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venerdì, dicembre 21, 2012

LA SANITA' FUORI DALL'ITALIA 



Siamo abituati a lamentarci di quasi tutto quello che succede da noi; in testa a tutto ci mettiamo la sanità che viene presa di mira ad ogni pie’ sospinto; Oddio, molte volte sono critiche giustificate, ma non tengono conto di quello che succede negli altri Paesi.
È per questo che voglio raccontare una storia accaduta ad un mio concittadino, Dario,  in vacanza in Brasile insieme ad un’amica; durante un trasferimento da una città all’altra, compiuto in automobile, la coppia esce di strada e compie un volo impressionante da un cavalcavia: la ragazza muore sul colpo mentre Dario viene soccorso e portato all’ospedale dove – al di là dei problemi sanitari – conosce un altro tipo di problema.
Dai calcoli fatti dall’Amministrazione dell’Ospedale privato brasiliano dove è stato portato Dario, sono necessari 1.000 euro al giorno per la degenza e altre decine di migliaia occorrono per gli interventi chirurgici che saranno molti e di varia natura, compreso un costoso viaggio in elicottero dalla rianimazione di Ilheus all’ospedale di Salvador Bahia, viaggio che costerebbe 8/mila euro; insomma, per farla breve, in totale il giovane dovrà versare almeno 120/mila euro, cifra che naturalmente lui non possiede e neppure la famiglia può mettere a disposizione.
Ed allora si è pensato ad una sorta di “colletta” per racimolare gli euro occorrenti: gli amici del giovane, tifosi della Fiorentina, vogliono raccogliere fondi durante le partite casalinghe della squadra viola; l’assessore regionale alla salute – anziché pensare a risolvere il problema sanitario – sta pensando ad uno spettacolo teatrale il cui incasso andrebbe a questa nobile causa.
In Italia è rimasta la mamma, Rita, che sta accudendo la figlioletta di Dario, Valentina, mentre ha la morte nel cuore ma non demorde nello sperare in una conclusione positiva della vicenda; “se la speranza è un capello, come mamma ci faccio una treccia”, alludendo così, in forma poetica, al grande cuore che una madre impiega per soccorrere il figlio e per fare in modo di ricondurlo a casa dove lo aspetta la figlioletta alla quale, ovviamente, si stanno dicendo un sacco di bugie, ma dette a fin di bene.
Perché un Paese fortemente di “sinistra” come il Brasile, mette dinanzi a tutto il vile denaro; sinceramente non  conosco le regole dell’amministrazione sanitaria del Paese, ma sicuramente c’è questa situazione che nessuno riesce a sbloccare e che tiene in ansia un giovane, la figlioletta e l’anziana madre che è volata in Brasile per rendersi conto di persona della situazione.
Il tutto nella convinzione che Dario venga curato in Brasile fino al momento in cui potrà fare un altro viaggio, questo molto più lungo, e compia il balzo di novemila chilometri che lo riconduce in Italia.
La domanda che mi sorge spontanea e che giro a tutti voi è questa: se Dario fosse brasiliano,  il giovane dopo l’incidente sarebbe stato ricoverato in una struttura pubblica e curato come se fosse uno di noi oppure gli sarebbe stato rimesso una specie di “conto”? Non ne sono sicurissimo, ma visti gli stranieri che vengono curati nei nostri ospedali, credo che sarebbe stato accudito senza nessun problema.
Comunque, al di là delle polemiche, facciamo gli auguri al nostro sfortunato Dario, in modo che possa mostrare alla figlioletta Valentina di essere capace di compiere l’impresa ineguagliabile di vincere il premio più prezioso: sopravvivere al volo del cavalcavia, volo che già si è rivelato “mortale” per l’amica che l’accompagnava.
Al ritorno di Dario ci saranno le polemiche di rito, ma a questo siamo abituati!!

