sabato, agosto 07, 2010
CHE CE NE FACCIAMO DI QUESTO “POTERE”?
Prendo lo spunto da quanto riportano le cronache in questi giorni circa le “esuberanti esternazioni” del Presidente Sarkozy nei confronti della di lui consorte, Carla Bruni, in occasione della partecipazione ad un film che Woody Allen sta girando a Parigi.
Prima due parole sul regista che, peraltro, specie in questi ultimi tempi avevo già considerato un po’ “bollito”: quale motivo c’era per ingaggiare la moglie del Presidente per questo film? Non mi sembra che la stessa possa considerarsi “indispensabile” dato che le cronache dello spettacolo ci riportano che anche scene semplicissime sono state ripetute addirittura 35 volte perché la “premier dame” non riusciva a recitarle. E allora? Allora, è il solito discorso: avere Carla Bruni nel cast significa farsi “pubblicità” a partire dall’inizio della lavorazione fino all’uscita del film nei cinema; poi, le immancabili stroncature diventeranno ancora “pubblicità” perché la gente va a vederlo per parlare male della raffazzonata attrice/presidentessa.
Scusate il lungo preambolo ed arriviamo al bravo Nicolas: in questi giorni che il set del film di Allen è proprio nel centro di Parigi (Quartiere Latino) il Presidente ha già fatto un paio di apparizioni che hanno turbato l’operatività del cast; l’ultima è stata anche più rocambolesca, in quanto Sarkozy, arrivato sul set, si è ritrovato la moglie tra le braccia (per la finzione cinematografica, s’intende) dell’aitante Owen Wilson che ripeteva per la trentesima volta la scena di un bacio appassionato, si è arrabbiato ed ha tentato di portare via la moglie dal set; si è calmato solo dopo alcune moine della bella Carla, ma nel momento in cui sono entrati in azioni i soliti paparazzi, ha gridato ai suoi gorilla “Buttateli fuori”, facendo nascere un putiferio a base di spintoni, calci, pugni e la collera del regista che ha visto rovinato il lavoro per l’intera serata.
Questo è un esempio di “potere”; se esaminiamo la stessa cosa in Italia, possiamo trovarne cento di situazioni similari e quindi la conclusione che possiamo trarre è che le attuali persone che personificano il potere – nel mondo - non ne sono degne, oppure, rappresentano l’immagine del potere dei nostri giorni in modo distorto..
Senza andare troppo lontano (ai Quintino Sella o ai De Gaulle, ai Ricasoli o ai De Nicola) cerchiamo di appiccicare una situazione analoga ad alcuni statisti relativamente recenti, da De Gasperi a Togliatti, da Fanfani a Moro, e potrei continuare, tutta gente che – pur essendo odiata dall’avversa parte politica – è sempre stata rispettata per la correttezza e la sobrietà dei costumi. Non riesco a vederli in questi panni di presidenti dispotici e spocchiosi.
Al giorno d’oggi – pur avendo ricambi di politici attraverso le elezioni – ci ritroviamo di fatto sempre la stessa “robetta” che cerca solo di fare gli interessi propri e degli amici.
Ed allora una proposta – bislacca come lo sono le mie proposte – che si basa su un nuovo sistema di elezione: non più politici ma “categorie di persone”; cioè, per una legislatura (4 anni) governano gli imbianchini, per quella dopo i panificatori, poi si passa ai mobilieri e via di questo passo, utilizzando i veterinari, i boscaioli eccetera.
Non mi si dica che i signori facenti parte di queste categorie non avrebbero la cultura per governare; tolti tre o quattro “tecnici”, il resto dei nostri governanti potrebbe essere degnamente sostituito dai “salumieri” che almeno il loro mestiere lo conoscono.
Lo so che non è serio; per la verità neppure volevo esserlo, ma almeno voglio sperare di aver lanciato un messaggio circa un sistema di corruttela dilagante che può essere curato solo da una operazione di taglio netto e deciso e non da palliativi che non servono a nient’altro che a perpetuare il sistema. Chiaro il concetto??
