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sabato, maggio 07, 2005

Quanta invidia per l'Inghilterra; però... 

Come era largamente previsto, Blair ha vinto le elezioni inglesi e si è assicurato il terzo mandato consecutivo, cosa mai successa in campo laburista; pur perdendo 60 seggi dalle elezioni del 2001, si è assicurato la maggioranza assoluta del parlamento inglese con oltre 70 seggi di scarto.
È ovvio che in Italia tutte le volte che ci sono le elezioni in Inghilterra si grida al miracolo, si invidia quel sistema e, insomma, guardiamo a quel Paese come ad un modello di civiltà: ma come, si vota il mercoledì e il venerdì il vincitore già si reca dalla Regina con la lista dei ministri: da noi passa almeno 20 o 30 giorni prima di capire con esattezza chi ha vinto e “che cosa” ha vinto.
Però, dopo i complimenti di rito, vediamo meglio i risultati e, attraverso questi la bellezza (e le anomalie) del sistema elettorale britannico che, ricordiamocelo, è un maggioritario perfetto, cioè senza recuperi ed altre diavolerie che abbiamo noi: raffrontando le percentuali di voti con i seggi acquisiti si resta già un pochino perplessi, infatti i laburisti con poco più del 36% dei voti si sono assicurati 353 seggi (su 646 totali), mentre i conservatori con il 33% hanno avuto solo 196 seggi e i liberaldemocratici con quasi il 23% non sono andato oltre i 61 rappresentanti.
Già dai numeri balza evidente l’anomalia: con tre punti percentuali di differenza i laburisti hanno conquistato quasi 160 seggi in più (45%) dei conservatori e se poi la comparazione avviene nei confronti dei liberaldemocratici la sperequazione appare ancora più evidente: si conquista il 14% in più e si hanno 290 seggi in più (quasi 5 volte il bottino dei poveri liberali).
Questo è il problema del maggioritario secco; si conquista un collegio elettorale con un voto in più del candidato avversario e a quest’ultimo non tocca niente.
Immaginiamoci cosa succederebbe in Italia, dove i partiti del 3% hanno un tale potere che determinano la caduta o meno del governo; in caso di applicazione della stessa legge elettorale sarebbe indispensabile accorparsi e presentarsi al giudizio degli elettori con partiti di più anime, salvo poi sciogliersi subito dopo.
Se avessero fatto analoga riflessione – ma in Inghilterra non c’è proprio la tradizione dell’accorpamento – i due partiti sconfitti (liberali e conservatori) avrebbero stravinto nei singoli collegi e quindi si sarebbero assicurati il governo: così non è stato e nessuno di loro ne fa un dramma; sarà per la prossima volta, annunciano seraficamente i segretari dei due partiti sconfitti.
A proposito della parziale sconfitta di Blair (passato da 413 a 353 seggi), tutti i commentatori inglesi fanno riferimento all’impopolarità della partecipazione alla guerra in Irak; a questo proposito il leader laburista, dopo aver ammesso il ridimensionamento del proprio partito, ha disegnato una compagine di governo diversa dalla precedente – più moderata – e ha convenuto che sarà opportuno capire i motivi per i quali molti elettori gli hanno voltato le spalle.
Complimenti, perché uno che vince dovrebbe solo festeggiare, mentre Blair guarda anche al futuro!

venerdì, maggio 06, 2005

"Tutti a casa"? Non è possibile! però... 