mercoledì, dicembre 19, 2012

SOLO I BAMBINI CI SALVERANNO 



Questa idea l’avevo da tempo ma mi è sbocciata con chiarezza solo di recente, quando ho letto di una bambina che aveva legato a dei palloncini la sua letterina indirizzata a Babbo Natale.
Ebbene, cominciamo dall’inizio: Chiara, una bambina di Bareggio, alle porte di Milano, scrive la sua letterina di Natale e la lega a dei palloncini, facendoli librare nel cielo; dopo un volo di molti chilometri, i palloncini e la letterina atterrano in una vigna nel Chianti e vengono recuperati da un Babbo Natale specialissimo: uno che crea del vino pregiato e molto apprezzato da tutti; lo chiameremo Cesare.
Il Babbo Natale del Chianti trova la letterina e la legge: “Ciao Babbo Natale, anche quest’anno penso di essere stata brava.  Mi piacerebbe ricevere qualche dono (allega delle foto), ma non preoccuparti se non li trovi tutti, perché sono già una bambina fortunata.”
Il Babbo Natale, quello vero, potrebbe risponderle così: sono passato con le renne sopra l’Italia e tra le vigne del Chianti ho visto la tua letterina; visto che sei stata brava riceverai un bel regalo.
L’altro Babbo Natale – quello che materialmente ha ricevuto la letterina – si dichiara disposto a fare le veci del vero Babbo Natale e dopo avere affermato che “non è bene deludere i bambini nelle loro richieste”, ha scritto a Chiara assicurandole che riceverà almeno uno dei regali da lei richiesti.
Ma il nostro Cesare ha fatto di più: si è messo in contatto con i genitori della bambina per organizzare la spedizione di uno dei giocattoli richiesti ed ha nuovamente rivolto una sua riflessione: “faccio questo perché i sogni dei bambini non possono andare delusi”.
Ma torniamo alle parole scritte da Chiara al Babbo Natale e, in particolare, a quello che mi ha particolarmente colpito: nella parte finale Chiara invita il vecchio con la barba bianca a non preoccuparsi se non troverà i doni da lei richiesti, dato che “lei si considera già una bambina fortunata”.
Ecco, questo “considerarsi fortunata” mi ha colpito fortemente; perché Chiara si ritiene fortunata? Forse per avere due bravi genitori? Forse per essere in buona salute? Tutto questo è il “dono” che la bambina ha già ricevuto da qualcuno e che nessuno potrà toglierle e la consapevolezza di essere in “credito” nei confronti di qualcuno, mi induce a considerare Chiara come un essere felice ma al tempo stesso consapevole che la felicità non è fatta solo dai doni che si riceve ma anche dalle cose che già si possiede dentro di noi e che – in moltissimi casi – neppure ci accorgiamo di  avere; lei invece ne è consapevole e questo la eleva al di sopra della nostra media.
Vorrei aggiungere un’altra considerazione: a Chiara non ha insegnato nessuno che bisogna accontentarsi di quello che già si possiede perché tanti di noi non ce l’hanno; lei, come tutti i comuni mortali, ha dentro di se questa normale sensazione che – a differenza di altri – non è stata ancora soffocata dall’egoismo, dalla volontà di avere e di possedere tutto quello che si vede.
Non conosco l’età della bambina ma dalla calligrafia – ha usato lo stampatello – direi che siamo all’inizio della scolarizzazione e questo mi induce a rivolgermi a lei ed ai suoi genitori: non sciupate questo tesoro di purezza interiore, non fatele conoscere il “falso bello” delle cose che si vedono, ma continuate a farle amare tutto quello che lei possiede “dentro” e non fuori. Sono certo che diventerà una bella persona!!

lunedì, dicembre 17, 2012

IL POPULISMO: CHE VUOL DIRE? 



In occasione del ventilato ritorno di Berlusconi sull’agone politico, si è sentito molte volte usare un termine – “populismo” – in forma dispregiativa, ma senza che se ne desse un qualche motivo lessicale.
Cominciamo quindi a vedere cosa significa: secondo il fido Devoto-Oli, il termine si riferisce ad un movimento politico-culturale russo che si sviluppò tra la fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo, aspirante ad una sorta di socialismo rurale in opposizione al burocratismo zarista e all’industrialismo occidentale; per estensione possiamo dire che siamo in presenza di un movimento politico socialistoide diretto all’esaltazione delle qualità e capacità delle classi popolari sia pure in connessione con una certa faciloneria e demagogia. E se torniamo allo spregio, possiamo definire il populismo come un atteggiamento che mira ad accattivarsi il favore popolare mediante proposte demagogiche e di facile presa.
Detta questa storia del termine populista, andiamo avanti nel ricercare le origini e i significati del “populismo”; nella Russia dell’800, si doveva andare verso il popolo, stare col popolo, ridiventare popolo. Chi diceva questi slogan? Anzitutto Fiodor Dostoevskji, ma anche Lev Tolstoj, entrambi non lontani dalle idee e dai sogni dei “populisti”.
Come molte cose che venivano dalla Russia – sionismo compreso – questa “passione popolare” contagiò ben presto lo stesso Occidente contro il quale era nata; soprattutto certi ambienti francesi che si riconoscevano nella reazione monarchica o nell’estremismo anarco-socialista e nacque quello strano connubio che in breve volger di anni avrebbe fatto incontrare gli estremisti di destra con quelli di sinistra.
Qualcosa del genere accadeva anche in altri Paesi europei, dalla Spagna alla Germania fino alla stessa Inghilterra ed era una reazione violenta al sorgere delle contraddizioni di carattere sociale.
Possiamo anche aggiungere che il futuro Duce del Fascismo, Benito Mussolini, attinse a piene mani da quel mondo nel quale le rivoluzioni socialiste future somigliavano tanto alle rivolte contadine di Masaniello.
Quindi, in alcune sue caratteristiche – antintellettuale, anticapitalista, antiburicratico e antiborghese – il populismo sfiorò il socialismo ma fu respinto dalle tesi aristocratiche e oligarchiche del “partito guida” e del “moderno principe”; si può aggiungere che fu Stalin a dare una sterzata populista alla sua dittatura.
Invece Hitler condannò duramente qualunque uso politico della parola “popolo”, definendola, nel suo “Mein Kampf”, come fumosa, inutile e velleitaria.
Ma il populismo non si dette per vinto e varcò l’Oceano per radicarsi nell’America latina dove avrebbe offerto vita e linfa al socialismo dei lavoratori di Buenos Aires e al “fasciocomunismo” di Peron.
Viste queste premesse, appare strano che oggi sembri poter rivivere in un brodo di coltura piccolo borghese; ma il bello è che si tratta di piccoli borghesi che hanno paura di proletarizzarsi e scendere quindi di una categoria sociale.
Il nostro problema è che dobbiamo sempre dare una parola ad ogni idea o complesso di idee; a volte questo nome non c’è e allora andiamo a ricercarlo nell’archivio di quello che “è stato ed è passato”, cercando di appioppargli un qualcosa che lo possa far sembrare attuale. Qualcuno diceva che: in politica è importante dare un nome a tutto, così è più facile distruggerlo!!

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