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sabato, aprile 10, 2004

"Passion", gli ebrei e Arafat 

Credevo proprio che alla mia non più verde età, non sarebbe accaduto niente che mi avrebbe sorpreso così tanto; e invece….
Andiamo per ordine: l’ambito narrativo è il film “Passion” di Mel Gibson ( che io non ho visto) e le polemiche che hanno fatto seguito alla sua uscita nelle sale cinematografiche di tutto il mondo (adesso è uscito anche in Italia).
Tra le varie polemiche pro o contro la pellicola, mi è sembrato interessante leggere l’intervista che ha rilasciato a un quotidiano Amos Luzzato, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (insomma, un pezzo molto grosso), il quale dopo aver candidamente dichiarato di non aver visto il film in questione, si lancia contro il medesimo con un livore e una cattiveria degne di miglior causa.
Motivo dell’arrabbiatura del presidente è il supposto messaggio anti – ebrei che scaturisce dal film, addirittura considerato un fomentatore dell’odio razziale (antisemita, ovviamente.): Vi chiederete, come mi sono chiesto anche io: ma come fa a dirlo se non ha visto il film e le polemiche non pendono decisamente da una parte (mi sembra che ci siano tanti pro e altrettanti contro) anche in casa ebraica.
Ed ecco la risposta di Luzzato alla medesima perplessità del giornalista;domansa: come fa a dire che il film è anti ebraico se non l’ha ancora visto; risposta: “non l’ho visto e non credo che andrò a vederlo; però rilevo la sua anti ebraicità da due elementi: l’accoglienza positiva che il film ha avuto nel mondo e il giudizio che ne ha dato lo stesso Arafat: ha detto che è un film eccezionale e il suo è chiaramente un giudizio politico”.
Non ho nessuna intenzione di entrare nella polemica, non avendo visto il film ed essendo abituato a parlare solo di cose che conosco. Sulle affermazioni di Luzzato, mi sembra un modo se non altro inusuale di cogliere le caratteristiche di un messaggio come “Passion”: in pratica, viene usata una frase di Arafat per dire che se lui ha detto “è un grande film” allora vuol dure che è soltanto propaganda.
Mah, rimango perplesso!
A proposito, noi che ci figuravamo il bieco Arafat asserragliato tra le rovine del suo rifugio, con un mitra a portata di mano, continuamente bersagliato dai missili israeliani, e invece ce lo ritroviamo di fronte ad uno schermo a vedersi l’ultimo grido in fatto di cinematografia.
Ma dove l’ha visto? Ha una saletta privata dove ogni tanto – ripulita dai calcinacci dell’ultimo bombardamento – si proietta una pellicola per Arafat e la sua scorta? Oppure ha preso l’aereo e – in incognito, ovviamente – si è recato a Londra o a New York per vedere “Passion”.
Io sinceramente credevo che Arafat avesse ben altre cose di cui occuparsi, ben altre beghe che fare il critico cinematografico; evidentemente mi sbagliavo e quindi tutte le lacrime che sono state spese sulla vita grama e precaria del leader palestinese mi sembrano buttate via e le possiamo seppellire sotto una sequela di risate!


