sabato, gennaio 17, 2004
La giustizia sociale/3
L’idea di base per realizzare questa sospirata giustizia è che prima dobbiamo giungere ad una maggiore uguaglianza; per fare questo io ipotizzo una “mobilità”, già prestabilita dalla legge, per cui dopo un certo numero di anni, gli autisti degli autobus – per esempio – andranno a fare i bidelli nelle scuole. Dal canto loro i bidelli andranno a fare i commessi nei Centri Commerciali e questi ultimi faranno gli uscieri nei Ministeri e/o negli Uffici Pubblici (Regioni, Comuni, ecc,) che si ritroveranno a sedere su un autobus da portare in giro per una città italiana.
La prima obiezione: ma non è possibile, ognuno conosce il proprio lavoro e quando lo cambia perde la professionalità e conseguentemente funziona tutto peggio.
Rispondo: a parte che per circa il 90% delle attività che si svolgono attualmente, è superflua qualsiasi conoscenza di base e quindi lasciamo perdere la professionalità. Avete mai visto l’attività di un bidello o di un usciere della Regione? Pensate che sia proprio difficile “impadronirsi del mestiere”, come si diceva una volta?
Nell’odierna civiltà – per le attività di base – si è creata una sostanziale piattezza che rende quasi tutti i ruoli assolutamente intercambiabili; l’unica eccezione che mi viene in mente è per alcuni posti specialistici nel settore della sanità.
Mi domanderete: ma a cosa serve tutto questo?
Anzitutto a far capire a “TUTTI” quali sono le protezioni e quali invece le sopraffazioni. Per esempio, il bidello può avere la propria attività diminuita del 50% ed anche di più senza che nessuno pensi a metterlo in cassa integrazione; il commesso invece questo problema ce l’ha. Quando si scambiano ci sono rimpianti, arrabbiature, felicità per la fortuna incontrata ed altro, ma sicuramente abbiamo una maggiore comprensione della totalità del lavoro.
Mi rendo conto di aver gettato un sasso un piccionaia (o forse di aver detto un sacco di coglionate); nel prossimo intervento cercherò di ampliare i concetti e le esemplificazioni per rendere il tutto più comprensibile.
La prima obiezione: ma non è possibile, ognuno conosce il proprio lavoro e quando lo cambia perde la professionalità e conseguentemente funziona tutto peggio.
Rispondo: a parte che per circa il 90% delle attività che si svolgono attualmente, è superflua qualsiasi conoscenza di base e quindi lasciamo perdere la professionalità. Avete mai visto l’attività di un bidello o di un usciere della Regione? Pensate che sia proprio difficile “impadronirsi del mestiere”, come si diceva una volta?
Nell’odierna civiltà – per le attività di base – si è creata una sostanziale piattezza che rende quasi tutti i ruoli assolutamente intercambiabili; l’unica eccezione che mi viene in mente è per alcuni posti specialistici nel settore della sanità.
Mi domanderete: ma a cosa serve tutto questo?
Anzitutto a far capire a “TUTTI” quali sono le protezioni e quali invece le sopraffazioni. Per esempio, il bidello può avere la propria attività diminuita del 50% ed anche di più senza che nessuno pensi a metterlo in cassa integrazione; il commesso invece questo problema ce l’ha. Quando si scambiano ci sono rimpianti, arrabbiature, felicità per la fortuna incontrata ed altro, ma sicuramente abbiamo una maggiore comprensione della totalità del lavoro.
Mi rendo conto di aver gettato un sasso un piccionaia (o forse di aver detto un sacco di coglionate); nel prossimo intervento cercherò di ampliare i concetti e le esemplificazioni per rendere il tutto più comprensibile.
venerdì, gennaio 16, 2004
La giustizia sociale/2
Dopo l’antefatto, alcune considerazioni circa il postulato di giustizia: si ha quando tutti i soggetti interessati hanno le stesse possibilità di farvi ricorso con successo. In pratica, se un soggetto ha dei diritti superiori a quelli degli altri, è assurdo parlare di giustizia, poiché quando si presenta di fronte ad essa Lui e gli altri, la famosa bilancia pende inesorabilmente da una parte.
Se applichiamo questo assioma al sociale, si ha che per realizzare una autentica giustizia sociale è indispensabile che tutti i “lavoratori” siano posti nelle medesime condizioni di base.
Mi spiego meglio: gli autisti degli autobus quando scioperano creano caos e vengono quindi necessariamente ascoltati dalla controparte; quando invece altri soggetti – poniamo i lavoratori del comparto tessile – incrociano le braccia, nessuno ne parla, non creano danni a nessuno e quindi per essere ascoltati dalla struttura padronale hanno bisogno di mobilitazioni sempre più massicce.
