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sabato, marzo 12, 2005

La rivalutazione degli 007 e..un mio breve arrivederci 

L’unico lato positivo della morte di Nicola Calipari – oltre ovviamente alla liberazione di Giuliana Sgrena e ammesso e non concesso che la morte possa contenere un qualche elemento di positività – è che la gente comune, specie quella di “sinistra”, ha scoperto che gli appartenenti ai Servizi Segreti non sono tutti dei biechi golpisti e neppure dei feroci assassini.
La figura dello “spione”, dell’agente segreto infiltrato o meno nei gangli vitali degli altri Paesi – meglio se nemici – ci viene dal cinema che ce ne fornisce una immagine veramente feroce: sono dei killer, votati a qualsiasi nefandezza pur di portare a termine la loro missione.
Un discorso a parte merita 007, specialmente quando veniva interpretato da Sean Connery, in quanto questo agente, che pure nella sigla stava ad indicare “licenza di uccidere”, aveva una tale carica di simpatia che il personaggio suscitava negli spettatori soltanto sentimenti positivi
Con Calipari ci siamo invece trovati di fronte ad un mite personaggio che non aveva niente di feroce, niente di spietato, ma era niente meno che un Funzionario di Stato – come se ne possono incontrare tanti nei corridoi dei Ministeri – incaricato di rappresentare il proprio paese in occasione di una trattativa per la liberazione di propri connazionali; non dimentichiamoci he lo stesso Calipari si era già occupato del rilascio delle due Simone.
In entrambi i casi l’operatività dell’agente del SISMI era consistita nel rintracciare la tracce dei rapitori, instaurare la trattativa per il riscatto, fungere da ufficiale pagatore e contestualmente liberare l’ostaggio.
Non vorrei deludere i nuovi ammiratori delle spie, ma Calipari non era e non poteva essere il prototipo di quello che è – nella schietta realtà – l’agente segreto professionista: anzitutto era uno che aveva compiuto tutti i gradi della propria carriera nell’ordinamento del Ministero degli Interni fino a giungere al grado di Questore; poi non abbiamo di lui niente che ce lo “disegni” sia sotto il profilo operativo e sia sotto quello psicologico: le uniche immagini che ci vengono riproposte sono quelle che lo ritraggono sorridente, con aria mite, vestito con sobria eleganza e poi abbiamo quello che di lui è stato detto in occasione del funerale, ma sappiamo che da morti diventiamo tutti buoni e generosi.
Quindi, ben venga la rivalutazione degli agenti dei servizi segreti, ma attenzione al facile sillogismo: Calipari era uno del SISMI, Calipari era una brava persona, quindi gli agenti del SISMI sono delle brave persone; questo è il sistema che viene usato nella pubblicità, ma sappiamo bene che è tutt’altro che veritiero.
Passiamo adesso al mio..”arrivederci”: parto, infatti, stasera per un ciclo di conferenze in alcune scuole della Sicilia e resterò assente dalla mia abituale sede di residenza fino a domenica 20 marzo. Non escludo di trovare anche in questo mio tour la possibilità di restare in contatto con i miei lettori e – siatene certi – che se ne avrò la possibilità continuerò a scrivere su eventi massmediali, ma se non potessi per cause di forza maggiore, non vi preoccupate e non vi sentiate traditi e abbandonati: dal mio ritorno in sede riprenderanno i miei post, belli o brutti che siano, ma sempre e comunque stimolanti, almeno questa è la mia speranza.
Alcuni di voi saranno felici di questa pausa (potranno prendere fiato) altri invece rimpiangeranno (almeno spero) i miei scritti. I primi saranno superiori ai secondi e questo sarà per me stimolo a migliorarmi.

venerdì, marzo 11, 2005

Attenti, la Cina è vicina! 

