avvenuto in Indonesia, dove le autorità di governo, dopo aver annunciato che non comunicheranno più cifre relative ai “loro” morti, hanno vietato alle singole famiglie di compiere sepolture individuali, dato che tutti i corpi sono stati immessi in varie fosse comuni riempite di calce viva prima di essere chiuse (questo per ovvi motivi di carattere sanitario); ebbene, anche in questa circostanza avvengono dei casi di grande sentimento umano: alcuni parenti “riscattano” la salma del loro caro mediante una bustarella al funzionario di 5.000 rupie (circa 20 euro) e si portano via il corpo per seppellirlo in separata sede.
La pratica è enormemente pericolosa per le altissime probabilità d’infezione che il cadavere può portare, e quindi è da stigmatizzare, ma al tempo stesso mostra l’affetto e la partecipazione di questa gente alla catastrofe che ha strappato i loro cari.
Dolore, mestizia e grande dignità: queste le caratteristiche che – almeno dalle immagini TV – ho rilevato sui volti di quei popoli che non pietiscono niente e con gli occidentali hanno un rapporto di franco cameratismo; sintomatico il caso di una famiglia tedesca con un bambino di pochi anni che dopo essersi salvata ma essere rimasta ovviamente senza più i loro bagagli, si sono visti avvicinare da un indigeno che ha consegnato loro un pigiamino per il piccolo che altrimenti avrebbe sentito freddo.
Avremo modo di tornare sull’argomento poiché l’evento – purtroppo – non si esaurirà in breve tempo; per ora rinnovo i miei auguri a voi tutti.
So benissimo che è ben difficile che un anno sia migliore di quello che lo ha preceduto, però in questo caso il nuovo anno non ha molte difficoltà da superare per essere meglio: con quello che è successo da Natale 2004, basterebbe anche un annetto “normale”, senza grandi spunti di felicità e già saremmo tutti contenti.
Come era pensabile in anticipo, la raccomandazione delle autorità di non scatenarsi con botti e fuochi artificiali, è rimasta in parte inascoltata: ma solo in parte, poiché non mi sembra – anche se non ho dati da confrontare – che si sia tenuta la stessa linea del 2004 in fatto di confusione; probabilmente saranno state anche le cancellazioni di molti dei concerti di musica leggera e rock già organizzati dai Comuni e annullati dopo gli eventi nel Sud-Est asiatico.
Della tragica vicenda che stanno vivendo quei disgraziati abitanti di quei luoghi tanto belli quanto sfortunati, diciamo che le cose stanno andando come previsto: i morti rinvenuti sono sempre più numerosi, per quelli fin qui considerati “dispersi” si comincia a ventilare l’ovvia ipotesi di considerarli “deceduti”, anche se non si è rintracciato materialmente il corpo (in questo caso le cifre riferibili agli italiani diventerebbero alte, comunque aspettiamo la conferma ufficiale).
A proposito dei cadaveri rinvenuti, è interessante quanto avvenuto in Indonesia, dove le autorità di governo, dopo aver annunciato che non comunicheranno più cifre relative ai “loro” morti, hanno vietato alle singole famiglie di compiere sepolture individuali, dato che tutti i corpi sono stati immessi in varie fosse comuni riempite di calce viva prima di essere chiuse (questo per ovvi motivi di carattere sanitario); ebbene, anche in questa circostanza avvengono dei casi di grande sentimento umano: alcuni parenti “riscattano” la salma del loro caro mediante una bustarella al funzionario di 5.000 rupie (circa 20 euro) e si portano via il corpo per seppellirlo in separata sede.
La pratica è enormemente pericolosa per le altissime probabilità d’infezione che il cadavere può portare, e quindi è da stigmatizzare, ma al tempo stesso mostra l’affetto e la partecipazione di questa gente alla catastrofe che ha strappato i loro cari.
Dolore, mestizia e grande dignità: queste le caratteristiche che – almeno dalle immagini TV – ho rilevato sui volti di quei popoli che non pietiscono niente e con gli occidentali hanno un rapporto di franco cameratismo; sintomatico il caso di una famiglia tedesca con un bambino di pochi anni che dopo essersi salvata ma essere rimasta ovviamente senza più i loro bagagli, si sono visti avvicinare da un indigeno che ha consegnato loro un pigiamino per il piccolo che altrimenti avrebbe sentito freddo.
Avremo modo di tornare sull’argomento poiché l’evento – purtroppo – non si esaurirà in breve tempo; per ora rinnovo i miei auguri a voi tutti.
venerdì, dicembre 31, 2004
Triste Fine d'Anno
Tra poche ore il 2004 ci avrà lasciato e al suo posto subentrerà il 2005: sarà migliore o peggiore?
Anzitutto diciamo che l’anno che è trascorso è stato funestato da un evento di così straordinaria entità da lasciare il segno e da caratterizzare l’intera annata: lo “tsunami” nel Sud-Est asiatico può infatti considerarsi come l’elemento che ha distinto il 2004.
E non deve stupire che – non solo in Italia – si sia ritenuto più consono alla situazione, non festeggiare in modo fragoroso la fine d’anno: quindi niente fuochi artificiali e maggiore silenzio nelle Piazze (aboliti molti concerti cittadini).
Potrebbe sembrare una azione prettamente demagogica, ma anche un “cinico perverso” come me non lo ritiene possibile; così come non ritiene condannabile oltre misura coloro che – o per dimenticanza o per allentare la tensione – daranno sfogo ai festeggiamenti con atti fragorosi.
Sono certo che tutti, in tutto il mondo, si rendono conto che stiamo vivendo in quest’ultima settimana, dei giorni che resteranno nella storia dell’umanità.
È iniziata l’azione dei vari governi o associazioni per cercare di alleviare le sofferenze di quelle popolazioni mediante aiuti umanitari di cibo e vestiario, tutta roba che quella gente ha interamente perduto e che dovremo cercare di reintegrare nel minore tempo possibile.
Per quanto riguarda il problema “aiuti” dedicheremo un post apposito, ma tra qualche giorno, mentre per adesso vorrei sottoporre solo quanto mi è capitato di vedere in uno dei tanti servizi che ora i nostri inviati stanno mandando in onda.
Dunque, siamo in un villaggio completamente distrutto dalla furia delle acque e sparuti gruppetti di indigeni si aggirano come inebetiti in mezzo alle macerie; alcuni di loro hanno dei pacchettini in mano e l’operatore inquadra la situazione con particolare riferimento ai “pacchettini”; il giornalista si avvicina alle persone e domanda loro se si tratta di aiuti provenienti dall’estero e tutti rispondono affermativamente e poi – ad una successiva domanda – mostrano il contenuto del “pacchettino”: allora, abbiamo un paio di scatole di medicinali di cui non sanno l’uso e neppure la prescrizione medica, poi abbiamo uno spazzolino da denti, quindi un dentifricio e un paio di saponette.
Mi auguro che non sia con queste cose che cerchiamo di scaricare le nostre coscienze, perché sarebbe veramente tragico.
Comunque della faccenda “aiuti” ne riparleremo quanto prima; a questo proposito ho delle mie idee che mi piacerà confrontare con voi.
Adesso chiudiamo questo dannato 2004 alla svelta e nel migliore dei modi; già l’essere in salute mi sembra che possa rappresentare una grande vittoria, quindi contentiamoci di questo, almeno quelli tra noi che possono vantare una salute accettabile.
Concludo con un ringraziamento a tutti coloro che hanno avuto la bontà di leggere queste mie note ed ancora di più a quelli che le hanno commentate, sia positivamente che negativamente.
Grazie ed auguri di un buon 2005.
