<$BlogRSDUrl$>

sabato, novembre 13, 2004

Facciamoci due risate sugli espropri proletari 

Non si dovrebbe, poiché l’argomento è tremendamente serio, ma non posso esimermi dal raccontare quanto ho appreso circa l’ultimo esproprio proletario.
A Venezia, da oggi e per qualche giorno si tiene una riunione ad alto livello dei Ministri degli Esteri e della Difesa dei Paesi facenti parte della NATO; assolutamente scontato che i vari no-global, precari e disobbedienti avrebbero inscenato qualche manifestazione.
La zona dove si tiene materialmente l’incontro – denominata “Zona Rossa” – è interdetta a tutti, anche alle zanzare, che come tutti sanno a Venezia sono numerose.
Sembra che le forze dell’ordine si siano mobilitate in numero altissimo (non vorrei sbagliare, ma credo oltre tremila agenti in più pattugliano la città) allo scopo di scoraggiare manifestazioni violente.
Proprio oggi pomeriggio – cioè mentre sto scrivendo questo post – i vari manifestanti tenteranno la spallata violenta contro Polizia e Carabinieri, con l’intento di arrivare alla fatidica Zona Rossa.
Fin qui tutto normale, tutto “deja vu” tante altre volte, da Genova a Napoli fino agli ultimi giorni; quello però di cui vorrei darvi conto è un nuovo tipo di esproprio proletario messo in atto in occasione delle manifestazioni veneziane.
Un gruppetto di manifestanti – 9 per l’esattezza – si sono presentati all’Harri’s Bar, prestigioso ristorante della città lagunare e si sono tranquillamente seduti ed hanno, altrettanto tranquillamente, ordinato un lauto pasto a base soprattutto di pesce.
Arrivati al termine del pasto, i nostri eroi hanno chiesto il conto e il cameriere che li aveva serviti lo ha portato sopra al classico vassoietto d’argento: totale circa mille euro.
Per la verità, visto il tipo di ristorante, visto anche le cose mangiate (pesce e molluschi), la cifra che potrebbe fare impressione a prima vista, se divisa per 9 – tanti erano i commensali – tira poco più di cento euro a testa: non poco per la verità, ma visto tutto l’insieme, ci sta.
Ma torniamo al nostro cameriere che con un mezzo inchino porge il vassoietto con il conto alla persona indicata dal gruppo; questa – imperterrita – estrae una penna e sotto il conto verga una frase che (cito a memoria) recita così: “questa cifra fatela pagare al Dottor Precario”.
Il cameriere chiede spiegazioni e i nostri eroi gli spiegano che sono dei precari che stanno partecipando alla manifestazione contro la NATO e che in questo momento stanno compiendo un atto di ribellione verso il sistema e, specificatamente, verso il caro prezzi.
Quindi si sono alzati e se ne sono andati, insalutati ospiti, con il cameriere rimasto con un palmo di naso che si reca a riferire il tutto al Direttore del ristorante; quest’ultimo, dopo averlo attentamente ascoltato, gli ha comunicato che il conto è stato emesso, il tavolo era sotto la sua responsabilità, quindi….i soldi ce li avrebbe rimessi il cameriere che avrebbe dovuto accorgersi prima che i clienti non erano poi tanto affidabili.
Ed ora il nostro cameriere, che magari quella cifra la guadagna in un mese di lavoro, come si comporta? Si iscrive anche lui ai “precari” oppure sono preferibili i “disubbidienti” oppure, meglio ancora, si rivolge direttamente ai no-global?
Ma per fare cosa? Ma è chiaro, per essere invitato alle prossime azioni “rivoluzionarie”, ai prossimi “espropri proletari”, per vedere se riesce a rientrare della somma che, per ora, è stata espropriata a lui!
Che dite, ci riuscirà il nostro sfortunato cameriere oppure non lo vorranno neppure lì?


venerdì, novembre 12, 2004

Film: "THE MANCHURIAN CANDIDATE" 