Dopo le divergenze con gli americani circa la relazione sull’accaduto in quella tragica sera in cui è morto Nicola Calipari, le cose da fare sono – in pratica – soltanto due: la prima è continuare come se niente fosse accaduto e la seconda è cominciare a tirare fuori il fatidico “tutti a casa”; vediamole singolarmente queste due possibilità.
Nel primo caso ci accontenteremmo di aver mostrato la nostra “indipendenza intellettuale” quando abbiamo compilato una nostra relazione completamente, o quasi, discordante da quella dei militari americani.
Però, lasciatemelo dire, non capisco a cosa serva questa posizione discordante se poi non produce nient’altro che un formale distinguo nelle dichiarazioni ufficiali.
Da alcune parti – con sottile sofisma – si è affermato che le nostre Forze Armate sono in Irak di loro spontanea volontà e non perché “invitati” dagli Stati Uniti: mi sembra che siamo al nascondersi dietro un dito, in quanto sappiamo benissimo come è andata.
Debbo dire che se escludiamo la sinistra più radicale, l’opposizione ha fatto degli interventi di maniera nei quali anche l’eventualità del rientro delle nostre truppe è stato soltanto accennato e neppure in modo netto e perentorio.
Veniamo ora alla seconda ipotesi – quella del “tutti a casa” – e notiamo subito che non è una ipotesi percorribile nella sua squisita attualità, ma le cose non è tanto importante farle quanto “dirle, annunciarle” ed è proprio di questa eventualità che voglio occuparmi.
Mettiamo che il Cavaliere – anziché quella relazione smelensita che non ha portato da nessuna parte – avesse fatto un rapporto nel quale confutava punto per punto le conclusioni della relazione statunitense e, alla conclusione, avesse preannunciato all’alleato ed amico americano che in Italia si stava prendendo in seria considerazione l’ipotesi di andarsene dall’Irak (come del resto sta facendo la Bulgaria), vista anche la scarsa considerazione nella quale siamo tenuti dagli amici americani.
Poiché non siamo degli irresponsabili, non “cominciamo a fare i bagagli”, ma cominciamo a pensarci e molto seriamente; in concreto, entro l’autunno 2005 tutto il contingente dovrebbe essere a casa, a meno di problemi che dovessero insorgere sul posto.
Se venisse fatto questo bel discorsino, non succederebbe niente nella concreta realtà e non si incrinerebbero più di tanto i rapporti con gli Stati Uniti, ma il Cavaliere otterrebbe un duplice effetto positivo: da una parte riacquisterebbe un po’ di “attributi” nei confronti degli americani, un po’ quanto successe ai tempi di Craxi con la vicenda Sigonella; in secondo luogo verrebbe spuntata una delle armi maggiori dell’opposizione, cioè sempre quella sudditanza nei confronti degli U.S.A.
Comunque sia, se il governo ha qualche idea migliore faccia pure; se invece pensiamo che tutto si esaurisca con la relazione in Parlamento da parte di Berlusconi, non dobbiamo dimenticare che la Magistratura, sia pure con i tempi lunghi che gli sono propri, ha affrontato la vicenda aprendo un dossier con una specifica accusa di omicidio da parte di ignoti (per ora). Se questa indagine conducesse da qualche parte come si risolverebbero i rapporti con l’america nel caso che si arrivi ad una qualche incriminazione? Forse dire che il governo sarebbe in imbarazzo è dire poco; invece se avesse già annunciato il proprio disimpegno dall’Irak potrebbe fare un’altra figura, ed avrebbe più ampi spazi di manovra, non trovate?

