sabato, maggio 03, 2014
LO SCANDALO DEI FONDI U.E.
In un periodo come questo, nel quale si
rovista anche nei fondi delle scatole per vedere di trovare qualche soldo da
poter spendere, il nostro apparato statale si è “dimenticato” di utilizzare
30/miliardi di euro che pertanto sono rimasti a Bruxelles.
Gridare allo scandalo è il minimo che
possiamo fare; chiedere conto dei nomi e cognomi di coloro che non hanno saputo
gestire la cosa è sacrosanto; ma siamo un Paese che ha come parola d’ordine il
vecchio “tira a campa’” perché “oggi a te domani a me”!
Insomma, ritorniamo al nocciolo del problema
e vediamo cosa è realmente successo: l’Italia, per ritardi o errori, rischia di
perdere svariati miliardi di euro per mancata erogazione di fondi comunitari.
Due premesse: la prima è questa: avete mai
visto la documentazione che occorre per chiedere la partecipazione ai bandi
europei per la scuola, la cultura ed altro? Sono stati scritti da coloro che
sanno in anticipo il nome e cognome di quelli che sono in grado di redarre
queste domande; ricordo che qualche anno addietro, io – e altri più acculturati di me – ci siamo
arresi nel corso della stesura della richiesta di finanziamento perché non
riuscivamo ad arrivare a capire il modo di comporre la domanda.
La seconda è che non è assolutamente agevole
fare un calcolo preciso sul rapporto tra i fondi stanziati e quelli di fatto
utilizzati, visto che non sempre le date di inizio e fine coincidono.
Spieghiamo – se ci riesco – il bandolo della
matassa: l’Unione Europea stanzia fondi per il finanziamento di progetti e
programmi, ma l’Italia non si fa quasi mai trovare pronta a recepire la
direttiva.
Facciamo un esempio: nel campo della ricerca
l’Italia ha contribuito al 14% delle risorse del progetto quadro di ricerca per
il periodo 2007/2014, ma ne ha sfruttati solo l’8%; tradotto in cifre, abbiamo
perso in media 500/milioni di euro l’anno tra domande non idonee e quelle consegnate oltre i termini, per un totale di
circa 3,5/miliardi di euro di risorse perdute.
Tra i tanti politici che avrebbero dovuto
essere colpiti da questo evento, quello che ha strillato più di tutti è stato
il sottosegretario Del Rio che pare abbia preso in pugno la questione e stia
cercando il modo di recuperare quelle somme.
Come parola d’ordine il nostro sottosegretario
ha detto che, oltre ad una gestione accentrata e non più lasciata alle singole regioni, le
richieste di fondi saranno finalizzate meno sulle grandi infrastrutture e più
su lavoro, PMI (piccole e medie imprese) e innovazione.
Questa, secondo Del Rio, sarebbe la ricetta
che il governo mette in campo per buttarsi alle spalle la stagione nella quale
l’Italia non riesce a spendere i fondi europei; si parte dall’esaurimento del
programma 2007/2013, ma si guarda anche all’immediato futuro, cioè alla
programmazione che andrà dal 2014 al 2020.
Sempre a detta di Del Rio, in questo periodo
ci saranno più programmi nazionali gestiti a livello centrale, sperando così di
avere un impatto più incisivo e di poter seguire le pratiche con maggiore
vigilanza; e la tendenza di puntare meno sulle grandi infrastrutture continuerà
ancora.
Insomma, le idee mi sembrano costruttive, ma
io resto dell’avviso che se lo Stato ha bisogno di soldi, ha un sistema
semplice: aumenta di qualche decimale una delle tante imposte ed è a posto;
approdare ai fondi europei è più difficile; chiaro il concetto??!!
giovedì, maggio 01, 2014
DOBBIAMO ASPETTARSI SOLO UN MIRACOLO ?
Qualcuno di voi si
ricorderà della famosa storiella nella quale un banchiere – a causa della crisi
– si getta dal novantesimo piano di un grattacielo; quando arriva al trentesimo
piano, si affaccia un suo collega e gli chiede: “come va?” e lui risponde “per adesso
bene” e continua a precipitare.
Non possiamo certo
paragonare la nostra economia a quella della “fantastica banca del nostro
suicida”, ma insomma….: il nostro debito pubblico è superiore al 132% del Pil
(in Europa solo la Grecia
sta peggio di noi); il Paese è già stato spremuto fino all’osso e quindi è
impensabile tirare fuori ancora qualche soldo dalle tasche degli italiani; per
la verità ci sarebbero gli evasori fiscali, ma quelli fanno razza a parte ed è
difficile prevedere la possibilità di prenderne qualcuno.
Come è stato detto
tante volte, l’unica possibilità per evitare di precipitare sarebbe la crescita
dell’economia , evento che tutti promettono ogni giorno, ma che non si vede.
Le agenzie di rating –
che non ci sono mai state molto amiche – prevedono che la nostra crescita sarà
“stagnante” e che nei prossimi dieci anni si attesterà tra lo 0,5% e l’1%;
Aggiungono anche che eventuali dati che si discostino – in alto - da questi, sarebbero da considerare un
autentico miracolo.