Proseguo nel presentarvi un altro film che ho avuto occasione di vedere; questo, la cui traduzione letterale è “Il candidato della Manchurian”, sta ad indicare non il luogo geografico conosciuto come Manciuria, ma rappresenta il nome di una mostruosa multinazionale. Vediamo di cosa si tratta.
E’ la storia del Capitano Bennet Marco dell’esercito degli Stati Uniti; lo incontriamo all’inizio del film in occasione dell’operazione “Desert Storm” del 1991; in quella occasione un plotone dell’esercito statunitense cade in una imboscata da parte delle forze nemiche: mentre Marco viene colpito e sviene, il comando viene assunto dal sergente Shaw che porta a compimento l’operazione e, su proposta del capitano, viene insignito della medaglia d’onore del Congresso. Questo l’antefatto, adesso Marco è stato promosso Maggiore e gira l’America a fare Conferenze sull’episodio, sogna tutte le notti una vicenda che non corrisponde a quella che lui si ricorda, mentre gli altri componenti del plotone sono morti in strane situazioni, ad eccezione di uno che è invece impazzito e vive come un barbone. Il Sergente Shaw, figlio di una senatrice (ancora viva e assai potente) e di un senatore ormai defunto, è diventato deputato in Parlamento e concorre alla carica di Vice Presidente degli Stati Uniti; quest’ultimo – diversamente da Marco – non sogna mai l’evento che lo ha reso celebre e, avvicinato dal vecchio commilitone lo saluta cordialmente ma con strane forme di paranoia (“non mi toccare”, ripetuto varie volte). Le indagini del Maggiore lo conducono fino ad una mostruosa multinazionale – la Manchurian Global – che sarebbe la finanziatrice di un procedimento inventato dal Dottor Atticus Noyle, teso a condizionale le persone attraverso l’immissione “sotto pelle” di un microchip; Marco scopre che uno di questi congegni è istallato nella sua spalla e un altro analogo in quella di Shaw. I vertici della multinazionale trattano con la madre di Shaw – la senatrice – che si assoggetta a tutta questa forma di condizionamento per fare raggiungere il successo al proprio figlio. Al termine del film, in occasione della fase finale delle elezioni che vengono perdute da Shaw, viene condizionato ipnoticamente anche Marco che sta per uccidere il vincitore, quando in un sussulto di “conoscenza”, volge l’arma e uccide l’ex-sergente e la madre senatrice. Tutto finisce bene, sembrerebbe, sennonché la multinazionale è sempre in piedi e pronta a condizionare tutto e tutti ed infatti i suoi dirigenti si pongono subito al lavoro per una nuova impresa.
Film altamente spettacolare, con grosse doti sotto questo aspetto: in pratica, se escludiamo l’eccessiva lunghezza, l’impianto narrativo regge ad un ritmo notevole, anche per le doti non comuni degli interpreti; vorrei citarne una per tutti: Meryl Streep nel ruolo di madre-senatrice-condizionatrice del figlio e di altri personaggi; non l’avevo mai vista in un ruolo, diciamo così, “negativo”, ma quando siamo grandi attrici non esistono problemi di nessun genere.
Le opere di fantapolitica debbono avere, a mio avviso, due caratteristiche: una sostanziale credibilità dell’impianto narrativo e una certa logica dell’assunto che la tesi, sia pure a carattere spettacolare, si propone di realizzare.
Mi sembra che questo film sia in possesso di entrambe le cose e, credete, per un opera del genere non è proprio poca cosa.
Un’ultima cosa: il “nostro” Bruno Ganz recita una piccola parte (è un eccentrico scienziato a cui si rivolge Marco per avere delle spiegazioni tecniche sui vari congegni); mi è sembrato un intervento un po’ disincantato che forse puzza di superiorità (vera o presunta).
Certo che l’attore visto in questo film non è neppure lontano parente del cameriere ammirato in “Pane e Tulipani”: mi è sembrato che mancasse soprattutto l’impegno e che la cosa fosse fatta solo per i soldi. Ma forse mi sbaglio!