Tra le tante paure dell’uomo contemporaneo, ce n’è una che risale a molto tempo fa, direi quasi atavica: il pericolo che viene dall’est, la Cina che ci conquista tutti.
Già nel 1962, per limitarsi al dopoguerra, il celebre regista svedese Ingmar Bergman, nel suo “Luci d’inverno” narra di un pastore in crisi esistenziale perché non riesce ad aiutare il suo prossimo: uno di questi che non è stato aiutato dal prete è un parrocchiano ossessionato dalla “venuta dei cinesi” che conquistano il mondo; tale ossessione lo condurrà al suicidio e, per quanto riguarda il sacerdote, alla negazione dell’esistenza di Dio.
Poco dopo, nel 1967, Marco Belloccio firma “La Cina è vicina”, più spostato verso l’asse politico-sociale: siamo infatti prossimi al ’68 e alle famose contestazioni studentesche.
Successivamente – negli anni ’80 e ancora di più in quelli ’90 – abbiamo assistito all’arrivo di una massa enorme di cinesi che si sono messi a lavorare, “in proprio”, nel campo della pelletteria e successivamente hanno cominciato ad aprire i celebri ristoranti, sembra con i soldi della mafia cinese, organizzazione ben più temibile e ramificata della nostra.
In questi ultimi anni il pericolo lo abbiamo vissuto in sede di globalizzazione dell’economia: si produce dove è più conveniente – specie per la mano d’opera a basso o bassissimo costo – e si vende in tutto il mondo.
Era un po’ il nostro marchio di fabbrica, ma siamo stati sconfitti – su questo piano – sia dai paesi emergenti del terzo e quarto mondo e sia dagli ex paesi dell’area comunista: in entrambe queste aree la mano d’opera a poche lire e stata per anni una avversaria dei nostri operai e una alleata dei nostri imprenditori con poca fantasia ma con molta spregiudicatezza.
Adesso il problema si è spostato dal “cinese-singolo-operaio” alla Cina come sistema paese che, alla stregua di un sonnolento dinosauro, si sta svegliando e diventa così un pericolo per tutte le economie, non solo quella italiana, ma addirittura l’intera Europa ed anche gli Stati Uniti.
Ed ecco che nel 2005 si è osato pronunciare la vecchia ed adusata parola che ha tenuto banco per tanti anni: dazi doganali, quel balzello cioè che era stato abolito con grande gioia di tutti all’avvento dell’Europa Unita.
La motivazione è semplice: in Italia esistono due ordini di problemi, da un lato la lotta alla contraffazione dei marchi famosi a cura dei cinesi – e questo è un problema di Polizia più che di dazi – e dall’altro il problema di alcune industrie (in particolare il tessile) messe letteralmente in ginocchio dall’importazione di prodotti realizzati in Cina.
È stato così deciso di affrontare – per ora solo questo – il problema dei dazi doganali, ma si è subito assistito ad una sequela di improperi da parte dei liberali nostrali che storcono la bocca di fronte soltanto alla parola.
Il problema è andato però avanti – per merito principalmente della Lega – ed è stato affrontato e portato addirittura in Consiglio dei Ministri che, accertata l’impossibilità di reintroduzione di dazi doganali per effetto dell’appartenenza della nostra normativa a quella dell’U.E., si è trovato, forse, un sistema: non più dazi ma contingentamento dei prodotti “made in cina” e in altri paesi del sud est asiatico, allineando le nostre disposizioni di legge ai parametri del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) ed alla clausola di salvaguardia sottoscritta nel 2001 dall’U.E. con la Cina.
Insomma, a parte tutte le belle parole che possiamo pronunciare, si tratta di un vero e proprio “proibizionismo” rivolto verso paesi che hanno nella mano d’opera a bassissimo costo l’elemento che scardina i mercati, sconvolgendo la nostra vita sociale; e non illudiamoci che sia finita qui, perché la battaglia sarà lunga e senza esclusione di colpi.