Quindi, niente
miracoli, vietato attendersi miracoli, anzi, casomai ci sarà da temere qualche
catastrofe; credo che il Ministro dell’Economia Padoan alluda a questa
debolezza quando parla di una “finestra” temporale molto breve durante la quale
poter innescare una ripresa di un certo interesse.
I timori del
“prudente” Padoan si riferiscono alla possibilità che fra non molto i tassi
internazionali d’interesse sul denaro comincino a salire ed a quel punto – con i nostri oltre duemila
miliardi di debiti – saremo come degli ingenui campeggiatori che hanno alzato
le tende sotto una valanga di sassi.
Intanto il nostro
governo è intento a mettere insieme uno straccio di piano sul lavoro ma trova
ostacoli da ogni parte, dalla minoranza del PD, fino a FI, invogliata a strumentalizzare
l’argomento; così il nostro premier è costretto a porre la fiducia sul
provvedimento, contro lo stesso partito da cui proviene.
Ma poiché la crescita
non c’è – unico elemento che potrebbe invogliare gli imprenditori ad assumere –
possiamo prenderci il lusso di fare tutte le leggi sul lavoro che ci passano
per la mente, tanto non succederà niente di effettivo ed il lavoro continuerà
ad essere pane per i denti di coloro che già ce l’hanno, mentre coloro che non
ce l’hanno continueranno a rimanere a bocca asciutta.
Visto che ci siamo
infilati in una specie di vicolo cieco, possiamo anche divertirci a fare
qualche proposta “strana”; la più interessante di queste l’ho letta a firma di
un noto economista: egli dice che – visto che negli ultimi anni abbiamo fatto
tante, troppe leggi sul lavoro, forse sarebbe interessante sospenderle tutte
per un anno, ovviamente meno le norme sulla sicurezza e la salute.
Quindi, per un anno
proviamo a cavalcare una sorta di capitalismo selvaggio, con Susanna Camuso e
Landini che se ne vanno in vacanza in una amena località delle isole greche e
con Squinzi che se ne va a fare il tour delle Alpi in bicicletta.
E stiamo a vedere cosa
succede; magari niente, magari a qualche imprenditore viene voglie di mettere
qualche operaio sotto i capannoni e magari arriva davvero un po’ di robusta
ripresa.
Poi, tra un anno tutti
ritornano a fare il loro lavoro e si ricomincia a discutere!
martedì, aprile 29, 2014
I DEBITI DELLE AZIENDE PARTECIPATE
Anzitutto vediamo cosa sono queste “aziende
partecipate”; sono aziende costituite per affidare loro alcuni servizi pubblici
locali, che sono partecipate – a varie percentuali, ma quasi sempre in forma
maggioritaria – dall’ente locale che ha disposto l’operazione.
È evidente che la finalità prima è quella di
eludere, surrettiziamente, i vincoli e i
controlli di finanza pubblica, mettendo davanti a tutto una società che, sia
pure legalmente “non pubblica”, di fatto, è nient’altro che una “longa mano”
dell’ente pubblico che sta dietro a tutta l’operazione.
E quindi, quando si dice “tagli negli enti
locali” è solo un modo di dire ma di fatto è molto complicato arrivare ad
intervenire in questa situazione in cui una finanza dissestata si trincera
dietro una “non pubblica” azienda che
sembra essere quella che fa e disfà, ma che nella realtà delle cose è soltanto
una facciata di carta velina.
E quando lo Stato arriva a cercare di mettere
le mani su questi bilanci disastrati, si trova a viaggiare in una palude
melmosa nella quale intervengono non solo gli amici degli amici, ma anche i
veri creditori che hanno da riscuotere dei debito pregressi da fare girare la
testa.
Perché hai voglia di dimezzare le auto blù, hai
voglia di ridurre i vitalizi ed altri costi della politica, ma se una parte
dello Stato – e in particolare le migliaia delle società “partecipate” –
rappresentano, come ha detto in forma molto simbolica la Corte dei Conti, “un vero e
proprio cancro”, non si va da nessuna parte.
La stessa Corte dei Conti identifica in
34/miliardi di euro il debito complessivo delle partecipate; tutto questo
perché 2.444 di queste società – il 76% di quelle possedute, è perennemente in
debito e, nel debito complessivo degli enti locali (58/miliardi di euro)
rappresenta ben il 69%.
Il governo sa bene che questa situazione
cancerogena deve essere ripianata in qualche modo, anche perché altrimenti non
si va da nessuna parte e quindi si è dato un compito ben preciso: provvedere ad
una drastica riduzione nei prossimi tre anni.
Ma di cosa si occupano queste società? Spesso
si occupano di settori strategici per l’amministrazione locale (per esempio i
trasporti pubblici) mentre altre non hanno niente a che vedere con il pubblico
ed operano in settori in cui i privati svolgono compiti analoghi a prezzi ben
più bassi; in questi casi la situazione oltre che drammatica, sembra proprio di
una illogicità così macroscopica che solo la politica può generarla.