mercoledì, novembre 10, 2004

Obliterare 

Le Ferrovie italiane sono sicuramente ai vertici mondiali per le parole che hanno letteralmente “inventato”; ne cito tre, ma potrei andare avanti: impresenziare, diversamente abili e obliterare.
La prima (impresenziare) ha già formato oggetto di un mio post di metà ottobre e viene usata al posto di “essere presente”; la seconda ho avuto modo di vederla di recente in un cartello affisso fuori di una stanza in una Stazione anche grande: “ufficio assistenza persone diversamente abili”, intendendo ovviamente disabili, handicappati, ecc.
La terza parola (obliterare) è la più anziana di nascita, ma è anche quella che si merita qualcosa di più di una semplice citazione.
Anzitutto a cosa serve: quando si acquista un biglietto ferroviario, di qualunque tipo o genere, dobbiamo infilarlo in una strana macchinetta – all’interno della Stazione – prima di salire sul treno; qualora il controllore che controlla il biglietto non trovi questa obliterazione, il possessore del biglietto è passibile di una multa di 25 euro.
Quale il motivo di questo iter burocratico?
Semplice, la ragione dipende dal fatto che coloro che non usufruiscono del biglietto hanno diritto al relativo rimborso entro un certo lasso di tempo, ovviamente presentando all’apposito ufficio il biglietto non vidimato dal controllore e neppure obliterato dalla macchinetta sul binario.
In pratica il biglietto deve risultare intonso e questa condizione si raggiunge o non entrando neppure in Stazione, oppure, se il controllore non passa durante il viaggio, non obliterandolo all’ingresso della Stazione.
Quindi, in concreto, le Ferrovie – poiché non sono sicure di poter “controllare” con i propri controllori tutte le persone che viaggiano - fanno fare questo controllo agli stessi viaggiatori in forma anticipata: infatti, con l’obliterazione l’acquirente del biglietto dice in anticipo che ha viaggiato (non è ancora salito sul treno!) e che quindi non intende richiedere alcun tipo di rimborso.
Posso dire – per esperienza diretta – che il controllore si vede una volta su quattro viaggi (quindi il 25% dei controlli) ed è per questa bassa percentuale che le Ferrovie hanno inventato questa procedura dell’obliterazione.
Per concludere, possiamo dire che le Ferrovie non essendo in grado di controllare i viaggiatori, danno per scontato che tutti coloro che acquistano il biglietto ed entrano in una Stazione poi viaggiano e quindi è giusto che obliterino il biglietto che così facendo diventa come se fosse “vidimato dal controllore”.
Il discorso appare contorto e apparentemente complicato, ma del resto parliamo di cose e di strutture che sembrano discendere dall’U.C.A.S. – Ufficio Complicazioni Affari Semplici.
Siete d’accordo?

martedì, novembre 09, 2004

Gli allagatori 

Sì, avete letto bene: gli allagatori e non gli alligatori come si potrebbe supporre: per “allagatori” intendo quei giovani che hanno preso l’abitudine di compiere atti di sabotaggio alla loro scuola (appunto, l’allagamento dei locali).
Ricorderete che alcuni giorni fa alcuni studenti del Liceo “Parini” di Milano hanno allagato la scuola, per rimandare un compito in classe; danni calcolati in un minimo di 100 e in un massimo di trecento mila euro.
Come era facile prevedere, l’atto è stato emulato dai frequentatori di una scuola di Rimini: sabato notte qualcuno è entrato nella sede dell’Istituto ed ha aperto la manichetta dell’idrante antincendio, provocando l’allagamento della scuola; anche qui danni ingenti – non ancora quantificati – ma lezioni regolari per tutti (non è stata persa neppure un’ora di lezione).
Mentre il primo caso (quello del “Parini”) è già stato agli onori della cronaca e su di esso si sono pronunciati famosi (e meno) educatori, intellettuali e, ovviamente, i professori della scuola, il secondo caso, invece – accaduto da poco tempo – non ha avuto ancora un eco altrettanto prestigiosa, ma credo che si rifarà al più presto, anche perché i colpevoli di quest’ultimo episodio – contrariamente al primo – non sono ancora saltati fuori e quindi si fanno solo illazioni.
Poiché il lavoro investigativo non mi affascina né punto né poco, cercherò di vedere la questione partendo da alcuni punti di vista ancora non affrontati.
Il primo è che tra la pletora di esperti che si sono scatenati nel trinciare giudizi e nel fare affermazioni anche le più gratuite, tutti si sono dimenticati di interpellare uno dei protagonisti della vicenda e di farci conoscere il loro pensiero: i genitori.
Anche se ormai è invalso il pensiero che la famiglia ha completamente delegato alla scuola l’educazione della prole, tuttavia essi esistono e, quando è il momento, sono abituati a dire la loro, magari non tecnicamente perfetta, ma comunque sempre ammissibile per la “veste” di chi la dice.
Voglio dire che i ragazzi del “Parini” hanno nome e cognome e quindi hanno anche i relativi genitori: ora non mi aspetto che i giornalisti li intervistino, ma che il Consiglio d’Istituto tenga conto del loro parere: considerano i loro figli dei superficiali oppure dei delinquenti?
Un secondo aspetto: se lo scopo degli allagamenti è quello di sabotare il regolare svolgimento della scuola, allontanare i ragazzi per 15 giorni, oppure 1 mese o addirittura un anno, mi sembra venire incontro ai loro desiderata; e mi sembra contrario anche ad ogni principio pedagogico.
Suggerirei quindi la seguente “punizione” (non so se fattibile a norma di regolamento): allora, i ragazzi non vengono allontanati dalla scuola, riprendono a frequentarla normalmente, con una variante per gli spazi di tempo non utilizzati dallo svolgimento delle lezioni: i giovani vengono adibiti – per tutti i pomeriggi e per un periodo, diciamo di tre mesi – a risistemare la scuola dai danni che loro stessi hanno fatto (lavori di bassa manovalanza, ovviamente) e quando questi sono finiti – alla moda militare – si ricomincia daccapo e si ripulisce nuovamente tutta la scuola da cima a fondo.
Credo che, così facendo, i ragazzi comprenderanno ancora meglio la sciocchezza del loro atto (anche se sono certo che l’hanno già capito) e apprezzeranno la loro attività volta a ripristinare la normalità nella loro scuola


