sabato, aprile 03, 2010
STRANE REAZIONI ALLA CRISI
La tremenda crisi finanziaria ed economica che ha messo in difficoltà moltissime aziende e dipendenti, ci mostra alcuni atteggiamenti che non possono altro che sorprenderci: il primo è della Chiesa, dove assistiamo a dei gesti – per ora simbolici ma poi chissà…- che ci mostrano un desiderio di donare alle persone che soffrono.
È il caso di un Vescovo della mia regione che, durante la messa crismale (quella in cui viene benedetto l’olio santo) ha donato ai poveri della Diocesi tre suoi gioielli: erano cose che il prelato custodiva da tempo e che facevano parte del suo corredo privato e si tratta precisamente di un Rolex, di un anello in platino e di una preziosa croce.
Il Vescovo ha indossato i tre oggetti durante la messa e – a metà della celebrazione – li ha deposti su un vassoio dicendo, “anche qui la povertà sta crescendo e in molte case non c’è neppure il cibo sufficiente per sfamarsi, per questo penso che possiamo tutti spogliarci del superfluo per venire incontro alle urgenze del territorio”.
Alcuni giornali hanno paragonato il gesto a quello che fece Francesco d’Assisi il quale si spogliò di tutti i suoi beni per diventare “povero tra i poveri”; con tutto il rispetto per il Vescovo “donatore”, mi sembra che il paragone non regga assolutamente, in quanto il futuro San Francesco “si spogliò di tutto” e non di una parte (che viene definita “superflua”) delle cose di sua proprietà.
Se vogliamo rimanere nel campo delle “donazioni” mi corre l’obbligo di ricordare ai miei lettori un film che ho già avuto modo di citare in passato, “L’uomo venuto dal Cremlino”, in cui il Papa cinematografico, dopo una accesa discussione con i suoi altissimi collaboratori, si affaccia alla famosa finestra su Piazza San Pietro e annuncia al mondo intero che “la Chiesa venderà tutte le sue proprietà, palazzi, quadri, statue, gioielli, per donarle ai poveri, anche se questo la porterà a mendicare per sopravvivere”; è solo un film, ma che bella figura di Papa….
Certo che questa crisi provoca anche altri strani episodi: pensate che a Palermo la Polizia ha scoperto che a portare i soldi in casa erano le mogli, in quanto i mariti, disoccupati, rimanevano in casa e badavano ai bambini.
Ed è così che le due donne – 28 e 35 anni – si sono improvvisate “escort” ed hanno messo in piedi l’attività più vecchia del mondo, con tariffe dai 100 ai 150 euro per ogni prestazione, denaro che – guarda caso – veniva intascate dai due mariti.
I quattro “disperati” avevano organizzato le cose talmente bene che ci sono voluti mesi di intercettazioni per scoprire che erano proprio i mariti a gestire le operazioni ed a condurre le donne sui luoghi prefissati, controllando che tutto filasse liscio.
Non appena arrestati dalle forze dell’ordine, le due coppie si sono un po’ sfaldate: le donne hanno cercato di difendere l’operato proprio e quello dei mariti, mentre i coniugi sono stati più cauti nelle loro affermazioni.
Comunque tutti e quattro hanno fatto riferimento alla crisi, imputandole il comportamento delle due coppie: in sostanza è stato detto che se la crisi non avesse tolto il lavoro ai due mariti, non ci sarebbe stato nessun bisogno di indurre le due donne a prostituirsi. La qual cosa può essere vera oppure può essere una banale scusa per guadagnare “facilmente” quello che non avrebbero potuto incassare con il loro lavoro; non è facile scoprire se i due mariti avrebbero potuto cercare con più impegno un nuovo lavoro o se la cosa, in Sicilia, è così difficile da portarli a comportarsi da papponi: comunque, prima o poi si troveranno davanti ad uno specchio e dovranno guardarsi “dentro” e vedranno la verità! Chiaro il concetto?
È il caso di un Vescovo della mia regione che, durante la messa crismale (quella in cui viene benedetto l’olio santo) ha donato ai poveri della Diocesi tre suoi gioielli: erano cose che il prelato custodiva da tempo e che facevano parte del suo corredo privato e si tratta precisamente di un Rolex, di un anello in platino e di una preziosa croce.
Il Vescovo ha indossato i tre oggetti durante la messa e – a metà della celebrazione – li ha deposti su un vassoio dicendo, “anche qui la povertà sta crescendo e in molte case non c’è neppure il cibo sufficiente per sfamarsi, per questo penso che possiamo tutti spogliarci del superfluo per venire incontro alle urgenze del territorio”.