Anzitutto diciamo che l’anno che è trascorso è stato funestato da un evento di così straordinaria entità da lasciare il segno e da caratterizzare l’intera annata: lo “tsunami” nel Sud-Est asiatico può infatti considerarsi come l’elemento che ha distinto il 2004.
E non deve stupire che – non solo in Italia – si sia ritenuto più consono alla situazione, non festeggiare in modo fragoroso la fine d’anno: quindi niente fuochi artificiali e maggiore silenzio nelle Piazze (aboliti molti concerti cittadini).
Potrebbe sembrare una azione prettamente demagogica, ma anche un “cinico perverso” come me non lo ritiene possibile; così come non ritiene condannabile oltre misura coloro che – o per dimenticanza o per allentare la tensione – daranno sfogo ai festeggiamenti con atti fragorosi.
Sono certo che tutti, in tutto il mondo, si rendono conto che stiamo vivendo in quest’ultima settimana, dei giorni che resteranno nella storia dell’umanità.
È iniziata l’azione dei vari governi o associazioni per cercare di alleviare le sofferenze di quelle popolazioni mediante aiuti umanitari di cibo e vestiario, tutta roba che quella gente ha interamente perduto e che dovremo cercare di reintegrare nel minore tempo possibile.
Per quanto riguarda il problema “aiuti” dedicheremo un post apposito, ma tra qualche giorno, mentre per adesso vorrei sottoporre solo quanto mi è capitato di vedere in uno dei tanti servizi che ora i nostri inviati stanno mandando in onda.
Dunque, siamo in un villaggio completamente distrutto dalla furia delle acque e sparuti gruppetti di indigeni si aggirano come inebetiti in mezzo alle macerie; alcuni di loro hanno dei pacchettini in mano e l’operatore inquadra la situazione con particolare riferimento ai “pacchettini”; il giornalista si avvicina alle persone e domanda loro se si tratta di aiuti provenienti dall’estero e tutti rispondono affermativamente e poi – ad una successiva domanda – mostrano il contenuto del “pacchettino”: allora, abbiamo un paio di scatole di medicinali di cui non sanno l’uso e neppure la prescrizione medica, poi abbiamo uno spazzolino da denti, quindi un dentifricio e un paio di saponette.
Mi auguro che non sia con queste cose che cerchiamo di scaricare le nostre coscienze, perché sarebbe veramente tragico.
Comunque della faccenda “aiuti” ne riparleremo quanto prima; a questo proposito ho delle mie idee che mi piacerà confrontare con voi.
Adesso chiudiamo questo dannato 2004 alla svelta e nel migliore dei modi; già l’essere in salute mi sembra che possa rappresentare una grande vittoria, quindi contentiamoci di questo, almeno quelli tra noi che possono vantare una salute accettabile.
Concludo con un ringraziamento a tutti coloro che hanno avuto la bontà di leggere queste mie note ed ancora di più a quelli che le hanno commentate, sia positivamente che negativamente.
Grazie ed auguri di un buon 2005.
giovedì, dicembre 30, 2004
Solidarietà e polemiche
Sta cominciando la gara di solidarietà per aiutare – in un primo tempo – gli scampati alla catastrofe e – successivamente – per ricostruire quel paradiso distrutto dallo “tsunami”.
Ovviamente ci sono già coloro che compilano classifiche del paese più o meno solidale; devo dire subito che questo tipo di polemiche mi è molto antipatico; sentire che qualcuno si erge a giudice del “più buono” e del “meno buono” mi sembra molto stridente e credo che non sia neppure utile alla drammatica situazione.
Il Papa ha lanciato anche lui un suo appello dicendo che “lo spirito natalizio sia di sprone per atti di solidarietà”; si è poi rivolto ai Capi di Stato di tutto il mondo invitandoli ad essere generosi.
Santità, vista l’entità della catastrofe, credo che non ci sia bisogno di nessuno spirito particolare per trovare un briciolo – il più grande possibile – di solidarietà. Anche il bambinello, se potesse, donerebbe qualcosa.
A proposito di grande solidarietà, di grande bisogno di generosità, mi torna in mente un film del 1968 dal titolo “L’Uomo venuto dal Cremino nei panni di Pietro” (tit:orig.”The Shoes of the Fisherman”) del regista americano Michael Anderson, interpretato da Antony Quinn nei panni del Vescovo russo Ciril e da Laurence Olivier in quelli del Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
La struttura narrativa – sfrondata da parti superflue della vicenda che non starò a riportare – narra di un Vescovo russo, imprigionato nei campi di lavoro della Siberia, che viene improvvisamente liberato a seguito di accordi con il Vaticano e rimandato a Roma. Qui, appena arrivato, viene ricevuto dal Papa e nominato Cardinale; dopo pochi mesi il Papa muore e Ciril entra in Conclave con gli altri Cardinali di tutto il mondo: l’assemblea si mostra subito spaccata, divisa sui nomi di due “curiali”; uno dei due – interpretato da uno splendido Vittorio De Sica (ultimo film) – ha come una folgorazione ed invita tutti a votare per Ciril.
Il Cardinale russo viene eletto e si presenta al balcone di San Pietro con il nome di Ciril I; accadono varie cose che però non sto a narrarvi perché non servono per la struttura principale dell’opera.
Ad un certo punto il Segretario del Partito Comunista russo invia all’antico avversario Ciril un angoscioso messaggio, avvertendolo che siamo alla vigilia di una guerra disastrosa tra la Russia e la Cina: quest’ultima, con gravi problemi di sopravvivenza per il suo popolo che non ha da mangiare, è decisa a marciare sulla vicina Russia per conquistare il pane per la sua gente. Cosa può fare l’antico avversario ed ora Sommo Pontefice?
Ciril, nonostante il parere contrario dei Cardinali di curia che predicano prudenza, si reca immediatamente ad un appuntamento con i due Segretari dei Partiti Comunisti russo e cinese e in quella sede ha la conferma che il mondo è sull’orlo del baratro di una guerra nucleare e chiede cosa può fare lui, a capo di un piccolo Stato, ma ascoltato dai potenti del mondo.
Il Segretario cinese gli dice allora: “tu non rischi mai nulla, dalla tua finestra lanci appelli alla generosità, alla bontà e altro; se i potenti della terra li ascoltano tu fai una bella figura, nel caso contrario puoi dire di averci provato”.
Ciril è turbato da questa sparata del cinese e assicura che metterà in gioco tutto quello che potrà; torna a Roma e – riuniti i Cardinali – chiede loro l’autorizzazione a fere un discorso del genere: “noi chiediamo ai potenti di essere generosi e di aiutare la Cina senza chiedere niente in cambio; noi, da parte nostra, prima di chiedere a voi, alieneremo tutte le nostre ricchezze, quadri, palazzi, case, denari e torneremo in povertà assoluta, per donare tutto ai cinesi affamati”.
Sconcerto dei Cardinali, rifiuto di credere che faccia sul serio e negazione assoluta di qualunque appoggio: Ciril non si scompone e dice loro che se non sono d’accordo lui si dimetterà immediatamente.
La diatriba di risolverà per l’intervento di uno dei Cardinali più autorevoli che si schiera al fianco del Papa e il film termina con l’immagine della finestra dello studio papale che si apre, appare Ciril che inizia il suo discorso con: “noi cederemo tutte le nostre ricchezze e con il denaro ricavato aiuteremo il popolo cinese che sta morendo di fame….”.
Non voglio assolutamente dire che questo tipo di solidarietà possa essere attualizzata, nessuno meglio di me sa che è un film e basta, però….ogni volta che mi capita di vederlo mi lascia qualcosa di dolce e di amaro in bocca.
Cosa sarà?
Ovviamente ci sono già coloro che compilano classifiche del paese più o meno solidale; devo dire subito che questo tipo di polemiche mi è molto antipatico; sentire che qualcuno si erge a giudice del “più buono” e del “meno buono” mi sembra molto stridente e credo che non sia neppure utile alla drammatica situazione.