giovedì, marzo 10, 2005

Facciamo fallire lo Stato 

La Sezione Civile della Corte di Appello di Roma ha emesso una condanna destinata a fare epoca: l’Ente Tabacchi Italiani (E.T.I.) è stato dichiarato colpevole della morte di un signore deceduto nel 1991 a causa di un tumore ad un polmone; l’ETI dovrà corrispondere ai parenti del defunto una penale pari a 200.000 euro (circa 400 milioni di vecchie lire) per avere omesso l’informativa sui pericoli derivanti dal fumo. Da notare che è stato condannato l’ETI, ma questa società è subentrata solo nel 1998 ai Monopoli di Stato che, negli anni indicati nella sentenza commercializzavano il tabacco.
Questa sentenza, la prima in Italia e forse anche in Europa, apre la strada a tutta una serie di ricorsi penali e civili nei confronti delle aziende statali (appunto i Monopoli) che fino ad una certa data hanno omesso di indicare i pericoli mortali del fumo.
Sembra che siano già pronti a decollare alcune centinaia di cause da parte di familiari che hanno avuto un parente deceduto per tumore polmonare.
Il Codacons, l’associazione che tutela i consumatori, ha dichiarato che sarebbe auspicabile l’instaurazione anche in Italia così come già avvenuto in America, di una sorta di “class action”, così da arrivare a risarcimenti ancora più sostanziosi e con azioni legali di massa.
Il Presidente del Tribunale ha dal canto suo precisato che “bisognerà valutare caso per caso” e quindi ha in sostanza vanificato i ricorsi di massa, rimettendo invece le sentenze a singoli esami di singoli casi.
A riprova della variabilità di queste sentenze, c’è da precisare che la stessa causa si era risolta in ben altro modo (nel 1997), in quanto la domanda di risarcimento era stata respinta poiché i magistrati avevano ritenuto che la causa del decesso (comunque il fumo) fosse da attribuire ad una scelta volontaria, cioè quella di fumare.
Adesso la causa rimane la stessa, ma la sentenza fa perno sulla carenza di informazioni circa la mortalità di coloro che fumano: in pratica la stessa strada che è stata intrapresa con successo anni addietro negli Stati Uniti e che ha rischiato di mandare a gambe ritte alcune grandi aziende produttrici di sigarette.
Da notare, a margine della sentenza, che l’E.T.I. è stato venduto dal nostro Ministero dell’Economia nel 2003 alla British American Tabacco che, pur non avendo responsabilità diretta per le date in cui si sono verificati i decessi, viene comunque chiamata in causa dal Tribunale per il risarcimento.
Ovvio che l’azienda straniera ricorrerà in tutti i gradi di giudizio, fino a giungere alla Corte di Cassazione, ma la sentenza del Tribunale di Roma ha aperto una breccia dalla quale potrebbe filtrare tanta acqua da far saltare l’intera diga; e questa diga non può essere identificata che nello Stato, in quanto i riferimenti alla mancata informazione circa la dannosità del fumo, riguarda periodi in cui le sigarette venivano vendute direttamente dallo Stato.
Quindi, a differenza di quello che è accaduto in America, i soldi per i rimborsi ai parenti dei deceduti per tumore polmonare dovrebbero essere prelevati dalle casse statali: finalmente un uso corretto e lecito dei soldi di noi tutti.

mercoledì, marzo 09, 2005

La Sgrena continua...ma anche i maschietti!! 

Propongo ai tour operator italiani di mettere in cantiere un nuovo viaggio: destinazione Bagdad, gruppi non molto numerosi composti a maggioranza di donne, alloggio all’Hotel Palestine dove il pericolo è di rigore, compreso nel prezzo il rapimento da parte di “resistenti” (vero nome: sporchi terroristi) e la permanenza – a secondo del prezzo del viaggio – per sette, quattordici o ventuno giorni.
Questa idea mi è venuta in mente sentendo la martire Giuliana Sgrena che afferma di aver recitato sul video che tutti noi abbiamo visto su Al Arabjia, perché in effetti la permanenza come ostaggio è stata molto meno dura di quanto appaia: diciamo che è stata quasi una vacanza!
A proposito, nel pacchetto viaggio che ho sopra illustrato, è compreso anche un corso accelerato di recitazione, in modo che al ritorno in Italia si possa interpretare come minimo una soap – opera.
A parte gli scherzi, non posso fare altro che ribadire quanto scritto ieri su “Il Riformista”: il peggio non è mai morto e all’indecenza non c’è limite; quello che abbiamo “subito” dalle due Simone non è assolutamente niente rispetto a quello che stiamo “subendo” adesso dalla povera, cara Giuliana.
Alcuni giornali – non solo quelli filogovernativi – cominciano a suggerire alle autorità che sborsano tanti bei dollaroni, di emettere un comunicato chiarissimo: vi abbiamo detto di rientrare dall’Irak; chi non ottempera a questo invito lo fa a proprio rischio e pericolo (e spese, aggiungo io).
Ed ora passiamo ai maschietti, cambiando completamente teatro di operazioni: dopo l’allargamento dell’U.E. a 25 paesi, ieri si è tenuta la prima riunione plenaria “seria”, che affrontava cioè un problema “serio”: la revisione del Patto di Stabilità, quell’accordo che fissa dei parametri ferrei sul rapporto P.I.L. (Prodotto Interno Lordo) e indebitamento.
Tale rapporto – che, ripeto, dovrebbe essere ferreo – già l’anno scorso è stato superato, e di parecchio, da Francia e Germania e quest’anno potrebbe essere superato anche da noi e dal Portogallo, per cui si era pensato di modificare qualcosa, se non il parametro vero e proprio, almeno togliere dal computo dell’indebitamento gli investimenti produttivi della Pubblica Amministrazione.
Quando il presidente dell’Ecofin, il lussemburghese Juncher, ha riunito i “vecchi” paesi dell’Unione (12) si è visto che l’accordo era possibile, quando poi la riunione è stata allargata agli altri 13 paesi “new entry”, ogni possibilità di accordo è stata vanificata, tante e differenti erano le voci e le proposte.
Questa situazione ha fatto affermare al Presidente che – perdurando le divisioni mostrate in assemblea – il patto potrebbe anche rimanere inalterato, anche se, ha ammesso, funziona male.
Mi sembra ovvio che se prima era difficile mettere d’accordo 12 Paesi assai dissimili tra loro, adesso che i Paesi sono diventati 25, si è creata una sorta di Babele che – nel momento in cui si trattano argomenti seri – mostra la estrema difficoltà di gestione di questa Europa allargata.
Fino a quando si tratta di “giocare” a fare i parlamentari, fino a quando si deve legiferare sulle dimensioni dei piselli da mettere in commercio, un accordo si trova; quando invece si intacca, sia pure formalmente, la sovranità dei singoli stati andando ad incidere su meccanismi economici che ogni Paese costruisce per i propri interessi, allora scoppiano le divergenze, che sono poi figlie delle “tante diversità” che pullulano il variegato mondo dell’Europa a 25 e dei tanti interessi che gli ruotano attorno.

