venerdì, settembre 17, 2010
ANCORA SULLA DISPUTA EUROPA-FRANCIA
La polemica tra la Francia e le istituzioni europee sull’espulsione dei ROM, non accenna a placarsi ed anzi, si allarga per l’intrusione di altri Paesi europei che in passato erano stati ripresi dalla Commissaria ai diritti e che pertanto, adesso si schierano apertamente con Sarkozy: sono la Germania e l’Italia.
Le battute che si scambiano i francesi con le istituzioni europee mi sono parse molto gustose e allora ho deciso di parlarne nuovamente anch’io dopo quanto scritto nel mio post di ieri l’altro.
Cominciamo allora con quanto scambiatosi tra la Commissaria ai diritti e le autorità francesi; dunque, ha cominciato la Reding, lussemburghese Commissaria ai diritti, che ebbe a definire Sarkozy “una disgrazia per l’Europa” ed aveva paragonato le espulsioni francesi con le deportazioni dei rom eseguite dai nazisti; la replica è stata immediata e molto ben costruita: “la signora Reding che abita in Lussemburgo, se vuole accogliere i rom in casa sua, è libera di farlo, per noi non c’è problema”.
Questa dichiarazione ha due punti interessanti: il primo è la sottolineatura che un alto esponente della nomenclatura europea, proviene dal Lussemburgo, piccolo Granducato collocato tra Francia e Germania, che conta meno di 500mila abitanti, quanto una media città italiana; quindi, l’eccezione sottaciuta è che da un simile territorio non si può certo avere contezza di quello che è il fenomeno immigrazione.
Il secondo punto è maggiormente provocatorio nell’invitare la signora Reding a portarsi i rom in uscita dalla Francia, a casa sua, cioè nel Lussemburgo; e questo concetto, è praticamente esportabile anche al Vaticano, bravissimo a parlare di diritti degli immigrati, ma solo se questi diritti vengono chiesti ad altri, cioè gli Stati o le loro strutture assistenziali; infatti, non mi risulta che nella Città del Vaticano esistano strutture di accoglienza per immigrati, ma potrei sbagliare!!
Questa situazione, mi induce a formulare alcuni concetti che valgono per la loro generalità e non possono applicarsi a nessun Paese in particolare: tutti noi, me per primo, siamo bravissimi a commuoversi verso il bisognoso o il senza casa, ma poi ce ne liberiamo al massimo con un modesto obolo che certamente non risolve la situazione dell’indigente.
Quindi, voglio dire che ognuno di noi è favorevole agli immigrati, purché non vadano a collocarsi nei pressi della sua abitazione; e quindi, invita l’”altro”, l’amico, il conoscente o la struttura assistenziale, a darsi da fare per sistemare il bisognoso, ma senza che questo incida neppure minimamente con il suo tipo di vita.
Ed allora possiamo anche affermare che noi occidentali, non siamo “razzisti” in senso stretto del termine, ma desideriamo che tutti quelli che vengono in casa nostra, si puliscano le scarpe prima di entrare e poi, dopo entrati, ci aiutino nelle faccende domestiche, senza percepire uno stipendio adeguato, ma contentandosi di quello che noi siamo disposti a dare loro.
E quindi, la signora Reding che nel suo Paese non ha avuto modo di essere “disturbata” dagli immigrati, non può sapere quello che succede in Francia, ancora alle prese con la crisi economica che ha tagliato molti posti di lavoro che – a detta di alcuni – sarebbero stati acquisiti dagli immigrati a cifre estremamente inferiori di quelle pretese dai sindacati francesi per i loro assistiti.
Comunque sia, il problema della migrazione è ormai un dato di fatto incontrovertibile e quindi l’Europa, nel suo complesso, dovrebbe affrontarlo unitariamente; e invece…..
Le battute che si scambiano i francesi con le istituzioni europee mi sono parse molto gustose e allora ho deciso di parlarne nuovamente anch’io dopo quanto scritto nel mio post di ieri l’altro.
