sabato, maggio 13, 2006
IL LUGUBRE E IL MACABRO
Un giornale di Venezia, “Il Gazzettino”, ha pubblicato la foto del “bimbo mai nato”, il feto che in sede di autopsia, è stato estratto dal grembo di Jennifer e posto accanto alla madre nella piccola bara che rappresenta la sua prima ed ultima culla della vita.
A monte della pubblicazione-choc non c’è alcuno scoop giornalistico e, possiamo anche dire, nessun mistero: la foto è opera dei nonni che dopo avere fotografato il bimbo hanno interpellato il quotidiano veneziano per chiedere se avrebbero pubblicato la foto; il direttore del giornale, Luigi Baciagli, si è assunto interamente la responsabilità della pubblicazione, affermando che “…la foto è bella: un neonato, vestito con il completino nuovo, che dorme. E’ il migliore inno alla vita rispetto a chi esercita la cultura della morte. E’ anche un messaggio preciso agli assassini e un omaggio alla famiglia delle vittime”.
Di contro, il Comitato di Redazione dello stesso quotidiano, “…raccogliendo anche l’indignazione dei lettori, si dissocia dalla pubblicazione di una foto choc, inguardabile proprio per quello che rappresenta”.
Potrei continuare per tutta la pagina a riportare pareri e dichiarazioni favorevoli e contrari all’iniziativa, ma credo che non serva al discorso che intendo fare, premettendo di non avere visto la foto in questione proprio per non subire nessuna suggestione.
Al di là del contenuto, soltanto in apparenza macabro, soprattutto per l’evento che è chiamata a rappresentare, il Direttore – anche per volgari ragioni di bottega (cioè di tiratura) – ha ricevuto dai genitori della ragazza uccisa la foto del cadaverino e ha ascoltato le motivazioni che li hanno spinti a realizzare questa immagine; sembra che alla base del gesto certamente irrituale, stia la volontà dei nonni di perseguire l’uccisore della figlia per “duplice” omicidio premeditato, cercando così di realizzare una condanna esemplare (ergastolo!) anche con l’influsso dell’immagine del bimbo morto, nei confronti dei giudici e giurati che saranno chiamati a giudicare.
Se il Direttore, o il suo Vice, Vittorio Pierobon, ha potuto accertare la buona fede dei nonni e la legittimità del loro postulato, anche alla luce del naturale sconvolgimento, ha fatto bene a pubblicare la foto; invece, se questi accertamenti sono stati fatti in forma superficiale e nella redazione si è visto soltanto l’aumento della tiratura, allora il discorso cambia e si giunge al volgare interesse materiale “a qualunque costo”.
Certo che nessuno di noi si deve permettere di giudicare i due nonni del bimbo mai nato; non credo infatti che la loro capacità di giudizio sia lucidissima; pensate che la madre continua a inviare SMS al telefonino della figlia che è stata tumulata proprio ieri!
Già che ci troviamo a parlare di giornali, voglio fare un piccolo accenno ai cosiddetti furbetti: è sempre di ieri la notizia che un quotidiano – che definirei “fantasma” – il cui nome è addirittura “Il Giornale d’Italia” e che sembra essere organo del movimento politico “Pensionati uomini vivi”, altrettanto sconosciuto, è indagato dalla Procura di Roma.
Ebbene, questo per dire che in Italia si possono fare i soldi in un sacco di modi escluso che lavorando, il quotidiano in questione, oltre ad essere titolare di una provvidenza annuale da parte della Presidenza del Consiglio, Sezione Editoria, di 2,5 milioni di euro (5 miliardi del vecchio conio) è pure indagato per truffa ai danni dello Stato per la cifra di 14 milioni di sovvenzioni ottenute gonfiando fatture e collaborazioni giornalistiche inesistenti.
Questa faccenda dei giornali rappresentanti organi di partito (grandi o piccoli) e pertanto titolari di sovvenzioni miliardarie è una vera indecenza e mi auguro che questo nuovo Governo riesca a stroncarla quanto prima.