Alcuni giornali hanno paragonato il gesto a quello che fece Francesco d’Assisi il quale si spogliò di tutti i suoi beni per diventare “povero tra i poveri”; con tutto il rispetto per il Vescovo “donatore”, mi sembra che il paragone non regga assolutamente, in quanto il futuro San Francesco “si spogliò di tutto” e non di una parte (che viene definita “superflua”) delle cose di sua proprietà.
Se vogliamo rimanere nel campo delle “donazioni” mi corre l’obbligo di ricordare ai miei lettori un film che ho già avuto modo di citare in passato, “L’uomo venuto dal Cremlino”, in cui il Papa cinematografico, dopo una accesa discussione con i suoi altissimi collaboratori, si affaccia alla famosa finestra su Piazza San Pietro e annuncia al mondo intero che “la Chiesa venderà tutte le sue proprietà, palazzi, quadri, statue, gioielli, per donarle ai poveri, anche se questo la porterà a mendicare per sopravvivere”; è solo un film, ma che bella figura di Papa….
Certo che questa crisi provoca anche altri strani episodi: pensate che a Palermo la Polizia ha scoperto che a portare i soldi in casa erano le mogli, in quanto i mariti, disoccupati, rimanevano in casa e badavano ai bambini.
Ed è così che le due donne – 28 e 35 anni – si sono improvvisate “escort” ed hanno messo in piedi l’attività più vecchia del mondo, con tariffe dai 100 ai 150 euro per ogni prestazione, denaro che – guarda caso – veniva intascate dai due mariti.
I quattro “disperati” avevano organizzato le cose talmente bene che ci sono voluti mesi di intercettazioni per scoprire che erano proprio i mariti a gestire le operazioni ed a condurre le donne sui luoghi prefissati, controllando che tutto filasse liscio.
Non appena arrestati dalle forze dell’ordine, le due coppie si sono un po’ sfaldate: le donne hanno cercato di difendere l’operato proprio e quello dei mariti, mentre i coniugi sono stati più cauti nelle loro affermazioni.
Comunque tutti e quattro hanno fatto riferimento alla crisi, imputandole il comportamento delle due coppie: in sostanza è stato detto che se la crisi non avesse tolto il lavoro ai due mariti, non ci sarebbe stato nessun bisogno di indurre le due donne a prostituirsi. La qual cosa può essere vera oppure può essere una banale scusa per guadagnare “facilmente” quello che non avrebbero potuto incassare con il loro lavoro; non è facile scoprire se i due mariti avrebbero potuto cercare con più impegno un nuovo lavoro o se la cosa, in Sicilia, è così difficile da portarli a comportarsi da papponi: comunque, prima o poi si troveranno davanti ad uno specchio e dovranno guardarsi “dentro” e vedranno la verità! Chiaro il concetto?
venerdì, aprile 02, 2010
IL NO DI NAPOLITANO
Questa volta il Presidente non ha abbozzato e non ha neppure svolto la solita “moral suasion”, che significa dire le cose a tizio perché le riferisca a caio; questa volta il Presidente ha preso carta e penna ed ha rinviato il DDL sul lavoro alle Camere con la motivazione che contiene molte cose non chiare e che comunque non lo convincono.
Da notare che alcune settimane fa, il quotidiano “La repubblica” pubblicò la notizia che il Presidente non ne voleva sapere di quel dispositivo che riforma i rapporti di lavoro annullando di fatto l’art.18 dello Statuto dei lavoratori; il Quirinale smentì bruscamente e nettamente queste indiscrezioni ma evidentemente il quotidiano aveva ragione, solo che Napolitano – con squisito senso di ”super partes” – non aveva voluto che questa sua decisione incidesse sul risultato elettorale.
Ed ora, finite le elezioni, indicati i vincitori e i vinti, si è deciso ed ha mandato la lettera di cui sopra ho fatto cenno, nella quale, pur apprezzando l’intento riformatore del Governo, rileva la presenza di “troppe eterogeneità ed evidenti incostituzionalità, nonché scarse garanzie per i lavoratori”.
Il Presidente del Consiglio non si è ancora pronunciato – almeno a quanto ho avuto modo di leggere – ma in sua vece lo ha fatto il competente Ministro del Lavoro che, per fortuna, ha ammesso che il provvedimento aveva alcune lacune e che “terremo conto di quanto rilevato dal Quirinale e proporremo alcune modifiche che mantengano in ogni caso l’istituto che lo stesso Presidente della Repubblica ha apprezzato” (l’arbitrato).