venerdì, aprile 09, 2004

Le figurine Panini 

Breve spiegazione prima di affrontare l’argomento che mi sta a cuore: gli album di figurine vengono messi in vendita (in genere dalla Panini) unitamente a una serie di bustine contenente ciascuna quattro o cinque figurine. E’ ovvio che in una raccolta, poniamo di 200 figurine, quando siamo verso la fine (le ultime 20) le probabilità di trovarne qualcuna di “mancante” nelle nuove bustine sono scarse (diciamo 1 ogni 20 o 25).
Ed eccoci alla mia esperienza diretta: con il mio nipotino ho messo in piedi una raccolta riferita a Koda (prende spunto dal film della Walt Disney e contiene oltre 200 figurine) ed io periodicamente gli porto una diecina di bustine (40 o 50 figurine) ed insieme ci divertiamo ad attaccarle.
Proprio ieri, con le nuove 10 bustine, abbiamo trovato soltanto 2 figurine mancanti nell’album, carente ancora di 20 soggetti.
Irritato, ho guardato con maggiore attenzione l’album ed ho scoperto che la Panini prevede (fino a 25 figurine) una richiesta “mirata” rivolta direttamente al produttore, ad un prezzo simile a quello dei normali rivenditori. Il tutto attraverso un sito Internet (molto ben realizzato) e con pagamento o con carta di credito o tramite c/c postale. L’ho fatto ed ora sto andando alla Posta per il bollettino di c/c.
Ma dove sta il problema, mi chiederete voi?
Il problema sta nel famoso “celo” o “manca” che quando ero ragazzo io, ma anche quando lo erano i miei figli, animava le ricerche con le figurine.
Perché dopo la scoperta di quelle che avevamo da attaccare (il “manca”), c’erano le altre (il “celo”) che entravano in una trattativa serrata e avvincente con gli amici a scuola o nel Parco Giochi.
Adesso questa seconda fase è scomparsa, ognuno si tiene le sue figurine e non c’è più il pacchetto di “doppioni” da portare a scuola per cercare gli scambi con i compagni.
Questo perché?
Senza scomodare i sociologi o gli psicologi dell’età evolutiva, possiamo tranquillamente affermare che le forme di comunicazione tra i ragazzi sono fortemente diminuite, stante l’imperiosità della televisione (da guardare da soli) su ogni altra attività.
E questo non mi piace, non credo che fare un album di figurine con l’interfaccia del produttore che via Internet ti fornisce le mancanti possa rappresentare quello che era per noi: una ricerca di rapportarsi con gli altri, un modo di presentarsi agli amici e di realizzare i primi “affarucci”.
Ma tant’è, cosi ormai è diventato il mondo e volerci andare contro e come tentare la scalata dell’Everest con le mani legate dietro la schiena. Affrontiamo quindi la realtà e cerchiamo di mitigarne il più possibile gli effetti.

giovedì, aprile 08, 2004

Tanto rumore per nulla 

Vi ricordate alcune settimane fa, tutto il bordello scoppiato sulle “licenze UEFA” quella forma di controllo al quale dovevano sottoporsi tutte le società calcistiche da parte dell’ente europeo che sovrintende al calcio professionistico per poter partecipare alle coppe europee.
Da ogni parte si levavano alti i lamenti di coloro che invocavano l’intervento del governo per spalmare in vari anni i debiti con il fisco per l’IRPEF, essendo questo uno dei parametri ai quali l’UEFA avrebbe fatto riferimento.
Le squadre più inguaiate risultavano essere le due romane (Roma e Lazio) e il Parma, le meno interessate le due milanesi (Milan e Inter) e la Juventus.
Ricorderete anche che uno dei presidenti “virtuosi” (Gazzoni, del Bologna) accenno addirittura ad una forma di doping amministrativo, così fu definito; “io pago le tasse e non mi posso permettere di comprare il campione, quelle invece che non le pagano, con i soldi risparmiati possono investire nei giocatori”, questo in breve il ragionamento.
La scadenza per mostrare la situazione delle squadre di A e B era il 31 marzo; ebbene è di ieri la notizia che i verdetti hanno sanzionato l’ammissione di tutte le squadre cosiddette grandi, quindi le romane, le milanesi, la Juve e il Parma, e l’esclusione di una serie di società minori – per problemi di campo di gioco – e del Chiedo; quest’ultima società è stata indicata per tre anni all’attenzione della gente come un esempio da seguire: pensate un quartiere di una città come Verona che arriva in Serie A e si permette di dar fastidio agli squadroni. Poi si scopre che il suo presidente, Campedelli, si era “dimenticato” di pagare l’IRPEF per tre anni accumulando un sostanzioso debito con l’erario; bell’esempio che abbiamo avuto!
Ma torniamo alle grandi: lo stesso giorno che è arrivata la sentenza liberatoria per Roma, Lazio e Parma, si apprende che il Centro Sportivo di proprietà della Lazio è stato pignorato dall’Agenzia delle Entrate per il debito IRPEF di oltre 180/milioni di Euro.
Il Parma, poi, mi domando come ha potuto far fronte all’esposizione vista la situazione della famiglia Tanzi, titolare del pacchetto azionario di maggioranza: certamente Bondi non avrà pagato queste cifre per conto della società.
Ma allora non è stato pagato niente, allora è stata tutta una burletta, allora anche senza pagare si ha l’autorizzazione a giocare le coppe europee; mi sembrava che anche questa faccenda non andasse a finire a tarallucci e vino!
Ricordiamoci, casomai l’avessimo scordato, che siamo in Italia e tutto può succedere, all’infuori delle cose giuste e legali.