A monte della pubblicazione-choc non c’è alcuno scoop giornalistico e, possiamo anche dire, nessun mistero: la foto è opera dei nonni che dopo avere fotografato il bimbo hanno interpellato il quotidiano veneziano per chiedere se avrebbero pubblicato la foto; il direttore del giornale, Luigi Baciagli, si è assunto interamente la responsabilità della pubblicazione, affermando che “…la foto è bella: un neonato, vestito con il completino nuovo, che dorme. E’ il migliore inno alla vita rispetto a chi esercita la cultura della morte. E’ anche un messaggio preciso agli assassini e un omaggio alla famiglia delle vittime”.
Di contro, il Comitato di Redazione dello stesso quotidiano, “…raccogliendo anche l’indignazione dei lettori, si dissocia dalla pubblicazione di una foto choc, inguardabile proprio per quello che rappresenta”.
Potrei continuare per tutta la pagina a riportare pareri e dichiarazioni favorevoli e contrari all’iniziativa, ma credo che non serva al discorso che intendo fare, premettendo di non avere visto la foto in questione proprio per non subire nessuna suggestione.
Al di là del contenuto, soltanto in apparenza macabro, soprattutto per l’evento che è chiamata a rappresentare, il Direttore – anche per volgari ragioni di bottega (cioè di tiratura) – ha ricevuto dai genitori della ragazza uccisa la foto del cadaverino e ha ascoltato le motivazioni che li hanno spinti a realizzare questa immagine; sembra che alla base del gesto certamente irrituale, stia la volontà dei nonni di perseguire l’uccisore della figlia per “duplice” omicidio premeditato, cercando così di realizzare una condanna esemplare (ergastolo!) anche con l’influsso dell’immagine del bimbo morto, nei confronti dei giudici e giurati che saranno chiamati a giudicare.
Se il Direttore, o il suo Vice, Vittorio Pierobon, ha potuto accertare la buona fede dei nonni e la legittimità del loro postulato, anche alla luce del naturale sconvolgimento, ha fatto bene a pubblicare la foto; invece, se questi accertamenti sono stati fatti in forma superficiale e nella redazione si è visto soltanto l’aumento della tiratura, allora il discorso cambia e si giunge al volgare interesse materiale “a qualunque costo”.
Certo che nessuno di noi si deve permettere di giudicare i due nonni del bimbo mai nato; non credo infatti che la loro capacità di giudizio sia lucidissima; pensate che la madre continua a inviare SMS al telefonino della figlia che è stata tumulata proprio ieri!
Già che ci troviamo a parlare di giornali, voglio fare un piccolo accenno ai cosiddetti furbetti: è sempre di ieri la notizia che un quotidiano – che definirei “fantasma” – il cui nome è addirittura “Il Giornale d’Italia” e che sembra essere organo del movimento politico “Pensionati uomini vivi”, altrettanto sconosciuto, è indagato dalla Procura di Roma.
Ebbene, questo per dire che in Italia si possono fare i soldi in un sacco di modi escluso che lavorando, il quotidiano in questione, oltre ad essere titolare di una provvidenza annuale da parte della Presidenza del Consiglio, Sezione Editoria, di 2,5 milioni di euro (5 miliardi del vecchio conio) è pure indagato per truffa ai danni dello Stato per la cifra di 14 milioni di sovvenzioni ottenute gonfiando fatture e collaborazioni giornalistiche inesistenti.
Questa faccenda dei giornali rappresentanti organi di partito (grandi o piccoli) e pertanto titolari di sovvenzioni miliardarie è una vera indecenza e mi auguro che questo nuovo Governo riesca a stroncarla quanto prima.
giovedì, maggio 11, 2006
IL PRESIDENTE E LA RENAULT
E così il Senatore a vita Giorgio Napolitano è stato eletto – a maggioranza – Presidente della Repubblica in sostituzione di Carlo Azeglio Ciampi.
Che dire circa l’operazione messa in campo? Anzitutto che il centro sinistra ha conquistato l’ennesima casella nel domino istituzionale e può dirsi certamente soddisfatto avendo fatto un sostanziale “cappotto”; magari può recriminare di non essere riuscito a coinvolgere anche il centro destra nell’elezione di Napolitano, così da realizzare quello che sette anni fa venne definito “il metodo Ciampi”, cioè tutti i cosiddetti grandi elettori schierati in maniera compatta per un solo candidato. Ma non si può avere tutto.
