sabato, giugno 12, 2010
10 GIUGNO 1940
Settanta anni fa, alle 18 circa, il Duce lasciò il suo studio a Palazzo Venezia e si affaccio alla fatidica terrazza per annunciare l’entrata in guerra dell’Italia al fianco dei “camerati” tedeschi; un piccolo inciso: l’urgenza della dichiarazione di guerra derivava dalla paura del Duce che la guerra finisse dopo poco e quindi non gli sarebbe rimasto niente da spartire con Hitler: ma come aveva visto bene!!!
L’annuncio venne fatto alla solita folla oceanica osannante che si raggruppava sotto il balcone di Palazzo Venezia; prima curiosità: ma quelle persone, ci venivano “di suo” oppure erano portati con la forza? Perché se l’afflusso era spontaneo, allora dobbiamo parlare di una “Italia fascista”, mentre se c’era coartazione, fisica o psicologica, allora dobbiamo parlare di ”regime autoritario che gestisce le masse”: è diverso!!
A quella tragica giornata seguirono cinque anni di lutti e di rovine, cinque anni in cui il fratello si scagliò contro il fratello e cinque anni in cui l’identità nazionale andò a farsi friggere, soppiantata da una sorta di acquiescenza agli invasori di turno: prima i tedeschi, poi gli americani e poi i partigiani.
Ma gli storici moderni tendono a definire quella giornata – da molti chiamata “della follia” – come “degli inganni”, perché in forma palese od occulta, quasi tutti parteciparono ad un vasto e collettivo inganno. Il primo fu rivolto da Mussolini ad Hitler, a cui fu fatto credere che gli italiani erano pronti (magari non prontissimi, ma insomma…) per combattere al fianco degli alleati tedeschi; poi lo stesso Duce ingannò se stesso e gli italiani tutti, nella presunzione che i tedeschi avessero già vinto la guerra e quindi poteva bastare una sorta di “finzione del combattimento” per potersi poi sedere al tavolo dei vincitori e venire ricompensato con territori e colonie.
Sappiamo tutti come andò a finire e quanto fu amaro il pane che ci veniva elargito dai vincitori, ma almeno Mussolini – al pari di Hitler – venne cancellato, insieme al “fascismo”, dalla sconfitta e lasciò il passo ai moderni politici
Ci sono alcuni storici che affermano come sia stata la sconfitta bellica a distruggere il fascismo e che – nell’ipotesi che Mussolini avesse trovato il modo di esimersi dall’entrata in guerra – il fascismo sarebbe sopravvissuto a molti fascisti; un po’ come quanto è avvenuto in Spagna, dove ci sono voluti tantissimi anni per liberarsi di Francisco Franco, dittatore al pari del nostro Duce, ma più lungimirante nel tenersi a distanza dall’accordo con Hitler che vedeva come un “abbraccio mortale”.
Ma se è vero che dopo la guerra sparì il fascismo, non possiamo dire altrettanto dei “fascisti”, di coloro cioè che parteciparono al banchetto sul nostro Paese e che al momento dell’arrivo dei “liberatori”, trovarono il modo di cancellare ogni loro presenza in situazioni imbarazzanti e semplicemente “cambiarono giacchetta”, indossandone una più consona al momento storico che si stava vivendo.
Gli orrori della guerra – circa 40milioni di morti solo nel teatro di guerra europeo – e l’arrivo di un nuovo “giocatore” (la bomba atomica), resero la guerra una sorta di tabù, un qualcosa di impronunciabile e non ipotizzabile; il consueto “sfogo dell’uomo contro uomo” venne demandato a piccole ma cruentissime guerricciole locali in posti sperduti e ben delimitati; le “grandi potenze si sono ripresentate al proscenio solo dopo l’11 settembre del 2001, quando anche l’America vide l’insicurezza in casa propria e coniò il termine “guerra preventiva”, cosa che neppure Hitler aveva ipotizzato e che ha il solo esempio nell’impero romano con il celebre “si vis pacem para belllum” (se vuoi la pace prepara la guerra). E siamo a questo punto; dove andremo a finire??
L’annuncio venne fatto alla solita folla oceanica osannante che si raggruppava sotto il balcone di Palazzo Venezia; prima curiosità: ma quelle persone, ci venivano “di suo” oppure erano portati con la forza? Perché se l’afflusso era spontaneo, allora dobbiamo parlare di una “Italia fascista”, mentre se c’era coartazione, fisica o psicologica, allora dobbiamo parlare di ”regime autoritario che gestisce le masse”: è diverso!!
