sabato, agosto 24, 2013
TUTTI IN FERIE!!!
Mi riferisco ovviamente non al popolo comune
che di ferie ne fa poche e vicine a casa per spendere meno, ma a coloro che “possono”, ai signori
parlamentari che faranno 27 giorni di ferie – la Camera – e 26 il Senato; di
fronte a noi abbiamo il Parlamento tedesco che a luglio e agosto è visitato
solo dai turisti, in quanto i parlamentari tedeschi stanno in ferie la bellezza
di 70 giorni.
In controtendenza, il nostro Governo non
andrà in ferie e il premier fa sapere attraverso l’Ufficio Stampa che mancherà
solo il 13, 14 e 15 agosto, per il resto – in alternanza con il vice, Alfano –
resterà al suo posto.
L’unica che non andrà in vacanza sarà la
crisi che continuerà imperterrita a vegliare su di noi, assecondata dai nostri
parlamentari che non faranno vacanze faraoniche come si usava una volta, ma
saranno vacanze soprattutto di riposo.
Ma come nasce la tradizione delle ferie, la
più antica delle nostre tradizioni? È stata “inventata” dall’imperatore Augusto
– da qui il nome di “Feriae Augustae” – ancora prima della nostra era cristiana
e l’Italia attuale è ben lieta di
continuarne la celebrazione – a parte le possibilità economiche – con una
caratteristica comune a tutti: il fermo generale delle attività, cosa che
nessun paese occidentale si sogna di fare.
Oltre duemila anni or sono, quelle “feriae”
servivano al riposo dopo la fine dei lavori agricoli, dopo la raccolta del
grano e prima di prepararsi all’autunnale
vendemmia; oggi di grano se ne
raccoglie poco, nel senso di “grana” cioè di soldi, in cambio si raccoglie
molte “grane” in senso di burocrazia imperante.
Mi viene in mente che sarebbe stato un
formidabile veicolo di comunicazione se i nostri parlamentari – oltre a
proporre una loro parziale riduzione numerica – avessero dato un bell’esempio a
molti italiani: continuare a lavorare come se niente fosse – tanto la fatica
non pesa loro - e ricordare che, porca
vacca, “mala tempora currunt”.
E così avremmo avuto la possibilità di non
vedere le solite foto dei nostri onorevoli in spiaggia (in mutande) o in
montagna (in graziosi completi adatti al luogo).
È vero che tutti hanno diritto alle vacanze,
ma c’è chi non le fa da anni e non muore; certo che il diritto alle vacanze non
è specificatamente previsto dalla nostra Costituzione, ma una prossima
revisione sono certo che lo includerà, così come una volta era previsto il
servizio di leva obbligatorio.
Ci sono poi delle cose o delle situazioni che
“non vanno in ferie”: per esempio, i giornali non vanno in ferie eppure escono
tutti i giorni escluso uno o due e i giornalisti vanno in vacanza; per le
televisioni potremmo fare lo stesso discorso; i supermercati non chiudono ma
gli addetti vanno in vacanza; gli ospedali non chiudono , a parte qualche
disservizio presente anche in regime non vacanziero, eppure i dipendenti vanno
in ferie e, per concludere, ricordiamoci che – purtroppo - gli interessi
passivi sui conti correnti non chiudono e neppure quelli sui mutui e quindi
alla riapertura delle danze ce li troveremo di fronte; chiaro il concetto??
Di una cosa dobbiamo essere certi: in
spiaggia o su una montagna amena, si dichiara il cessate il fuoco tra destra e
sinistra, insieme ai traditori della
sinistra e ai traditori della destra, concertati con i rappresentanti del
centro e finalmente si può discutere di una cosa seria: dove andare a farsi la
spaghettata serale, problema non da poco per una classe politica abituata a
mangiare ad ogni occasione e, il più delle volte, a non pagare il conto.
giovedì, agosto 22, 2013
LO SPREAD CALA MA IL LAVORO VA ALL'ESTERO
Sembra una barzelletta raccontata per
alleviare la canicola estiva, ma è una triste verità: siamo a Formigine, in
Provincia di Modena e precisamente in un’azienda che produce resistenze
elettriche; all’inizio di agosto i dirigenti hanno salutato le maestranze dando
loro appuntamento per fine mese, ma contemporaneamente pensavano ad una
ingloriosa “fuga all’inglese”.
Hanno approfittato del ponte di ferragosto ed
hanno caricato su alcuni automezzi tutti i macchinari dell’industria, tutto
quello che poteva servire per aprirne una nuova e si sono diretto verso la Polonia, inaugurando un
nuovo, vergognoso caso di delocalizzazione; i dipendenti – che forse
subodoravano qualcosa già da prima – quando hanno saputo dell’esodo dei “loro”
macchinari, si sono diretti in massa verso l’azienda per presidiarla; con
questa mossa non sono riusciti a bloccare il grosso del trasferimento, ma
soltanto “l’ultimo” dei camion diretto verso l’Est Europa, laddove il costo del
lavoro è molto più basso che da noi e le condizioni operative sono assai più
lassive che da noi.
