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venerdì, novembre 08, 2013

TUTTI VISSANI?! 



Siamo in presenza di un’improvvisa vocazione gastronomica dei nostro giovani, così che un quotidiano ha titolato: “cucina batte fabbrica due a uno”; una prima considerazione: nelle fabbriche non assumono e quindi i giovani, ma anche i meno giovani, si impegnano nell’arte gastronomica, cercando dei posti di cuoco, magari poi andando a finire a fare il cameriere (ma questo è un altro discorso).
Una seconda considerazione, forse più vicina alla realtà dei fatti, è che – come al solito – i mass media ci hanno messo lo zampino:  la vocazione gastronomica dei nostri ragazzi discende direttamente da una massiccia presenza sulle emittenti televisive di programmi che inneggiano alla “grande” cucina e, di conseguenza, alla bravura del cuoco.
Volete qualche titolo? Su Rai1 abbiamo “La prova del cuoco”, mentre su Retequattro si può vedere “Ricette all’italiana”, e sulla 7D abbiamo uno sfracello di trasmissioni del genere: “In cucina con Vissani”, “Menù di Benedetta”, “Ricetta sprint di Benedetta”, “Ricette di Benedetta” (la Benedetta in questione è tale Benedetta Parodi, diventata una cuoca provetta dopo altre esperienze televisive). Potrei continuare!!
Insomma, una festosa orgia di pentole, padelle, friggitrici ed altri strumenti per cucinare; il tutto legittima i giovani a trarre la convinzione che anche la disoccupazione, migliori a bagno maria, purché si aggiunga uno spicchio d’aglio; scherzi a parte, siamo in presenza di una “moda” una delle tante che hanno invaso il nostro Paese.
Il super chef Vissani,  pluri-premiato cuoco e intrattenitore televisivo, sentenzia che questa moda dei giovani d’oggi è “effimera, dato che i ragazzi non si immaginano che l’autentica passione costa sacrificio”; la risposta a Vissani è semplice: la TV non mostra loro i sacrifici, ma solo i successi, quindi loro credono in buona fede che la vita sia uguale a quella che si vede in TV. Chiaro il concetto??
Nell’altro campo – quello dell’imprenditoria – si denuncia che con questa moda si dimentica il mercato: la nostra bilancia commerciale si salva grazie all’esportazione di manufatti e non di piatti di amatriciane!!”
E cos’ si scopre che esiste un serio problema di disallineamento tra domande e offerte di lavoro: si sprecano laureati in sociologia, scienza della comunicazione, mentre si cercano periti alimentari, informatici, tecnici della distribuzione, ingegneri elettronici e operai specializzati.
Ed è qui il primo dei tanti paradossi che ci perseguita: mentre qualunque azienda, prima di lanciare uno shampoo o un nuovo biscotto, fa lunghe e approfondite ricerche di mercato, lo Stato è incapace di avviare un’indagine per stabilire il genere di lavori richiesti da una società in evoluzione come la nostra (è demenziale iscrivere un ragazzo alla facoltà di legge, dato che ci sono più avvocati a Roma che nell’intera Francia); insomma litigiosi lo siamo, ma fino ad un certo punto!
Ci sono poi i “vecchi mestieri” sul tipo dell’artigiano che si ingegna a fare di tutto, pur essendo specializzato in idraulica e per averlo dobbiamo iscriverci ad una lista  d’attesa come alla ASL e quando arriva a casa nostra viene accolto come un luminare.
Ma adesso è di moda l’aspirante chef che sogna di cesellare una parmigiana in diretta su RAI 1 o su Retequattro e, da cotali palcoscenici, partire per i più famosi ristoranti del mondo che stanno aspettando proprio lui!.
Poi il ragazzo di sveglia e scopre che nel frattempo la trasmissione è finita e che il TG presenta la solita solfa: disoccupazione in aumento!! Chiaro il concetto??