Il Papa ha lanciato anche lui un suo appello dicendo che “lo spirito natalizio sia di sprone per atti di solidarietà”; si è poi rivolto ai Capi di Stato di tutto il mondo invitandoli ad essere generosi.
Santità, vista l’entità della catastrofe, credo che non ci sia bisogno di nessuno spirito particolare per trovare un briciolo – il più grande possibile – di solidarietà. Anche il bambinello, se potesse, donerebbe qualcosa.
A proposito di grande solidarietà, di grande bisogno di generosità, mi torna in mente un film del 1968 dal titolo “L’Uomo venuto dal Cremino nei panni di Pietro” (tit:orig.”The Shoes of the Fisherman”) del regista americano Michael Anderson, interpretato da Antony Quinn nei panni del Vescovo russo Ciril e da Laurence Olivier in quelli del Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
La struttura narrativa – sfrondata da parti superflue della vicenda che non starò a riportare – narra di un Vescovo russo, imprigionato nei campi di lavoro della Siberia, che viene improvvisamente liberato a seguito di accordi con il Vaticano e rimandato a Roma. Qui, appena arrivato, viene ricevuto dal Papa e nominato Cardinale; dopo pochi mesi il Papa muore e Ciril entra in Conclave con gli altri Cardinali di tutto il mondo: l’assemblea si mostra subito spaccata, divisa sui nomi di due “curiali”; uno dei due – interpretato da uno splendido Vittorio De Sica (ultimo film) – ha come una folgorazione ed invita tutti a votare per Ciril.
Il Cardinale russo viene eletto e si presenta al balcone di San Pietro con il nome di Ciril I; accadono varie cose che però non sto a narrarvi perché non servono per la struttura principale dell’opera.
Ad un certo punto il Segretario del Partito Comunista russo invia all’antico avversario Ciril un angoscioso messaggio, avvertendolo che siamo alla vigilia di una guerra disastrosa tra la Russia e la Cina: quest’ultima, con gravi problemi di sopravvivenza per il suo popolo che non ha da mangiare, è decisa a marciare sulla vicina Russia per conquistare il pane per la sua gente. Cosa può fare l’antico avversario ed ora Sommo Pontefice?
Ciril, nonostante il parere contrario dei Cardinali di curia che predicano prudenza, si reca immediatamente ad un appuntamento con i due Segretari dei Partiti Comunisti russo e cinese e in quella sede ha la conferma che il mondo è sull’orlo del baratro di una guerra nucleare e chiede cosa può fare lui, a capo di un piccolo Stato, ma ascoltato dai potenti del mondo.
Il Segretario cinese gli dice allora: “tu non rischi mai nulla, dalla tua finestra lanci appelli alla generosità, alla bontà e altro; se i potenti della terra li ascoltano tu fai una bella figura, nel caso contrario puoi dire di averci provato”.
Ciril è turbato da questa sparata del cinese e assicura che metterà in gioco tutto quello che potrà; torna a Roma e – riuniti i Cardinali – chiede loro l’autorizzazione a fere un discorso del genere: “noi chiediamo ai potenti di essere generosi e di aiutare la Cina senza chiedere niente in cambio; noi, da parte nostra, prima di chiedere a voi, alieneremo tutte le nostre ricchezze, quadri, palazzi, case, denari e torneremo in povertà assoluta, per donare tutto ai cinesi affamati”.
Sconcerto dei Cardinali, rifiuto di credere che faccia sul serio e negazione assoluta di qualunque appoggio: Ciril non si scompone e dice loro che se non sono d’accordo lui si dimetterà immediatamente.
La diatriba di risolverà per l’intervento di uno dei Cardinali più autorevoli che si schiera al fianco del Papa e il film termina con l’immagine della finestra dello studio papale che si apre, appare Ciril che inizia il suo discorso con: “noi cederemo tutte le nostre ricchezze e con il denaro ricavato aiuteremo il popolo cinese che sta morendo di fame….”.
Non voglio assolutamente dire che questo tipo di solidarietà possa essere attualizzata, nessuno meglio di me sa che è un film e basta, però….ogni volta che mi capita di vederlo mi lascia qualcosa di dolce e di amaro in bocca.
Cosa sarà?
E adesso cosa possiamo fare?
Forse anticipo troppo i tempi, forse non è ancora il momento di parlarne, ma vorrei proporre alcune considerazioni sul “dopo” cataclisma.
So bene che i bilanci della catastrofe non sono ancora compiuti e che, purtroppo, saranno ben diversi dalle cifre che sentiamo adesso: per esempio i “dispersi” italiani che erano stati indicati finora in 100, adesso arrivano addirittura a 600 (sei volte tanto!) mentre, per fortuna i morti sono sempre fermi a quota 14; gli atteggiamenti e le confidenze degli addetti ai lavori inducono al pessimismo: “dobbiamo prepararci al peggio” afferma il nostro Ministro degli Esteri.
Tutto questo è la gestione dell’”oggi”, l’aiuto che possiamo dare ai nostri ed agli altri, capitati o nati in quelle terre così belle e altrettanto disgraziate. Chiaro che ancora siamo in piena emergenza, non sappiamo addirittura il numero totale delle vittime (c’è addirittura chi dice che arriveremo vicino ai 300,000, di cui almeno un terzo bambini) e quindi parlare del dopo può apparire superfluo. Ora dobbiamo solo aiutare!
Ma noi, comodamente seduti alla tastiera di un computer o di fronte ad un televisore, dopo aver fatto l’immancabile SMS da un euro, cosa possiamo fare d’altro se non cercare di ipotizzare un nuovo scenario mondiale per quanto riguarda queste situazioni?
È proprio questo che intendo, una sorta di Nazioni Unite votate unicamente alla solidarietà, ad alleviare le sofferenze delle persone che vengono colpite da tali calamità; so bene che già esiste all’interno dell’O.N.U. un sottocomitato che si attiva in caso di calamità, però non mi sembra sufficiente e poi ho poca fiducia in questo organismo perché troppo politicizzato.
Questa struttura, invece, dovrebbe essere gestita da personalità della scienza e della protezione civile, dell’assistenza e della sanità; insomma tutte le cose che vengono faticosamente attivate in presenza del cataclisma, dovrebbero avere una loro struttura permanente, in modo da poter entrare in azione in tempi rapidissimi.
Qualcuno mi faceva notare che una volta la terra era tutta attaccata insieme, sono stati cataclismi come questi che hanno generato i continenti, le isole, eccetera: possiamo dire che siamo stati spettatori di un evento che sotto il profilo geologico è di una rilevanza estrema; pensate che se analogo terremoto fosse avvenuto nel Mediterraneo, la nostra penisola sarebbe stata spezzata in due come un grissino!
Possiamo – in alternativa – continuare con il discorso che “quando la natura vuole farci vedere chi comanda non c’è niente da fare”, però mi sembra profondamente riduttivo: pensiamo che questo evento è conosciuto in tutto il mondo con il termine “tsunami” che è parola giapponese, in quanto sono stati proprio loro che dopo aver subito cataclismi del genere (inferiori per intensità debbo dire) hanno messo in piedi un sistema di allertaggio che consente di prevedere l’onda anomala poche ore (credo addirittura una sola ora) dopo che si è avvertito il terremoto.
Anche questa volta si sarebbe potuto fare, ed infatti uno di questi “segnalatori” ha avvertito il governo indonesiano, ma se non si ha una struttura da poter mobilitare in pochissimo tempo per recepire l’emergenza, l’allerta non serve proprio a niente, come – infatti – non è servito.