Volete un dato che rappresenta da solo l’assurdità
della situazione? Tra il 2008 e il 2010 la produzione di queste società è
cresciuta dello 0,5%, mentre nello stesso periodo il debito relativo è salito
dell’11.62%; quindi sembrerebbero fatte solo per “creare debito”
In questo pascolo gigante nel quale bruca la
maggior parte della politica italiana, si tiene in piedi una classe di uomini
politici più o meno trombati e di amici degli amici che sono “messi a
stipendio” in queste strutture: gettoni di presenza, rimborsi spese, assunzioni
clientelari, contratti a termine da deliberare, acquisti da stanziare; sono
tutte piccole o grandi fette di potere, favori da fare o ricevere al momento
opportuno (cioè vicino alle elezioni), con la certezza di essere ricompensati
al momento del bisogno: insomma una sorta di “cassa mutua” per la vecchiaia di
questi super pensionati della politica. Al nord, al sud e al centro, nessuno è
esente e nessuno può chiamarsi fuori; e in questo mondo la parte del leone la
fa – da sempre – il partito di Renzi, dal quale il premier può attendersi
qualunque imboscata.
domenica, aprile 27, 2014
LA PASQUA E IL TURISMO
Mi chiedo: ha ancora un senso festeggiare la Pasqua? Ovviamente per i
cristiani e per gli ebrei il senso c’è l’ha sicuramente ma in questa nostra
società laicista che si sta indirizzando verso un confuso multiculturalismo, ha
ancora un senso, al di fuori del “giorno festivo” con quel che comporta
nell’attuale momento storico, e nella realtà sempre più consumistica.
E quindi ecco che un sacco di pubblicazioni
ci insegnano come cuocere l’agnello arrosto – peraltro contestato dagli
animalisti – o come fare le uova sode – attenzione al colesterolo – o come
realizzare le colombe, gli agnelli di zucchero, i coniglietti e via di questo
passo. E voglio aggiungere un’altra provocazione: le due festività – Pasqua e
“lunedì di Pasqua – nuocciono ovviamente alla produzione, al Pil tanto per
capirsi, dato che le fabbriche sono chiuse ma inaugurano la stagione turistica
che da lavoro a tante persone; ed allora mi chiedo e vi chiedo: è ragionevole
che in questi due giorni si tengano chiusi quasi tutti i negozi e i centri
commerciali, visto che si tratta di un giorno in cui i consumi lievitano e
magari la gente ha più tempo per lo shopping.
Ma torniamo alla celebrazione della Pasqua:
quante persone sono rimaste che celebrano seriamente la festività, cominciando
dall’accensione del “Fuoco Nuovo” – il Lumen Christi – e che fanno benedire le
uova e a pranzo consumano devotamente il canonico agnello arrostito, in ricordo
dell’esodo d’Israele dall’Egitto e nel ricordo simbolico dell’”Agnus Dei qui
tollit peccata mundi”?
Per i “veri” cattolici tutto questo ha un
profondo senso religioso, ma quanti sono coloro che vivono questa re3altà? Una
strettissima minoranza, in via di estinzione e in corso di diminuzione sempre
più veloce.
Insomma, rendiamoci conto che non viviamo più
in una “cristianità” – vale a dire in un mondo che accetta in modo integrale la
fede del Cristo come modello di vita – bensì in una società istituzionalmente
agnostica nella quale esiste ancora una maggioranza di cittadini in cui esiste
una realtà materialistica che riduce tutto ad un magro consumismo.
Ed allora mi quadra anche il battage che
tutta la stampa quotidiana e televisiva sta montando sull’andamento del
comparto “turismo”, con titoloni che ci informano come “gli italiani tornano in
vacanza” e quindi “anche il turismo dà segni di ripresa”.
Le immancabili statistiche ci dicono che
saranno 14,4 milioni gli italiani che si muoveranno, lasceranno le proprie
abitazioni e dormiranno almeno una notte tra Pasqua e i ponti del 25 aprile e 1
maggio; queste cifre fanno segnare un +5% rispetto ai dati dello scorso anno.
L’associazione dei commercianti – sempre
malfidata – precisa che di tutta questa massa turistica solo uno su dieci fa
acquisti, specificando che sono in molti ad entrare nei negozi ma sono molti
meno quelli che acquistano.
C’è poi la “deregulation” sulle aperture:
ogni regione, ma forse ogni comune, si comporta a modo suo e quindi non esiste
omogeneità di atteggiamento; inoltre, secondo un’indagine della
Confesercenti-Swg, il 47% degli intervistati ha detto di ritenere opportuno che
i negozi rimangano aperti, anche se – alla faccia della logica – solo il 2% ha
dichiarato che farà acquisti nei giorni di Pasqua, Pasquetta, e giù, giù, fino
al primo di maggio.
Un ultimo dato: l’uovo di cioccolato e la
colomba – entrambi simboli della Pasqua – hanno subito una contrazione delle
vendite del 24% e questo è preoccupante!!