mercoledì, novembre 06, 2013

UN PO' DI EDUCAZIONE 



Come vi sentite, signori che avete superato gli “anta”, quando in un negozio qualsiasi la commessa sussurra – come una entreneuse navigata ma di classe – “posso aiutarti?”.
La scena ha del patetico: il nostro aspirante Peter Pan viaggia sulla cinquantina (forse già superata) e la commessa potrebbe essere sua figlia, non si sono mai incontrati prima di quel momento e si tratta pur sempre di un rapporto d’affari nel quale il “vecchio” lei sembra superato.
Il cliente lo prende come una conferma della propria inossidabilità e se ne compiace, mentre la commessa si comporta così in quanto non conosce altro modo.
Ovviamente la cosa si diffonde rapidamente e il virus lo ritroviamo dal parrucchiere, alle casse del cinema e a quelle delle palestre, dove la “confidenza” è quasi d’obbligo.
Lo stesso virus si presenta anche nelle nostre case, portato dagli amici di nostro figlio che non ti chiamano più signora o signore, ma più semplicemente per nome.
Il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, si stupisce – e sotto sotto stigmatizza -  che le maestre, primo gradino della piramide istituzionale, si lascino dare del “tu” da generazioni, senza nessun timore, mentre i loro coetanei di 40 anni prima erano giustamente terrorizzati da qualsiasi principio di autorità, a partire dal vigile urbano e dal carabiniere.
Non so i vostri, ma i miei genitori - classe 1897 per entrambi – hanno sempre dato dei “lei” ai rispettivi suoceri; a loro dire, era una questione di rispetto non di aridità sentimentale; comunque sia, nessuno di loro provava imbarazzo e, quel che è più importante, nessuno di loro entrava “in soggezione” per il modo come venivano apostrofati.
Se ci pensate bene, l’uso del “tu” presuppone un violento abbattimento delle gerarchie e priva qualsiasi rapporto della naturale possibilità di evolversi.
Due “amanti” che sono partiti con il “lei”, godono di un vantaggio indiscutibile per il proseguo della relazione.
Il “tu” dato alla maestra potrebbe essere riferito ad una sorte di alfabetizzazione sociale, ma in questo caso dovrebbe corrispondere con la scuola materna, primo impatto dei ragazzi con l’autorità che deve insegnare loro le basi della vita.
Invece privare la lingua italiana (e tutti noi) della meravigliosa possibilità di rimarcare una distanza è un crimine diffuso e mi richiama alla memoria un film con De Sica (il vecchio) e Mastroianni con il primo che lo apostrofa, grosso modo,  così: “se lei continua a darmi del tu io passerò a darle del lei; questo per rimarcare le nostre differenze”.
Ovviamente questo andazzo è portato avanti anche dai bambini, creature senza colpe che si limitano a seguire il solco di chi voleva cancellare ipocriti formalismi e, così facendo, si è lasciato prendere la mano.
La più bella che ho sentito in merito a questa situazione è quella che sistemò la posizione di Giiovanni Spadolini quando – alla fine degli anni sessanta – assunse la direzione del “Corriere della Sera.
Al cronista petulante che ebbe a chiedergli “possiamo darci del tu?”, rispose seccamente con una micidiale battuta: “faccia lei!”
Insomma, non vorrei che i miei amici mi etichettassero come un formalista vecchio e rimbambito; non è così; non ho più interessi “in materia” quindi….

lunedì, novembre 04, 2013

COME STA IL PAESE? 



Qualche bontempone ha paragonato l’Italia a un malato che scende dal letto e comincia a fare i primi passi; è stanco, gli gira un poco la testa, insomma è quello che si definisce un “convalescente” con due alternative: da una parte c’è la guarigione e dall’altra c’è il peggioramento e la ripresa della malattia, con tutti i rischi immaginabili.
Si dice: è finita la recessione più profonda, ma nel prossimo anno ci saranno 5/milioni di disoccupati; se vi sembra che il problema stia andando a soluzione…;.si passerà dal 12,2 di quest’anno al 12,5 del 2014; insomma si va assai a rilento specialmente nei comparti che più ci stanno a cuore.
Poi ci sono altri numeri: nel Pil del 2014 abbiamo un incremento dello 0,7%, l’1,1% in quello del 2015.
Credo che bastino questi dati per testimoniare il faticoso procedere della ripresa – che pure, a detta di tutti – esiste.
Insomma, possiamo dire che c’è un’inversione di tendenza. Ma è troppo poco e hanno ragione quelli che affermano che ci sarebbe voluta una scossa, ed allo stesso tempo ha ragione Confindustria quando dice che ci voleva più coraggio.
Dopo sette anni di dura recessione, con la gente che non ha più buchi nella cintura, tutti si aspettavano qualcosa di spettacolare nella cosiddetta “legge di stabilità”. Invece è arrivata una manovra molto sofisticata ma senza una visione strategica e senza la famosa “scossa”.
Di chi la colpa? Della “strana maggioranza” o della fretta con cui sono stati costretti a realizzare il documento? Forse di entrambe le componenti; c’è poi da aggiungere che  all’interno del documento c’è anche qualche bizzarria: gli estensori della norma hanno gridato ai quattro venti “non abbiamo toccato la sanità  in quel comparto si era parlato di un taglio di 4/miliardi e invece siamo riusciti ad evitarlo”; ma nella Sanità i miliardi da tagliare sono non quattro, ma otto e magari sedici o addirittura trentadue, visto che ci sono regioni dove una siringa costa dieci volta rispetto a un’altra.
E di questa “anomalia” si  conosce tutte le caratteristiche, sono anni che se ne parla, ma ancora nessuno ha avito il coraggio di dire “basta” a queste vergognose ruberie.
Il motivo sottostante a questa schifezza è che la sanità dipende dalle regioni e ogni regione “appartiene” a un partito: intervenire in questo vespaio significa sollevare un tale verminaio che nessuno ha avuto il coraggio di fare; però, sia chiaro, che qualcuno che lo faccia è indispensabile trovarlo, altrimenti le cose andranno sempre peggio.
Sembra una battuta di spirito, ma i partiti rappresentati in Parlamento non sono per niente contenti di questa “finanziaria”, anche se non lo dicono apertamente; scontenta tutti e quindi metterà d’accordo molti, anche perché uno dei pochi a cui piace, si chiama Enrico Letta, il quale ha avuto la saggezza tipica dei democristiani di non blindarla come è avvenuto tante volte in passato e di lasciare al Parlamento ampio spazio di intervento, salvo poi guardare con la lente d’ingrandimento le singole modifiche.
C’è poi il cosiddetto “candidato di pietra”, cioè il sindaco di Firenze Renzi che inizia a frequentare le discussioni congressuali del PD  e si accorge che la discussione non è affatto serena ma è piena di attacchi incrociati agli avversari – anche a mezzo S,M.S – e quindi genera continui movimenti della scena politica; speriamo che la concretezza democristiana di Letta e la solidità da prima Repubblica di Napolitano tengano la barra a dritta e così facendo, riescano a portare in porto quello che è possibile.

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