Cominciamo allora con quanto scambiatosi tra la Commissaria ai diritti e le autorità francesi; dunque, ha cominciato la Reding, lussemburghese Commissaria ai diritti, che ebbe a definire Sarkozy “una disgrazia per l’Europa” ed aveva paragonato le espulsioni francesi con le deportazioni dei rom eseguite dai nazisti; la replica è stata immediata e molto ben costruita: “la signora Reding che abita in Lussemburgo, se vuole accogliere i rom in casa sua, è libera di farlo, per noi non c’è problema”.
Questa dichiarazione ha due punti interessanti: il primo è la sottolineatura che un alto esponente della nomenclatura europea, proviene dal Lussemburgo, piccolo Granducato collocato tra Francia e Germania, che conta meno di 500mila abitanti, quanto una media città italiana; quindi, l’eccezione sottaciuta è che da un simile territorio non si può certo avere contezza di quello che è il fenomeno immigrazione.
Il secondo punto è maggiormente provocatorio nell’invitare la signora Reding a portarsi i rom in uscita dalla Francia, a casa sua, cioè nel Lussemburgo; e questo concetto, è praticamente esportabile anche al Vaticano, bravissimo a parlare di diritti degli immigrati, ma solo se questi diritti vengono chiesti ad altri, cioè gli Stati o le loro strutture assistenziali; infatti, non mi risulta che nella Città del Vaticano esistano strutture di accoglienza per immigrati, ma potrei sbagliare!!
Questa situazione, mi induce a formulare alcuni concetti che valgono per la loro generalità e non possono applicarsi a nessun Paese in particolare: tutti noi, me per primo, siamo bravissimi a commuoversi verso il bisognoso o il senza casa, ma poi ce ne liberiamo al massimo con un modesto obolo che certamente non risolve la situazione dell’indigente.
Quindi, voglio dire che ognuno di noi è favorevole agli immigrati, purché non vadano a collocarsi nei pressi della sua abitazione; e quindi, invita l’”altro”, l’amico, il conoscente o la struttura assistenziale, a darsi da fare per sistemare il bisognoso, ma senza che questo incida neppure minimamente con il suo tipo di vita.
Ed allora possiamo anche affermare che noi occidentali, non siamo “razzisti” in senso stretto del termine, ma desideriamo che tutti quelli che vengono in casa nostra, si puliscano le scarpe prima di entrare e poi, dopo entrati, ci aiutino nelle faccende domestiche, senza percepire uno stipendio adeguato, ma contentandosi di quello che noi siamo disposti a dare loro.
E quindi, la signora Reding che nel suo Paese non ha avuto modo di essere “disturbata” dagli immigrati, non può sapere quello che succede in Francia, ancora alle prese con la crisi economica che ha tagliato molti posti di lavoro che – a detta di alcuni – sarebbero stati acquisiti dagli immigrati a cifre estremamente inferiori di quelle pretese dai sindacati francesi per i loro assistiti.
Comunque sia, il problema della migrazione è ormai un dato di fatto incontrovertibile e quindi l’Europa, nel suo complesso, dovrebbe affrontarlo unitariamente; e invece…..
mercoledì, settembre 15, 2010
LA FRANCIA CONTRO I ROM ED IL BURQA
Dopo la “sbornia” della Mostra del Cinema di Venezia, torniamo a parlare di cose serie (ma siamo sicuri che siano cose veramente serie??) e precisamente della situazione che si è creata in Francia e che ha condotto all’evacuazione della Tour Eiffel ed allo sgombero della Stazione del metro a Sant-Michel.
Dunque, cerchiamo di vedere come stanno le cose: un po’ di tempo fa, il Presidente francese, Sarkozy, nel pieno dello scandalo Bettancourt che lo vede imputato – insieme ad altri ministri - per aver avuto delle bustarelle per finanziarsi le elezioni, ha preso la “solita” decisione: distogliere l’attenzione della gente con un evento che faccia piacere al popolo e ha dato l’avvio al rimpatrio coatto di una grossa quantità di rom che sono stati imbarcati su alcuni aerei e sbarcati in Romania, malgrado le proteste di quel governo. La U.E., non ha perso l’occasione per fare un po’ di baccano sulla vicenda ed anzi ha addirittura aperto una procedura di “infrazione” (cose che non servono a niente se non a far parlare i giornali), arrivando a definire i ministri francesi responsabili di questa operazione “una disgrazia per l’Europa”.