A quella tragica giornata seguirono cinque anni di lutti e di rovine, cinque anni in cui il fratello si scagliò contro il fratello e cinque anni in cui l’identità nazionale andò a farsi friggere, soppiantata da una sorta di acquiescenza agli invasori di turno: prima i tedeschi, poi gli americani e poi i partigiani.
Ma gli storici moderni tendono a definire quella giornata – da molti chiamata “della follia” – come “degli inganni”, perché in forma palese od occulta, quasi tutti parteciparono ad un vasto e collettivo inganno. Il primo fu rivolto da Mussolini ad Hitler, a cui fu fatto credere che gli italiani erano pronti (magari non prontissimi, ma insomma…) per combattere al fianco degli alleati tedeschi; poi lo stesso Duce ingannò se stesso e gli italiani tutti, nella presunzione che i tedeschi avessero già vinto la guerra e quindi poteva bastare una sorta di “finzione del combattimento” per potersi poi sedere al tavolo dei vincitori e venire ricompensato con territori e colonie.
Sappiamo tutti come andò a finire e quanto fu amaro il pane che ci veniva elargito dai vincitori, ma almeno Mussolini – al pari di Hitler – venne cancellato, insieme al “fascismo”, dalla sconfitta e lasciò il passo ai moderni politici
Ci sono alcuni storici che affermano come sia stata la sconfitta bellica a distruggere il fascismo e che – nell’ipotesi che Mussolini avesse trovato il modo di esimersi dall’entrata in guerra – il fascismo sarebbe sopravvissuto a molti fascisti; un po’ come quanto è avvenuto in Spagna, dove ci sono voluti tantissimi anni per liberarsi di Francisco Franco, dittatore al pari del nostro Duce, ma più lungimirante nel tenersi a distanza dall’accordo con Hitler che vedeva come un “abbraccio mortale”.
Ma se è vero che dopo la guerra sparì il fascismo, non possiamo dire altrettanto dei “fascisti”, di coloro cioè che parteciparono al banchetto sul nostro Paese e che al momento dell’arrivo dei “liberatori”, trovarono il modo di cancellare ogni loro presenza in situazioni imbarazzanti e semplicemente “cambiarono giacchetta”, indossandone una più consona al momento storico che si stava vivendo.
Gli orrori della guerra – circa 40milioni di morti solo nel teatro di guerra europeo – e l’arrivo di un nuovo “giocatore” (la bomba atomica), resero la guerra una sorta di tabù, un qualcosa di impronunciabile e non ipotizzabile; il consueto “sfogo dell’uomo contro uomo” venne demandato a piccole ma cruentissime guerricciole locali in posti sperduti e ben delimitati; le “grandi potenze si sono ripresentate al proscenio solo dopo l’11 settembre del 2001, quando anche l’America vide l’insicurezza in casa propria e coniò il termine “guerra preventiva”, cosa che neppure Hitler aveva ipotizzato e che ha il solo esempio nell’impero romano con il celebre “si vis pacem para belllum” (se vuoi la pace prepara la guerra). E siamo a questo punto; dove andremo a finire??
giovedì, giugno 10, 2010
TAGLI ANCHE NELLA CHIESA
Questa crisi ci sta riservando strane situazioni: ormai siamo tristemente abituati alla chiusura degli stabilimenti industriali, ma non ci saremmo aspettati che analoga chiusura sarebbe avvenuta nelle Parrocchie di una grande città del centro Italia.
È stato infatti l’Arcivescovo che ha preso una decisione dal sapore “storico”: le 22 parrocchie del centro storico cittadino sono state accorpate in sole 7 macrostrutture (quindi meno di un terzo) e come motivazione il porporato ha pronunciato una frase degna di Marchionne o della Marcegaglia: “nessuna chiesa chiude, perché lo scopo non è diminuire le parrocchie ma servire meglio il centro cittadino”.
