venerdì, aprile 11, 2014
UN NUOVO TERMINE: "SFORBICIARE"
Dobbiamo essere onesti: il nostro premier ed
il suo entourage, sono pieni d’inventiva e dopo aver inventato “la
rottamazione” è stato inventato una nuova parola: “sforbiciare”, che, a occhio
e croce, sta a indicare un’attività – veramente commendevole – in cui si
ricerca le cose che possono essere tagliate e queste vengono “sforbiciate”,
cioè tolte da un formale elenco in cui erano state immesse.
Adesso, tra le cose sforbiciate ci sono anche
“le ambasciate” e, per la verità, quattro o cinque di queste rappresentanze sono
state chiuse; ma come hanno fatto a scegliere questa o quella?
A parte l’importanza del luogo in cui
l’ambasciata è allogata, il nostro sforbiciatore ha rilevato una cosa semplice:
ha scoperto cioè che un maresciallo di guardia alla nostra ambasciata a Berlino
guadagna quanto un primo segretario tedesco in servizio presso l’ambasciata di
Frau Angela a Roma.
Si è andati oltre e si è scoperto altre cose
interessanti: l’ambasciatore italiano a Parino guadagna 22/mila euro al mese,
mentre il collega tedesco ne prende circa 8.500; allontaniamoci dall’Europa e
vediamo se le differenze continuano: a Tokyo, il nostro ambasciatore guadagna
27/mila euro il mese, mentre quello tedesco ne prende meno della metà (10/mila
euro il mese).
Facciamo un passo indietro: la squadra dei
diplomatici ammontava a 8/mila unità, ma si è cominciato a tagliare già da
tempo e oggi ne sono rimasti 6/mila (mica pochi!!).
Continuiamo a fare qualche altro esempio:; ovviamente
il lavoro non è più quello di una volta, si va dai visti “dovuti”, al turista
che non da notizie di se e inquieta i parenti; le ambasciate sono 153 ed i
consolati 55; in caso di maggior bisogno si ricorre ai “consolati onorari”
guidati da persone che non percepiscono uno stipendio fisso.
Tra un luogo e l’altro, ovviamente abbiamo
delle differenze, soprattutto che discendono dal tipo di esistenza che
l’ambasciatore è chiamato a sostenere; a Mogadiscio, probabilmente i
ricevimenti che vediamo nei film, non se ne fanno o se avvengono, c’è più
guardie che invitati; per questo motivo il mensile dell’ambasciatore è di 5.837
euro, più altri 4.000 proprio per la
sede disagiata.
Analoga situazione trasportata a New York, ci
mostra una atteggiamento opposto: evidentemente non viene considerata sede
disagiata e infatti l’indennità che percepisce l’ambasciatore è di soli 3/mila
euro.
Ci sono poi le ambasciate che sono state
sistemate in luoghi ameni: quella di Santo Domingo, per esempio, è una di
queste; sono convinto che per un miserevole stipendio da travet, ognuno di noi
sarebbe disponibile ad andarci di corsa; e invece lo sforbiciatore l’ha chiusa,
forse per “eccesso di richiesta”.
C’è poi una diversa categoria di sedi
consolari: quelle messe in piedi da enti locali (Regioni e grandi Comuni); a
parte le grandi sciocchezze che si vedono, cosa “obbliga” il Veneto a mantenere
uffici in Cina, Romania e Bielorussia, oppure il Piemonte a mantenere il
presidio in Corea del Sud.
Non ho letto niente di definitivo su questi
enti, ma voglio proprio sperare che saranno sforbiciati a tutto spiano,
altrimenti la gente non capirebbe.
Per concludere: al giorno d’oggi il lavoro di
ambasciatore è quasi superfluo, in quanto primi ministri e cancellieri si telefonano e si contattano anche via internet
; un’ultima considerazione: i tedeschi hanno una prassi per la quale assumono
personale del luogo, mentre noi ci portiamo tutto da casa; e ci costa molto di
più!!
mercoledì, aprile 09, 2014
DUE TIPI DI "RIVOLUZIONE"
In questi ultimi tempi si sono avute due
“manifestazioni” – convengo che sono differenti – che hanno delle similitudini:
la prima è quello che è successo in Ucraina, mentre l’altra è accaduta in
Venezuela.
Alla base di entrambe c’è sicuramente una
sorta di “rabbia popolare” cher unita
alla crisi economica che costringe a tirare la cinghia, volge verso il regime
imperante al quale viene proposta tutta
la gamma della rabbia popolare; in sintesi, l’oppressione e la repressione del
regime, contrapposte alla corruzione della nomenklatura.
In entrambi ib casi – sia pure lontani
migliaia di chilometri – i bilanci degli scontri sono stati sanguinosi: un
centinaio di morti nelle strade di Kiev (forse di più) e una cinquantina in
quelle di Caracas.
La vicenda ucraina si è diretta verso uno
sbocco diverso: dalla sommossa popolare:
l’attacco al governo è stato spalleggiato dalla Russia che in pratica ha poi
messo le meni su quello che gli interessava (gas, petrolio ed altre fonti emergetiche).
In Venezuela, invece, le cose sono andate
diversamente: la gente è andata contro il governo della Nazione, il quale
rappresentava l’ultimo esperimento socialista del ventunesimo secolo, quello
imposto alla sua gente dal defunto Hugo Chavez.
Per la verità, anche in Venezuela i golpe
erano ricorrenti come le feste del patrono, ma prima o poi lasciavano il posto
a elezioni multipartitiche; come la storia insegna, le dittature militari sono
reversibili, quelle ideologiche molto meno.