Chi è Napolitano? Avrete letto biografie su biografie in ogni organo di stampa e quindi non voglio sovrappormi a questi, voglio solo aggiungere un piccolo particolare: quando egli intravide che la conquista del potere attraverso la rivoluzione – teoria portata avanti dal PCI di allora (anni ’60) – non stava in piedi, tirò fuori il cosiddetto “riformismo” che fu subito bollato dai compagni di partito come “migliorismo” e costò al giovane Giorgio l’appellativo ingiurioso di “socialdemocratico”; chi è un po’ addentro alla storia dei comunisti saprà certamente che questo termine è il massimo dell’ingiuria che si possa affibbiare ad un militante, ma Napolitano non se la prese più di tanto e rimase nel partito anche quando gli altri (Ingrao, Paietta e via discorrendo) lo ingiuriavano; la sua serietà e la sua compostezza fece aggio su questa “bestemmia” e continuò ad essere apprezzato prima da Togliatti e poi da Berlinguer.
Negli anni a cavallo tra il ’70 e l’80 teorizzo un avvicinamento a Craxi, altro nemico storico del PCI e, anche in questa occasione venne sonoramente fischiato dai compagni che lo invitarono, senza mezzi termini, a trasferirsi nel PSI: neppure questa volta riuscirono a fare arrabbiare Napolitano che li lasciò dire e tirò diritto per la sua strada.
Ed ora, come ho detto in apertura, è arrivato alla massima carica dello Stato, primo comunista “con tessera” ad avere questo onore, anche se è giunto quando egli ha raggiunto la non più verdissima età di 81 anni; ma il Quirinale fa miracoli in quanto a longevità.
Le prime dichiarazioni brillano per banalità: “sarò un Presidente super partes” è stato quanto ha saputo dire appena appresa la notizia, ma ad onor del vero la frasetta è di una ovvietà sconfortante; nessun Presidente ha avuto l’ardire di affermare il contrario (“sarò il presidente di una sola parte”), neppure Scalfaro che lo era veramente e lo ha dimostrato in più di una occasione.
Quindi abbiamo una partenza in sordina; magari vedremo nel discorso dell’investitura ufficiale se verranno fuori cose più interessanti, ma non c’è da sperare più di tanto, perché il tipo è fatto così, è un freddo, un compassato dal quale non c’è da aspettarsi niente di eclatante.
Chi ha fatto un bel colpo con questa elezione è senz’altro la Renault! Ma perché mi chiederete voi? Ma perché la moglie del neo Presidente si chiama Clio, come uno dei modelli della casa automobilistica francese e, ogni volta che verrà nominata dalla stampa o dai TG, sarà pubblicità indotta e gratuita per l’autovettura.
Termino facendo i miei più sinceri auguri a Napolitano di saper entrare nel cuore della gente come era riuscito a fare Ciampi; non sarà facile, ma deve provarci con le sue caratteristiche ed i suoi atteggiamenti, non copiando nessuno ma cercando solo di essere se stesso.
Che dire circa l’operazione messa in campo? Anzitutto che il centro sinistra ha conquistato l’ennesima casella nel domino istituzionale e può dirsi certamente soddisfatto avendo fatto un sostanziale “cappotto”; magari può recriminare di non essere riuscito a coinvolgere anche il centro destra nell’elezione di Napolitano, così da realizzare quello che sette anni fa venne definito “il metodo Ciampi”, cioè tutti i cosiddetti grandi elettori schierati in maniera compatta per un solo candidato. Ma non si può avere tutto.
Chi è Napolitano? Avrete letto biografie su biografie in ogni organo di stampa e quindi non voglio sovrappormi a questi, voglio solo aggiungere un piccolo particolare: quando egli intravide che la conquista del potere attraverso la rivoluzione – teoria portata avanti dal PCI di allora (anni ’60) – non stava in piedi, tirò fuori il cosiddetto “riformismo” che fu subito bollato dai compagni di partito come “migliorismo” e costò al giovane Giorgio l’appellativo ingiurioso di “socialdemocratico”; chi è un po’ addentro alla storia dei comunisti saprà certamente che questo termine è il massimo dell’ingiuria che si possa affibbiare ad un militante, ma Napolitano non se la prese più di tanto e rimase nel partito anche quando gli altri (Ingrao, Paietta e via discorrendo) lo ingiuriavano; la sua serietà e la sua compostezza fece aggio su questa “bestemmia” e continuò ad essere apprezzato prima da Togliatti e poi da Berlinguer.