Questa affermazione in semiologia si chiama “bugia semiologica”, in quanto è formata da una serie di dati, tutti veri, che però nel loro insieme diventano una menzogna; ma lasciamo stare queste sottigliezze e vediamo meglio il problema: sappiamo in cosa consiste la crisi della FIAT o di altre aziende similari, ma per la Chiesa dove sta il problema? Due sono le componenti in crisi: da una parte la carenza di vocazioni crea una mancanza ormai cronica di preti e dall’altra, la “tiepidezza” dei fedeli, ormai attratti da altri scenari, ha creato la carenza di seguaci delle funzioni religiose, cosicché si hanno chiese semivuote per tutta la settimana e un po’ piene solo la domenica.
Con l’accorpamento delle parrocchie, l’Arcivescovo risolve il problema della mancanza dei preti, ma certo crea qualche disagio ai fedeli che anziché nella chiesetta sotto casa, debbono raggiungere quella demandata a funzionare da “capo gruppo”; per carità, per la fede si fa questo ed altro, ma non è bello sentirsi dire che con questo accorpamento verrà “servito meglio il centro cittadino”, così come risulta dalla dichiarazione della Curia; sembra quasi una presa in giro!! E delle Chiese che non saranno più “parrocchie” cosa ne verrà fatto? Non saranno chiuse, e sono allo studio altre forme per impiegare giustamente e doverosamente queste magnifiche costruzioni: si parla di messe in lingua straniera per i turisti o di attività messe in piedi da altre comunità religiose; staremo a vedere, tanto l’inizio di questa “rivoluzione” non sarà a breve.
Dopo avere affrontato il problema della “manovra” messa in opera dalla Curia, passiamo a vedere cosa sta succedendo in casa FIAT e, in particolare nello stabilimento di Pomigliano, eletto a pomo della discordia tra management e sindacati: il perno del discorso si basa sulla proposta della Direzione FIAT di portare a Pomigliano la nuova linea produttiva della Panda, trasferendola dalla Polonia, con un investimento di circa 700milioni di euro per l’ammodernamento degli impianti; in cambio viene chiesto ai lavoratori una sostanziale modifica del modello organizzativo ed in particolare delle condizioni di lavoro: sono previsti tre turni giornalieri per sei giorni, compreso il sabato notte, a stipendio bloccato.
La “triplice” sindacale è fortemente divisa: la CGIL sembra decisa a rompere ogni accordo e a dire un secco ”no” alla proposta, mentre gli altri due sindacati sembrano disposti alla firma, sia pure “turandosi il naso” per non far chiudere il più grosso stabilimento del Mezzogiorno. E la politica? Zitta e mosca!!
A proposito di politica: il sindaco di Verona è stato pizzicato dal “tutor” sulla A-4 mentre sulla sua auto blu sfrecciava a 190 Km orari; ha chiesto la revoca dell’infrazione, sostenendo che le auto blu sono esentate dai limiti di velocità quando lo impongano ragioni di “sicurezza” o di “istituto”; niente paura, il signor Sindaco non è improvvisamente impazzito, ma ha raggiunto soltanto quell’aurea condizione di “sovrana impunità” che prende tutti i potenti di questo disgraziato Paese.
È stato infatti l’Arcivescovo che ha preso una decisione dal sapore “storico”: le 22 parrocchie del centro storico cittadino sono state accorpate in sole 7 macrostrutture (quindi meno di un terzo) e come motivazione il porporato ha pronunciato una frase degna di Marchionne o della Marcegaglia: “nessuna chiesa chiude, perché lo scopo non è diminuire le parrocchie ma servire meglio il centro cittadino”.
Questa affermazione in semiologia si chiama “bugia semiologica”, in quanto è formata da una serie di dati, tutti veri, che però nel loro insieme diventano una menzogna; ma lasciamo stare queste sottigliezze e vediamo meglio il problema: sappiamo in cosa consiste la crisi della FIAT o di altre aziende similari, ma per la Chiesa dove sta il problema? Due sono le componenti in crisi: da una parte la carenza di vocazioni crea una mancanza ormai cronica di preti e dall’altra, la “tiepidezza” dei fedeli, ormai attratti da altri scenari, ha creato la carenza di seguaci delle funzioni religiose, cosicché si hanno chiese semivuote per tutta la settimana e un po’ piene solo la domenica.