giovedì, maggio 05, 2005

Ora siamo costretti a sperare nella Magistratura 

Come era facile prevedere, il rapporto delle Autorità italiane sulla tragica fine di Nicola Calipari diverge in modo sostanziale da quello compilato dagli americani.
Il Cavaliere – nonostante le svariate telefonate scambiate con l’amico Bush – non è riuscito a spostare di una virgola la posizione degli americani che continuano a sostenere la tesi della imprudenza del nostro funzionario SISMI mentre noi ribadiamo la inadeguatezza psicologica dei “ragazzi” che presidiavano il posto di blocco e che – non avvertiti da nessuno – quando hanno visto arrivare un’auto non hanno saputo fare di meglio che sparargli contro.
A margine della vicenda vorrei fare due sole considerazioni: la prima è che, anche se “una telefonata allunga la vita” come recitava uno spot di successo, non è bello trattare affari di stato di tale rilevanza attraverso le conversazioni telefoniche tra i due leader; e soprattutto non è bello annunciarlo in anticipo al coro dei giornalisti con la sicumera che caratterizza il Berlusca in tante occasioni: “ora gli telefono io a Bush e vedrete che sistemiamo tutto”: e infatti…non è stato sistemato proprio niente, Bush ha ribadito l’eroismo del nostro Calidari, ha rinnovato le condoglianze ai familiari, ma non è andato oltre, rifiutandosi addirittura di formulare scuse ufficiali al nostro Paese.
La seconda considerazione che mi viene da fare, deriva da una dichiarazione di Di Pietro che – guarda caso – mi sembra il meno sprovveduto di quanti hanno parlato in questi giorni: tutto il problema discende dal fatto che le nostre autorità di governo (non so chi personalmente) appena appreso della liberazione di Giuliana Sgrena, hanno fatto pressione su Calipari perché rientrasse al più presto in Italia insieme alla giornalista; questa fretta che è stata messa al nostro funzionario soprattutto dal suo capo, gli ha fatto commettere alcune leggerezze che, altrimenti non avrebbe commesso, come quella di avvertire soltanto qualcuno all’aeroporto e non al comando generale delle truppe americane, con preghiera di emanare ordini in tal senso a tutte le unità che egli avrebbe potuto incontrare nella via di fuga verso l’aereo che doveva riportarli in Italia.
Questa è una ipotesi che effettivamente sta in piedi, altrimenti non si spiega la fretta di Calipari di raggiungere l’aereo per l’Italia in una serata bruttissima – sotto il profilo meteorologico – con un temporale che rovesciava acqua a catinelle e con il buio della notte ormai arrivato; prudenza avrebbe voluto che prima di avventurarsi in quella strada sarebbe stato meglio sostare presso qualche comando americano e da lì farsi scortare verso l’aeroporto.
Comunque sia, la verità su quanto accaduto non la sapremo mai e quindi può trovare ospitalità anche la teoria dell’ordine dato da un qualche “generale pazzoide” di dare una lezione a questi italiani che sono sempre disposti a tirare fuori i soldi per foraggiare i terroristi.
Sono certo che così non è stato, ma non ci sono prove né contro né a favore, quindi tutte le ipotesi restano valide, anche quella - in verità fantastica – che ho indicato sopra.
Anche questo diventerà uno dei tanti “misteri italiani”, insieme a Piazza della Loggia, la bomba sull’Italicus, alla Stazione di Bologna e tanti altri del genere; a meno che la nostra Magistratura – che ha appena iniziato l’inchiesta – non riesca a fare giustizia o quanto meno ad indicare l’esatta ricostruzione degli eventi accaduti quella tragica notte.