Prima due parole sul regista che, peraltro, specie in questi ultimi tempi avevo già considerato un po’ “bollito”: quale motivo c’era per ingaggiare la moglie del Presidente per questo film? Non mi sembra che la stessa possa considerarsi “indispensabile” dato che le cronache dello spettacolo ci riportano che anche scene semplicissime sono state ripetute addirittura 35 volte perché la “premier dame” non riusciva a recitarle. E allora? Allora, è il solito discorso: avere Carla Bruni nel cast significa farsi “pubblicità” a partire dall’inizio della lavorazione fino all’uscita del film nei cinema; poi, le immancabili stroncature diventeranno ancora “pubblicità” perché la gente va a vederlo per parlare male della raffazzonata attrice/presidentessa.
Scusate il lungo preambolo ed arriviamo al bravo Nicolas: in questi giorni che il set del film di Allen è proprio nel centro di Parigi (Quartiere Latino) il Presidente ha già fatto un paio di apparizioni che hanno turbato l’operatività del cast; l’ultima è stata anche più rocambolesca, in quanto Sarkozy, arrivato sul set, si è ritrovato la moglie tra le braccia (per la finzione cinematografica, s’intende) dell’aitante Owen Wilson che ripeteva per la trentesima volta la scena di un bacio appassionato, si è arrabbiato ed ha tentato di portare via la moglie dal set; si è calmato solo dopo alcune moine della bella Carla, ma nel momento in cui sono entrati in azioni i soliti paparazzi, ha gridato ai suoi gorilla “Buttateli fuori”, facendo nascere un putiferio a base di spintoni, calci, pugni e la collera del regista che ha visto rovinato il lavoro per l’intera serata.
Questo è un esempio di “potere”; se esaminiamo la stessa cosa in Italia, possiamo trovarne cento di situazioni similari e quindi la conclusione che possiamo trarre è che le attuali persone che personificano il potere – nel mondo - non ne sono degne, oppure, rappresentano l’immagine del potere dei nostri giorni in modo distorto..
Senza andare troppo lontano (ai Quintino Sella o ai De Gaulle, ai Ricasoli o ai De Nicola) cerchiamo di appiccicare una situazione analoga ad alcuni statisti relativamente recenti, da De Gasperi a Togliatti, da Fanfani a Moro, e potrei continuare, tutta gente che – pur essendo odiata dall’avversa parte politica – è sempre stata rispettata per la correttezza e la sobrietà dei costumi. Non riesco a vederli in questi panni di presidenti dispotici e spocchiosi.
Al giorno d’oggi – pur avendo ricambi di politici attraverso le elezioni – ci ritroviamo di fatto sempre la stessa “robetta” che cerca solo di fare gli interessi propri e degli amici.
Ed allora una proposta – bislacca come lo sono le mie proposte – che si basa su un nuovo sistema di elezione: non più politici ma “categorie di persone”; cioè, per una legislatura (4 anni) governano gli imbianchini, per quella dopo i panificatori, poi si passa ai mobilieri e via di questo passo, utilizzando i veterinari, i boscaioli eccetera.
Non mi si dica che i signori facenti parte di queste categorie non avrebbero la cultura per governare; tolti tre o quattro “tecnici”, il resto dei nostri governanti potrebbe essere degnamente sostituito dai “salumieri” che almeno il loro mestiere lo conoscono.
Lo so che non è serio; per la verità neppure volevo esserlo, ma almeno voglio sperare di aver lanciato un messaggio circa un sistema di corruttela dilagante che può essere curato solo da una operazione di taglio netto e deciso e non da palliativi che non servono a nient’altro che a perpetuare il sistema. Chiaro il concetto??
giovedì, agosto 05, 2010
UN TIPO “DIVERSO” DI IMMIGRAZIONE: i cinesi
Quanto affermo nel titolo si riferisce alle tante “facce nuove” che abbiamo nelle nostre città; una di queste si diversifica fortemente dalle altre, per due motivi: non arrivano con gli stessi sistemi degli altri e – secondo motivo – non vengono da noi per fare “gli schiavi”, ma per conquistare un posto all’interno della nostra società. Possiamo dire che “sono stati mandati”? Non ci sono prove ma l’apparenza ci direbbe proprio questo.