Questo dovrebbe cominciare a pensare il “mondo”: gli eccessi della natura possono essere controbattuti solo da due cose, la prima è l’avanzata della scienza e la sua applicazione alla tecnologia operante concretamente, la seconda è l’organizzazione da affiancare a questa tecnologia per sfruttarne appieno tutte le possibilità.
Cosa ne pensate?
So bene che i bilanci della catastrofe non sono ancora compiuti e che, purtroppo, saranno ben diversi dalle cifre che sentiamo adesso: per esempio i “dispersi” italiani che erano stati indicati finora in 100, adesso arrivano addirittura a 600 (sei volte tanto!) mentre, per fortuna i morti sono sempre fermi a quota 14; gli atteggiamenti e le confidenze degli addetti ai lavori inducono al pessimismo: “dobbiamo prepararci al peggio” afferma il nostro Ministro degli Esteri.
Tutto questo è la gestione dell’”oggi”, l’aiuto che possiamo dare ai nostri ed agli altri, capitati o nati in quelle terre così belle e altrettanto disgraziate. Chiaro che ancora siamo in piena emergenza, non sappiamo addirittura il numero totale delle vittime (c’è addirittura chi dice che arriveremo vicino ai 300,000, di cui almeno un terzo bambini) e quindi parlare del dopo può apparire superfluo. Ora dobbiamo solo aiutare!
Ma noi, comodamente seduti alla tastiera di un computer o di fronte ad un televisore, dopo aver fatto l’immancabile SMS da un euro, cosa possiamo fare d’altro se non cercare di ipotizzare un nuovo scenario mondiale per quanto riguarda queste situazioni?
È proprio questo che intendo, una sorta di Nazioni Unite votate unicamente alla solidarietà, ad alleviare le sofferenze delle persone che vengono colpite da tali calamità; so bene che già esiste all’interno dell’O.N.U. un sottocomitato che si attiva in caso di calamità, però non mi sembra sufficiente e poi ho poca fiducia in questo organismo perché troppo politicizzato.
Questa struttura, invece, dovrebbe essere gestita da personalità della scienza e della protezione civile, dell’assistenza e della sanità; insomma tutte le cose che vengono faticosamente attivate in presenza del cataclisma, dovrebbero avere una loro struttura permanente, in modo da poter entrare in azione in tempi rapidissimi.
Qualcuno mi faceva notare che una volta la terra era tutta attaccata insieme, sono stati cataclismi come questi che hanno generato i continenti, le isole, eccetera: possiamo dire che siamo stati spettatori di un evento che sotto il profilo geologico è di una rilevanza estrema; pensate che se analogo terremoto fosse avvenuto nel Mediterraneo, la nostra penisola sarebbe stata spezzata in due come un grissino!
Possiamo – in alternativa – continuare con il discorso che “quando la natura vuole farci vedere chi comanda non c’è niente da fare”, però mi sembra profondamente riduttivo: pensiamo che questo evento è conosciuto in tutto il mondo con il termine “tsunami” che è parola giapponese, in quanto sono stati proprio loro che dopo aver subito cataclismi del genere (inferiori per intensità debbo dire) hanno messo in piedi un sistema di allertaggio che consente di prevedere l’onda anomala poche ore (credo addirittura una sola ora) dopo che si è avvertito il terremoto.
Anche questa volta si sarebbe potuto fare, ed infatti uno di questi “segnalatori” ha avvertito il governo indonesiano, ma se non si ha una struttura da poter mobilitare in pochissimo tempo per recepire l’emergenza, l’allerta non serve proprio a niente, come – infatti – non è servito.
Questo dovrebbe cominciare a pensare il “mondo”: gli eccessi della natura possono essere controbattuti solo da due cose, la prima è l’avanzata della scienza e la sua applicazione alla tecnologia operante concretamente, la seconda è l’organizzazione da affiancare a questa tecnologia per sfruttarne appieno tutte le possibilità.
Cosa ne pensate?
mercoledì, dicembre 29, 2004
L'Apocalisse aumenta d'intensità
Ora che le cronache televisive hanno preso il verso giusto, come da me auspicato, con minori racconti di turisti impauriti, anzi choccati, che rientrano a casa, e più riprese fatte da troupe sul teatro della enorme tragedia, i numeri diventano sempre più alti (si parla di oltre 100.000 morti) e le distruzioni appaiono nella loro realtà immane: se pensiamo che l’albergo Sofitel dell’ Isola di Phuket, situato nella Hkao Lac – costruito ovviamente in muratura – è stato distrutto, pensiamo per un attimo a quello che sarà accaduto con le capanne, i bungalow e le altre abitazioni di fortuna che rappresentano la stragrande maggioranza del riparo per la popolazione, specie per quella della costa.
Il problema epidemiologico sembra – almeno a vedere come si comportano le autorità locali – quello di più pressante attualità; i tanti, tantissimi cadaveri che appaiono al ritirarsi delle acque, in pochissime ore cominciano a gonfiarsi e, causa il clima tropicale, entrano subita in fase di decomposizione. Da qui le temute epidemie e l’altrettanto temuta contaminazione delle acque che vengono inquinate dai cadaveri galleggianti.
Ecco che nasce così un braccio di ferro tra le autorità locali e i governi occidentali: mentre le prime accelerano al massimo la sepoltura dei corpi (o l’incenerimento nei paesi dove è rituale), gli occidentali che hanno grandi numeri di “dispersi” chiedono di attendere per un improbabile riconoscimento; ho visto che, facendo atto di una squisita gentilezza, i tailandesi prima di seppellire i morti li fotografano in modo da mettere poi a disposizione dei parenti queste immagini. In una confusione del genere non è poca cosa!
Sono partiti per il teatro delle operazioni anche esperti biologi specializzati nella ricerca del DNA, poiché l’identificazione dei morti è resa problematica dal tempo che sta passando.
Un’altra emergenza è quella delle zanzare o comunque degli insetti che trovano un loro perfetto habitat nelle zone dove ancora c’è l’acqua stagnante: questi animali, a parte il fastidio, sono portatori di malattie alle quali noi occidentali non siamo affatto abituati.
Comincia una nuova polemica – questa volta dagli scranni dell’O.N.U. – sulle cifre stanziate da alcuni governi e ritenute insufficienti dalle Nazioni Unite: tra quelle che conosciamo, gli U.S.A. hanno stanziato 35 milioni di dollari, la Comunità Europea 30, il Giappone 26 e l’Arabia Saudita 10. Il vice segretario dell’O.N.U., senza mezzi termini, ha tacciato di avarizia questi paesi, ed anche altri, mettendo in cima alla lista gli Stati Uniti.
Queste cifre mi sembrano appena sufficienti per iniziare un’opera di messa in sicurezza della popolazione locale; per quanto attiene invece ad una successiva ricostruzione dei paesi interessati dal cataclisma, sono altre le cifre che occorreranno.
Ci sono poi delle situazioni che se non fossero tragiche sarebbero da ridere: l’India ha cortesemente rifiutato l’aiuto occidentale asserendo di essere molto pratica per l’incenerimento dei cadaveri e quindi può farcela benissimo da sola!
Avrete udito le cifre che alcuni studiosi hanno diramato circa l’effetto del terremoto: spostamento di circa cinque centimetri dell’asse terrestre e di trenta metri dell’isola di Sumatra, accorciamento di tre milionesimi di secondo nella durata del giorno terrestre: non sono in grado di dire le conseguenze pratiche, concrete che a breve, medio e lungo tempo avremo sul pianeta. Certo che se la terra era stata fatta in questo modo un motivo ci sarà stato ed è chiaro che qualsiasi variazione intervenuta successivamente ne inficia la originale validità.
Forse non saremo noi, forse neppure i nostri figli, ma probabilmente i nostri nipoti avranno delle ripercussioni dovute a questa catastrofe; auguriamoci che siano di lieve entità. Oltre non possiamo andare, per il momento.