Non ho detto una cosa importante: l’azienda è
gestita da una famiglia italiana e conta una quarantina di dipendenti, tutti in
ferie in questi giorni per la consueta pausa agostana.
Un membro della famiglia titolare della
proprietà, raggiunto telefonicamente ha detto che In Italia sono più le aziende
che si trasferiscono per sopravvivere che quelle che rimangono, e ha dato la
colpa ai sindacati, alla burocrazia, alle tasse e ad un credito bancario
vergognoso.
C’è anche chi non sceglie di andare
all’estero, ma cerca di ricreare l’estero in Italia: un’azienda di Treviso
cresce di fatturato e assume personale, ma questo – così come quello già in
fabbrica – è composto solo da “stranieri”; con tali assunzioni, la percentuale
di stranieri nell’azienda assomma al 90%.
Il titolare dell’azienda, dopo aver precisato
che nella sua fabbrica si lavora su tre turni, sette giorni su sette, motiva così la scelta di stranieri al posto
degli italiani: gli italiani non hanno fame; prova a dire a questi qua che una
volta al mese devono lavorare il sabato e la domenica.
Come era facile prevedere, le parole
dell’industriale hanno fatto scalpore nella zona, a partire dalle sigle
sindacali: il segretario della UIL, senza tante perifrasi, si schiera con
l’imprenditore trevigiano affermando che quanto sostiene è perfettamente vero e
che dobbiamo far capire ai nostri lavoratori “italiani” che sono cambiate le
condizioni di lavoro e che non si può continuare a dire di no al ciclo
continuo, anche se va a modificare gli affetti familiari e la quotidianità.
La sindacalista della CGIL è ovviamente di
parere opposto è definisce il tutto una autentica assurdità: “sono migliaia gli
italiani che lavorano sul ciclo continuo; certo che i giovani vorrebbero un
lavoro più in linea con le loro aspettative”.
E il nostro imprenditore come replica?
Chiaramente non cambia linea e afferma:
“rimane il fatto che senza stranieri la mia azienda non sarebbe cresciuta; e
questo lo dico da imprenditore”.
Ma quanto guadagna un operaio da lui? Dice il
nostro imprenditore: “da me un capo turno prende 1600-1700 euro al mese senza
straordinari; ho fatto per 19 anni il dipendente e so bene cosa significa la
busta paga”.
Il centralino è intasato da operai che
vorrebbero lavorare da lui; che segnale è??
martedì, agosto 20, 2013
STIAMO IMBARBARENDOCI TUTTI
Mi scuso nuovamente se ritorno sulla violenza
verso le donne, ma se aprire un qualunque giornale, vedrete che le notizie di
donne uccise da mariti o compagni o semplicemente ammiratori, la fanno da
padrone su tutte le altre, comprese quelle che si riferiscono alla drammaticità
della situazione economica del nostro Paese.
Ed ecco perché mi viene spontaneo ritornare
sull’argomento, anche se le cose da dire, probabilmente, sono già state dette
tutte e certo la mia voce non può essere
più potente di quelle ben più eclatanti dei nostri “opinion leader”.
Posso aggiungere un particolare: quando
facevo l’Università, ricordo che il professore di diritto ripeteva molto spesso
che il Beccarla afferma, con forza, che ogni delitto apre una ferita nel
tessuto della società e che è compito della legge e di chi la applica sanare
questa sorta di ferita attraverso le pene; non mi sembra che stiamo seguendo le
teorie del Beccarla, se mettiamo in libertà gli assassini dopo poco tempo.
L’ultimo di una lunga serie di crimini che
hanno “offeso” la nostra società è l’uccisione della trentunenne Lucia,
responsabile “benessere” di uno chalet a Madonna di Campiglio messa in opera
dal fidanzato della ragazza, un avvocato 45enne che dopo l’omicidio ha guidato
per varie ore con il cadavere della donna nell’auto, fino a quando non è stato
fermato e arrestato.
Quale il motivo di tanta barbarie? La povera
Lucia aveva lasciato l’avvocato per un altro uomo; la cosa ha rinfocolato
nell’avvocato il concetto di “proprietà” e di “lesa maestà”; e tutto è finito
nel peggiore dei modi.
Nell’auto dell’omicida sono state trovate
alcune lettere dirette alla donna ed ai genitori in cui si preannuncia in forma
chiara il barbaro assassinio della ragazza; ed ecco come funziona la nostra
società: gli avvocati della difesa hanno subito sbandierato ai quattro venti
che queste lettere, per il fatto di non essere state spedite, non
rappresentavano un indizio di premeditazione (forte aggravante in Tribunale).
E qui si aprirà un dibattito non solo tra gli
addetti ai lavori ma anche nell’intera opinione pubblica tra i fautori della
premeditazione e i contrari; forse, a mio giudizio, credo che sarebbe più
opportuno discettare sulle motivazioni che stanno portando la nostra società ad
un progressivo imbarbarimento.