mercoledì, aprile 07, 2004

Toscana e Umbria: cultura e "mostri" 

Le due regioni contigue, entrambe paradisi che ci ricordano un passato culturale di grande spessore (il Perugino, S. Francesco, Giotto, Cimabue, e tanti altri) e che attualmente vantano dei paesaggi naturalistici che tutto il mondo ci invidia, producono con una certa frequenza, dei “mostri” di una tale ferocia e disumanità che ci lasciano perplessi.
Ricordiamo brevemente che la Toscana può “vantare” il mostro più famoso (Pacciani o chi per lui), uccisore di ben otto coppiette, ed ultimamente diversi casi di omicidi particolarmente ributtanti (la moglie del farmacista di Firenze, ed altri).
L’Umbria, dal canto suo ha avuto lo stupratore di bambini Ciatti, particolarmente odioso perché in Tribunale ha narrato con dovizia di particolari i suoi rapporti, come a farsene vanto.
Adesso le due regioni sono nuovamente alle prese con due casi sinistri: il serial killer di Grosseto (per la Toscana) e il violentatore e massacratore della bambina di Città di Castello.
I giornali e le televisioni inzuppano il pane, come si direbbe, in situazioni che uniscono violenza a morbosità; questo perché ovviamente il pubblico lo richiede, essendo formato in gran parte di sessuofobi e di repressi.
Ma quello che non riusciamo a risponderci è il perché tali mostruosità avvengono in due terre che più belle non ce n’è; sembrerebbe quasi che la bellezza estrema attragga la violenza estrema.
Possiamo parlare della “sindrome di Stendhal”? Forse, anche se tale disturbo coglie un occhio impreparato a vedere all’improvviso una bellezza così sublime, mentre i “mostri” toscani e umbri dovrebbero esserci abituati a tale splendore essendo dei residenti.
E allora? Non ho una risposta a tale quesito – come a tanti altri – ma la sto cercando; quando e se l’avrò trovata, sarà mia cura farvene partecipi.


martedì, aprile 06, 2004

Sofri, Ciampi, Saddam e la Spagna 

Anzitutto vi domanderete che rapporto hanno tra loro gli “argomenti” indicati nel titolo; ebbene la risposta è: nessuno ma ho ritenuto di parlarne insieme.
Anzitutto Sofri: sono anni che i bravi “intellettuali italiani” si dannano l’anima per far sì che il Presidente Ciampi conceda la grazia a Sofri (che si guarda bene dal richiederla); tali sforzi sono stati intensificati in questi ultimi mesi e per ultimo ci si è messo pure Pannella che a 75 anni si è imbarcato in uno sciopero della fame ed ora anche della sete.
Questi ultimi tentativi sono caratterizzati da un nuovo elemento: non si parla più di Sofri, ma si lotta per “restituire al Presidente della Repubblica” il potere di emanare grazie a sua scelta. Ci nascondiamo dietro un dito, perché nessuno ci viene a spiegare chi è il birbaccione che ha tolto questo potere al Presidente e come si potrebbe fare a ridarglielo; c’è da aggiungere anche che il bravo Carlo Azeglio non si è lamentato del “furto”, cioè non lo ha denunciato.
Allora: se fosse veramente così – ma mi sembra tutto veramente illogico – verrebbe usato Sofri solo come “testimonial” di una campagna ben più ampia: per esempio tale Matteo Ferrari che nel carcere di Biella sta scontando il trentesimo anno di galera (quando è entrato ne aveva 29), senza avere ucciso nessuno, accusato “soltanto” di appartenenza a banda armata. Mi sembra che anche il suo caso dovrebbe approdare sul tavolo del Presidente. O no!
Veniamo ora a Saddam; avete visto tutti il bordello che sta scoppiando in Irak per effetto della rivolta degli sciiti, capeggiati da un giovane leader, lo sceicco Al Sadr (sono rimasti coinvolti anche i Carabinieri del battaglione Tuscanica di stanza a Nassiriya).
La parola d’ordine di questi integralisti islamici è: “fuori tutti dall’Irak”; che fare?
Una soluzione ci sarebbe, ed è quella di andarsene davvero ma non prima di aver rimesso in sella il bravo Saddam – pulito e profumato, non come l’abbiamo visto uscire dalla tana – e lasciarlo mettere ordine nel paese. Non dimentichiamo che egli era capo dei sunniti, acerrimi nemici degli sciiti e che al sig. Sadr (o meglio: al padre) gliene aveva già suonate non tanti anni fa.
Quindi, lasciamolo lavorare in pace e permettiamogli di rimettere il suo “ordine” nel paese; dopo semmai….
E per finire veniamo alla Spagna che sembra diventata il campo di battaglia più operante di tutta l’Europa per i terroristi islamici; è di oggi l’”intimazione” di Al Qeda di “andarsene immediatamente” dall’Irak e, è stato aggiunto, anche dall’Afganistan, pena fiumi di sangue che scorreranno nel paese.
Non vorrei essere nei panni del nuovo Primo Ministro: verrà accusato di troppa debolezza nei confronti del terrorismo per aver dichiarato il disimpegno spagnolo in Irak a partire dal 30 giugno; gli confuteranno: è come con i bambini, se li abitui male quando gli dai un dito si prendono tutto il braccio!!
E invece il ritiro delle truppe dall’Irak era stato posto come facente parte del programma elettorale; chi avrebbe pensato che poi – avendo vinto – era bene attuare le promesse (non come avviene in Italia).
E torniamo all’inizio: perché ho messo insieme i tre argomenti? Non lo so; forse perché le tre vicende rappresentano storie di ordinaria follia, come ormai siamo abituati a vedere.