mercoledì, maggio 04, 2005

Oggi voglio parlare di due galeotti 

Alcuni giorni fa mi sono dedicato a commentare la vicenda di Angelo Izzo, il detenuto di Campobasso, meglio conosciuto come “mostro del Circeo”, che si trova nuovamente implicato in un efferato delitto che vede madre e figlia vittime particolarmente brutalizzate; la violenza del duplice delitto è stata veramente incredibile, una violenza che è poi sfociata in un “incaprettamento” delle due donne che sarebbero poi state sepolte, ancora vive, nella calce.
La vicenda mi è ritornata in mente perché un quotidiano pubblica addirittura il “biglietto da visita” del nostro Izzo che reca l’indicazione “coordinatore di Città Domani” e addirittura tre numeri di cellulari, oltre ad un indirizzo e-mail attraverso il quale mettersi in contatto con il nostro galeotto.
Allora, facciamo un po’ d’ordine: “Città Domani” è l’associazione Evangelica che ospita Izzo in quella che viene definita “libertà vigilata” e nella quale sono comprese un certo numero di ore di lavoro presso questa comunità e poi il rientro per cenare e andare a dormire in prigione.
Adesso che è successo il patatrac, tutti si scatenano a dire che non va bene, c’è stato un errore, che la normativa deve essere cambiata e cose del genere; ma come mai tutte queste cose vengono dette “dopo” e mai che si modifichi qualcosa (vero, sig. Ministro della Giustizia??) prima che questi fatti avvengano.
Si aspetta cioè che l’evento faccia scattare la modifica, perché così siamo certi che sull’onda dell’emotività è più facile far digerire delle variazioni che potrebbero essere considerate impopolari.
Dobbiamo però renderci conto che il clima generale che circonda le vicende dei detenuti è oggi particolarmente lassista e che mai si guarda a quello che potrebbe essere la reazione dell’opinione pubblica a fronte di certe prese di posizione: parafrasando il titolo di una associazione di stampo radicale, va bene “che nessuno tocchi Caino”, ma al povero Abele chi ci deve pensare?
A questo proposito, non per legare questa secondo caso ad Angelo Izzo, ma solo per completezza di narrazione, è bene conoscere anche la condizione carceraria di un altro galeotto, Adriano Sofri, che proprio sabato scorso è stato invitato come ospite d’onore all’opera inaugurale del Maggio Musicale Fiorentino, insieme a Sofia Loren e a tanti altri VIP.
Questo signore, condannato da un regolare Tribunale italiano e la cui condanna è stata confermata dalla Corte d’Appello e poi dalla Cassazione, vive un regime carcerario che possiamo definire “di tutto riposo”: presenzia a dibattiti televisivi (con le telecamere che vengono introdotte in carcere con immaginabili problemi di vario genere), rilascia interviste su stampa, radio e televisioni, ha una (o forse più di una!) rubrica fissa su un settimanale sulla quale ci propina la sua verità come fosse verità rivelata, ed ora – dato che era un suo desiderio assistere ad un’opera lirica – i funzionari del Teatro Comunale di Firenze, appoggiati ovviamente dalle autorità comunali e regionali, si sono fatti un dovere di invitarlo, non a una rappresentazione qualsiasi, ma addirittura alla “prima”, il cui biglietto d’ingresso – ammesso che ce ne fossero stati, dato che venivano distribuiti tutti a “personaggi” – aveva un costo di 250 euro.
Ma gli altri detenuti, cosa aspettano a ribellarsi a questi trattamenti fortemente sperequati verso qualcuno che sembra avere una sorta di “fiocchino rosso” che lo distingue dagli altri?
E gli spettatori del “Maggio”? Forse sono contenti perché domani potranno raccontare agli amici di aver assistito alla “Tosca” accanto a un galeotto!