Sarkozy non ha battuto ciglio ed ha continuato imperterrito con la sua politica di espulsione di rom e stranieri irregolari; come conseguenza, da una situazione di oggettiva difficoltà, sua e del governo, ne sta uscendo, attaccandosi alla consueta formula: dire alla gente che “verrà assicurata maggiore sicurezza”.
Ed infatti, i sondaggi post-espulsioni hanno preso a migliorare, facendo registrare 4 punti in più per il Presidente e 2 per il Governo, con particolare riferimento al Ministro degli Interni ed a quello per l’Immigrazione; anche questa volta la ricetta della “paura del diverso” ha pagato, nonostante i principi della Francia volti a favorire “liberté”, “egalité” e “solidarieté”.
Ma Sarkozy non si è fermato alla lotta ai rom, ma ne ha ingaggiata un’altra contro i burqa, quei veli lunghi e integrali che nascondono il volto della donna che li indossa; con una norma legislativa approvata dal Parlamento, è stato vietato l’uso di questo indumento in qualunque luogo pubblico: multa di 150 euro a chi lo indossa e galera per coloro che costringono la donna ad indossarlo.
Per quest’ultima iniziativa – che pure ha riscosso il plauso della gente – il problema è nato con i terroristi dell’Islam che – a dire dei servizi segreti – avrebbero avuto in animo di eseguire un attentato “importante” (Tour Eiffel e metro) contro questa decisione del governo; telefonate anonime, ritenute attendibili ed altre diavolerie dei servizi segreti, hanno indotto la Polizia ad evacuare la torre più prestigiosa del mondo ed anche a sgomberare una stazione del metro.
In entrambi i casi gli allarmi sono risultati infondati e le bombe segnalate non sono state trovate, ma è comprensibile che le Forse dell’Ordine abbiano messo in campo la maggiore prudenza possibile, stante la delicatezza e l’attendibilità del diktat islamico: legge anti burqa = attentato con bomba in un punto nevralgico della capitale.
In questi due casi – espulsione dei rom e legge anti burqa – si può vedere che i governi agiscono tutti allo stesso modo: quando sono in difficoltà, sia per motivi interni che per ragioni di ordine pubblico, cominciano a mettere in campo normative ed azioni repressive, riconquistando così la fiducia e l’applauso della gente.
Questo m’induce ad una semplice considerazione che magari potrà sembrare semplicistica: la gente è sempre più reazionaria e non vuole rischi o avventure, ma anzi è favorevole ad azioni repressive specie nei confronti dei “diversi”. Sbaglio?
Dunque, cerchiamo di vedere come stanno le cose: un po’ di tempo fa, il Presidente francese, Sarkozy, nel pieno dello scandalo Bettancourt che lo vede imputato – insieme ad altri ministri - per aver avuto delle bustarelle per finanziarsi le elezioni, ha preso la “solita” decisione: distogliere l’attenzione della gente con un evento che faccia piacere al popolo e ha dato l’avvio al rimpatrio coatto di una grossa quantità di rom che sono stati imbarcati su alcuni aerei e sbarcati in Romania, malgrado le proteste di quel governo. La U.E., non ha perso l’occasione per fare un po’ di baccano sulla vicenda ed anzi ha addirittura aperto una procedura di “infrazione” (cose che non servono a niente se non a far parlare i giornali), arrivando a definire i ministri francesi responsabili di questa operazione “una disgrazia per l’Europa”.
Sarkozy non ha battuto ciglio ed ha continuato imperterrito con la sua politica di espulsione di rom e stranieri irregolari; come conseguenza, da una situazione di oggettiva difficoltà, sua e del governo, ne sta uscendo, attaccandosi alla consueta formula: dire alla gente che “verrà assicurata maggiore sicurezza”.