martedì, marzo 08, 2005

La festa delle donne 

“Senza arrivare alla tesi del complotto, risibile se non nascesse dalle viscere del pregiudizio antiamericano, tutte le parole sull’agguato premeditato dai soldati USA e sull’animo nobile dei sequestratori ci inducono a fare autocritica per aver avuto da ridire, in passato, sulle parole e sui gesti di Simona Pari e Simona Torretta appena liberate. Paragonandole alle parole a all’atteggiamento di Giuliana Sgrena cogliamo appieno l’intelligente senso della misura e il severo contegno delle sue Simone”.
Questo commento pieno di velenosa ironia, non è de “Il Giornale” o di “Libero” o comunque di un giornale allineato con il governo, ma è apparso su “Il Riformista”, organo – come tutti sanno – della sinistra moderata, ispirato, a quanto si dice, da Massimo D’Alema.
L’antefatto a quanto dirò più sotto – in occasione proprio della festa delle donne - è questo: il buttare ogni cosa in politica/partitica fregandosene della verità e delle implicazioni che gli eventi hanno sul futuro dell’Irak è un gioco tutta italico al quale dovrei essere abituato, ma non ci riesco.
Il grosso del discorso è invece un altro: anche per la Sgrena, così come per le due ragazze, lo Stato ha pagato lauti riscatti: sembra 5 miliardi per le Simone e addirittura 15, sempre miliardi di vecchie lire, per la giornalista de “Il Manifesto”:si vede che la vita a Bagdad è aumentata e quindi i rapitori conseguentemente alzano le richieste di riscatto.
A parte gli scherzi, dobbiamo notare che molto tempo fa il nostro Ministero degli Esteri – su precise indicazione dei Servizi Segreti – ha invitato i giornalisti a lasciare l’Irak e, comunque, a non andarci. Sia la RAI che Mediaste hanno ottemperato all’invito e hanno ritirato i loro corrispondenti, mentre dei quotidiani presenti sul teatro di operazione solo alcuni hanno fatto rientrare i giornalisti..
L’invito ad abbandonare Bagdad discendeva direttamente dall’avere appreso che per le tante bande operanti sul territorio, sequestrare un italiano era diventato un affare assai redditizio; i connazionali che si avventurano in quel caos sanguinoso sono le nuove galline dalle uova d’oro, meglio se donne, perché suscitano più compassione nell’opinione pubblica, meglio ancora se pacifiste e schierate politicamente a sinistra, in considerazione delle capacità di mobilitazione, e quindi di pressione sul governo (ufficiale pagatore) dimostrata dai loro referenti politici.
Dobbiamo notare che la vicenda dell’altra donna giornalista rapita – la francese Florence Aubenat – è molto simile a quella della nostra Giuliana: anch’essa scrive per un giornale di estrema sinistra (Liberation) e anche lei muove masse pacifiste che chiedono la fine delle operazioni belliche. L’unica differenza è che in due mesi i francesi – che pure non sono impegnati militarmente in Irak ed anche in testa alla lista degli antiamericani – non sono riusciti a cavare il classico ragno dal buco: le varie visite del ministro degli esteri francese in Siria e nello stesso Irak non hanno sortito per il momento alcun effetto, la povera Florence è ancora in mano dei rapitori.
Che forse i francesi si siano mostrati meno splendidi degli italiani nel momento del pagamento? Oppure che la munificenza italica nell’acconsentire ai pagamento dei riscatti si sia dimostrata controproducente per gli altri paesi invischiati in queste tristi vicende?
Sia come sia, noi i nostri li abbiamo liberati (pagando) a cominciare dai compagni del povero Quattrocchi, passando ai corpi ormai spolpati degli ostaggi uccisi (sì, abbiamo pagato anche per le ossa!) giungendo poi alle due Simone per arrivare infine alla Giuliana: ovvio che tra i sequestratori iracheni l’arrivo di un nuovo italiano (meglio se donna) è visto con lo stesso occhio che ha il lupo per l’agnello.