Dunque, di immigrazione si parla tanto e si sviscera l’argomento in tutti i modi: ricordate le mie parole “sulla migrazione biblica dalla povertà”? Ebbene, quella cinese avviene in due modi: verso l’industria che produce sostanzialmente “copie di griffe” e verso il commercio. La prima ha inizio con l’arrivo di alcuni cinesi, pieni di denaro, che cominciano a comprare capannoni e interi palazzi, pagando rigorosamente in contanti e accettando qualunque cifra venga loro richiesta; subito dopo comincia l’arrivo di coloro che diventeranno “schiavi”, cioè lavoratori in queste industrie che giungono con regolari visti turistici e con voli aerei di linea; il costo del viaggio e quello per l’”inserimento” verrà ripagato con un lavoro “bestiale” anche di 20 ore al giorno e con pasti e riposo che si consumano direttamente nel posto di lavoro.
L’altro comparto che viene “attaccato” è quello commerciale e qui il comportamento è diverso: i cinesi che arrivano dalla madre patria sono ben provvisti di denaro e operano direttamente sul mercato, acquistando esercizi commerciali che poi gestiscono in proprio, direttamente o attraverso altri connazionali.
In entrambe le situazioni – come credo di aver descritto chiaramente – esiste a monte dell’operazione una disponibilità di denaro; la domanda che dobbiamo porci è la seguente: “chi mette questi soldi iniziali?”. Da più parti si parla di “mafia cinese” come iniziatrice di queste invasioni industriali e commerciali ma – per quanto è a mia conoscenza – non c’è stata mai nessuna prova in materia.
Come agiscono questi cinesi in Italia? Ebbene, rifuggono (nella stragrande maggioranza dei casi) qualsiasi contatto “importante” con gli italiani e fanno razza per conto loro: hanno le loro medicine, la loro farmacia, i loro ristoranti, le loro case da gioco e da qualche tempo anche le loro prostitute; i figli vanno nelle nostre scuole ma non si recano dai compagni per fare i compiti o per giocare insieme.
Pertanto, parlare di integrazione tra italiani e cinesi mi sembra per lo meno fuori luogo, anche se esistono casi – ripeto rarissimi - che ci mostrano un modo di agire diverso (un mio amico ha sposato una cinese di 30 anni più giovane di lui!!).
Nella mia città, si sta verificando una sorta di “occupazione” di una porzione del centro storico (dopo che si è verificato una analoga occupazione di una frazione alla periferia): nel Mercato Centrale, luogo storico e bellissimo, pieno di cultura e di sapori antichi e perciò senza prezzo, si è avuto un massiccio acquisto dei “banchi” ad opera di cinesi che si sono “semplicemente” sostituiti agli italiani che commerciavano in vari campi, ben contenti di accettare l’offerta veramente ottima, specie in questo momento di crisi; la domanda è sempre la stessa: dove hanno preso i soldi? Ed anche la risposta è la stessa: “non si sa!”. Per di più, anche i negozietti che si affacciano sulla Piazza dove operano i Banchi del Mercato, stanno seguendo la stessa sorte, cosicché possiamo parlare di “un’altra enclave” cinese sul nostro territorio, anche perché gli italiani rimasti sono pochi e quei pochi non vedono l’ora di andarsene.
Vogliamo dire che una occupazione fatta con i denari è meglio di una fatta con altri sdistemi? Bene, diciamolo pure, ed anche io posso essere d’accordo, però….
Dunque, di immigrazione si parla tanto e si sviscera l’argomento in tutti i modi: ricordate le mie parole “sulla migrazione biblica dalla povertà”? Ebbene, quella cinese avviene in due modi: verso l’industria che produce sostanzialmente “copie di griffe” e verso il commercio. La prima ha inizio con l’arrivo di alcuni cinesi, pieni di denaro, che cominciano a comprare capannoni e interi palazzi, pagando rigorosamente in contanti e accettando qualunque cifra venga loro richiesta; subito dopo comincia l’arrivo di coloro che diventeranno “schiavi”, cioè lavoratori in queste industrie che giungono con regolari visti turistici e con voli aerei di linea; il costo del viaggio e quello per l’”inserimento” verrà ripagato con un lavoro “bestiale” anche di 20 ore al giorno e con pasti e riposo che si consumano direttamente nel posto di lavoro.