Negli anni a cavallo tra il ’70 e l’80 teorizzo un avvicinamento a Craxi, altro nemico storico del PCI e, anche in questa occasione venne sonoramente fischiato dai compagni che lo invitarono, senza mezzi termini, a trasferirsi nel PSI: neppure questa volta riuscirono a fare arrabbiare Napolitano che li lasciò dire e tirò diritto per la sua strada.
Ed ora, come ho detto in apertura, è arrivato alla massima carica dello Stato, primo comunista “con tessera” ad avere questo onore, anche se è giunto quando egli ha raggiunto la non più verdissima età di 81 anni; ma il Quirinale fa miracoli in quanto a longevità.
Le prime dichiarazioni brillano per banalità: “sarò un Presidente super partes” è stato quanto ha saputo dire appena appresa la notizia, ma ad onor del vero la frasetta è di una ovvietà sconfortante; nessun Presidente ha avuto l’ardire di affermare il contrario (“sarò il presidente di una sola parte”), neppure Scalfaro che lo era veramente e lo ha dimostrato in più di una occasione.
Quindi abbiamo una partenza in sordina; magari vedremo nel discorso dell’investitura ufficiale se verranno fuori cose più interessanti, ma non c’è da sperare più di tanto, perché il tipo è fatto così, è un freddo, un compassato dal quale non c’è da aspettarsi niente di eclatante.
Chi ha fatto un bel colpo con questa elezione è senz’altro la Renault! Ma perché mi chiederete voi? Ma perché la moglie del neo Presidente si chiama Clio, come uno dei modelli della casa automobilistica francese e, ogni volta che verrà nominata dalla stampa o dai TG, sarà pubblicità indotta e gratuita per l’autovettura.
Termino facendo i miei più sinceri auguri a Napolitano di saper entrare nel cuore della gente come era riuscito a fare Ciampi; non sarà facile, ma deve provarci con le sue caratteristiche ed i suoi atteggiamenti, non copiando nessuno ma cercando solo di essere se stesso.
mercoledì, maggio 10, 2006
ANCORA LA PENA DI MORTE
Le ultima scoperte degli investigatori sulle modalità operative del delitto di Jennifer hanno scatenato una nuova ondata di richieste di “pena di morte”; l’ho sentite io, con i miei orecchi, decine di persone di ogni ceto sociale invocare la legge del taglione per l’amante segreto (ma non troppo) della ragazza, Lucio Niero, 34 anni, che, dopo essersi sbizzarrito con la ventenne ragazzina, si recava nella sua dimora “ufficiale” dove aveva ancora una moglie e due figli.
Queste ultime novità provengono dal perito settore e indicano che la ragazza è stata picchiata violentemente con pugni e calci – specialmente nella pancia – e che dopo un maldestro tentativo di strangolamento è stata sepolta in una buca poco profonda e ricoperta con un po’ di terra: conclusione, l’autopsia ha rivelavo tracce di terra nei polmoni sia della donna che del feto, a indicare che all’atto della sommaria sepoltura entrambi erano ancora in vita.
Sul problema “pena di morte” mi sono già espresso in altre occasioni e non mi piace ripetermi; caso mai in questa vicenda bisogna cercare le motivazioni sociali e antropologiche che hanno portato a questa furia bestiale.
Anzitutto c’è da dire che sulla relazione tra Jennifer e Lucio i mass media non si sono molto sbizzarriti su alcuni punti che restano a tutt’oggi oscuri; a esempio, i genitori di lei cosa sapevano della relazione e come si sono mossi specie dopo la gravidanza della ragazza? Ed ancora, circa la moglie di Lucio, cosa sapeva (se sapeva) e come l’aveva presa questa relazione extra coniugale? Era previsto un perdono in caso di ritorno all’ovile?