Il problema epidemiologico sembra – almeno a vedere come si comportano le autorità locali – quello di più pressante attualità; i tanti, tantissimi cadaveri che appaiono al ritirarsi delle acque, in pochissime ore cominciano a gonfiarsi e, causa il clima tropicale, entrano subita in fase di decomposizione. Da qui le temute epidemie e l’altrettanto temuta contaminazione delle acque che vengono inquinate dai cadaveri galleggianti.
Ecco che nasce così un braccio di ferro tra le autorità locali e i governi occidentali: mentre le prime accelerano al massimo la sepoltura dei corpi (o l’incenerimento nei paesi dove è rituale), gli occidentali che hanno grandi numeri di “dispersi” chiedono di attendere per un improbabile riconoscimento; ho visto che, facendo atto di una squisita gentilezza, i tailandesi prima di seppellire i morti li fotografano in modo da mettere poi a disposizione dei parenti queste immagini. In una confusione del genere non è poca cosa!
Sono partiti per il teatro delle operazioni anche esperti biologi specializzati nella ricerca del DNA, poiché l’identificazione dei morti è resa problematica dal tempo che sta passando.
Un’altra emergenza è quella delle zanzare o comunque degli insetti che trovano un loro perfetto habitat nelle zone dove ancora c’è l’acqua stagnante: questi animali, a parte il fastidio, sono portatori di malattie alle quali noi occidentali non siamo affatto abituati.
Comincia una nuova polemica – questa volta dagli scranni dell’O.N.U. – sulle cifre stanziate da alcuni governi e ritenute insufficienti dalle Nazioni Unite: tra quelle che conosciamo, gli U.S.A. hanno stanziato 35 milioni di dollari, la Comunità Europea 30, il Giappone 26 e l’Arabia Saudita 10. Il vice segretario dell’O.N.U., senza mezzi termini, ha tacciato di avarizia questi paesi, ed anche altri, mettendo in cima alla lista gli Stati Uniti.
Queste cifre mi sembrano appena sufficienti per iniziare un’opera di messa in sicurezza della popolazione locale; per quanto attiene invece ad una successiva ricostruzione dei paesi interessati dal cataclisma, sono altre le cifre che occorreranno.
Ci sono poi delle situazioni che se non fossero tragiche sarebbero da ridere: l’India ha cortesemente rifiutato l’aiuto occidentale asserendo di essere molto pratica per l’incenerimento dei cadaveri e quindi può farcela benissimo da sola!
Avrete udito le cifre che alcuni studiosi hanno diramato circa l’effetto del terremoto: spostamento di circa cinque centimetri dell’asse terrestre e di trenta metri dell’isola di Sumatra, accorciamento di tre milionesimi di secondo nella durata del giorno terrestre: non sono in grado di dire le conseguenze pratiche, concrete che a breve, medio e lungo tempo avremo sul pianeta. Certo che se la terra era stata fatta in questo modo un motivo ci sarà stato ed è chiaro che qualsiasi variazione intervenuta successivamente ne inficia la originale validità.
Forse non saremo noi, forse neppure i nostri figli, ma probabilmente i nostri nipoti avranno delle ripercussioni dovute a questa catastrofe; auguriamoci che siano di lieve entità. Oltre non possiamo andare, per il momento.
martedì, dicembre 28, 2004
Provocazioni
Nel mio post di poche ore fa lanciavo alcune provocazioni, esplicite per quanto attiene il tono, ma non esplicitate nel corpo del discorso.
La PRIMA riguardava la tipologia delle interviste ai due aeroporti italiani (Milano e Roma) rivolte alla gente rientrata dalla zona devastata dallo tsumani; affermavo che su mille (quasi) italiani rientrati a quel punto, si aveva: una tripla intervista (tripla nel senso che è stata inviata tre volte in tre TG diversi) ai giocatori di calcio (cinque, mi pare), ed altrettante o poco più a persone “normali”.
In questo rilevavo una sorta di distonia percentuale tra la gente rientrata e quelli che chiamo i vip; mi si controbatte che queste interviste erano anche fonte di tranquillizzazione per le famiglie: i familiari erano giù stati tutti abbondantemente avvertiti, prima dai turisti stessi, tutti dotati di cellulare e poi dal Ministero degli Esteri.
Comunque, la mia voleva solo essere una reprimenda ai Direttori dei TG che scelgono sempre la via più facile: un VIP fa sempre bene all’ascolto. Ci sarebbe da aggiungere che già i sette TG di stasera (dalle 18.30 alle 20.30) hanno riequilibrato le proporzioni e si è potuto assistere a racconti da brivido svolti da gente comune.
La SECONDA si riferiva sulla costruzione della narrazione dell’evento: data la scarsità delle immagini provenienti dalle zone di teatro, si andava avanti con racconti o interviste dall’Italia; anche questa carenza nei TG di stasera è stata, almeno in parte, sistemata e si è così potuto assistere a qualche racconto da parte degli indigeni (che hanno perso tutto) e che hanno avuto decine di migliaia di morti.
Su questa provocazione – che tendeva a focalizzare la nostra attenzione su quello che è successo in quelle zone disastrate – non ho avuto contraddizioni ma neppure approvazioni; c’è da rimarcare che i danni sommariamente calcolati assommano a cifre che non so neppure scrivere; pensate che solo oggi si apprende di un Albergo letteralmente spazzato via e dei 405 ospiti tutti ovviamente morti; oppure delle isole dalle quali la furia delle acque ha sbarbato anche gli alberi, rendendole brulle e assolutamente prive di qualunque forma di vita.
E i TG di stasera cominciano anche a dare lo stesso spazio (o quasi) al salvataggio dei turisti occidentali e ai problemi di coloro che restano in quei luoghi divenuti così inospitali; e non c’è che da rimarcare l’enorme dignità degli uomini e delle donne che non chiedono niente. Resta da notare che la prima emergenza – per me – è quella sanitaria.
La TERZA provocazione riguardava l’affermazione di un signore di Cesenatico (quindi la provocazione caso mai è sua) che affermava: “Per il prossimo viaggio meglio Milano Marittima” e chiedevo ai miei cortesi lettori “che avrà voluto dire?”; non ci crederete ma nessuno mi ha risposto: forse per voi è tutto chiaro, ma vorrei che lo fosse anche per me.
L’ULTIMA provocazione non è mia ma di alcuni ricercatori che dall’Isola di Haiti hanno fatto sapere di aver previsto con cinque ore di anticipo il disastroso tsunami e di avere avvertito di questo il Governo Indonesiano, il quale ovviamente…non ha fatto niente, anche perché qualunque intervento avrebbe avuto bisogno di una organizzazione multinazionale che naturalmente non c’è.
Ho apprezzato la dichiarazione di Boschi, direttore dell’Ufficio Italiano Terremoti che è sbottato in un chiarissimo “hanno fatto bene ad avvertire l’Indonesia, ma facevano meglio a tacere l’episodio con la stampa mondiale”.
La PRIMA riguardava la tipologia delle interviste ai due aeroporti italiani (Milano e Roma) rivolte alla gente rientrata dalla zona devastata dallo tsumani; affermavo che su mille (quasi) italiani rientrati a quel punto, si aveva: una tripla intervista (tripla nel senso che è stata inviata tre volte in tre TG diversi) ai giocatori di calcio (cinque, mi pare), ed altrettante o poco più a persone “normali”.
In questo rilevavo una sorta di distonia percentuale tra la gente rientrata e quelli che chiamo i vip; mi si controbatte che queste interviste erano anche fonte di tranquillizzazione per le famiglie: i familiari erano giù stati tutti abbondantemente avvertiti, prima dai turisti stessi, tutti dotati di cellulare e poi dal Ministero degli Esteri.