Dire che il Governo ha fatto una bella figura è come bestemmiare il nome di Dio; dire che se lo dovevano aspettare è dire la consueta banalità; evidentemente si pensava che anche questa volta il Presidente della Repubblica si limitasse a qualche reprimenda sotto banco, ma il tema del lavoro rappresenta un qualcosa che nessuno, tanto meno l’inquilino del Quirinale, può disattendere.
Non ci dimentichiamo che il nostro Paese, pur in posizione molto migliore dei nostri partners europei, ha raggiunto a febbraio un tasso di disoccupazione dell’8,5%, in aumento – sia pure lievissimo – dello 0,1% rispetto al mese precedente.
Il tasso che da noi è dell’8,5%, in Spagna è al 19%, in Francia è sopra il 10% e in Germania è al 7,5%; tutti questi valori compongono una media ponderata dei Paesi UE del 9,6%, ben al di sopra del nostro valore, ma questo pannicello caldo non ci deve indurre a fermarsi e riscaldarsi con questo pseudo traguardo raggiunto; diciamoci la verità, sono tante, troppe le aziende che chiudono e mettono i propri operai in mezzo ad una strada, quindi il Governo ha l’obbligo di fare qualcosa.
Io che sono l’uomo dalle idee bislacche, ne sforno adesso un’altra nuovissima in merito al problema del lavoro: cosa ne pensate se il Ministero dell’Economia inviasse una bella circolare a tutti i Comandi Regionali e Provinciali della Guardia di Finanza, invitandoli a disporre una visita ispettiva nei confronti di quelle aziende che hanno licenziato un’alta percentuale dei loro lavoratori; e se l’azienda ha chiuso e messo tutti sul lastrico, si faccia irruzione e si sequestri i libri contabili.
Purtroppo ho la netta sensazione, anzi qualcosa di più di una sensazione, che se queste aziende venissero scrupolosamente ispezionate dai finanzieri, si verrebbero a scoprire tante, ma tante magagne del tipo di capitali inviati all’estero e cose di questo genere; il tutto, ovviamente alla faccia dei cassaintegrati o, peggio ancora, dei licenziati e basta. È un’idea, solo un’idea bislacca, ma credo che l’automatismo “licenziamento – ispezione” possa essere uno splendido deterrente. Chiaro il concetto?
Da notare che alcune settimane fa, il quotidiano “La repubblica” pubblicò la notizia che il Presidente non ne voleva sapere di quel dispositivo che riforma i rapporti di lavoro annullando di fatto l’art.18 dello Statuto dei lavoratori; il Quirinale smentì bruscamente e nettamente queste indiscrezioni ma evidentemente il quotidiano aveva ragione, solo che Napolitano – con squisito senso di ”super partes” – non aveva voluto che questa sua decisione incidesse sul risultato elettorale.
Ed ora, finite le elezioni, indicati i vincitori e i vinti, si è deciso ed ha mandato la lettera di cui sopra ho fatto cenno, nella quale, pur apprezzando l’intento riformatore del Governo, rileva la presenza di “troppe eterogeneità ed evidenti incostituzionalità, nonché scarse garanzie per i lavoratori”.
Il Presidente del Consiglio non si è ancora pronunciato – almeno a quanto ho avuto modo di leggere – ma in sua vece lo ha fatto il competente Ministro del Lavoro che, per fortuna, ha ammesso che il provvedimento aveva alcune lacune e che “terremo conto di quanto rilevato dal Quirinale e proporremo alcune modifiche che mantengano in ogni caso l’istituto che lo stesso Presidente della Repubblica ha apprezzato” (l’arbitrato).
Dire che il Governo ha fatto una bella figura è come bestemmiare il nome di Dio; dire che se lo dovevano aspettare è dire la consueta banalità; evidentemente si pensava che anche questa volta il Presidente della Repubblica si limitasse a qualche reprimenda sotto banco, ma il tema del lavoro rappresenta un qualcosa che nessuno, tanto meno l’inquilino del Quirinale, può disattendere.
Non ci dimentichiamo che il nostro Paese, pur in posizione molto migliore dei nostri partners europei, ha raggiunto a febbraio un tasso di disoccupazione dell’8,5%, in aumento – sia pure lievissimo – dello 0,1% rispetto al mese precedente.
Il tasso che da noi è dell’8,5%, in Spagna è al 19%, in Francia è sopra il 10% e in Germania è al 7,5%; tutti questi valori compongono una media ponderata dei Paesi UE del 9,6%, ben al di sopra del nostro valore, ma questo pannicello caldo non ci deve indurre a fermarsi e riscaldarsi con questo pseudo traguardo raggiunto; diciamoci la verità, sono tante, troppe le aziende che chiudono e mettono i propri operai in mezzo ad una strada, quindi il Governo ha l’obbligo di fare qualcosa.