domenica, aprile 04, 2004

Maleducazione pubblicitaria 

Mi riferisco in particolare a uno spot pubblicitario; si dirà: ma i “commercial” fanno il loro gioco e basta, cioè non fanno parte della grande famiglia dei mezzi di comunicazione di massa; e invece ne fanno parte a pieno titolo e le cosiddette “comunicazioni clandestine” dei mezzi ordinari sono appannaggio anche degli spot.
Ma andiamo con ordine e spieghiamo meglio. Lo spot in questione è quello realizzato da TIM per le sponsorizzazioni delle trasmissioni televisive sul calcio, quello – per facilitare il ricordo – nel quale si assiste a grandi pallonate tra “civili” cioè non giocatori, che vengono scambiate in ambienti non propriamente sportivi, cioè in piena città, addirittura sulle strisce pedonali.
Il tema dello spot è abbastanza chiara: il pallone, cioè il calcio, unisce la gente anche fuori dagli stadi, legandoli tra loro con la passione sportiva; tematica affratellante e quindi sostanzialmente positiva: in più, di questo sentimento che è tipico del calcio, TIM è parte importante in quanto sponsor delle relative trasmissioni televisive.
Fin qui tutto bene. Ma se invece della tematica ci fermiamo alla cosa che ci viene mostrata, balza evidente una certa forma di “maleducazione civica” che viene stigmatizzata da tutte le parti; giocare al calcio in mezzo al traffico, palleggiare addirittura sulle strisce pedonali, sono cose e situazioni di una pericolosità enorme.
Se l’azione edonistica dei mass media, se l’effetto emulazione funziona, non dico che ci troveremo invasi da palleggiatori sulle strisce, ma certo che i freni inibitori vengono un po’ allentati sul traffico e quello che ne consegue (alla faccia anche dei punti sulla patente).
Quindi, per concludere questo discorso, lo spot pubblicitario ha un tema – di carattere commerciale - da comunicare; la materia che viene usata per rappresentare questo discorso deve essere in linea con la tematica, altrimenti si rischia di vanificare la tematica ed innescare dei concetti che possono essere controproducenti al massimo.
Certo che stiamo parlando di un “media” (la televisione) che sta scadendo sempre più e che forse meriterebbe di essere esaminata con maggiore attenzione: per questa volta limitiamoci ad osservare la “qualità” degli opinionisti che vanno per la maggiore nelle trasmissioni di prima serata: Platinette, oppure gli esclusi dalla casa del Grande Fratello.
Ora c’è da chiedersi quali sono i titolo in base ai quali questi personaggi pontificano su tutti e su tutto, atteggiandosi a grandi conoscitori delle più svariate problematiche.
Perché vengono scelti questi signori o signore o signorine? Mi sembra chiaro che le televisioni cerchino di mostrare soltanto la notorietà del personaggio, infischiandosi delle cose che può dire; cioè, mostro volti conosciuti e mi disinteresso di quello che può uscire da quelle bocche, tanto il pubblico non è interessato a conoscere pareri concettualmente interessanti, ma a seguire distrattamente il parlato e ad ammirare invece l’immagine conosciuta.

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