Comunque, la mia voleva solo essere una reprimenda ai Direttori dei TG che scelgono sempre la via più facile: un VIP fa sempre bene all’ascolto. Ci sarebbe da aggiungere che già i sette TG di stasera (dalle 18.30 alle 20.30) hanno riequilibrato le proporzioni e si è potuto assistere a racconti da brivido svolti da gente comune.
La SECONDA si riferiva sulla costruzione della narrazione dell’evento: data la scarsità delle immagini provenienti dalle zone di teatro, si andava avanti con racconti o interviste dall’Italia; anche questa carenza nei TG di stasera è stata, almeno in parte, sistemata e si è così potuto assistere a qualche racconto da parte degli indigeni (che hanno perso tutto) e che hanno avuto decine di migliaia di morti.
Su questa provocazione – che tendeva a focalizzare la nostra attenzione su quello che è successo in quelle zone disastrate – non ho avuto contraddizioni ma neppure approvazioni; c’è da rimarcare che i danni sommariamente calcolati assommano a cifre che non so neppure scrivere; pensate che solo oggi si apprende di un Albergo letteralmente spazzato via e dei 405 ospiti tutti ovviamente morti; oppure delle isole dalle quali la furia delle acque ha sbarbato anche gli alberi, rendendole brulle e assolutamente prive di qualunque forma di vita.
E i TG di stasera cominciano anche a dare lo stesso spazio (o quasi) al salvataggio dei turisti occidentali e ai problemi di coloro che restano in quei luoghi divenuti così inospitali; e non c’è che da rimarcare l’enorme dignità degli uomini e delle donne che non chiedono niente. Resta da notare che la prima emergenza – per me – è quella sanitaria.
La TERZA provocazione riguardava l’affermazione di un signore di Cesenatico (quindi la provocazione caso mai è sua) che affermava: “Per il prossimo viaggio meglio Milano Marittima” e chiedevo ai miei cortesi lettori “che avrà voluto dire?”; non ci crederete ma nessuno mi ha risposto: forse per voi è tutto chiaro, ma vorrei che lo fosse anche per me.
L’ULTIMA provocazione non è mia ma di alcuni ricercatori che dall’Isola di Haiti hanno fatto sapere di aver previsto con cinque ore di anticipo il disastroso tsunami e di avere avvertito di questo il Governo Indonesiano, il quale ovviamente…non ha fatto niente, anche perché qualunque intervento avrebbe avuto bisogno di una organizzazione multinazionale che naturalmente non c’è.
Ho apprezzato la dichiarazione di Boschi, direttore dell’Ufficio Italiano Terremoti che è sbottato in un chiarissimo “hanno fatto bene ad avvertire l’Indonesia, ma facevano meglio a tacere l’episodio con la stampa mondiale”.
I media e l'Apocalisse
Come era facile prevedere la situazione nel Sud-Est asiatico diventa di ora in ora sempre più drammatica: dai 30.000 morti di ieri stiamo arrivando ai 60.000 e ancora non è finita e, soprattutto ancora non stiamo contando i disagi, i senza tetto che ci sono in quella regione.
Non voglio però parlare di queste cose – le potete apprendere dai TG o dai giornali – ma del rapporto che i media stanno istaurando con l’immane catastrofe: anzitutto le interviste con gli scampati, con coloro cioè che sono rientrati prima che lo “tsunami” facesse la sua comparsa (allora non possiamo considerarli scampati).
È stato molto bello uno speciale al quale ho assistito ieri sera: il giornalista – mezzobusto stava intervistando il capo della Protezione Civile, che stava dettagliando i nostri prossimi interventi, quando è stato interrotto dal telefono di studio che, evidentemente, gli comunicava qualcosa di molto importante; dopo aver parlato con un qualche personaggio misterioso, si è prontamente scusato con Bertolaso ed ha annunciato nientepopodimenoche una intervista dall’Aeroporto di Malpensa con Pippo Inzaghi di ritorno dalle Maldive.
Lo “scampato”, che anzitutto riesce con difficoltà a mettere insieme un discorso di senso compiuto al di fuori del mondo del pallone, ha subito ammesso di non aver visto niente, solo un po’ d’acqua sulla pista dell’aeroporto, ma niente di più. Altrettanto hanno detto Maldini, Zambrotta e Albertini.
Questo, per spiegare l’andazzo delle cronache giornalistiche o degli speciali: le nostre troupe sono di stanza agli aeroporti di Roma e Milano e, ad ogni arrivo aspettano i vip, i vippini, i vippissimi o comunque qualcuno un po’ noto che racconti qualcosa.
Ora dobbiamo notare subito una cosa: dalle Maldive, dallo Sri Lanka, dalla Thailandia è molto raro che faccia ritorno un operaio della FIAT in cassa integrazione; in pratica buona parte di quelli che rientrano a casa sono delle facce note o, comunque, dei portafogli noti, almeno alle Banche.
È tutta gente però che non ha visto niente e al massimo parla per sentito dire; altri sono quelli che hanno visto e che sanno, ma la paura deve essere stata tanta che ha mozzato ogni discorso sul nascere.
Cambiamo discorso: una stima approssimativa calcola in 3 milioni i senza tetto in quella disgraziata area; questa gente non ha un aereo che li aspetta per riportarli a casa dove trovano gli agi che hanno da poco lasciato. Questa gente ha perduto non solo la propria capanna ma ogni suo avere – poco, ma era tutto – ed è preda della più profonda e frustrante disperazione; mi colpiscono in modo particolare i bambini sopravvissuti, con i loro occhioni scuri che sembrano implorare qualcosa che nessuno potrà mai dar loro: dimenticare quanto accaduto.
Dobbiamo pensare a loro, noi come tutti gli altri paesi occidentali che per anni abbiamo usufruito del loro “paradiso” ed ora dobbiamo fare il possibile per ricostituirlo; capisco che non sarà facile, ma capisco anche che, finché dedicheremo tutte le nostre energie ai nostri connazionali “scampati”, resterà ben poco per gli indigeni.
Solidarietà alla nostra gente, questo è ovvio ed è primario interesse, ma ricordiamoci anche il discorso che – molto saggiamente – ha fatto un signore di Cesenatico al rientro in Italia dalla Thailandia: “Per il prossimo viaggio meglio Milano Marittima”.
Che avrà voluto dire??!
Non voglio però parlare di queste cose – le potete apprendere dai TG o dai giornali – ma del rapporto che i media stanno istaurando con l’immane catastrofe: anzitutto le interviste con gli scampati, con coloro cioè che sono rientrati prima che lo “tsunami” facesse la sua comparsa (allora non possiamo considerarli scampati).
È stato molto bello uno speciale al quale ho assistito ieri sera: il giornalista – mezzobusto stava intervistando il capo della Protezione Civile, che stava dettagliando i nostri prossimi interventi, quando è stato interrotto dal telefono di studio che, evidentemente, gli comunicava qualcosa di molto importante; dopo aver parlato con un qualche personaggio misterioso, si è prontamente scusato con Bertolaso ed ha annunciato nientepopodimenoche una intervista dall’Aeroporto di Malpensa con Pippo Inzaghi di ritorno dalle Maldive.
Lo “scampato”, che anzitutto riesce con difficoltà a mettere insieme un discorso di senso compiuto al di fuori del mondo del pallone, ha subito ammesso di non aver visto niente, solo un po’ d’acqua sulla pista dell’aeroporto, ma niente di più. Altrettanto hanno detto Maldini, Zambrotta e Albertini.
Questo, per spiegare l’andazzo delle cronache giornalistiche o degli speciali: le nostre troupe sono di stanza agli aeroporti di Roma e Milano e, ad ogni arrivo aspettano i vip, i vippini, i vippissimi o comunque qualcuno un po’ noto che racconti qualcosa.