martedì, maggio 03, 2005

Tra protezionismo e globalizzazione 

Dopo la “mezza pagina” a pagamento dell’Associazione dei Calzaturieri che “implorava” di comprare solo scarpe italiane, cioè fatte in Italia da maestranze italiane, ecco una nuova pubblicità che fa perno su un protezionismo strisciante: mi riferisco agli spot televisivi che i marchi italiani di automobili (marchi diversi, ma proprietario uno solo: la FIAT) hanno messo in onda; come head-line abbiamo “ogni volta che compri un’auto tedesca i tedeschi ringraziano” e analogamente per le auto francesi, ecc.; in questi casi la forma di “protezionismo indotta” è rappresentata dal senso di colpa che prende colui che ha acquistato un’auto straniera, visto che i ringraziamenti dei francesi o tedeschi sono fatti con un sorrisetto sotto i baffi e stanno sottacendo un “mors tua, vita mea”.
Ma mi chiedo: non siamo nell’era della “globalizzazione” e allora cosa c’entrano questi rigurgiti di protezionismo?
Bene, allora facciamo un passo indietro e cominciamo a intravedere quella che è la principale caratteristica della “globalizzazione”: il postulato iniziale è che il mondo è un “villaggio” e quindi, alla stessa stregua del villaggio o cittadina di nostra conoscenza, gli acquisti e le vendite vengono effettuati nei posti dove è più conveniente per me; prima notazione: esasperazione dell’egoismo e abbattimento di qualunque concetto sociale.
Ed infatti la parola d’ordine è stata: andiamo a produrre dove la mano d’opera è più a buon mercato, in qualunque parte del mondo questa situazione si trovi ed in qualunque modo questo basso prezzo si formi (assenza di sindacati, scarsi bisogni della gente, ecc.); ovviamente accanto alla mano d’opera deve esserci anche un favorevole regime fiscale e condizioni buone per quanto riguarda le vie di comunicazione.
Ricordate le prime fabbriche della FIAT in Polonia, in Brasile e – l’antesignana – quella di Togliattigrad, in Russia? Ovviamente altrettanto hanno fatto anche operatori economici infinitamente più piccoli del colosso torinese, quelli per intenderci del Veneto o della bassa Lombardia, rivolti principalmente verso l’est Europeo e svariati calzaturieri delle Marche verso il sud est asiatico.
Tutte queste erano situazioni che ci favorivano per quanto attiene l’aspetto produttivistico, mentre quello che rimaneva in Italia, cioè territori impoveriti, operai cassaintegrati e poi cacciati, erano tutte cose che ai signori industriali non interessavano; loro – novelli Marco Polo – esploravano nuove vie della seta e ci sarebbe da aggiungere che anche molti personaggi istituzionali (oltre ai soliti politici) vedevano di buon occhio questa situazione, tant’è che ogni visita ufficiale di un Presidente della Repubblica in quei paesi prevedeva un incontro con questi “ambasciatori del lavoro italiano”.
Il secondo postulato riguarda la vendita di questi prodotti: esso recita “piazzarli dove il mercato è più recettivo ai prezzi maggiori che possono essere spuntati”.
All’inizio si è trattato della madre patria – cioè l’Italia per i nostri Industriali – ed infatti tantissimi erano i prodotti che comparivano sul mercato con il Made in Taiwan, oppure India, oppure China, ecc.
Saturato il nostro mercato il quale peraltro è andato sempre più impoverendosi per effetto della scarsità di domanda interna (entrano di gran moda i Co.Co.Co. quindi scarsa sicurezza) la produzione si è ritrovata ad avere un sacco di merce che in Italia non poteva essere piazzata: hanno allora provato a venderla nei paesi produttori, ma hanno avuto dinieghi netti sia da quel mercato e sia dalle autorità del Paese, tese a privilegiare la produzione locale a causa della carenza di valuta pregiata.
Ma poi quei Paesi la soluzione al problema l’hanno trovata da soli: le fabbriche le hanno realizzate loro stessi, con l’aiuto dei Paesi come il nostro “super-sviluppato”, quindi queste strutture che non fanno altro che copiare la nostra produzione, inizialmente invadono il solo mercato locale e successivamente – cioè adesso – il nostro mercato e quello europeo in genere: è una vera invasione di prodotti che facevamo noi e che adesso ci pervengono da paesi esteri, in tutto simili, ma a costi infinitamente più bassi perché realizzati con mano d’opera per niente assistita e niente affatto strutturata sia sindacalmente che previdenzialmente.
Questo è ciò che abbiamo creato e che pertanto ci stiamo ritrovando; come uscire da questa sorta di labirinto non è facile dirlo e richiederebbe anzitutto il coraggio di mosse impopolari e fuori dagli schemi, come ad esempio – ma non è l’unica – quella che più mi piace e cioè uscire dai cappi dell’Europa e riprendere la nostra economia di medio cabotaggio, da pirati d’altura, pronti a lanciarsi all’abbordaggio di qualunque nave (cioè Paese) di passaggio: è quanto abbiamo fatto dal ’48 fino ai primi anni ’70 (cioè dalla prima fase della ricostruzione agli anni del boom economico) e non ci siamo trovati male.
So bene che non sarà possibile mettere in piedi quanto sopra esposto, ma io personalmente, con le mie poche conoscenze, non vedo nient’atro.