Ed infatti, i sondaggi post-espulsioni hanno preso a migliorare, facendo registrare 4 punti in più per il Presidente e 2 per il Governo, con particolare riferimento al Ministro degli Interni ed a quello per l’Immigrazione; anche questa volta la ricetta della “paura del diverso” ha pagato, nonostante i principi della Francia volti a favorire “liberté”, “egalité” e “solidarieté”.
Ma Sarkozy non si è fermato alla lotta ai rom, ma ne ha ingaggiata un’altra contro i burqa, quei veli lunghi e integrali che nascondono il volto della donna che li indossa; con una norma legislativa approvata dal Parlamento, è stato vietato l’uso di questo indumento in qualunque luogo pubblico: multa di 150 euro a chi lo indossa e galera per coloro che costringono la donna ad indossarlo.
Per quest’ultima iniziativa – che pure ha riscosso il plauso della gente – il problema è nato con i terroristi dell’Islam che – a dire dei servizi segreti – avrebbero avuto in animo di eseguire un attentato “importante” (Tour Eiffel e metro) contro questa decisione del governo; telefonate anonime, ritenute attendibili ed altre diavolerie dei servizi segreti, hanno indotto la Polizia ad evacuare la torre più prestigiosa del mondo ed anche a sgomberare una stazione del metro.
In entrambi i casi gli allarmi sono risultati infondati e le bombe segnalate non sono state trovate, ma è comprensibile che le Forse dell’Ordine abbiano messo in campo la maggiore prudenza possibile, stante la delicatezza e l’attendibilità del diktat islamico: legge anti burqa = attentato con bomba in un punto nevralgico della capitale.
In questi due casi – espulsione dei rom e legge anti burqa – si può vedere che i governi agiscono tutti allo stesso modo: quando sono in difficoltà, sia per motivi interni che per ragioni di ordine pubblico, cominciano a mettere in campo normative ed azioni repressive, riconquistando così la fiducia e l’applauso della gente.
Questo m’induce ad una semplice considerazione che magari potrà sembrare semplicistica: la gente è sempre più reazionaria e non vuole rischi o avventure, ma anzi è favorevole ad azioni repressive specie nei confronti dei “diversi”. Sbaglio?
lunedì, settembre 13, 2010
ANCORA DUE PAROLE SULLA MOSTRA DI VENEZIA
Altre considerazioni sulla Mostra di Venezia in aggiunta a quelle contenute nel post di ieri; anzitutto la gente: mi è sembrato – in questo confortato dal pensiero di molti abitanti ed operatori economici del Lido di Venezia – che quest’anno ci sia stata meno pubblico alla Mostra del Cinema. Infatti, anche molti quotidiani e periodici, anziché inviare sei o sette corrispondenti per l’intero periodo, ne hanno mandati tre o quattro che si sono alternati, ciascun gruppetto per cinque giorni: penso che possa imputarsi alla crisi, ma anche alla minore considerazione per quella che è, o dovrebbe essere, la massima manifestazione italiana sul cinema; non scordiamoci che la Mostra di Venezia – che ha già avuto 67 edizioni – è la più antica manifestazione del genere al mondo.
Ieri ho parlato dei film premiati e, se avete notato “non me ne è piaciuto neppure uno” ed oggi voglio parlare delle cose positive – ovviamente per me – che ho potuto vedere in questi 15 giorni.
Tra i film, ne voglio citare subito uno: il russo “Ovsyanki”, tradotto in “Silent Souls” sulla pagina pubblicitaria della produzione, che significa letteralmente “anime silenti”: è un accorato riconoscimento dell’impossibilità di mantenere alcune tradizioni che ormai sono state sorpassate e scacciate dal nostro mondo contemporanea che continua a commettere etnocidi a tutto spiano; il film ha raggranellato un misero premio “minore” per la fotografia e dubito fortemente che trovi una casa distributrice che acquisti il film e lo faccia passare nelle nostre sale.
Molto interessante anche “Post mortem” del cileno Pablo Larrain che avevo già apprezzato nel 2008 con il suo “Tony Manero”; l’autore sudamericano, continua nella sua tematica centrata sulla violenza abbinando quella “individuale” a quella dello Stato, così da renderla inscindibile: in quest’ultimo lavoro, ambienta la narrazione nel 1973, anno dell’uccisione di Allende e della presa del potere da parte dei militari; anche questo ha poche speranze di apparire nei nostri cinema.