Ora dobbiamo notare subito una cosa: dalle Maldive, dallo Sri Lanka, dalla Thailandia è molto raro che faccia ritorno un operaio della FIAT in cassa integrazione; in pratica buona parte di quelli che rientrano a casa sono delle facce note o, comunque, dei portafogli noti, almeno alle Banche.
È tutta gente però che non ha visto niente e al massimo parla per sentito dire; altri sono quelli che hanno visto e che sanno, ma la paura deve essere stata tanta che ha mozzato ogni discorso sul nascere.
Cambiamo discorso: una stima approssimativa calcola in 3 milioni i senza tetto in quella disgraziata area; questa gente non ha un aereo che li aspetta per riportarli a casa dove trovano gli agi che hanno da poco lasciato. Questa gente ha perduto non solo la propria capanna ma ogni suo avere – poco, ma era tutto – ed è preda della più profonda e frustrante disperazione; mi colpiscono in modo particolare i bambini sopravvissuti, con i loro occhioni scuri che sembrano implorare qualcosa che nessuno potrà mai dar loro: dimenticare quanto accaduto.
Dobbiamo pensare a loro, noi come tutti gli altri paesi occidentali che per anni abbiamo usufruito del loro “paradiso” ed ora dobbiamo fare il possibile per ricostituirlo; capisco che non sarà facile, ma capisco anche che, finché dedicheremo tutte le nostre energie ai nostri connazionali “scampati”, resterà ben poco per gli indigeni.
Solidarietà alla nostra gente, questo è ovvio ed è primario interesse, ma ricordiamoci anche il discorso che – molto saggiamente – ha fatto un signore di Cesenatico al rientro in Italia dalla Thailandia: “Per il prossimo viaggio meglio Milano Marittima”.
Che avrà voluto dire??!
lunedì, dicembre 27, 2004
L'Apocalisse
Purtroppo nelle diciotto ore che ci separano dal mio scritto precedente, la tragedia nel Sud-Est asiatico ha assunto proporzioni ancora più catastrofiche. Dalle 11.000 vittime si è già arrivati a oltre 30.000, ma ancora non siamo a nulla, ancora i conti dovranno essere fatti e rifatti.
Anche tra gli italiani presenti nella zona – che in un primo tempo sembravano indenni – si segnalano già 13 morti e un centinaio di “dispersi”.
Gli occidentali – veri colonizzatori “turistici” di quei paesi – si preoccupano, giustamente sotto il profilo umano, dei loro morti, che pure rappresentano una frazione minima nel totale ed anzi, più passa il tempo e più la forbice si allargherà.
Le energie dei governi (il nostro in testa) sono per ora votate quasi interamente al recupero dei nostri connazionali: sarà giusto questo comportamento? Sicuramente è umano e comprensibile, anche perché prima di poter mettere le mani su una qualche forma di aiuto o di ricostruzione, ne passera del tempo!
I media sparano dati, alcuni dei quali risultano impressionanti: l’energia sprigionata dal terremoto sotto il mare è stata pari ad un milione di bombe atomiche di Hiroshima; se la scossa avesse avuto come epicentro l’Italia, la nostra penisola sarebbe stata “spaccata in due”, come se qualcuno – un gigante cattivo – avesse stroncato lo stivale alla stregua di un grissino; un altro dato impressionante: ci sono delle vittime anche sulle sponde Keniane e Somale, a migliaia di chilometri di distanza, nella parte orientale dell’Oceano Indiano.
Le immagini più spettacolari sono quelle realizzate dagli stessi turisti – ubicati in posizione di tranquillità – che riprendono lo “spettacolo” dell’onda anomale che si abbatte sulla spiaggia e spazza via tutto quello che trova davanti a se; sembra una delle tante cose da “vedere e riprendere” durante la vacanza.
Capisco che per un paio di giorni continueremo ancora a preoccuparci dei nostri connazionali, così come i francesi faranno per i propri, gli inglesi per i propri e via di questo passo; passati questi pochi giorni però dovremo rivolgere la nostra attenzione ai “locali”, agli “indigeni”, a coloro che oltre che la vita hanno perduto “tutto”, perché la loro capanna rappresenta proprio “tutto” per loro.
Dovremo quindi preoccuparci delle quasi certe epidemie che si svilupperanno nei villaggi pieni di cadaveri, pieni di bambini passati dal gioco alla morte, con i genitori che niente hanno potuto per aiutarli.
Un’immagine che vorrei nominare “simbolo dell’Apocalisse” è quella di un padre che avanza tra il fango, con il corpicino inanimato di un bambino o bambina: è il simbolo della tragedia, il simbolo di questa immane disgrazia che è capitata loro, abitanti in uno di quelli che noi definiamo “Paradiso delle Vacanze”.
Alcune domande che vorrei proporre: continuerà il flusso turistico verso quei luoghi oppure il ricordo sarà così vivo per tanto tempo da far passare di moda il “Paradiso”?
Ed ancora: se il flusso turistico si blocca, cosa succede dell’economia di quei bellissimi paesi? Su cosa potrà basare la loro ripresa?
Insomma, voglio dire: tornerà ad essere tutto come prima oppure no?
Chiudiamo qui e aggiorniamoci alle prossime notizie.
Anche tra gli italiani presenti nella zona – che in un primo tempo sembravano indenni – si segnalano già 13 morti e un centinaio di “dispersi”.
Gli occidentali – veri colonizzatori “turistici” di quei paesi – si preoccupano, giustamente sotto il profilo umano, dei loro morti, che pure rappresentano una frazione minima nel totale ed anzi, più passa il tempo e più la forbice si allargherà.
Le energie dei governi (il nostro in testa) sono per ora votate quasi interamente al recupero dei nostri connazionali: sarà giusto questo comportamento? Sicuramente è umano e comprensibile, anche perché prima di poter mettere le mani su una qualche forma di aiuto o di ricostruzione, ne passera del tempo!
I media sparano dati, alcuni dei quali risultano impressionanti: l’energia sprigionata dal terremoto sotto il mare è stata pari ad un milione di bombe atomiche di Hiroshima; se la scossa avesse avuto come epicentro l’Italia, la nostra penisola sarebbe stata “spaccata in due”, come se qualcuno – un gigante cattivo – avesse stroncato lo stivale alla stregua di un grissino; un altro dato impressionante: ci sono delle vittime anche sulle sponde Keniane e Somale, a migliaia di chilometri di distanza, nella parte orientale dell’Oceano Indiano.
Le immagini più spettacolari sono quelle realizzate dagli stessi turisti – ubicati in posizione di tranquillità – che riprendono lo “spettacolo” dell’onda anomale che si abbatte sulla spiaggia e spazza via tutto quello che trova davanti a se; sembra una delle tante cose da “vedere e riprendere” durante la vacanza.
Capisco che per un paio di giorni continueremo ancora a preoccuparci dei nostri connazionali, così come i francesi faranno per i propri, gli inglesi per i propri e via di questo passo; passati questi pochi giorni però dovremo rivolgere la nostra attenzione ai “locali”, agli “indigeni”, a coloro che oltre che la vita hanno perduto “tutto”, perché la loro capanna rappresenta proprio “tutto” per loro.
Dovremo quindi preoccuparci delle quasi certe epidemie che si svilupperanno nei villaggi pieni di cadaveri, pieni di bambini passati dal gioco alla morte, con i genitori che niente hanno potuto per aiutarli.
Un’immagine che vorrei nominare “simbolo dell’Apocalisse” è quella di un padre che avanza tra il fango, con il corpicino inanimato di un bambino o bambina: è il simbolo della tragedia, il simbolo di questa immane disgrazia che è capitata loro, abitanti in uno di quelli che noi definiamo “Paradiso delle Vacanze”.