L’altro comparto che viene “attaccato” è quello commerciale e qui il comportamento è diverso: i cinesi che arrivano dalla madre patria sono ben provvisti di denaro e operano direttamente sul mercato, acquistando esercizi commerciali che poi gestiscono in proprio, direttamente o attraverso altri connazionali.
In entrambe le situazioni – come credo di aver descritto chiaramente – esiste a monte dell’operazione una disponibilità di denaro; la domanda che dobbiamo porci è la seguente: “chi mette questi soldi iniziali?”. Da più parti si parla di “mafia cinese” come iniziatrice di queste invasioni industriali e commerciali ma – per quanto è a mia conoscenza – non c’è stata mai nessuna prova in materia.
Come agiscono questi cinesi in Italia? Ebbene, rifuggono (nella stragrande maggioranza dei casi) qualsiasi contatto “importante” con gli italiani e fanno razza per conto loro: hanno le loro medicine, la loro farmacia, i loro ristoranti, le loro case da gioco e da qualche tempo anche le loro prostitute; i figli vanno nelle nostre scuole ma non si recano dai compagni per fare i compiti o per giocare insieme.
Pertanto, parlare di integrazione tra italiani e cinesi mi sembra per lo meno fuori luogo, anche se esistono casi – ripeto rarissimi - che ci mostrano un modo di agire diverso (un mio amico ha sposato una cinese di 30 anni più giovane di lui!!).
Nella mia città, si sta verificando una sorta di “occupazione” di una porzione del centro storico (dopo che si è verificato una analoga occupazione di una frazione alla periferia): nel Mercato Centrale, luogo storico e bellissimo, pieno di cultura e di sapori antichi e perciò senza prezzo, si è avuto un massiccio acquisto dei “banchi” ad opera di cinesi che si sono “semplicemente” sostituiti agli italiani che commerciavano in vari campi, ben contenti di accettare l’offerta veramente ottima, specie in questo momento di crisi; la domanda è sempre la stessa: dove hanno preso i soldi? Ed anche la risposta è la stessa: “non si sa!”. Per di più, anche i negozietti che si affacciano sulla Piazza dove operano i Banchi del Mercato, stanno seguendo la stessa sorte, cosicché possiamo parlare di “un’altra enclave” cinese sul nostro territorio, anche perché gli italiani rimasti sono pochi e quei pochi non vedono l’ora di andarsene.
Vogliamo dire che una occupazione fatta con i denari è meglio di una fatta con altri sdistemi? Bene, diciamolo pure, ed anche io posso essere d’accordo, però….
martedì, agosto 03, 2010
FARE IL DURO, PAGA?
La domanda contenuta nel titolo si riferisce ai Capi di Stato o di governo ed al loro atteggiamento in occasione di crisi che ne ledano il prestigio e la relativa immagine; nel nostro Paese siamo maestri in questo, ma nel mio post mi riferisco ai nostri cugini francesi e specificatamente al loro premier Nicolas Sarkozy.
Duramente penalizzato dai sondaggi (i più bassi mai registrati per un Presidente), Sarkozy gioca la carta della sicurezza, dell’ordine pubblico e dell’attacco al nemico: ci ha provato alcuni giorni addietro, autorizzando il blitz per liberare Michael Germaneau, l’ostaggio francese prigioniero di Al Qaeda nel Sahel e, mentre stava già assaporando il gusto del trionfo, ha dovuto sorbirsi l’amaro calice della sconfitta: il blitz è fallito e l’ostaggio è stato ucciso.
Ma il Presidente - che in linea di principio ha ragione quando afferma che lo Stato deve difendere se stesso ed i suoi cittadini – non si è perso d’animo ed ha lanciato una linea dura, anzi durissima, contro ogni forma di criminalità in Francia; “guerra ai Trafficanti e ai delinquenti”, invio di “brigate specializzate, di armi e di veicoli e caschi per fronteggiare il nemico”, “misure repressive presto al varo del Parlamento”: sono tutte affermazioni che possono ricordare il vocabolario bellico e che escono ad un paio di settimane dagli scontri di Grenoble tra Polizia e giovani delle “banlieues” e dagli scontri di Saint’Agnan fra gendarmi e rom.