Con l’accorpamento delle parrocchie, l’Arcivescovo risolve il problema della mancanza dei preti, ma certo crea qualche disagio ai fedeli che anziché nella chiesetta sotto casa, debbono raggiungere quella demandata a funzionare da “capo gruppo”; per carità, per la fede si fa questo ed altro, ma non è bello sentirsi dire che con questo accorpamento verrà “servito meglio il centro cittadino”, così come risulta dalla dichiarazione della Curia; sembra quasi una presa in giro!! E delle Chiese che non saranno più “parrocchie” cosa ne verrà fatto? Non saranno chiuse, e sono allo studio altre forme per impiegare giustamente e doverosamente queste magnifiche costruzioni: si parla di messe in lingua straniera per i turisti o di attività messe in piedi da altre comunità religiose; staremo a vedere, tanto l’inizio di questa “rivoluzione” non sarà a breve.
Dopo avere affrontato il problema della “manovra” messa in opera dalla Curia, passiamo a vedere cosa sta succedendo in casa FIAT e, in particolare nello stabilimento di Pomigliano, eletto a pomo della discordia tra management e sindacati: il perno del discorso si basa sulla proposta della Direzione FIAT di portare a Pomigliano la nuova linea produttiva della Panda, trasferendola dalla Polonia, con un investimento di circa 700milioni di euro per l’ammodernamento degli impianti; in cambio viene chiesto ai lavoratori una sostanziale modifica del modello organizzativo ed in particolare delle condizioni di lavoro: sono previsti tre turni giornalieri per sei giorni, compreso il sabato notte, a stipendio bloccato.
La “triplice” sindacale è fortemente divisa: la CGIL sembra decisa a rompere ogni accordo e a dire un secco ”no” alla proposta, mentre gli altri due sindacati sembrano disposti alla firma, sia pure “turandosi il naso” per non far chiudere il più grosso stabilimento del Mezzogiorno. E la politica? Zitta e mosca!!
A proposito di politica: il sindaco di Verona è stato pizzicato dal “tutor” sulla A-4 mentre sulla sua auto blu sfrecciava a 190 Km orari; ha chiesto la revoca dell’infrazione, sostenendo che le auto blu sono esentate dai limiti di velocità quando lo impongano ragioni di “sicurezza” o di “istituto”; niente paura, il signor Sindaco non è improvvisamente impazzito, ma ha raggiunto soltanto quell’aurea condizione di “sovrana impunità” che prende tutti i potenti di questo disgraziato Paese.
martedì, giugno 08, 2010
IL PROBLEMA EUROPA
Forse, etichettare l’Europa” con il termine di “problema” è decisamente troppo, ma l’idea mi è venuta nel leggere l’ultimatum dell’UE all’Italia, secondo cui dal 2012 tutte le donne che lavorano nel settore pubblico, andranno in pensione con 65 anni di età.
Capisco che i conti di molti Paesi europei – tra cui il nostro - non sono propriamente in ordine e quindi delle affermazioni del genere – che ovviamente minano alla base il concetto di autonomia di ogni Nazione – possono venire buone per i governanti per presentare il “problema” a sindacati e pensionati; come dire: noi non vorremmo farlo, ma l’UE ce lo impone!!
Comunque, prima di arrabbiarci per le pensioni, vi invito a riflettere su come sarà il nostro Paese tra venti anni? Anzitutto la questione demografica dalla quale risulta che i giovani diminuiscono sempre più, sia in termini percentuali rispetto alla popolazione, sia in assoluto: ci saranno infatti 1.235.000 giovani in meno e sui rimanenti graverà buona parte degli sforzi per aumentare il Pil e ridurre il debito pubblico.
Alcuni economisti parlano di una riduzione della spesa di ben 12 miliardi di euro per dieci anni, al fine di riportare il debito pubblico al di sotto del 100% del Pil; risulta chiaro che una salita così ripida e di lunga durata abbisogna di una strategia d’azione, un progetto di dinamica collettiva e di sviluppo futuro: potremmo chiamarlo un sogno, o almeno una proposta che sia in grado di scaldare i cuori e di accendere la speranza; ce l’abbiamo? E soprattutto, abbiamo colui che possa proporla? Non lo vedo!!
Il Pil del primo trimestre 2010 ha fatto registrare un dato che possiamo indicare come una “speranza”:infatti, mentre la media dell’area Euro è stata un +0,2 sul primo trimestre 2009, l’Italia è ai vertici dei Paesi europei con il suo +0,5; possiamo contentarci di questi dati iniziali e parziali? Direi proprio di no!!