Ho poi visto un buon lavoro della statunitense Kelly Reichardt dal titolo “Meek’s cutoff” , traducibile in “la scorciatoia di Meek”, nel quale si assiste ad un viaggio interminabile di una piccola carovana di pionieri, guidata da Meek, il quale appunto crede di poter individuare la scorciatoia per raggiungere l’acqua e invece deve arrendersi alle maggiori conoscenze di un indiano che incrocia casualmente il loro cammino e che in un primo tempo era stato quasi ammazzato.
Interessante anche il film del tunisino Kechiche “Venus Noir” che presenta il caso della “Venere ottentotta”, una negra gigantesca che viene portata in giro per l’Europa come un fenomeno da baraccone mentre la donna è intimamente convinta di essere un’artista; per la verità, il film presentato dallo stesso autore nel 2007 e al quale detti il mio voto nella giuria di cui faccio parte per un premio minore, “Cous Cous”, era molto superiore, sia come spessore tematico e sia come impianto narrativo.
I film italiani, ben 4 in concorso, hanno fatto flop: come ho accennato ieri, il Presidente della Giuria, Quentin Tarantino, è un tipo un po’ particolare, per cui c’era da aspettarsi qualche cosa del genere; però, non è assolutamente vero che si possa rimpiangere qualcosa, poiché i nostro lavori erano magari “come gli altri”, ma avevano il “difetto” di giocare in casa e quindi l’obbligo di essere migliori degli altri; quello più atteso – “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo – pur essendo ben realizzato e ben interpretato da Alba Rohrwacher, che meritava più del film – scontava forse “il cognome” imbarazzante del regista ed anche il confronto con il romanzo omonimo.
Ieri ho parlato dei film premiati e, se avete notato “non me ne è piaciuto neppure uno” ed oggi voglio parlare delle cose positive – ovviamente per me – che ho potuto vedere in questi 15 giorni.
Tra i film, ne voglio citare subito uno: il russo “Ovsyanki”, tradotto in “Silent Souls” sulla pagina pubblicitaria della produzione, che significa letteralmente “anime silenti”: è un accorato riconoscimento dell’impossibilità di mantenere alcune tradizioni che ormai sono state sorpassate e scacciate dal nostro mondo contemporanea che continua a commettere etnocidi a tutto spiano; il film ha raggranellato un misero premio “minore” per la fotografia e dubito fortemente che trovi una casa distributrice che acquisti il film e lo faccia passare nelle nostre sale.
Molto interessante anche “Post mortem” del cileno Pablo Larrain che avevo già apprezzato nel 2008 con il suo “Tony Manero”; l’autore sudamericano, continua nella sua tematica centrata sulla violenza abbinando quella “individuale” a quella dello Stato, così da renderla inscindibile: in quest’ultimo lavoro, ambienta la narrazione nel 1973, anno dell’uccisione di Allende e della presa del potere da parte dei militari; anche questo ha poche speranze di apparire nei nostri cinema.
Ho poi visto un buon lavoro della statunitense Kelly Reichardt dal titolo “Meek’s cutoff” , traducibile in “la scorciatoia di Meek”, nel quale si assiste ad un viaggio interminabile di una piccola carovana di pionieri, guidata da Meek, il quale appunto crede di poter individuare la scorciatoia per raggiungere l’acqua e invece deve arrendersi alle maggiori conoscenze di un indiano che incrocia casualmente il loro cammino e che in un primo tempo era stato quasi ammazzato.
Interessante anche il film del tunisino Kechiche “Venus Noir” che presenta il caso della “Venere ottentotta”, una negra gigantesca che viene portata in giro per l’Europa come un fenomeno da baraccone mentre la donna è intimamente convinta di essere un’artista; per la verità, il film presentato dallo stesso autore nel 2007 e al quale detti il mio voto nella giuria di cui faccio parte per un premio minore, “Cous Cous”, era molto superiore, sia come spessore tematico e sia come impianto narrativo.