La scelta dell’Eliseo è quella del pugno di ferro: non solo verranno smantellati i campi illegali di nomadi e rom, ma verrà resa molto più difficile la vita anche agli “altri” criminali, in particolare quelli di origine straniera che potranno essere privati della nazionalità francese.
In un recentissimo incontro/comizio a Grenoble, Sarkozy – accolto da slogan del tipo “Sarkò sei come Al Capone” – ha urlato la sua ricetta contro l’attuale situazione: “subiamo le conseguenze di cinquanta anni di immigrazione non controllata; la nazionalità francese non può essere automatica, bisogna conquistarsela; chi spara contro un agente delle forze dell’ordine, non è degno di essere francese”.
Ma il proposito del Presidente di togliere la cittadinanza francese ai “criminali di origine straniera”, cozza contro due principi considerati inviolabili dalla Costituzione e che si raggruppano sotto il titolo “égalité”: il diritto alla nazionalità e il rifiuto di ogni distinzione tra i “francesi di origine” e coloro che hanno acquisito da poco la nazionalità.
Il quotidiano di sinistra ”Le Monde”, ha subito osservato che “il presidente viola un tabù e fa un ulteriore passo in avanti sulla strada della politica repressiva; è un gioco molto pericoloso”.
Sarkozy non ha ancora attaccato il principio che concede asilo politico “a chiunque” (le strade ed i caffé di Parigi sono pieni di veri o presunti rivoluzionari italiani, tedeschi e di altre nazioni che hanno trovato rifugio in Francia dalla galera loro comminata nei paesi di origine); al momento sta attaccando i criminali che combattono le forse dell’ordine, ma da qualche parte si ipotizza una sorta di saldatura tra i due mondi: da una parte la criminalità politica e dall’altra quella comune.
È certo che se questa saldatura avvenisse, magari all’ombra delle violenze che si moltiplicano nelle “banlieues”, l’aria potrebbe diventare veramente pesante e così il Presidente cerca almeno di porre una sorta di steccato tra le due realtà criminali, utilizzando il sacro diritto dello Stato di difendere se stesso ed i suoi cittadini.
Ma insomma: fare il duro paga? Certo, a meno di non trovare chi è più “duro” di te!!
Duramente penalizzato dai sondaggi (i più bassi mai registrati per un Presidente), Sarkozy gioca la carta della sicurezza, dell’ordine pubblico e dell’attacco al nemico: ci ha provato alcuni giorni addietro, autorizzando il blitz per liberare Michael Germaneau, l’ostaggio francese prigioniero di Al Qaeda nel Sahel e, mentre stava già assaporando il gusto del trionfo, ha dovuto sorbirsi l’amaro calice della sconfitta: il blitz è fallito e l’ostaggio è stato ucciso.
Ma il Presidente - che in linea di principio ha ragione quando afferma che lo Stato deve difendere se stesso ed i suoi cittadini – non si è perso d’animo ed ha lanciato una linea dura, anzi durissima, contro ogni forma di criminalità in Francia; “guerra ai Trafficanti e ai delinquenti”, invio di “brigate specializzate, di armi e di veicoli e caschi per fronteggiare il nemico”, “misure repressive presto al varo del Parlamento”: sono tutte affermazioni che possono ricordare il vocabolario bellico e che escono ad un paio di settimane dagli scontri di Grenoble tra Polizia e giovani delle “banlieues” e dagli scontri di Saint’Agnan fra gendarmi e rom.
La scelta dell’Eliseo è quella del pugno di ferro: non solo verranno smantellati i campi illegali di nomadi e rom, ma verrà resa molto più difficile la vita anche agli “altri” criminali, in particolare quelli di origine straniera che potranno essere privati della nazionalità francese.
In un recentissimo incontro/comizio a Grenoble, Sarkozy – accolto da slogan del tipo “Sarkò sei come Al Capone” – ha urlato la sua ricetta contro l’attuale situazione: “subiamo le conseguenze di cinquanta anni di immigrazione non controllata; la nazionalità francese non può essere automatica, bisogna conquistarsela; chi spara contro un agente delle forze dell’ordine, non è degno di essere francese”.
Ma il proposito del Presidente di togliere la cittadinanza francese ai “criminali di origine straniera”, cozza contro due principi considerati inviolabili dalla Costituzione e che si raggruppano sotto il titolo “égalité”: il diritto alla nazionalità e il rifiuto di ogni distinzione tra i “francesi di origine” e coloro che hanno acquisito da poco la nazionalità.