La rivoluzione bolivariana di Chavez
appartiene alla categoria dei movimenti ideologici, essendosi ispirata al
comunismo caraibico di Fidel Castro, copn una bella spennellata di Che Guevare.
Tutto questo “frutto misto” era stato
sufficiente agli intellettuali ed ai politici nostalgici per celebrare Chavez
come il nuovo caudillo, come colui che avrebbe riscattato – in un modo o
nell’altro – le classi povere.
E invece che cosa è accaduto? Semplice; come
nellì’ex URSS, negli ex satelliti, a Cuba, nella Corea del Nord, dovunque uil
comunismo è sopravvissuto nelle sua versione “dura e pura” la povertà si è
estesa e il tenore di vita si è livellato, ovviamente, verso il basso.
Per cui oggi, cioè quindici anni dopo
l’avvento di Chavez e del suo comunismo,
e dopo solo un anno dalla sua morte, il suo successore – Nicolas Maduro
– non riesce nemmeno a garantire il latte in polvere per i bambini.
La moneta nazionale, il bolivar, si svaluta
da un giorno all’altro; l’inflazione è alle stelle e rode quei già miseri
stipendi, la disoccupazione cresce a dismisura e genera manifestazioni di
protesta dettate dal “bisogno”; in questo contesto protestatorio, s’infila la
criminalità organizzata che fa il proprio comodo.
Intanto arrugginiscono gli impianti
petroliferi “nazionalizzati” e sottratti ai privati negli ultimi anni e
consegnati – da una burocrazia corrotta – a quella che da quelle parti chiamano
“borghesia di stato”.
Questo è quanto accade a Caracas e bel resto
del Venezuela; questo ikl background del silenzio che in Italia e in altri
Stato europei (ma anche nell’amministrazione americana) circonda quella tragica
vicenda.
In questo drammatico contesto, c’è stata
l’uccisione di un giovane italiano, Roberto Annese, di cui la Polizia non riesce a
trovare l’assassino; magari ci sarebbe da chiedersi se a Kiev le cose sarebbero
andata a finire allo stesso modo!|!
lunedì, aprile 07, 2014
TANKO
La parola del titolo è il nome che i
“secessionisti” veneti avevano affibbiato al trabiccolo che stavano costruendo
e che contrabbandavano come un autentico mezzo corazzato, molto simile – almeno
sulla carta – ad un vero e proprio carro armato.
In un capannone di un paesetto in Provincia
di Padova erano state fatte anche delle vere e proprie “prove di fuoco” che, a
quanto ci viene riferito, sarebbero anche andate benissimo.
Insomma, dopo la presunta insurrezione del
maggio 1997, nella quale venne provato un “carro armato” artigianale e con tale
marchingegno fu conquistato il campanile di San Marco, gli stessi, o altri,
rivoluzionari secessionisti ci riprovano, ma questa volta non hanno
“conquistato” proprio niente, in quanto gli agenti della Digos – che li avevano
da tempo intercettati telefonicamente – li hanno arrestati ancora prima di
compiere qualche azione eroica.
Dato che il codice penale non prevede il reato di imbecillità, i poveri
sprovveduti sono stati accusati, oltre che di associazione a delinquere con
finalità di terrorismo ed eversione, di
fabbricazione e detenzione di armi da guerra.
I paesani dei luoghi frequentati dagli
“eversori”, la prendono a ridere e commentano: “la secessione? Una
carnevalata!”, specificando che, per quanto veniva visto, i signori
rivoluzionari arrivavano il sabato con tute da lavoro e si fermavano a bere un
caffé e un grappino” e aggiungono: “ora capisco che cosa facevano”.
Ma dopo averli garbatamente presi in
giro, non possiamo esimerci dal
domandaci il perché di questa buffa messa in scena; ed a questo proposito i conoscitori della zona, ce la descrivono
come una terra dove il ribellismo, la frustrazione e la rabbia erano attesi: è quella
parte d’Italia che da sempre è stata indicata come il “faro del Paese” , coloro
che mandava avanti la barca e manteneva
una nazione che poi si faceva spennare dai furboni del Sud.
Adesso vedono la loro situazione stretta da
politiche europee restrittive e non risolutive,
e soprattutto vedono i “vicini” – le regioni a statuto speciale - che hanno un altro passo e che hanno altre
possibilità- non solo per le loro strutture ma anche soltanto per il singolo
personaggio che vi abita.
E quindi la retorica antieuropeista montante
non aiuta a stemperare il clima di tensione che è presente in Veneto e nelle
altre zone del nord; non credo che il trattore-armato dovesse servire ad andare
a bombardare il Bundesbank tedesco proprio quando c’era la Merkel, ma insomma…
Però, di una cosa dobbiamo tornare a parlare:
l’ho già detto diverse volte, in tempi non sospetti, ma vorrei sapere dagli
attuali governanti per quale motivo quelle regioni a statuto speciali, nate
nell’immediato dopoguerra per sopperire a situazioni speciali, debba persistere
ancora adesso, dando privilegi ai loro abitanti rispetto a quelli che risiedono
nelle zone adiacenti.
Ovviamente, queste sperequazioni,
specialmente in periodi di crisi come è quella attuale, vengono a galla e
diventano motivo di frizioni che portano anche a reazioni scomposte; non dico
che questo possa giustificare “Tanko”, ma insomma, può significare il motivo
scatenante per menti labili e facilmente coercibili.
Ma ricordiamoci che “Tanko” si combatte
combattendo l’inconcludenza della politica e dell’inutile burocrazia, come il
premier sta dicendo da tempo e come sta cercando di fare anche adesso; speriamo
che questo impegno porti a qualcosa di positivo.