Questo è un esempio di come due categorie di lavoratori, entrambe con pari dignità, sono collocate di fronte ad una problematica di rivendicazione con diverso “potere” di farsi ascoltare e con diverso impatto sui mezzi di comunicazione di massa.
Specie nella attuale civiltà dove chi non ha ospitalità sui mass-media praticamente non esiste, pensate un po’ l’incidenza su questi mezzi che può avere un commesso di un Centro Commerciale e un addetto al comparto della Sanità: del primo se ne può fare tranquillamente a meno senza grandi sacrifici, dell’assenza del secondo…si può morire!
Dobbiamo quindi cercare un modo per ovviare a queste difformità di trattamento e ripristinare una sostanziale parità all’interno del mondo del lavoro, quella parità che io definisco l’autentica giustizia sociale.
Ma come fare a realizzare questa idilliaca situazione? Nel prossimo intervento cercherò di spiegare la mia idea.
Se applichiamo questo assioma al sociale, si ha che per realizzare una autentica giustizia sociale è indispensabile che tutti i “lavoratori” siano posti nelle medesime condizioni di base.
Mi spiego meglio: gli autisti degli autobus quando scioperano creano caos e vengono quindi necessariamente ascoltati dalla controparte; quando invece altri soggetti – poniamo i lavoratori del comparto tessile – incrociano le braccia, nessuno ne parla, non creano danni a nessuno e quindi per essere ascoltati dalla struttura padronale hanno bisogno di mobilitazioni sempre più massicce.
Questo è un esempio di come due categorie di lavoratori, entrambe con pari dignità, sono collocate di fronte ad una problematica di rivendicazione con diverso “potere” di farsi ascoltare e con diverso impatto sui mezzi di comunicazione di massa.
Specie nella attuale civiltà dove chi non ha ospitalità sui mass-media praticamente non esiste, pensate un po’ l’incidenza su questi mezzi che può avere un commesso di un Centro Commerciale e un addetto al comparto della Sanità: del primo se ne può fare tranquillamente a meno senza grandi sacrifici, dell’assenza del secondo…si può morire!
Dobbiamo quindi cercare un modo per ovviare a queste difformità di trattamento e ripristinare una sostanziale parità all’interno del mondo del lavoro, quella parità che io definisco l’autentica giustizia sociale.
Ma come fare a realizzare questa idilliaca situazione? Nel prossimo intervento cercherò di spiegare la mia idea.
giovedì, gennaio 15, 2004
La giustizia sociale/1
Insieme allo scandalo Parmalat, la stampa e le televisioni si stanno occupando massicciamente del problema dell’astensione dal lavoro degli auto-ferro-tranvieri che, in tutta Italia ma in modo particolare a Milano, stanno conducendo una serie di scioperi selvaggi, al di fuori di ogni regola ed anche al di là delle direttive dei sindacati (la triplice), guidati invece dai Cobas (Comitati di Base)..
I cittadini che per diversi giorni e senza nessun avviso, escono di casa per andare a lavorare (non per andare a divertirsi) e non trovano i mezzi pubblici sono – giustamente – inferociti contro i tranvieri, i quali, dal canto loro mostrano le loro buste paga (per la verità c’è un po’ di confusione in proposito sulle cifre) e sostengono di attendere ancora degli arretrati per contratti firmati nel 2001; che cosa hanno firmato allora il 20 dicembre scorso nella riunione al Ministero del Lavoro le due controparti (Sindacati e Aziende Comunali) è proprio un mistero. Insomma una grande confusione!
Nel frattempo il Prefetto di Milano ha “precettato” gli autisti dei mezzi pubblici, con il risultato che….tutti se ne sono fregati. Denuncia alla magistratura, richiesta dei nomi degli scioperanti “abusivi” da parte della Procura per la conseguente denuncia; continuano a fregarsene!
Detta così, in soldoni per motivi di brevità, la questione sembrerebbe irrisolvibile, in quanto tutte le parti in causa appaiono dalla parte della ragione: gli scioperanti per i motivi sopra citati; i cittadini che si vedono colpiti in un loro legittimo diritto a usare i mezzi pubblici (e badate bene che si tratta di “modesti” cittadini, perché sono certo che Tronchetti Provera o il Sindaco Alberini non sanno neppure come è fatto un autobus); le aziende di trasposto, infine, che adducono a loro scusante il solito fatto della “mancanza di disponibilità”.
A questo punto dovrebbe intervenire un colpo di genio e affrontare il problema della “giustizia sociale” da un altro punto di vista: chi meglio di me – già autore della….. celebre serie“andare a colore” andata on-line nella terza decade dello scorso novembre, può tentare questa difficile impresa?