Questo corollario di notizie ci sarebbe stato utile per tirare qualche conclusione ulteriore, ma anche così mi sento di affermare che l’atteggiamento dell’uomo è quello tipico di colui che cerca di “cancellare” quello che invece è incancellabile; sembra che Jennifer gli avesse chiesto di riconoscere il figlio e questo, indirettamente, avrebbe condotto a “riconoscere” anche lei, circostanza inconcepibile per rientrare nella routine familiare.
Evidentemente Lucio era certo (oppure lo sperava soltanto) di essere nuovamente accettato dalla moglie e dai figli e che questo “incidente” con la ragazza sarebbe stato presto dimenticato, un po’ “per i ragazzi”, come si dice in questi casi, e un po’ per il quieto vivere della coppia sposata.
Ecco, questa è la riflessione che desidero fare: questa nostra società ci autorizza, ovviamente a livello inconscio e sulla base di situazioni indotte, a compiere ogni forma di irregolarità e questa può essere ai danni di qualsiasi persona; quello che è importante é che sia salvata una certa forma e che – alla fine del gioco – tutto rientri nell’alveo della normalità, in attesa di ridare le carte alla prima favorevole occasione.
Siamo diventati bravissimi ad auto-assolverci da qualsiasi peccato, e così facendo non ci sentiamo mai responsabili di niente; il modo di comportarsi non è dettato da valori etici condivisi ma soltanto da “quello che mi da piacere”; naturalmente nel comportarsi in questo modo si cozza a volte con la vita stessa e con i suoi risvolti naturali (come il concepimento di un bambino) ma questo non ci deve fare deflettere dal nostro atteggiamento edonistico e quindi tutto quello che si frappone tra noi e la nostra felicità deve essere rimosso in qualsiasi modo, a qualsiasi costo.
Mi conferma in questo pensiero la notizia che Lucio Niero, davanti ai giudici che lo interrogano, non mostra alcuna forma di pentimento: è logico, ha soltanto rimosso un ostacolo, anzi due, alla sua felicità!!
Queste ultime novità provengono dal perito settore e indicano che la ragazza è stata picchiata violentemente con pugni e calci – specialmente nella pancia – e che dopo un maldestro tentativo di strangolamento è stata sepolta in una buca poco profonda e ricoperta con un po’ di terra: conclusione, l’autopsia ha rivelavo tracce di terra nei polmoni sia della donna che del feto, a indicare che all’atto della sommaria sepoltura entrambi erano ancora in vita.
Sul problema “pena di morte” mi sono già espresso in altre occasioni e non mi piace ripetermi; caso mai in questa vicenda bisogna cercare le motivazioni sociali e antropologiche che hanno portato a questa furia bestiale.
Anzitutto c’è da dire che sulla relazione tra Jennifer e Lucio i mass media non si sono molto sbizzarriti su alcuni punti che restano a tutt’oggi oscuri; a esempio, i genitori di lei cosa sapevano della relazione e come si sono mossi specie dopo la gravidanza della ragazza? Ed ancora, circa la moglie di Lucio, cosa sapeva (se sapeva) e come l’aveva presa questa relazione extra coniugale? Era previsto un perdono in caso di ritorno all’ovile?
Questo corollario di notizie ci sarebbe stato utile per tirare qualche conclusione ulteriore, ma anche così mi sento di affermare che l’atteggiamento dell’uomo è quello tipico di colui che cerca di “cancellare” quello che invece è incancellabile; sembra che Jennifer gli avesse chiesto di riconoscere il figlio e questo, indirettamente, avrebbe condotto a “riconoscere” anche lei, circostanza inconcepibile per rientrare nella routine familiare.
Evidentemente Lucio era certo (oppure lo sperava soltanto) di essere nuovamente accettato dalla moglie e dai figli e che questo “incidente” con la ragazza sarebbe stato presto dimenticato, un po’ “per i ragazzi”, come si dice in questi casi, e un po’ per il quieto vivere della coppia sposata.
Ecco, questa è la riflessione che desidero fare: questa nostra società ci autorizza, ovviamente a livello inconscio e sulla base di situazioni indotte, a compiere ogni forma di irregolarità e questa può essere ai danni di qualsiasi persona; quello che è importante é che sia salvata una certa forma e che – alla fine del gioco – tutto rientri nell’alveo della normalità, in attesa di ridare le carte alla prima favorevole occasione.