Io che sono l’uomo dalle idee bislacche, ne sforno adesso un’altra nuovissima in merito al problema del lavoro: cosa ne pensate se il Ministero dell’Economia inviasse una bella circolare a tutti i Comandi Regionali e Provinciali della Guardia di Finanza, invitandoli a disporre una visita ispettiva nei confronti di quelle aziende che hanno licenziato un’alta percentuale dei loro lavoratori; e se l’azienda ha chiuso e messo tutti sul lastrico, si faccia irruzione e si sequestri i libri contabili.
Purtroppo ho la netta sensazione, anzi qualcosa di più di una sensazione, che se queste aziende venissero scrupolosamente ispezionate dai finanzieri, si verrebbero a scoprire tante, ma tante magagne del tipo di capitali inviati all’estero e cose di questo genere; il tutto, ovviamente alla faccia dei cassaintegrati o, peggio ancora, dei licenziati e basta. È un’idea, solo un’idea bislacca, ma credo che l’automatismo “licenziamento – ispezione” possa essere uno splendido deterrente. Chiaro il concetto?
mercoledì, marzo 31, 2010
TORNIAMO A PARLARE DELLA CINA
Ci dicono gli storici che all’epoca in cui Cristoforo Colombo scoprì l’America, l’Asia contava per circa due terzi del prodotto interno lordo del mondo intero; invece, allo scoppio della seconda guerra mondiale – attorno al 1935/1940 - questa percentuale era scesa intorno al 17% e, per questo, la crescita prepotente dei ritmi cinesi dal secolo scorso fino ai giorni nostri: debbono recuperare il tempo perduto.
È sull’onda di questo breve accenno all’andamento dell’economia cinese, che parlo del più recente successo degli amici con gli occhi a mandorla: l’acquisizione della Volvo, storica casa automobilistica svedese, per la somma di 1.8 miliardi di dollari da parte del costruttore cinese Geely.
Ma il bello deve ancora venire; come pagherà quella somma l’azienda cinese? In un modo che mi è sembrato assai singolare: 800 milioni di dollari verranno prestati dalla Banca Europea degli Investimenti e altri 500 milioni dai governi di Svezia e Belgio (entrambe le nazioni ospitano gli impianti Volvo); il rimanente per saldare l’acquisizione verrà effettuato con “impegni a pagare”, cioè – per dirla in parole povere – “ a debito”.
Da notare che la casa automobilistica svedese – che ha 20mila dipendenti, 14mila dei quali all’estero – continuerà ad avere il management a Goteborg, anche se la Geely conta di realizzare una fabbrica anche in Cina.
È interessante notare che il rapporto tra il fatturato e l’importo dell’acquisizione è fortemente squilibrato: la Volvo infatti fattura poco meno di un quinto della cifra sborsata per la sua acquisizione, quindi c’è da chiedersi dove stia la convenienza dei cinesi: forse è semplicemente l’acquisizione di tecnologia o c’è qualcos’altro?
Certo è che la Cina continua a correre a tassi di sviluppo a doppia cifra anche quando l’occidente piomba in recessione e fatica non poco ad uscirne; il problema – che per noi tutti è considerato “usurpazione” – è invece una sorta di riequilibrio storico delle ricchezze e in questo obiettivo sta la forza della Cina.
Prendiamo per esempio gli ultimi dati dell’export cinese: a febbraio è cresciuto di ben il 45% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; ma possiamo aggiungere che lo stesso comparto mostra un dato ancora più significativo: dal 1998 al 2008, l’export è cresciuto con una media del 23% l’anno, cifre mostruose se riportate anche alla migliore nazione occidentale.
E c’è da aggiungere che anche l’import – nello stesso periodo – è cresciuto del 7% l’anno, cioè più di una qualsiasi altra grande economia mondiale salvo, di poco l’India.
Con queste cifre di sviluppo e vista la grande capacità di reazione alla crisi globale, ovviamente la Cina sarà chiamata da subito ad assumersi maggiori responsabilità e non è difficile immaginare che al prossimo G7, i governanti di tutti i Paesi faranno a gara per scodinzolare attorno al premier cinese.