Il quotidiano di sinistra ”Le Monde”, ha subito osservato che “il presidente viola un tabù e fa un ulteriore passo in avanti sulla strada della politica repressiva; è un gioco molto pericoloso”.
Sarkozy non ha ancora attaccato il principio che concede asilo politico “a chiunque” (le strade ed i caffé di Parigi sono pieni di veri o presunti rivoluzionari italiani, tedeschi e di altre nazioni che hanno trovato rifugio in Francia dalla galera loro comminata nei paesi di origine); al momento sta attaccando i criminali che combattono le forse dell’ordine, ma da qualche parte si ipotizza una sorta di saldatura tra i due mondi: da una parte la criminalità politica e dall’altra quella comune.
È certo che se questa saldatura avvenisse, magari all’ombra delle violenze che si moltiplicano nelle “banlieues”, l’aria potrebbe diventare veramente pesante e così il Presidente cerca almeno di porre una sorta di steccato tra le due realtà criminali, utilizzando il sacro diritto dello Stato di difendere se stesso ed i suoi cittadini.
Ma insomma: fare il duro paga? Certo, a meno di non trovare chi è più “duro” di te!!
domenica, agosto 01, 2010
LAVORO E IMMIGRAZIONE
Mentre i dati di giugno sulla disoccupazione mostrano una piccola diminuzione, 8,5 contro l’8,7, nessuno – stampa, sindacati e tanto meno politici – ci propone qualche riflessioni su come sta cambiando il mondo del lavoro in questo periodo di totale acquiescenza alla globalizzazione.
Abbiamo così tutta la vicenda FIAT, caratterizzata da due interventi - Pomigliano e Mirafiori – laddove, nel primo caso si è già costituita la nuova “Company” che assumerà nel 2012 gli operai che vorranno aderire a questa iniziativa, fermo restando che si applicherà il contratto “Marchionne” e non quello “nazionale” per i metalmeccanici.
Per Mirafiori, il problema si pone con il trasferimento di alcune lavorazioni (multipla e altre), dalla struttura storica della FIAT alla ex fabbrica della Zastava, in Serbia, rilevata dalla casa torinese e dove si dovrebbe dare inizio ad una nuova, forte produzione di auto italiane; le condizioni che sono state prospettate da governo e sindacati serbi sono allettanti: abbattimento delle tasse per cinque anni e garanzia da parte delle strutture operaie che verrà applicato il sistema contrattuale già utilizzato per la vicenda Pomigliano.
E la busta paga? Qui le notizie divergono, poiché da una parte c’è la voce ufficiale che parla di 400 euro mensili (lordi) e dall’altra c’è un’intervista ad un operaio serbo che – pur felice dell’arrivo degli italiani – dice che con 200 euro al mese è dura campare anche in Serbia: la differenza non è moltissima, ma resterebbe da chiedersi “cosa si compra” con questi soldi in Serbia e cosa in Italia con i 900/1000 euro di un operaio.
Ci sarebbe poi da esaminare l’altro versante del mondo del lavoro, quello degli immigrati, ma per questo comparto, dobbiamo anzitutto notare lo scarso interesse della nostra stampa per un’analisi seria ed approfondita del fenomeno: ormai i nostri pennivendoli sono abituati a cavalcare solo gli eventi che creano emergenza – nell’immigrazione c’è stato Rosarno – e a non impostare una seria inchiesta su quello che avviene nei rapporti di lavoro di queste persone: ho presente solo un film (“La nostra vita”) dove il problema è visto come una sequela di “disgraziati, pagati a nero e con quanto decide il padrone”; ma è solo un film che, logicamente, tende ad esasperare la narrazione a fini tematici.
Ormai mi sembra che il nostro mondo giornalistico sia votato quasi esclusivamente a interviste fiume, oppure alla pubblicazione di carte processuali più o meno pruriginose e comunque possiamo dire che l’obiettivo è il gossip; dicono che sia l’unica cosa che interessa il lettore: se è così siamo messi proprio male ma io non ci credo che sia così.