Siamo diventati bravissimi ad auto-assolverci da qualsiasi peccato, e così facendo non ci sentiamo mai responsabili di niente; il modo di comportarsi non è dettato da valori etici condivisi ma soltanto da “quello che mi da piacere”; naturalmente nel comportarsi in questo modo si cozza a volte con la vita stessa e con i suoi risvolti naturali (come il concepimento di un bambino) ma questo non ci deve fare deflettere dal nostro atteggiamento edonistico e quindi tutto quello che si frappone tra noi e la nostra felicità deve essere rimosso in qualsiasi modo, a qualsiasi costo.
Mi conferma in questo pensiero la notizia che Lucio Niero, davanti ai giudici che lo interrogano, non mostra alcuna forma di pentimento: è logico, ha soltanto rimosso un ostacolo, anzi due, alla sua felicità!!
lunedì, maggio 08, 2006
LA MORTE E’ SEMPRE MORTE, PERO’…
In questi giorni ci sono tre eventi drammatici che mi hanno fatto riflettere sulla morte e sulla sua diversità; mi spiego meglio: ci sono morti che potevano essere evitate e morti che invece i destinatari non avrebbero potuto farci niente; il destino?? Forse, ma non solo.
Il primo evento ha come epicentro la capitale dell’Afganistan, Kabul, e vede protagonisti due alpini inviati in quel luogo inospitale per la famosa missione di pace della fine del 2003; i due, insieme ad un terzo che è soltanto ferito, sono stati falciati da una bomba comandata a distanza, di matrice quasi sicuramente talebana (ricordate il mullah Omar? E’ proprio lui, il cognato di Bin Laden).
Di contro a questa tragica vicenda, che poi và ad assommarsi all’attacco di Nassiriya, abbiamo l’uccisione di una ragazzina di venti anni con in pancia un bimbo che tra dieci giorni sarebbe nato: reo confesso dell’omicidio un uomo di 34 anni, già sposato e padre di due figli, che con la giovane si comportava come un fidanzato e altrettanto faceva con la famiglia di lei; l’arrivo del bimbo avrebbe complicato talmente le cose che egli non ha retto: allo stesso modo dell’ultimo film di Woody Allen, “Match Point”, ha ucciso la ragazza e ha anche cercato di fuggire, ma – a differenza del film – non c’è riuscito ed è stato catturato.
Una sola domanda: ai miei tempi, la famiglia che riceveva in casa un “fidanzato” della figlia si premuniva di acquisire delle informazioni sul medesimo; adesso evidentemente questo comportamento appare vecchio, superato, si riceve in casa chiunque e… poi ci si ritrova in questo modo: non voglio accusare nessuno, ma sarebbero bastate delle normali informazioni per appurare lo stato maritale del “fidanzato” e per non meravigliarsi adesso che è successo l’irreparabile.
Comunque queste sono due morti che hanno il carattere dell’ineluttabilità: la prima perché gli alpini – sia pure non mandati in missione all’estero, ma volontari e lautamente retribuiti – stavano facendo il proprio dovere e il destino li ha barbaramente acchiappati; la seconda era solo poco più di una bambina che si stava affacciando alla vita e anche in questo caso il destino ha voluto prenderla con se; da parte della famiglia di lei ci saranno recriminazioni a non finire, ma ormai non si può cambiare niente.
Il terzo evento merita un discorso a parte: si tratta della morte di Gianpaolo Tarabini, titolale – insieme alla moglie Anna Molinari – del marchio di moda “bluemarine”; tale morte è avvenuta in Africa, precisamente nello Zimbabwe, durante una battuta di caccia agli elefanti.
Adesso si apprendono anche i particolari della vicenda che ha preso l’avvio quando il Tarabini ha ucciso un elefante maschio e nessuno si è accorto che da dietro la boscaglia sono sbucate due elefantesse inferocite che hanno caricato i cacciatori; nel fuggi fuggi generale, Tarabini è inciampato ed è caduto a terra dove è stato raggiunto da una delle due elefantesse che lo ha afferrato con le zanne e lo ha scaraventato a qualche metro di distanza, per poi colpirlo nuovamente fino a quando un altro componente della spedizione, ha sparato e ucciso l’animale.