Ed è altrettanto logico prevedere che tutti si impegneranno per spiegare ai responsabili di Pechino che è il momento di rivalutare lo Juan, sia per contenere i rischi interni d’inflazione che per aumentare il potere d’acquisto di prodotti occidentali da parte dei nuovi ceti medi cinesi; non è scritto da nessuna parte, specie nei testi cinesi, che i governanti occidentali abbiano qualcosa da insegnare ai cinesi, specie se guardiamo bene quello che è stato combinato prima, durante e dopo l’avvento della crisi finanziaria: si è vista tanta confusione, tanto pressappochismo e molto servilismo nei confronti dei veri colpevoli della crisi: gli speculatori selvaggi che hanno mirato soltanto ad un loro arricchimento, in barba ad ogni considerazione sociale ed economica.
È sull’onda di questo breve accenno all’andamento dell’economia cinese, che parlo del più recente successo degli amici con gli occhi a mandorla: l’acquisizione della Volvo, storica casa automobilistica svedese, per la somma di 1.8 miliardi di dollari da parte del costruttore cinese Geely.
Ma il bello deve ancora venire; come pagherà quella somma l’azienda cinese? In un modo che mi è sembrato assai singolare: 800 milioni di dollari verranno prestati dalla Banca Europea degli Investimenti e altri 500 milioni dai governi di Svezia e Belgio (entrambe le nazioni ospitano gli impianti Volvo); il rimanente per saldare l’acquisizione verrà effettuato con “impegni a pagare”, cioè – per dirla in parole povere – “ a debito”.
Da notare che la casa automobilistica svedese – che ha 20mila dipendenti, 14mila dei quali all’estero – continuerà ad avere il management a Goteborg, anche se la Geely conta di realizzare una fabbrica anche in Cina.
È interessante notare che il rapporto tra il fatturato e l’importo dell’acquisizione è fortemente squilibrato: la Volvo infatti fattura poco meno di un quinto della cifra sborsata per la sua acquisizione, quindi c’è da chiedersi dove stia la convenienza dei cinesi: forse è semplicemente l’acquisizione di tecnologia o c’è qualcos’altro?
Certo è che la Cina continua a correre a tassi di sviluppo a doppia cifra anche quando l’occidente piomba in recessione e fatica non poco ad uscirne; il problema – che per noi tutti è considerato “usurpazione” – è invece una sorta di riequilibrio storico delle ricchezze e in questo obiettivo sta la forza della Cina.
Prendiamo per esempio gli ultimi dati dell’export cinese: a febbraio è cresciuto di ben il 45% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; ma possiamo aggiungere che lo stesso comparto mostra un dato ancora più significativo: dal 1998 al 2008, l’export è cresciuto con una media del 23% l’anno, cifre mostruose se riportate anche alla migliore nazione occidentale.
E c’è da aggiungere che anche l’import – nello stesso periodo – è cresciuto del 7% l’anno, cioè più di una qualsiasi altra grande economia mondiale salvo, di poco l’India.
Con queste cifre di sviluppo e vista la grande capacità di reazione alla crisi globale, ovviamente la Cina sarà chiamata da subito ad assumersi maggiori responsabilità e non è difficile immaginare che al prossimo G7, i governanti di tutti i Paesi faranno a gara per scodinzolare attorno al premier cinese.
Ed è altrettanto logico prevedere che tutti si impegneranno per spiegare ai responsabili di Pechino che è il momento di rivalutare lo Juan, sia per contenere i rischi interni d’inflazione che per aumentare il potere d’acquisto di prodotti occidentali da parte dei nuovi ceti medi cinesi; non è scritto da nessuna parte, specie nei testi cinesi, che i governanti occidentali abbiano qualcosa da insegnare ai cinesi, specie se guardiamo bene quello che è stato combinato prima, durante e dopo l’avvento della crisi finanziaria: si è vista tanta confusione, tanto pressappochismo e molto servilismo nei confronti dei veri colpevoli della crisi: gli speculatori selvaggi che hanno mirato soltanto ad un loro arricchimento, in barba ad ogni considerazione sociale ed economica.
martedì, marzo 30, 2010
QUALCHE COMMENTO SULLE ELEZIONI
Anzitutto il risultato: è indubbio che la coalizione di centro-sinistra ha perduto 4 regioni che, fino ad ieri, governava: queste sono il Piemonte, il Lazio, la Campania e la Calabria; imputare questi ribaltoni a situazioni locali è possibile ma difficilmente sostenibile; a questo proposito c’è da notare che la buona risuscita della Lista di Beppe Grillo, ha tolto voti alla sinistra (in particolare in Piemonte), a dimostrazione della bontà dell’affermazione di Togliatti che “non voleva nessuno alla sua sinistra”.