domenica, marzo 06, 2005

Zibaldone n.4/2005 (Bush e Zeman) 

I due argomenti che affronto in questo post sono di così diversa natura che mi é sembrato
più giusto collocarli in uno zibaldone apposito.
Il PRIMO argomento riguarda – ovviamente – la tragedia di Bagdad con le implicazioni di carattere politico che sono insorte dopo la tragedia: gli amici della sinistra si sono scatenati contro il governo reo, a loro dire, di “tenere bordone” a quell’infamone di Bush, i cui militari avrebbero intenzionalmente ucciso Calidari e tentato di fare altrettanto con la Sgrena; quelli del centro destra, ovviamente sulla difensiva, non hanno ancora scelto quale strada prendere, fermo restando la fiducia nell’alleato americano e la permanenza delle nostre truppe in Irak.
A proposito di quest’ultima considerazione, vorrei proprio sapere cosa c’entra la presenza dei soldati italiani con quello che è successo a Giuliana Sgrena, prima, e a Calipari dopo; ci si dovrebbe ricordare tutti che l’altra giornalista rapita e ancora nelle mani dei terroristi è di nazionalità francese e questo governo non solo non ha inviato le sue truppe in Irak, ma rappresenta anche il più accanito avversario di Bush in Europa.
Purtroppo la guerra è sempre un disastro e bisognerebbe pensarci prima, ma a questo proposito mi permetto fornire gratuitamente un suggerimento a Giorgino: se perdura nell’esportazione – anche forzosa – della democrazia in altri scacchieri medio orientali o nel sud est asiatico, dovrebbe attrezzare meglio la propria forza d’invasione; non mi riferisco ai materiali, di cui non ho competenza, ma agli uomini e a questo proposito vorrei fare un discorso filato.
Poiché non prendo neppure in considerazione che ci sia stato “l’agguato”, come sbandierato dal Manifesto e dal compagno di Giuliana, devo arguire che l’apertura del fuoco è stata determinata da una cedenza dei nervi di uno o più soldati americani che facevano parte della pattuglia; del resto questa situazione psicologica è già stata portata sullo schermo in svariati film americani sul Viet Nam. Quindi sarebbe opportuno tenere l’esercito in buona forma fisica ma soprattutto psichica e, alle prime avvisaglie di nervi tesi intervenire e, come minimo, spostare il soldato in zona meno impegnativa.
Il SECONDO argomento si riferisce all’allenatore del Lecce, Zeman, ed alla sua intervista fiume rilasciata alla Gazzetta dello Sport in occasione della partita Inter-Lecce: il bravo allenatore boemo, bravo non so a cosa, dato che in Italia non ha mai vinto niente, spara a zero su tutto il mondo che gli fornisce – e molto lautamente, perché è uno degli allenatori più pagati d’Italia – il pranzo e la cena. A questo proposito mi viene in mente la strofa del celebre sonetto: “di tutti disse mal fuorché di Cristo/scusandosi col dire non lo conosco”.
Non entro nel merito delle affermazioni di Zeman, ma mi permetto alcune considerazioni: i giornali sportivi in Italia sono più numerosi che nel resto d’Europa; per campare con tirature accettabili bisogna creare lo scandalo, dato che la normale attività sportiva non consentirebbe a questi quotidiani di sopravvivere.
Zeman è uno dei maggiori “creatori” di queste situazioni scandalistiche e pertanto uno dei benefattori dei quotidiani, i cui giornalisti – dopo una di queste interviste – possono vivere di rendita per qualche settimana, andando dai destinatari delle polemiche zemaniane a chiedere la ribattuta e creando così la polemica che, evidentemente, piace tanto agli sportivi: il Processo di Biscandi è la controprova di quanto affermo.
Per concludere, così come ho fornito un consiglio a Bush, ne voglio dare uno anche al mondo del calcio: lo stipendio del signor Zeman, anziché dalla squadra che allena, dovrebbe essere pagato (almeno il 50%) dai giornali sportivi che usufruiscono delle sue “sparate”; non dico che si risanerebbe il calcio, ma insomma un piccolo contributo al risparmio ci sarebbe.

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