lunedì, novembre 08, 2004

La spesa proletaria 

Mi riferisco ai “furti” compiuti dai cosiddetti disobbedienti a Roma in una Libreria e nel vicino Supermercato: a detta dei protagonisti si è trattato di una “spesa proletaria” messa in atto per protestare contro il carovita; per me – come ho detto – siamo in presenza di un normale, volgarissimo furto, perpetrato da ladri-cialtroni.
Due parole sull’accaduto: un corteo di disobbedienti, no-global e precari si è diretto verso una zona della Capitale nella quale sono ubicati un Supermercato e una Libreria Feltrinelli.
Entrati nel Supermercato, hanno riempito diversi carrelli con prodotti di vario genere e quindi – indirizzatisi alle Casse – si sono rifiutati di pagare l’ammontare della merce.
Le cassiere hanno chiamato il Direttore che ha intavolato una trattativa con i “proletari”, sotto scacco di sfascio delle infrastrutture del locale e ha consentito – e come poteva fare altrimenti - che i carrelli fossero portati via senza pagare, purché non venisse fatto alcun danno all’ambiente.
Parlare di trattativa mi sembra veramente “mala fede”: infatti quale altra posizione avrebbe potuto prendere il Direttore del Supermercato se non quella di cercare di farli sloggiare prima possibile, anche a prezzo di alcuni carrelli pieni di merce.
Quindi, mi piace ripeterlo, la merce del Supermercato è stata rubata al legittimo proprietario sotto la minaccia di guai peggiori: che differenza c’è tra questo e il bandito che punta la pistola per rubare il portafoglio dell’ignaro passante?
Analoga procedura è stata messa in campo per una Libreria Feltrinelli ubicata vicino al Supermercato: anche lì si è minacciato guai peggiori – sfascio del locale ed altre cose del genere – se non si faceva passare gratuitamente la “spesa culturale e proletaria” fatta dai compagni.
Alla testa dei “ladri” il noto Luca Casarini (ma cosa fa di lavoro questo signore?); al suo fianco – e questa è la cosa grave – un Consigliere del Comune di Roma che già in passato si è reso famoso per episodi del genere.
I commenti politici al duplice evento sono quasi unanimi: condanna netta e senza appello, in particolare per il Consigliere del Comune che viene stigmatizzato da tutti, o meglio da quasi tutti perché il “Verde” Paolo Cento tenta di stornare l’attenzione dalla “spesa proletaria” alle presenze di alcuni “precari” per i quali chiede comprensione, in antitesi alla ferma richiesta di condanna che tutta la sinistra chiede fermamente.
Il Ministro dell’Interno assicura “tolleranza zero” verso queste manifestazioni: mi domando come si può fare una scaletta di numeri sulle tolleranze? Accanto allo zero c’è il sotto zero, al quale livello sarebbe opportuno che la Polizia ponesse queste situazioni.
I veri proletari – insomma quelli che lavorano davvero – non hanno niente da spartire con questi cialtroni che sono alla ricerca di scorciatoie violente per giungere alla soluzione di un problema che esiste ma che deve essere affrontato in maniera diversa.
Ecco, mi piacerebbe che oggi i sindacati – che dovrebbero essere i rappresentanti dei veri proletari – si ergessero a difensori di coloro che lavorano sul serio (dipendenti del Supermercato e della Libreria) e che sono gli unici ad essere autorizzati a chiamarsi “proletari”.
Gli altri sono cialtroni, in mezzo ai quali si annida anche la presenza inquietante di un signore (il Consigliere di Roma) che guadagna probabilmente più del Direttore del Supermercato e della Liberia e che scende a patti con questi lavoratori dall’alto della sua “occupazione proletaria”: ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò!