Nella realtà, le polemiche che hanno preceduto le elezioni, le forti ingerenze delle Procure che hanno costretto anche il Presidente della Repubblica a richiamare tutti alla calma ed al buon senso, sono stati il brodo di coltura nel quale si è potuto “inventare” il referendum pro o contro l’attività del governo, situazione ideale che ha consentito a Berlusconi di entrare a vele spiegate nella competizione elettorale, facendo valere il proprio indiscutibile carisma personale, aggiunto al potere mediatico.
Ma sui risultati mi fermo qui; mi interessa ora parlare dell’assenteismo che è stato presentato come “colpa” per alcuni insuccessi: anzitutto il risultato dei votanti in questa elezione (63,6%) è di poco inferiore al 65,9 delle europee dello scorso anno (-2,3%); poi, chi paragona questo risultato con quello addirittura del 2005, quando votò il 71,4%, confronta due ere storiche, dato che cinque anni in politica sono una enormità.
Quindi, il dato è in linea con quello presumibile, ed anzi è sicuramente superiore a quello che viene registrato nelle maggiori democrazie occidentali, dove si elegge un Presidente con meno del 50% degli aventi diritto al voto.
I commentatori e gli uomini politici stanno facendo a gara per individuare le motivazioni che hanno determinato questo assenteismo alle urne: si va dalla nausea che ha preso molti italiani per l’asfissiante liturgia mediatica delle risse di “tutti contro tutti”, per passare all’ingerenza dei veleni giudiziari, per giungere al grossolano strumento dell’intimidazione a mezzo pacco postale (vero o falso che sia!
Io che non sono un commentatore politico e tanto meno un uomo politico, mi permetto di scherzarci sopra e indicare tre cause della non presenza ai seggi elettorali; la prima potrebbe essere colpa del Gps: gli italiani, infatti, si stanno talmente abituando ad essere “orientati” dal navigatore satellitare che il giorno delle elezioni, non avendo portato lo strumento, non sono riusciti a trovare i seggi a lume di naso.
Il secondo motivo potrebbe essere di natura religiosa: poiché siamo stati chiamati alle urne in piena quaresima, magari in tanti sono sotto digiuno e astinenza, circostanze che non hanno consentito a tanti di uscire di casa per recarsi a fare il proprio dovere.
Il terzo motivo è quello che mi intriga di più: la sera precedente alle votazioni, in molti hanno incontrato – in discoteca, al cinema, al pub o in altri luoghi del genere – la propria anima gemella e con lei hanno trascorso la notte di sabato e l’intera giornata di domenica, impegnati in ben altre “attività” che non siano state quelle di voto che, anzi, non sono state neppure rammentate per un istante; poi, il lunedì mattina, ancora stanchi ma soddisfatti per le performance esibite, si sono diretti al lavoro, senza ricordare l’impegno elettorale; sia chiaro che questa ipotesi vale sia per gli uomini che per le donne. Sono aperte le votazioni per vedere quale delle tre ipotesi è privilegiata dai miei lettori; potrei aggiungerne un’altra – fuori concorso – e cioè quella di tante persone che prevedono di andarsene a brevissimo tempo dall’Italia, per varie ragioni che non sto qui ad elencare, e che quindi non sono interessati all’andamento del voto, ritenendo che loro vita non ne sarà influenzata: beati loro!!
Nella realtà, le polemiche che hanno preceduto le elezioni, le forti ingerenze delle Procure che hanno costretto anche il Presidente della Repubblica a richiamare tutti alla calma ed al buon senso, sono stati il brodo di coltura nel quale si è potuto “inventare” il referendum pro o contro l’attività del governo, situazione ideale che ha consentito a Berlusconi di entrare a vele spiegate nella competizione elettorale, facendo valere il proprio indiscutibile carisma personale, aggiunto al potere mediatico.
Ma sui risultati mi fermo qui; mi interessa ora parlare dell’assenteismo che è stato presentato come “colpa” per alcuni insuccessi: anzitutto il risultato dei votanti in questa elezione (63,6%) è di poco inferiore al 65,9 delle europee dello scorso anno (-2,3%); poi, chi paragona questo risultato con quello addirittura del 2005, quando votò il 71,4%, confronta due ere storiche, dato che cinque anni in politica sono una enormità.
Quindi, il dato è in linea con quello presumibile, ed anzi è sicuramente superiore a quello che viene registrato nelle maggiori democrazie occidentali, dove si elegge un Presidente con meno del 50% degli aventi diritto al voto.
I commentatori e gli uomini politici stanno facendo a gara per individuare le motivazioni che hanno determinato questo assenteismo alle urne: si va dalla nausea che ha preso molti italiani per l’asfissiante liturgia mediatica delle risse di “tutti contro tutti”, per passare all’ingerenza dei veleni giudiziari, per giungere al grossolano strumento dell’intimidazione a mezzo pacco postale (vero o falso che sia!