Eccola una indagine che meriterebbe di essere fatta: l’unica cifra che continua ad essere ripetuta da tutti è che entro il 2050 raddoppierà il numero degli stranieri in Italia: come ho avuto modo di dire più volte, è colpa della globalizzazione che ha distrutto le realtà economiche del Terzo Mondo, costringendole ad uscire improvvisamente dalle economie di sussistenza su cui avevano fin qui vissuto, per cercare di integrarsi nel mercato mondiale dove – oltre a perdere la loro identità e la loro cultura – soccombono allo strapotere del capitalismo e da “povere” che erano diventano “miserabili” e giungono fino a patire la fame; da qui le migrazioni bibliche che tanto ci spaventano e che non sono altro che un pallido fantasma di ciò che accadrà se la globalizzazione continuerà imperterrita la sua “marcia trionfale”; e per la verità non riesco ad intravedere chi o che cosa la possa fermare.
Abbiamo così tutta la vicenda FIAT, caratterizzata da due interventi - Pomigliano e Mirafiori – laddove, nel primo caso si è già costituita la nuova “Company” che assumerà nel 2012 gli operai che vorranno aderire a questa iniziativa, fermo restando che si applicherà il contratto “Marchionne” e non quello “nazionale” per i metalmeccanici.
Per Mirafiori, il problema si pone con il trasferimento di alcune lavorazioni (multipla e altre), dalla struttura storica della FIAT alla ex fabbrica della Zastava, in Serbia, rilevata dalla casa torinese e dove si dovrebbe dare inizio ad una nuova, forte produzione di auto italiane; le condizioni che sono state prospettate da governo e sindacati serbi sono allettanti: abbattimento delle tasse per cinque anni e garanzia da parte delle strutture operaie che verrà applicato il sistema contrattuale già utilizzato per la vicenda Pomigliano.
E la busta paga? Qui le notizie divergono, poiché da una parte c’è la voce ufficiale che parla di 400 euro mensili (lordi) e dall’altra c’è un’intervista ad un operaio serbo che – pur felice dell’arrivo degli italiani – dice che con 200 euro al mese è dura campare anche in Serbia: la differenza non è moltissima, ma resterebbe da chiedersi “cosa si compra” con questi soldi in Serbia e cosa in Italia con i 900/1000 euro di un operaio.
Ci sarebbe poi da esaminare l’altro versante del mondo del lavoro, quello degli immigrati, ma per questo comparto, dobbiamo anzitutto notare lo scarso interesse della nostra stampa per un’analisi seria ed approfondita del fenomeno: ormai i nostri pennivendoli sono abituati a cavalcare solo gli eventi che creano emergenza – nell’immigrazione c’è stato Rosarno – e a non impostare una seria inchiesta su quello che avviene nei rapporti di lavoro di queste persone: ho presente solo un film (“La nostra vita”) dove il problema è visto come una sequela di “disgraziati, pagati a nero e con quanto decide il padrone”; ma è solo un film che, logicamente, tende ad esasperare la narrazione a fini tematici.
Ormai mi sembra che il nostro mondo giornalistico sia votato quasi esclusivamente a interviste fiume, oppure alla pubblicazione di carte processuali più o meno pruriginose e comunque possiamo dire che l’obiettivo è il gossip; dicono che sia l’unica cosa che interessa il lettore: se è così siamo messi proprio male ma io non ci credo che sia così.
Eccola una indagine che meriterebbe di essere fatta: l’unica cifra che continua ad essere ripetuta da tutti è che entro il 2050 raddoppierà il numero degli stranieri in Italia: come ho avuto modo di dire più volte, è colpa della globalizzazione che ha distrutto le realtà economiche del Terzo Mondo, costringendole ad uscire improvvisamente dalle economie di sussistenza su cui avevano fin qui vissuto, per cercare di integrarsi nel mercato mondiale dove – oltre a perdere la loro identità e la loro cultura – soccombono allo strapotere del capitalismo e da “povere” che erano diventano “miserabili” e giungono fino a patire la fame; da qui le migrazioni bibliche che tanto ci spaventano e che non sono altro che un pallido fantasma di ciò che accadrà se la globalizzazione continuerà imperterrita la sua “marcia trionfale”; e per la verità non riesco ad intravedere chi o che cosa la possa fermare.