Ci proverò; seguitemi nei prossimi giorni e ditemi cosa ne pensate.
I cittadini che per diversi giorni e senza nessun avviso, escono di casa per andare a lavorare (non per andare a divertirsi) e non trovano i mezzi pubblici sono – giustamente – inferociti contro i tranvieri, i quali, dal canto loro mostrano le loro buste paga (per la verità c’è un po’ di confusione in proposito sulle cifre) e sostengono di attendere ancora degli arretrati per contratti firmati nel 2001; che cosa hanno firmato allora il 20 dicembre scorso nella riunione al Ministero del Lavoro le due controparti (Sindacati e Aziende Comunali) è proprio un mistero. Insomma una grande confusione!
Nel frattempo il Prefetto di Milano ha “precettato” gli autisti dei mezzi pubblici, con il risultato che….tutti se ne sono fregati. Denuncia alla magistratura, richiesta dei nomi degli scioperanti “abusivi” da parte della Procura per la conseguente denuncia; continuano a fregarsene!
Detta così, in soldoni per motivi di brevità, la questione sembrerebbe irrisolvibile, in quanto tutte le parti in causa appaiono dalla parte della ragione: gli scioperanti per i motivi sopra citati; i cittadini che si vedono colpiti in un loro legittimo diritto a usare i mezzi pubblici (e badate bene che si tratta di “modesti” cittadini, perché sono certo che Tronchetti Provera o il Sindaco Alberini non sanno neppure come è fatto un autobus); le aziende di trasposto, infine, che adducono a loro scusante il solito fatto della “mancanza di disponibilità”.
A questo punto dovrebbe intervenire un colpo di genio e affrontare il problema della “giustizia sociale” da un altro punto di vista: chi meglio di me – già autore della….. celebre serie“andare a colore” andata on-line nella terza decade dello scorso novembre, può tentare questa difficile impresa?
Ci proverò; seguitemi nei prossimi giorni e ditemi cosa ne pensate.
domenica, gennaio 11, 2004
Ridiamoci sopra!
Ancora sulla vicenda Parmalat: pensate un po’, il centralinista dell’azienda si è ritrovato A.D. o consigliere d’Amministrazione di una trentina di società facenti capo a Calisto Tanzi.
Interrogato dalla magistratura e con l’avviso di garanzia in atto, ha affermato ovviamente di non saperne niente di tutto il bordello creatosi e che alcune di quelle società non le aveva neppure mai sentite nominare. L’ipotesi che ha fatto, per cercare di spiegare le “nomine”, è stata quella di ripagare il suo attaccamento all’Azienda madre; ovviamente – a suo dire – tutto questo è stato da lui effettuato in forma completamente gratuita, direi meglio, disinteressata. Mi immagino la moglie che al posto di un aumento di stipendio si vede tornare a casa il marito con una nuova nomina ad Amministratore Delegata di una società sudamericana, magari brasiliana. “Non me la racconti giusta – avrà inveito la brava donna – qui ci sono di mezzo le ballerine Oba-Oba!!”.
Potremmo continuare all’infinito a costruire battute di spirito su tale inverosimile vicenda, sennonché i poveri investitori italiani (ma anche stranieri) che speravano su un interesse attorno al 6,50% si ritrovano non solo senza “i frutti” ma anche senza il capitale e quindi non credo proprio che abbiano tanta voglia di scherzarci sopra.
Chiudiamo allora con la celebre battuta “se non fosse da piangere sarebbe da ridere”: mi sembra che calzi bene!!
Interrogato dalla magistratura e con l’avviso di garanzia in atto, ha affermato ovviamente di non saperne niente di tutto il bordello creatosi e che alcune di quelle società non le aveva neppure mai sentite nominare. L’ipotesi che ha fatto, per cercare di spiegare le “nomine”, è stata quella di ripagare il suo attaccamento all’Azienda madre; ovviamente – a suo dire – tutto questo è stato da lui effettuato in forma completamente gratuita, direi meglio, disinteressata. Mi immagino la moglie che al posto di un aumento di stipendio si vede tornare a casa il marito con una nuova nomina ad Amministratore Delegata di una società sudamericana, magari brasiliana. “Non me la racconti giusta – avrà inveito la brava donna – qui ci sono di mezzo le ballerine Oba-Oba!!”.
Potremmo continuare all’infinito a costruire battute di spirito su tale inverosimile vicenda, sennonché i poveri investitori italiani (ma anche stranieri) che speravano su un interesse attorno al 6,50% si ritrovano non solo senza “i frutti” ma anche senza il capitale e quindi non credo proprio che abbiano tanta voglia di scherzarci sopra.
Chiudiamo allora con la celebre battuta “se non fosse da piangere sarebbe da ridere”: mi sembra che calzi bene!!