I film italiani, ben 4 in concorso, hanno fatto flop: come ho accennato ieri, il Presidente della Giuria, Quentin Tarantino, è un tipo un po’ particolare, per cui c’era da aspettarsi qualche cosa del genere; però, non è assolutamente vero che si possa rimpiangere qualcosa, poiché i nostro lavori erano magari “come gli altri”, ma avevano il “difetto” di giocare in casa e quindi l’obbligo di essere migliori degli altri; quello più atteso – “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo – pur essendo ben realizzato e ben interpretato da Alba Rohrwacher, che meritava più del film – scontava forse “il cognome” imbarazzante del regista ed anche il confronto con il romanzo omonimo.
domenica, settembre 12, 2010
IL RITORNO DALLA MOSTRA DI VENEZIA
Dopo un silenzio di quindici giorni – causa la mia partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia – riprendo il mio colloquio con i lettori e, come avevo promesso, racconterò qualcosa del Festival.
Anzitutto l’ambiente: i lavori per la costruzione del nuovo Palazzo del Cinema e la ristrutturazione del Palazzo del Casinò, hanno condizionato il modo di vivere all’interno della cittadella del cinema, come amiamo definirla noi habitué, soprattutto per la grande quantità di zone interdette al passaggio a causa dei lavori e conseguenti mucchi di calcinacci o zolle di terra; tra parentesi, è bene dire che i lavori sono momentaneamente interrotti (sembra che siano stati finiti i soldi!!) ma dovrebbero riprendere entro il corrente anno e terminare entro la fine del 2012: comunque, anche la prossima edizione sarà vissuta con i disagi dei “lavori in corso”.
E adesso parliamo dei risultati: appena saputa la composizione della Giuria – presieduta da Quentin Tarantino – non ho avuto un attimo di dubbio a dire che “c’era da aspettarsi di tutto”; e infatti l’Assegnazione dei premi ha un marchio indelebile del regista americano: pensate un po’ che il Leone d’Oro è stato assegnato al film di Sofia Coppola, “Somewhere”, amica personale di Tarantino che sembra essere uso frequentare la casa dell’autore de “Il Padrino”, padre della brava Sofia; il Leone d’Argento è andato invece all’opera dello spagnolo Alex de la Iglesia, “Balata triste de trompeta”, film molto simile alle colorite e virulente opere di Quentin e, per finire, il terzo premio è stato aggiudicato a Monte Hellman, autore di “Road to nowhere”, il quale è stato maestro e primo produttore del signor Presidente della Giuria: possiamo parlare di conflitto di interessi? Mah, forse ci sono cose più importanti dove avvengono queste malefatte e quindi lasciamo perdere.
La cinematografia italiana, sia pure presente in forze, con quattro film, non ha ricevuto nessun riconoscimento, neppure di quelli definiti “minori”; questo ha scatenato molte polemiche, alle quali Tarantino – che non ha peli sulla lingua – ha replicato con una frase sibillina: “Sofia in fin dei conti ha origini italiane”, alludendo alle lontanissime origini dell’augusto genitore della vincitrice, Francis Ford Coppola.
Altre cose sulla Mostra: notata moltissimo l’assenza dei “divi” ai quali le ragazzine fanno i tipici gridolini: si è avuta la splendida Natalie Portman e la grandissima Helen Mirren, entrambe peraltro sacrificate a favore di una ragazzina sconosciuta, Ariane Labed, mentre tra i maschietti si è visto sul red carpet soltanto il bravo (e bello) Ben Affleck che ha interpretato e diretto “The Town”; la Giuria ha assegnato comunque la Coppa Volpi allo “strano” (è un eufemismo!) Vincent Gallo che, come è suo solito non si è presentato a ritirare il premio, delegando il regista del film.