Io che non sono un commentatore politico e tanto meno un uomo politico, mi permetto di scherzarci sopra e indicare tre cause della non presenza ai seggi elettorali; la prima potrebbe essere colpa del Gps: gli italiani, infatti, si stanno talmente abituando ad essere “orientati” dal navigatore satellitare che il giorno delle elezioni, non avendo portato lo strumento, non sono riusciti a trovare i seggi a lume di naso.
Il secondo motivo potrebbe essere di natura religiosa: poiché siamo stati chiamati alle urne in piena quaresima, magari in tanti sono sotto digiuno e astinenza, circostanze che non hanno consentito a tanti di uscire di casa per recarsi a fare il proprio dovere.
Il terzo motivo è quello che mi intriga di più: la sera precedente alle votazioni, in molti hanno incontrato – in discoteca, al cinema, al pub o in altri luoghi del genere – la propria anima gemella e con lei hanno trascorso la notte di sabato e l’intera giornata di domenica, impegnati in ben altre “attività” che non siano state quelle di voto che, anzi, non sono state neppure rammentate per un istante; poi, il lunedì mattina, ancora stanchi ma soddisfatti per le performance esibite, si sono diretti al lavoro, senza ricordare l’impegno elettorale; sia chiaro che questa ipotesi vale sia per gli uomini che per le donne. Sono aperte le votazioni per vedere quale delle tre ipotesi è privilegiata dai miei lettori; potrei aggiungerne un’altra – fuori concorso – e cioè quella di tante persone che prevedono di andarsene a brevissimo tempo dall’Italia, per varie ragioni che non sto qui ad elencare, e che quindi non sono interessati all’andamento del voto, ritenendo che loro vita non ne sarà influenzata: beati loro!!
lunedì, marzo 29, 2010
STORIE DI COPPIE
Sono due le storie – completamente dissimili l’una dall’altra – che concernono in qualche modo il sistema “coppia” e che hanno fatto parlare di loro in questi ultimi tempi; vediamole insieme e commentiamole con la consueta bonomia.
La prima storia di riferisce ad una coppia “celebre” che ha fatto molto parlare di se nel tardo autunno del 2009: protagonisti sono una donna nata uomo, Sandra Alvino e un uomo nato uomo, Fortunato Calotta.
I due si giurarono eterno amore davanti allo Stato, cioè al Comune, nel 1983, ma l’unione rimase, come dire, zoppa, in quanto mancava la benedizione di Dio per renderla completa; nell’ottobre 2009, il noto Don Santoro (forse sarà il cognome che porta a strafare) nonostante la diffida formale del suo Vescovo, celebra le nozze in Chiesa e, mentre i due si avviano a compiere un lungo percorso d’amore insieme, il sacerdote viene allontanato dalla propria parrocchia e mandato in “esilio” presso una Pieve sperduta tra i monti del Casentino.
Non sono passati neppure sei mesi e la coppia – in linea, anzi addirittura più “brava”, di quanto avviene per i matrimonio “normali” - sorprende tutti e prende la decisione di separarsi, rinunciando vicendevolmente al mantenimento ed agli alimenti.
A motivazione della clamorosa decisione, i due ex coniugi hanno fatto sapere che tutto deriva da un loro grave stato di disagio che discende dal “sentirsi continuamente dileggiati e presi in giro dalle istituzioni, dalla polizia, dai media e dalla gente comune”.
Ma, fatta questa premessa, i due affermano che – fermo restando il bene che rimane tra loro – hanno deciso di dire basta e di separarsi.
Ora, mi chiedo e vi chiedo se trovate logica la “spiegazione” che i due ex coniugi ci forniscono; a me, analizzando la cosa obiettivamente, mi sembra che i motivi addotti dalla coppia, siano assai “risibili”, in quanto starebbero a indicare che una piccola pressione dei media (i due non sono Clooney e la Canalis) è in grado di condizionare il futuro di due persone – non più giovanissime (siamo attorno ai 60) – fino a portare la relazione alla rottura, anche se entrambi ammettono che esiste ancora un legame sentimentale tra loro; forse sarebbe stato meglio se avessero ricercato le motivazioni “all’interno” della coppia e non dare la colpa “all’esterno”, cioè alle istituzioni, alla gente ed ai media: entrambi sapevano benissimo che sarebbero andati incontro ad una certa pressione e quindi tale condizione era da mettere in preventivo quando i due hanno iniziato la loro avventura.