Ecco, in questo drammatico evento, ci vedo poco l’intervento del cosiddetto destino; cosa diavolo ci faceva il novello Tarzan italiano a caccia di elefanti? Come facciamo a dare contro all’elefantessa che – in un certo senso – ha cercato di vendicare il compagno ucciso? Ma perché non si lasciano in pace questi benedetti animali e ci si limita ad ammirarli allo zoo, oppure – chi può permetterselo – nel loro ambiente naturale?
Mi fermo qui altrimenti do ragione all’elefantessa!!
Il primo evento ha come epicentro la capitale dell’Afganistan, Kabul, e vede protagonisti due alpini inviati in quel luogo inospitale per la famosa missione di pace della fine del 2003; i due, insieme ad un terzo che è soltanto ferito, sono stati falciati da una bomba comandata a distanza, di matrice quasi sicuramente talebana (ricordate il mullah Omar? E’ proprio lui, il cognato di Bin Laden).
Di contro a questa tragica vicenda, che poi và ad assommarsi all’attacco di Nassiriya, abbiamo l’uccisione di una ragazzina di venti anni con in pancia un bimbo che tra dieci giorni sarebbe nato: reo confesso dell’omicidio un uomo di 34 anni, già sposato e padre di due figli, che con la giovane si comportava come un fidanzato e altrettanto faceva con la famiglia di lei; l’arrivo del bimbo avrebbe complicato talmente le cose che egli non ha retto: allo stesso modo dell’ultimo film di Woody Allen, “Match Point”, ha ucciso la ragazza e ha anche cercato di fuggire, ma – a differenza del film – non c’è riuscito ed è stato catturato.
Una sola domanda: ai miei tempi, la famiglia che riceveva in casa un “fidanzato” della figlia si premuniva di acquisire delle informazioni sul medesimo; adesso evidentemente questo comportamento appare vecchio, superato, si riceve in casa chiunque e… poi ci si ritrova in questo modo: non voglio accusare nessuno, ma sarebbero bastate delle normali informazioni per appurare lo stato maritale del “fidanzato” e per non meravigliarsi adesso che è successo l’irreparabile.
Comunque queste sono due morti che hanno il carattere dell’ineluttabilità: la prima perché gli alpini – sia pure non mandati in missione all’estero, ma volontari e lautamente retribuiti – stavano facendo il proprio dovere e il destino li ha barbaramente acchiappati; la seconda era solo poco più di una bambina che si stava affacciando alla vita e anche in questo caso il destino ha voluto prenderla con se; da parte della famiglia di lei ci saranno recriminazioni a non finire, ma ormai non si può cambiare niente.
Il terzo evento merita un discorso a parte: si tratta della morte di Gianpaolo Tarabini, titolale – insieme alla moglie Anna Molinari – del marchio di moda “bluemarine”; tale morte è avvenuta in Africa, precisamente nello Zimbabwe, durante una battuta di caccia agli elefanti.
Adesso si apprendono anche i particolari della vicenda che ha preso l’avvio quando il Tarabini ha ucciso un elefante maschio e nessuno si è accorto che da dietro la boscaglia sono sbucate due elefantesse inferocite che hanno caricato i cacciatori; nel fuggi fuggi generale, Tarabini è inciampato ed è caduto a terra dove è stato raggiunto da una delle due elefantesse che lo ha afferrato con le zanne e lo ha scaraventato a qualche metro di distanza, per poi colpirlo nuovamente fino a quando un altro componente della spedizione, ha sparato e ucciso l’animale.
Ecco, in questo drammatico evento, ci vedo poco l’intervento del cosiddetto destino; cosa diavolo ci faceva il novello Tarzan italiano a caccia di elefanti? Come facciamo a dare contro all’elefantessa che – in un certo senso – ha cercato di vendicare il compagno ucciso? Ma perché non si lasciano in pace questi benedetti animali e ci si limita ad ammirarli allo zoo, oppure – chi può permetterselo – nel loro ambiente naturale?
Mi fermo qui altrimenti do ragione all’elefantessa!!