Direi che sono un buon viatico per il prossimo futuro, ma la guerra si combatterà, a mio giudizio, su due fronti: il primo è quello dell’evasione fiscale e dei risparmi che gli enti locali saranno capaci di inventarsi per rientrare nei parametri fissati, mentre il secondo è la ripresa delle assunzioni e quindi dei consumi privati.
Sull’evasione si stanno facendo grossi passi in avanti, soprattutto sul piano organizzativo; bisogna ora vedere quanta parte del denaro individuato potrà essere considerato come “introitato”; per i risparmi, la chiave di volta dell’operazione è fatta dalla componente delle “consulenze”, vera spina nel fianco dei potenti della politica, ma anche nel campo delle “agenzie” che vengono letteralmente “inventate” per ogni problematica, anche la più strampalata, e che servono soprattutto a piazzare politici “trombati”, che debbono essere comunque “sistemati”.
Passiamo adesso al settore privato e, in particolare, la ripresa delle assunzioni nella Industria (grande e media): qui il discorso è allo stesso tempo più semplice e più complesso, proprio perché non c’è nessuno che possa “imporre” una strategia politica agli industriali; certo che se dobbiamo partire dalla situazione “Pomigliano”, le prospettive non sono rosee, in quanto la FIAT ha posto ai sindacati tutta una serie di “imposizioni” (alcune anche fuori legge) che sarà difficile far digerire ai lavoratori.
È chiaro che solo un aumento dei posti di lavoro porta a rinforzare i consumi, mentre alcune iniziative che definisco solo stravaganti, mi lasciano perplesso: penso a quella di aprire le scuole il primo di ottobre, anziché i primi di settembre, per favorire così il turismo locale: se continuiamo a considerare la scuola come un “impedimento” per lo sviluppo del Paese, non credo che andremo molto lontano; chiaro il concetto??
Capisco che i conti di molti Paesi europei – tra cui il nostro - non sono propriamente in ordine e quindi delle affermazioni del genere – che ovviamente minano alla base il concetto di autonomia di ogni Nazione – possono venire buone per i governanti per presentare il “problema” a sindacati e pensionati; come dire: noi non vorremmo farlo, ma l’UE ce lo impone!!
Comunque, prima di arrabbiarci per le pensioni, vi invito a riflettere su come sarà il nostro Paese tra venti anni? Anzitutto la questione demografica dalla quale risulta che i giovani diminuiscono sempre più, sia in termini percentuali rispetto alla popolazione, sia in assoluto: ci saranno infatti 1.235.000 giovani in meno e sui rimanenti graverà buona parte degli sforzi per aumentare il Pil e ridurre il debito pubblico.
Alcuni economisti parlano di una riduzione della spesa di ben 12 miliardi di euro per dieci anni, al fine di riportare il debito pubblico al di sotto del 100% del Pil; risulta chiaro che una salita così ripida e di lunga durata abbisogna di una strategia d’azione, un progetto di dinamica collettiva e di sviluppo futuro: potremmo chiamarlo un sogno, o almeno una proposta che sia in grado di scaldare i cuori e di accendere la speranza; ce l’abbiamo? E soprattutto, abbiamo colui che possa proporla? Non lo vedo!!
Il Pil del primo trimestre 2010 ha fatto registrare un dato che possiamo indicare come una “speranza”:infatti, mentre la media dell’area Euro è stata un +0,2 sul primo trimestre 2009, l’Italia è ai vertici dei Paesi europei con il suo +0,5; possiamo contentarci di questi dati iniziali e parziali? Direi proprio di no!!
Direi che sono un buon viatico per il prossimo futuro, ma la guerra si combatterà, a mio giudizio, su due fronti: il primo è quello dell’evasione fiscale e dei risparmi che gli enti locali saranno capaci di inventarsi per rientrare nei parametri fissati, mentre il secondo è la ripresa delle assunzioni e quindi dei consumi privati.
Sull’evasione si stanno facendo grossi passi in avanti, soprattutto sul piano organizzativo; bisogna ora vedere quanta parte del denaro individuato potrà essere considerato come “introitato”; per i risparmi, la chiave di volta dell’operazione è fatta dalla componente delle “consulenze”, vera spina nel fianco dei potenti della politica, ma anche nel campo delle “agenzie” che vengono letteralmente “inventate” per ogni problematica, anche la più strampalata, e che servono soprattutto a piazzare politici “trombati”, che debbono essere comunque “sistemati”.