lunedì, maggio 02, 2005

Voglio continuare a credere che non sia vero 

Finché la nostra Magistratura ci regala alcune “perle” tipo quella dell’uguaglianza di tutte le fedi religiose di fronte alla legge, ci parliamo un po’ sopra – come ho fatto nel post di ieri – ma poi ci dimentichiamo l’accaduto; magari fino a quando un amico torna dall’Iran o dalla Libia o dall’Afganistan e ci descrive come sono i rapporti con le religioni in quei paesi.
Ma ora le cose si fanno più gravi e addirittura più violente: i meno giovani ricorderanno certamente Biagio Izzo, soprannominato il Mostro del Circeo, che nel 1975 – insieme a due amici, anch’essi “pariolini” – aveva seviziato (per 14 ore consecutive) e quindi ucciso brutalmente, una ragazzina che era con loro, mentre l’altra ragazza – anch’essa seviziata bestialmente era riuscita a scampare alla morte facendo finta di essere già cadavere.
Due dei tre delinquenti (del terzo si sono perse le tracce) furono arrestati e condannati all’ergastolo: in galera per così tanto tempo, Izzo ne ha provate di tutte per uscire, compresa un’evasione, ma soprattutto ha tentato di autonominarsi “pentito”, collaboratore di giustizia, ed altre manfrine del genere, il tutto al fine di ottenere degli sgravi di pena o comunque un trattamento carcerario più leggero, fatto anche di permessi e di libere uscite.
Ecco, proprio di questo si tratta: da sei mesi il “mostro” era riuscito ad essere incluso nel programma di libertà vigilata, cioè usciva la mattina per andare a lavorare in una comunità “evangelica” e rientrava la sera in prigione; un po’ come accade a molti di noi, con la differenza che le nostre prigioni non hanno sbarre.
Durante questa libertà vigilata (ma vigilata da chi?) il nostro pentito avrebbe violentato e ucciso altre due donne, madre e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita, conosciuto nel carcere di Campobasso dal nostro Izzo unitamente alla moglie.
Dalle prime notizie sembra che il movente del duplice omicidio non sia una vendetta trasversale rivolta al pentito, ma abbia uno sfondo di carattere sessuale.
La Magistratura del capoluogo molisano ha emesso mandato di cattura nei confronti di Izzo e di altri due galeotti amici del mostro del Circeo; come dicevo nel titolo di questo post, mi auguro di cuore che non sia vero niente, che il “pariolino” sia vittima della propria notorietà ma che non abbia commesso gli omicidi dei quali viene accusato.
Perché mi auguro questo? Perché volente o nolente devo continuare a vivere in questo disgraziato paese e mi devo sorbire questa Magistratura; sapere che ne ha combinata un’altra delle sue, mettendo in libertà un “mostro” di quella fatta, mi riempie il cuore di tristezza e, perché no, anche di paura.
Se veramente Izzo e gli amici sono gli autori del duplice efferato delitto, allora significa che questi permessi vengono rilasciati con troppa faciloneria, vengono dati a chiunque lo chiede, con l’aggravante che lo psichiatra che ha dato il nulla osta neppure potrà essere conosciuto da tutti noi: potremmo andare a congratularsi con lui e chiedergli se anche in questo caso ritiene di aver seguito il giuramento di curare “secondo scienza e coscienza”.
E pensare che in questi giorni è venuto fuori un altro caso, quello di Vallanzasca (ricordate il tipo?) che, dopo avere ammesso di non essersi pentito di niente, chiede la grazia al Presidente della Repubblica con la motivazione di avere una madre di 90 anni che non può venire a trovarlo e che quindi per incontrarla dovrebbe andare lui a casa della “mammetta” (la chiama proprio così nella domanda di grazia). E aggiunge: se avete messo fuori gente che ha ucciso bambini sciogliendoli nell’acido, allora potete mettere fuori anche me, non sono certo peggio di loro”
Ha già fatto oltre 30 anni di galera e afferma di essere stato cambiato soltanto dall’età, ma di non essere pentito di niente e di aver fatto il bandito come si può fare un altro lavoro, cioè con la massima serietà per raggiungere il maggior profitto possibile!