Mentre la prima coppia era formata da due “nati uomo”, la seconda è composta da due “nate donna”: si tratta di due brasiliane (Ruby e Anna) che, a caccia di fortuna, lasciano il loro paese e si trasferiscono in Spagna, la prima a Barcellona e la seconda a Bilbao; il loro mestiere – quello più antico del mondo – si concretizza in prestazioni sessuali che sono “quotate” 100 euro per un’ora d’amore.
Pur non arricchendosi, le due ragazze procedono nella loro attività, sennonché la crisi che attanaglia la Spagna prende di mira anche il mercato del sesso; ecco allora che entrambe decidono di tentare il salto in Italia e qui scoprono che da noi per guadagnare 100 euro basta la “normale prestazione sessuale” ; insomma non c’è bisogno di stare un’ora con il cliente, a tutto beneficio degli introiti complessivi delle due fanciulle: peccato che l’intervento della Polizia abbia interrotto il lucroso mestiere e che le due brasiliane, unitamente ad una donna che organizzava l’attività e si prendeva il 50%, sono state denunciate; non c’è pace per le coppie!!
La prima storia di riferisce ad una coppia “celebre” che ha fatto molto parlare di se nel tardo autunno del 2009: protagonisti sono una donna nata uomo, Sandra Alvino e un uomo nato uomo, Fortunato Calotta.
I due si giurarono eterno amore davanti allo Stato, cioè al Comune, nel 1983, ma l’unione rimase, come dire, zoppa, in quanto mancava la benedizione di Dio per renderla completa; nell’ottobre 2009, il noto Don Santoro (forse sarà il cognome che porta a strafare) nonostante la diffida formale del suo Vescovo, celebra le nozze in Chiesa e, mentre i due si avviano a compiere un lungo percorso d’amore insieme, il sacerdote viene allontanato dalla propria parrocchia e mandato in “esilio” presso una Pieve sperduta tra i monti del Casentino.
Non sono passati neppure sei mesi e la coppia – in linea, anzi addirittura più “brava”, di quanto avviene per i matrimonio “normali” - sorprende tutti e prende la decisione di separarsi, rinunciando vicendevolmente al mantenimento ed agli alimenti.
A motivazione della clamorosa decisione, i due ex coniugi hanno fatto sapere che tutto deriva da un loro grave stato di disagio che discende dal “sentirsi continuamente dileggiati e presi in giro dalle istituzioni, dalla polizia, dai media e dalla gente comune”.
Ma, fatta questa premessa, i due affermano che – fermo restando il bene che rimane tra loro – hanno deciso di dire basta e di separarsi.
Ora, mi chiedo e vi chiedo se trovate logica la “spiegazione” che i due ex coniugi ci forniscono; a me, analizzando la cosa obiettivamente, mi sembra che i motivi addotti dalla coppia, siano assai “risibili”, in quanto starebbero a indicare che una piccola pressione dei media (i due non sono Clooney e la Canalis) è in grado di condizionare il futuro di due persone – non più giovanissime (siamo attorno ai 60) – fino a portare la relazione alla rottura, anche se entrambi ammettono che esiste ancora un legame sentimentale tra loro; forse sarebbe stato meglio se avessero ricercato le motivazioni “all’interno” della coppia e non dare la colpa “all’esterno”, cioè alle istituzioni, alla gente ed ai media: entrambi sapevano benissimo che sarebbero andati incontro ad una certa pressione e quindi tale condizione era da mettere in preventivo quando i due hanno iniziato la loro avventura.
Mentre la prima coppia era formata da due “nati uomo”, la seconda è composta da due “nate donna”: si tratta di due brasiliane (Ruby e Anna) che, a caccia di fortuna, lasciano il loro paese e si trasferiscono in Spagna, la prima a Barcellona e la seconda a Bilbao; il loro mestiere – quello più antico del mondo – si concretizza in prestazioni sessuali che sono “quotate” 100 euro per un’ora d’amore.
Pur non arricchendosi, le due ragazze procedono nella loro attività, sennonché la crisi che attanaglia la Spagna prende di mira anche il mercato del sesso; ecco allora che entrambe decidono di tentare il salto in Italia e qui scoprono che da noi per guadagnare 100 euro basta la “normale prestazione sessuale” ; insomma non c’è bisogno di stare un’ora con il cliente, a tutto beneficio degli introiti complessivi delle due fanciulle: peccato che l’intervento della Polizia abbia interrotto il lucroso mestiere e che le due brasiliane, unitamente ad una donna che organizzava l’attività e si prendeva il 50%, sono state denunciate; non c’è pace per le coppie!!