Passiamo adesso al settore privato e, in particolare, la ripresa delle assunzioni nella Industria (grande e media): qui il discorso è allo stesso tempo più semplice e più complesso, proprio perché non c’è nessuno che possa “imporre” una strategia politica agli industriali; certo che se dobbiamo partire dalla situazione “Pomigliano”, le prospettive non sono rosee, in quanto la FIAT ha posto ai sindacati tutta una serie di “imposizioni” (alcune anche fuori legge) che sarà difficile far digerire ai lavoratori.
È chiaro che solo un aumento dei posti di lavoro porta a rinforzare i consumi, mentre alcune iniziative che definisco solo stravaganti, mi lasciano perplesso: penso a quella di aprire le scuole il primo di ottobre, anziché i primi di settembre, per favorire così il turismo locale: se continuiamo a considerare la scuola come un “impedimento” per lo sviluppo del Paese, non credo che andremo molto lontano; chiaro il concetto??
domenica, giugno 06, 2010
LAOGAI
Questo post ha un titolo che sembra ermetico, ma che subito dopo cercherò di spiegare; al momento basti sapere che è un termine cinese e che in questo articolo cerco di commemorare il ventunesimo anniversario di Tienanmeen (3 giugno), la fallita rivolta studentesca la cui immagine simbolo è un giovane che minaccia un carro armato con una borsa di plastica per la spesa.
Dunque, torniamo al “laogai”, abbreviazione di “laodong gaizao” che in cinese significa “riforma con il lavoro”; il termine è anche usato per indicare le varie forme di lavoro forzato previste nel sistema giuridico e carcerario cinese; diverse fonti sostengono che nei campi di lavoro vengono comunemente applicati sia la tortura che la “rieducazione politica” e che vi sia un altissimo grado di mortalità dei prigionieri, riconducibile a maltrattamenti di vario genere inflitti dai jiuve, letteralmente “personale addetto al lavoro forzato”; è anche controverso – ne ho parlato anch’io in passato – il tema dell’uso che il governo cinese fa della manodopera a costo quali nullo costituita dai carcerati che, secondo alcune fonti, sarebbero sottoposti a ritmi di lavoro disumani e al limite dello schiavismo; senza contare le esecuzioni capitali che continuano a ritmo impressionante, il traffico di organi dei condannati a morte, le sterilizzazioni e gli aborti forzati, nonché la repressione di qualunque dissenso.
Due parole per parlare delle motivazioni che furono alla fase della rivolta di Tienanmen: la protesta prese corpo nella seconda quindicina di aprile del 1989 durante le esequie dell’ex segretario “riformista” Hu Yaobang, laddove decine di migliaia di studenti presentarono la celebre “dichiarazione”, nella quale chiedevano la lotta alla corruzione ed alla censura; sappiamo tutti cosa è avvenuto dopo, con i rivoltosi massacrati su ordine di Deng Xiaoping: tra i 2600 ed i 3200 morti ed un numero imprecisato di feriti; chi scampò la vita venne rinchiuso nei Laogai per un minimo di 9 ed un massimo di 17 anni, con ritmi di lavoro fino a 16 ore al giorno.
Ma oltre ai laogai, abbiamo un altro focolaio di polemiche: è di poche settimane fa, la notizia che ha visto coinvolta la “Foxconn”, l’azienda che produce, tra l’altro, l’I-pad e l’I-phone, i gioiellini tecnologici che stanno coprendo di profitti miliardari la multinazionale “Apple” ed il suo fondatore Steve Jobs.
Quest’ultimo, di fronte alla catena di suicidi che negli ultimi mesi ha marchiato lo stabilimenti cinese come “fabbrica di schiavi”, non ha trovato di meglio che “stupirsi”.
Forse il leggendario Steve, avrà trovato “stupefacente” che in quello stabilimento oltre la metà dell’organico fosse composto da ragazzi “stagisti” delle scuole professionali, costretti a turni di 12 ore al giorno, per un compenso che oscilla tra i 108 e i 166 euro al mese; ma si è subito “ripreso” dallo stupore, quando si è ricordato che – tanto per avere un’idea – vende l’I-Pad a quasi 800 euro in Italia; chiaro il concetto??