domenica, novembre 07, 2004

La nostra giustizia 

Alcuni eventi del settore giustizia accaduti in questi ultimi giorni, mi inducono a ricapitolarli per i miei amici lettori e quindi passare a esaminare lo stato di salute della nostra giustizia.
Il primo caso riguarda – ancora una volta – la vicenda del bambino, figlio di un pentito di mafia, ucciso per soffocamento e poi sciolto nell’acido; sapevo che l’autore del misfatto era stato un tale Giovanni Brusca. Adesso apprendiamo che altrettanto colpevole era un certo Vincenzo Chiodo: il tipo, presentatosi spontaneamente nel 1996 e immediatamente “pentitosi” è stato immesso nel cosiddetto “programma di protezione”, in attesa della condanna. Il galantuomo – ripeto, ancora non conosce minimamente la vita carceraria – ha avuto alcuni mesi fa la conferma del terzo grado di giudizio (la Cassazione) che lo ha condannato a 15 anni (mi sembrano pochi, ma insomma..); ci saremmo aspettati che il pentito fosse rinchiuso nelle patrie galere per il periodo sopra indicato.
Apprendiamo invece che il galantuomo è ancora a piede libero perché il Tribunale di Sorveglianza di Roma – udite, udite – non ha stabilito “in quale modo” fargli scontare la condanna, cioè la prigione oppure gli arresti domiciliari; in attesa di sciogliere l’amletico dilemma, il bravo Chiodo rimane libero.
Volete fare qualche commento in materia? Io credo che siamo alla pazzia allo stato puro! All’uopo apprendiamo che il Ministro di Giustizia, molto arrabbiato, ha promesso di inviare gli ispettori alla struttura romana di sorveglianza. Complimenti per l’eccezionale tempismo: se non ci fosse stato il battage della stampa avremmo continuato con il “campa cavallo”.
L’altro evento che mi ha particolarmente colpito riguarda la vicenda di Suor Laura e della sua uccisione “in nome di Satana”.
Ricorderete che a compiere il delitto furono tre ragazzine (allora, siamo nel 2000) che affermarono di avere ucciso la monaca perché “comandate” da Satana.
La pena comminata alle tre giovani fu – già confermata – di 8 anni per due di loro e di 12 per la terza (anche qui mi sembrano pochi, ma insomma…).
Una di loro, Veronica condannata a 8 anni, dopo meno di quattro anni di reclusione è stata immessa in un programma di reinserimento e adesso fa la maestra d’asilo in una scuola materna.
Interpellata all’uscita dal carcere ha detto: “Di Chiavenna (il paese dell’omicidio) e di quello che è successo non mi interessa più niente. Sono tranquilla. Sono serena”.
Evidentemente per tutti gli psicologi che si sono avvicendati attorno alla ragazza, questa frase contiene chiarissimi segni di pentimento; io, confesso, dall’alto della mia ignoranza non rilevo proprio niente.
Comunque sia, se proprio la giovane veniva riconosciuta pentita e quindi potenzialmente reinseribile in un programma apposito, si poteva evitare di coinvolgere dei bambini.
Mi spiego meglio: andare a pulire il sedere a vecchi incontinenti non viene considerato “reinserimento”? Imboccare e aiutare degli anziani non autosufficienti non è considerato “reinserimento”? Occuparsi di handicappati è “reinserimento”?
Credo che l’opinione pubblica abbia il diritto di conoscere cosa è “reinserimento” e cosa invece è altra cosa.
Alla fin fine, vorrei ricordare – l’ho già detto altre volte – che tutte le sentenze vengono emanate “in nome del popolo italiano”, quindi mi sembra che questo popolo abbia qualche diritto. O no!


This page is powered by Blogger. Isn't yours?