A questo proposito posso gettare alcuni
sassolini nello stagno della libera interpretazione: ricordiamoci che siamo un
Paese in cui ognuno si sente autorizzato ad insultare nel modo peggiore
chiunque non la pensi come lui; un Paese in cui le donne sono considerate come
oggetti di proprietà, prive di anima e di volontà propria; in sostanza, il
concetto “inconscio” dell’uomo odierno è: “osi rifiutarmi? E allora non sarai
di nessun altro!”.
Con la nuova normativa sul cosiddetto
“femminicidio” in corso di approvazione, sarà fatto un passo importante, ma
ricordiamoci che la norma, qualunque essa sia, non potrà mai essere esaustiva
del problema che, a mio giudizio, è di carattere “culturale”.
Dovremmo abbattere venti e più anni di
imbarbarimento culturale, dove il forte può fare tutto quello che vuole a danno
del più debole e dove la considerazione della donna è ancora misconosciuta;
sostituire tanti anni di tv spazzatura e di dibattiti televisivi all’insegno
dell’insulto, con i telespettatori che vi partecipano come tifosi calcistici,
con trasmissioni ragionate dove il telespettatore può giudicare serenamente il
migliore e non il più forte o il più furbo; in sostanza dovremmo dare il via ad
una nuova rieducazione socioculturale; vi sembra possibile? Mah, Io ne dubito!!
domenica, agosto 18, 2013
"LO" ESCORT E IL FISCO
Non è un errore quel “lo” del titolo, in
quanto si tratta proprio di un maschio che intraprende la gloriosa carriera di
escort. E che c’è di male, direte voi!
Niente, rispondo io!! Ma andiamo con ordine e facciamo il fatidico passo
indietro.
Siamo nel 1958 e la famosa legge Merlin, dal
nome della senatrice che la propose, chiuse le case di tolleranza e introdusse
una nuova normativa per quanto riguarda il problema dei rapporti tra il cliente
e la prostituta: anzitutto viene abolito il reato di “prostituzione”, mentre
viene lasciato quello di “istigazione e sfruttamento della prostituzione”; alla
prostituta, cioè alla signorina o signora esercente il mestiere più antico del
mondo, viene lasciato solo il reato di “adescamento”.
Fin qui tutto chiaro? Spero di sì! E adesso
entriamo nel vivo del problema attuale e in particolare su quel “lo” del
titolo; cosa succede se il mestiere di cui sopra viene esercitato da un uomo? E
soprattutto se questo signore ha molto successo e guadagna cifre importanti che
gli permettono di tenere un alto tenore di vita?
È il caso di un signore di 39 anni che
chiameremo Mario e che esercita ovviamente in tutta Italia, ma in particolare
nelle zone del Nord tra Bologna e Mutilano; a questo signore è stata notificata
una cartella delle tasse dall’Agenzia delle Entrate di 200/mila euro (se paga
subito 70/mila a forfait).
Come ha fatto lo Stato a identificare i
guadagni del nostro “escort”? Semplicemente si è limitato a “presumerli” da
tutta una serie di parametri che vanno dai versamenti in banca ai locali
frequentati, insomma, dal tenore di vita, dato che il nostro Mario non figura in nessun
comparto produttivo.
Avrebbe potuto mettersi in regola comparendo
come “massaggiatore” e avendo prestazioni occasionali, ma dato che lui non ha
questa “qualifica”, risulta a tutti gli effetti senza un lavoro e non denuncia
quasi nulla.
Primo commento di Mario: “se lo Stato prende
una parte dei proventi del mio lavoro, allora è sfruttamento della
prostituzione” e partendo da questa affermazione chiarisce che uno Stato che
chiede le tasse a un escort ma non mette
in regola chi pratica questo mestiere, è ipocrita, o meglio, non trovo alcuna
differenza con un “magnaccia”.
Ma spostiamo il problema su “le” escort, cioè
le donne che praticano lo stesso lavoro del nostro Mario; queste signore o
signorine, pagano le tasse? Sembra proprio di sì, con la differenza che si
nascondono e quindi accettano di pagare mentendo su quello che fanno e stanno
zitte per vergogna e per non essere additate per quello che sono (una
prostituta).
Oppure, un altro scamotto che le escort
mettono in atto è quello di portare tutti i propri averi all’estero – sia gli
introiti che gli utilizzi – e con questo sistema lo Stato perde un sacco di
soldi; se invece sei un uomo, non hai nessuna vergogna a dire la verità sul tuo
lavoro - anzi ne vai fiero - e dire che
sei un accompagnatore a pagamento e quindi se lo Stato vuole parte dei tuoi
introiti deve darti in cambio quelle tutele sul lavoro che vengono date agli
altri cittadini.
Se a Mario si propone la riapertura delle
case di tolleranza e la conseguente abolizione della Legge Merlin (c’è una
raccolta di firme per un referendum che chiede l’abrogazione della legge), egli
– da esperto – afferma che al giorno d’oggi non avrebbero senso, però ci
vorrebbe un’assicurazione sulle e sugli escort, un sindacato, insomma essere
messi in regola come qualsiasi prestatore di servizi.
E allora aspettiamo il prossimo sciopero
degli e delle escort!! Chiaro il concetto??