Entrambe le situazioni sopra indicate – Laogai e fabbriche di schiavi – alimentano l’”ammirazione” per un paese dove chi sgarra paga subito un alto prezzo e dove una dittatura inflessibile, commette crimini mostruosi e sfrutta il popolo a vantaggio di una ridotta nomenklatura di partito che ormai si è alleata con il capitalismo internazionale, ben felice di aver trovato in Cina il luogo ideale per i suoi sporchi affari.
Ed anche il “promesso” progresso sociale, è concesso con un contagocce dal buco così piccolo che se ne avverte a malapena l’arrivo.
Per concludere con una battuta: in Italia e in Europa in generale, un giovane su tre non riesce a trovare lavoro; in Cina, di lavoro ce n’è tanto, malpagato, ma tanto!!
Dunque, torniamo al “laogai”, abbreviazione di “laodong gaizao” che in cinese significa “riforma con il lavoro”; il termine è anche usato per indicare le varie forme di lavoro forzato previste nel sistema giuridico e carcerario cinese; diverse fonti sostengono che nei campi di lavoro vengono comunemente applicati sia la tortura che la “rieducazione politica” e che vi sia un altissimo grado di mortalità dei prigionieri, riconducibile a maltrattamenti di vario genere inflitti dai jiuve, letteralmente “personale addetto al lavoro forzato”; è anche controverso – ne ho parlato anch’io in passato – il tema dell’uso che il governo cinese fa della manodopera a costo quali nullo costituita dai carcerati che, secondo alcune fonti, sarebbero sottoposti a ritmi di lavoro disumani e al limite dello schiavismo; senza contare le esecuzioni capitali che continuano a ritmo impressionante, il traffico di organi dei condannati a morte, le sterilizzazioni e gli aborti forzati, nonché la repressione di qualunque dissenso.
Due parole per parlare delle motivazioni che furono alla fase della rivolta di Tienanmen: la protesta prese corpo nella seconda quindicina di aprile del 1989 durante le esequie dell’ex segretario “riformista” Hu Yaobang, laddove decine di migliaia di studenti presentarono la celebre “dichiarazione”, nella quale chiedevano la lotta alla corruzione ed alla censura; sappiamo tutti cosa è avvenuto dopo, con i rivoltosi massacrati su ordine di Deng Xiaoping: tra i 2600 ed i 3200 morti ed un numero imprecisato di feriti; chi scampò la vita venne rinchiuso nei Laogai per un minimo di 9 ed un massimo di 17 anni, con ritmi di lavoro fino a 16 ore al giorno.
Ma oltre ai laogai, abbiamo un altro focolaio di polemiche: è di poche settimane fa, la notizia che ha visto coinvolta la “Foxconn”, l’azienda che produce, tra l’altro, l’I-pad e l’I-phone, i gioiellini tecnologici che stanno coprendo di profitti miliardari la multinazionale “Apple” ed il suo fondatore Steve Jobs.
Quest’ultimo, di fronte alla catena di suicidi che negli ultimi mesi ha marchiato lo stabilimenti cinese come “fabbrica di schiavi”, non ha trovato di meglio che “stupirsi”.
Forse il leggendario Steve, avrà trovato “stupefacente” che in quello stabilimento oltre la metà dell’organico fosse composto da ragazzi “stagisti” delle scuole professionali, costretti a turni di 12 ore al giorno, per un compenso che oscilla tra i 108 e i 166 euro al mese; ma si è subito “ripreso” dallo stupore, quando si è ricordato che – tanto per avere un’idea – vende l’I-Pad a quasi 800 euro in Italia; chiaro il concetto??
Entrambe le situazioni sopra indicate – Laogai e fabbriche di schiavi – alimentano l’”ammirazione” per un paese dove chi sgarra paga subito un alto prezzo e dove una dittatura inflessibile, commette crimini mostruosi e sfrutta il popolo a vantaggio di una ridotta nomenklatura di partito che ormai si è alleata con il capitalismo internazionale, ben felice di aver trovato in Cina il luogo ideale per i suoi sporchi affari.
Ed anche il “promesso” progresso sociale, è concesso con un contagocce dal buco così piccolo che se ne avverte a malapena l’arrivo.
Per concludere con una battuta: in Italia e in Europa in generale, un giovane su tre non riesce a trovare lavoro; in Cina, di lavoro ce n’è tanto, malpagato, ma tanto!!