Alcune domande che vorrei proporre: continuerà il flusso turistico verso quei luoghi oppure il ricordo sarà così vivo per tanto tempo da far passare di moda il “Paradiso”?
Ed ancora: se il flusso turistico si blocca, cosa succede dell’economia di quei bellissimi paesi? Su cosa potrà basare la loro ripresa?
Insomma, voglio dire: tornerà ad essere tutto come prima oppure no?
Chiudiamo qui e aggiorniamoci alle prossime notizie.
Passato bene il Natale?
Non vi chiederò cosa vi ha portato Babbo Natale; mi interessa di più conoscere come avete trascorso il Natale e come lo avete collegato, attraverso i media, con la vita degli altri.
Ovviamente dobbiamo parlare della immane tragedia accaduta nel sud est asiatico: un terrificante terremoto con epicentro in mezzo all’Oceano Indiano, che ha provocato una gigantesca onda anomala di decine di metri di altezza che ha spazzato via interi villaggi. Mentre scrivo queste note, l’ultimo lancio di agenzia sta parlando di 11.000 morti; da notare che nella zona ci sono circa 5.000 turisti italiani i quali – per ora – sembra che non abbiano subito danni; speriamo che anche domani le notizie confermino questa buona notizia.
Pensate che sono state attaccate tutta una serie di località turistiche, dalle Maldive allo Sri Lanka, dalla Tahilandia alla celebre Isola di Puchet: tutti luoghi che rivestivano molto interesse non solo per il turismo normale ma anche per il famoso turismo pedo – sessuale, quei tipi di tour che nel “tutto compreso” è inclusa anche una ragazzina al di sotto di 16 anni da spupazzarsi per la durata del soggiorno.
A proposito di quanto sopra, le lamentele si sono levate alte e in vari tempi, dalla Chiesa e da altre associazioni, ma niente è stato fatto per sistemare la cosa.
Non vorrei essere melodrammatico, ma sono certo che qualcuno parlerà di “punizione divina” per questi luoghi peccaminosi: come se il Padreterno si vendicasse in questo modo delle malefatte di qualcuno, cioè colpire indifferentemente quasi un miliardo di persone.
No, no, e ancora no, non ci credo!
E non possiamo neppure trincerarsi dietro alla solita lamentela che la natura si vendica delle malefatte dell’uomo: possiamo invece dire che è uno dei casi in cui la natura mostra all’uomo tutta la sua potenza, nei confronti della quale siamo tutti inermi.
Nel campo dei media, con la politica ai cenoni e con i quotidiani in festa, è chiaro che la televisione l’ha fatta da padrona, soprattutto perché ha portato in tutte le case immagini dei luoghi colpiti dalla tragedia, fornite da altri mezzi (C.N.N, oppure Fox) mentre per i servizi dagli aeroporti italiani sulle torme di turisti in partenza per quei luoghi e un po’ dubbiosi (c’è da capirli) sul fare o meno il viaggio, ognuna delle nostre televisioni ha lavorato con proprie troupe.
In questi servizi mi ha colpito due cose: la prima è la “noia” di quasi tutti per l’inconveniente che mette a rischio un loro divertimento, alla faccia di tutti i morti.
La seconda riguarda un servizio su quanto spendono i nostri connazionali per questi viaggi; e qui si assiste a delle situazioni che definire distoniche è poco: ci sono infatti i giovani che partono alla ventura e con 300 euro contano di farsi una bella vacanza – magari avventurosa – ma comunque bella; c’è poi un signore che ha candidamente ammesso che per la sua vacanza di 14 giorni aveva speso 16.000 euro (più di 30 milioni delle vecchie lire): alla faccia della crisi!
Allora mi chiedo, ma se c’è gente che per le vacanze di Natale può spendere queste cifre, allora non parlatemi di crisi, oppure – proprio come nei momenti di crisi (eventi particolari, guerre, alluvioni) – ci sono persone che continuano ad arricchirsi in modo esponenziale alla faccia dei più che non si ritrovano più buchi alla cintola che devono continuare a tirare.
È proprio vero quanto affermava mio nonno: dopo ogni guerra ci sono nuovi ricchi e tanti nuovi poveri; questo può andare bene anche per l’avvento dell’Euro e per quello di Berlusconi!
Ovviamente dobbiamo parlare della immane tragedia accaduta nel sud est asiatico: un terrificante terremoto con epicentro in mezzo all’Oceano Indiano, che ha provocato una gigantesca onda anomala di decine di metri di altezza che ha spazzato via interi villaggi. Mentre scrivo queste note, l’ultimo lancio di agenzia sta parlando di 11.000 morti; da notare che nella zona ci sono circa 5.000 turisti italiani i quali – per ora – sembra che non abbiano subito danni; speriamo che anche domani le notizie confermino questa buona notizia.
Pensate che sono state attaccate tutta una serie di località turistiche, dalle Maldive allo Sri Lanka, dalla Tahilandia alla celebre Isola di Puchet: tutti luoghi che rivestivano molto interesse non solo per il turismo normale ma anche per il famoso turismo pedo – sessuale, quei tipi di tour che nel “tutto compreso” è inclusa anche una ragazzina al di sotto di 16 anni da spupazzarsi per la durata del soggiorno.
A proposito di quanto sopra, le lamentele si sono levate alte e in vari tempi, dalla Chiesa e da altre associazioni, ma niente è stato fatto per sistemare la cosa.
Non vorrei essere melodrammatico, ma sono certo che qualcuno parlerà di “punizione divina” per questi luoghi peccaminosi: come se il Padreterno si vendicasse in questo modo delle malefatte di qualcuno, cioè colpire indifferentemente quasi un miliardo di persone.
No, no, e ancora no, non ci credo!
E non possiamo neppure trincerarsi dietro alla solita lamentela che la natura si vendica delle malefatte dell’uomo: possiamo invece dire che è uno dei casi in cui la natura mostra all’uomo tutta la sua potenza, nei confronti della quale siamo tutti inermi.
Nel campo dei media, con la politica ai cenoni e con i quotidiani in festa, è chiaro che la televisione l’ha fatta da padrona, soprattutto perché ha portato in tutte le case immagini dei luoghi colpiti dalla tragedia, fornite da altri mezzi (C.N.N, oppure Fox) mentre per i servizi dagli aeroporti italiani sulle torme di turisti in partenza per quei luoghi e un po’ dubbiosi (c’è da capirli) sul fare o meno il viaggio, ognuna delle nostre televisioni ha lavorato con proprie troupe.
In questi servizi mi ha colpito due cose: la prima è la “noia” di quasi tutti per l’inconveniente che mette a rischio un loro divertimento, alla faccia di tutti i morti.
La seconda riguarda un servizio su quanto spendono i nostri connazionali per questi viaggi; e qui si assiste a delle situazioni che definire distoniche è poco: ci sono infatti i giovani che partono alla ventura e con 300 euro contano di farsi una bella vacanza – magari avventurosa – ma comunque bella; c’è poi un signore che ha candidamente ammesso che per la sua vacanza di 14 giorni aveva speso 16.000 euro (più di 30 milioni delle vecchie lire): alla faccia della crisi!
Allora mi chiedo, ma se c’è gente che per le vacanze di Natale può spendere queste cifre, allora non parlatemi di crisi, oppure – proprio come nei momenti di crisi (eventi particolari, guerre, alluvioni) – ci sono persone che continuano ad arricchirsi in modo esponenziale alla faccia dei più che non si ritrovano più buchi alla cintola che devono continuare a tirare.
È proprio vero quanto affermava mio nonno: dopo ogni guerra ci sono nuovi ricchi e tanti nuovi poveri; questo può andare bene anche per l’avvento dell’Euro e per quello di Berlusconi!