domenica, maggio 01, 2005

Lettera aperta a Benedetto XVI 

Caro Benedetto XVI, scusa se mi rivolgo a Te con tutta questa familiarità, ma voglio farlo per esserTi vicino e per testimoniarTi la mia solidarietà in questo momento di dura battaglia.
Già, uso a proposito il termine battaglia perché è quella che i media, ma anche alcuni stati non propriamente filo tedeschi hanno iniziato a combattere contro non solo la Tua persona ma anche, e forse soprattutto, la Carica che rivesti: per la verità c’era da aspettarselo!
Questa battaglia è iniziata con alcune scaramucce, delle quali faccio solo cenno, rimandando a più sotto un esame approfondito: l’accenno alla Tua appartenenza alla gioventù hitleriana, la scoperta della spia in Vaticano, la sentenza della Consulta sull’equiparazione del cattolicesimo alle altre religioni, gli insulti via web al “Papa nazista”.
Allora, andiamo per ordine e togliamoci subito di torno l’accenno – fatto da giornali inglese all’indomani della Tua elezione – circa la Tua partecipazione alla gioventù hitleriana; facendo un rapido conto, poiché Tu sei nato nel 1927, anche al termine della guerra avevi solo 17 o al massimo 18 anni, troppo pochi per sapere con esattezza quello che si sta facendo, però lo scandaletto ha avuto inizio.
L’altra punzecchiatura è la “scoperta” di un sacerdote polacco – collaboratore del defunto Giovanni Paolo II – che sembra essere stato un agente comunista al servizio di un paese dell’’est europeo. In questo caso i problemi sono due: se è vero è uno scandalo, perché proprio un polacco che spia Wojtyla…; se non è vero, allora c’è qualcuno che ama mettere in giro delle bugie calunniose.
L’attacco continua con la recente sentenza della Corte Costituzionale che abroga la norma in virtù della quale gli insulti rivolti alla religione cattolica venivano puniti con pene più pesanti rispetto ad analoghe offese rivolte alle altre religioni.
Indovina, Santità, chi è stato il promotore del ricorso alla Consulta: ma l’ineffabile sig. Adel Smith, presidente di una fantomatica (in quanto misconosciuta da tutti) Unione dei Musulmani d’Italia che si trova sotto processo per le accuse di “associazione a delinquere” lanciate in una trasmissione TV nei confronti della Chiesa cattolica.
Tutto questo, ovviamente, discende dal concetto più volte ribadito della laicità dello stato e della conseguente parità di tutti i “credi” di fronte alla legge; voglio aggiungere che quanto sopra è giustissimo, se non cozzasse con il comune sentimento religioso del popolo italiano – in nome del quale, ripeto ancora una volta, vengono emesse le sentenze dei nostri tribunali – che nella sua stragrande maggioranza identifica “la religione” con il cattolicesimo, salvo poi non andare in Chiesa. Questo sentimento però non viene tenuto in nessun conto dai magistrati italiani, abituati anzi a calpestare il senso comune ed a negare valenza alle nostre radici che affondano nel cattolicesimo: sarebbe come voler parificare l’Islam con il cristianesimo in Iran!
La terza circostanza che ha prodotto tutta una sequela di offese alla Santità Vostra, discende da un sito web (Indymedia) che si proclama diretta emanazione della sinistra antagonista e che, dopo aver lanciato vari insulti alla Tua persona, arriva a realizzare un fotomontaggio con Benedetto XVI vestito da nazista.
Contro la società che gestisce il sito sta procedendo la Procura di Roma per “offesa alla religione cattolica”; successivamente – previa autorizzazione del Ministero della Giustizia – potrà procedere anche per “offesa ad un capo di stato estero”.
In compenso una buona notizia: i “Papaboys”, quei giovani che applaudivano Giovanni Paolo II, si schierano al Tuo fianco su tutta la linea: non è male come alleanza!

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