Due parole sulle tematiche: anni addietro avevamo assistito al concetto di “destrutturazione” della narrazione, con film quindi che non avevano senso e significavano qualcosa soltanto per il loro autore; adesso, in questa tornata, abbiamo avuto un nuovo concetto: la “destrutturazione della coppia”, con tematiche che hanno prima inneggiato allo scambio di coppia tra coniugi consenzienti e poi, ciliegina sulla torta, alla presentazione di una soluzione più “economica”: per la coppia un po’ stanca, viene suggerito il “bisessuale” che per le sue caratteristiche, può “servire” sia la moglie che il marito; per il primo caso – scambio di coppia” - abbiamo avuto il film Happy few” del francese Cordier, mentre l’utilizzo del bisessuale lo possiamo ammirare su “Drei” del tedesco Tom Tykwer.
Anzitutto l’ambiente: i lavori per la costruzione del nuovo Palazzo del Cinema e la ristrutturazione del Palazzo del Casinò, hanno condizionato il modo di vivere all’interno della cittadella del cinema, come amiamo definirla noi habitué, soprattutto per la grande quantità di zone interdette al passaggio a causa dei lavori e conseguenti mucchi di calcinacci o zolle di terra; tra parentesi, è bene dire che i lavori sono momentaneamente interrotti (sembra che siano stati finiti i soldi!!) ma dovrebbero riprendere entro il corrente anno e terminare entro la fine del 2012: comunque, anche la prossima edizione sarà vissuta con i disagi dei “lavori in corso”.
E adesso parliamo dei risultati: appena saputa la composizione della Giuria – presieduta da Quentin Tarantino – non ho avuto un attimo di dubbio a dire che “c’era da aspettarsi di tutto”; e infatti l’Assegnazione dei premi ha un marchio indelebile del regista americano: pensate un po’ che il Leone d’Oro è stato assegnato al film di Sofia Coppola, “Somewhere”, amica personale di Tarantino che sembra essere uso frequentare la casa dell’autore de “Il Padrino”, padre della brava Sofia; il Leone d’Argento è andato invece all’opera dello spagnolo Alex de la Iglesia, “Balata triste de trompeta”, film molto simile alle colorite e virulente opere di Quentin e, per finire, il terzo premio è stato aggiudicato a Monte Hellman, autore di “Road to nowhere”, il quale è stato maestro e primo produttore del signor Presidente della Giuria: possiamo parlare di conflitto di interessi? Mah, forse ci sono cose più importanti dove avvengono queste malefatte e quindi lasciamo perdere.
La cinematografia italiana, sia pure presente in forze, con quattro film, non ha ricevuto nessun riconoscimento, neppure di quelli definiti “minori”; questo ha scatenato molte polemiche, alle quali Tarantino – che non ha peli sulla lingua – ha replicato con una frase sibillina: “Sofia in fin dei conti ha origini italiane”, alludendo alle lontanissime origini dell’augusto genitore della vincitrice, Francis Ford Coppola.
Altre cose sulla Mostra: notata moltissimo l’assenza dei “divi” ai quali le ragazzine fanno i tipici gridolini: si è avuta la splendida Natalie Portman e la grandissima Helen Mirren, entrambe peraltro sacrificate a favore di una ragazzina sconosciuta, Ariane Labed, mentre tra i maschietti si è visto sul red carpet soltanto il bravo (e bello) Ben Affleck che ha interpretato e diretto “The Town”; la Giuria ha assegnato comunque la Coppa Volpi allo “strano” (è un eufemismo!) Vincent Gallo che, come è suo solito non si è presentato a ritirare il premio, delegando il regista del film.
Due parole sulle tematiche: anni addietro avevamo assistito al concetto di “destrutturazione” della narrazione, con film quindi che non avevano senso e significavano qualcosa soltanto per il loro autore; adesso, in questa tornata, abbiamo avuto un nuovo concetto: la “destrutturazione della coppia”, con tematiche che hanno prima inneggiato allo scambio di coppia tra coniugi consenzienti e poi, ciliegina sulla torta, alla presentazione di una soluzione più “economica”: per la coppia un po’ stanca, viene suggerito il “bisessuale” che per le sue caratteristiche, può “servire” sia la moglie che il marito; per il primo caso – scambio di coppia” - abbiamo avuto il film Happy few” del francese Cordier, mentre l’utilizzo del bisessuale lo possiamo ammirare su “Drei” del tedesco Tom Tykwer.