venerdì, novembre 26, 2010
TUTTO IL MONDO E’ PAESE?
La settimana scorsa si è tenuto in Portogallo un Consiglio Generale della NATO durante il quale Obama ha annunciato l’inizio del ritiro delle truppe combattenti dall’Afghanistan; ricorderete che da questo blog ho commentato la guerra in Afghanistan e la decisione di andarsene.
Ricorderete anche che proprio in questi ultimi giorni ho fatto una considerazione sullo stato di salute dell’economia delle famiglie italiane, affermando che al momento ci sono due “pilastri” che tengono in piedi la baracca: i nonni e l’eventuale presenta nel giro famigliare di una ragazza bella e disponibile che possa essere interessata al ruolo di “escort”; ma mi chiederete: cosa c’entrano le escort con il summit di Lisbona? C’entrano, c’entrano, eccome se c’entrano; e sentite in quale modo.
A fianco delle serrate trattative tra gli stati e del duro lavoro degli interpreti per tradurre i vari testi, si è saputo di un retroscena curiosamente pubblicato solo alcuni giorni dopo la fine dell’evento: la Polizia portoghese è dovuta intervenire nell’albergo che ospitava la delegazione della Georgia, per i rumori molesti che venivano dalle loro stanze, rumori uditi pure dal Presidente Sarkozy che sarebbe stato disturbato grandemente e, pertanto avrebbe provveduto a chiamare gli agenti della sicurezza.
Cosa era successo di tanto clamoroso? Semplicemente un festino organizzato dai georgiani, ai quali si sono uniti gli armeni, composto da laute libagioni e da ben 80 (ottanta) escort portoghesi fatte arrivare appositamente nell’albergo.
Le ottanta “professioniste” sono entrate grazie ad una banale bugia: i delegati georgiani le hanno spacciate per loro consorti, e così sono potute sfilare sotto gli occhi degli addetti alla sicurezza stando bene attente a non lasciarsi scappare una sola parola, elemento che avrebbe potuto consentire il loro smascheramento.
L’entrata delle ragazze è filato liscio e così si è potuto dare inizio alla festa, i cui partecipanti – man mano che passavano i minuti – diventavano sempre più rumorosi, complici le libagioni e le evoluzioni delle giovani partecipanti alla serata.
E torniamo a Sarkozy: il focoso presidente francese, già incavolato per fatti propri (si era congedato dai giornalisti partecipanti alla conferenza stampa con un significativo “addio amici pederasti!”) è rientrato nelle proprie stanze, attigue a quelle dei georgiani, ed ha sentito tutta quella confusione; ha chiamato la sicurezza e così la situazione si è chiarita. Il festino dei georgiani si è interrotto in anticipo su quanto era previsto, le ragazze sono fuggite precipitosamente e la Polizia ne ha identificata una sola in quanto già schedata per un analogo “incidente” avvenuto tempo addietro nello stesso albergo.
E così i georgiani con gli amici armeni se ne sono andati a dormire senza che si sia consumato completamente il festino; il Presidente Sarkozy ha anch’esso cercato di prendere sonno nonostante l’arrabbiatura creatagli dai giornalisti, rei di impostare sempre le domande su “fatti personali” e finalmente nel grande albergo di Lisbona è tornata la pace e la tranquillità.
Mi dimenticavo di aggiungere una domanda al racconto dell’intera vicenda: le 80 (ottanta) escort, alle quali saranno stati promessi almeno 1.000 euro a testa (in totale 80.000 euro), sono state pagate per intero nonostante l’interruzione del servizio? Ed anche un’ultima domanda: il costo delle escort e delle libagioni è stato caricato nel conto spese della partecipazione georgiana al summit oppure è stato pagato di tasca propria dai singoli partecipanti alla serata? Lo so che sembro ingenuo a fare questa domanda, ma mi è venuta!!
Ricorderete anche che proprio in questi ultimi giorni ho fatto una considerazione sullo stato di salute dell’economia delle famiglie italiane, affermando che al momento ci sono due “pilastri” che tengono in piedi la baracca: i nonni e l’eventuale presenta nel giro famigliare di una ragazza bella e disponibile che possa essere interessata al ruolo di “escort”; ma mi chiederete: cosa c’entrano le escort con il summit di Lisbona? C’entrano, c’entrano, eccome se c’entrano; e sentite in quale modo.
A fianco delle serrate trattative tra gli stati e del duro lavoro degli interpreti per tradurre i vari testi, si è saputo di un retroscena curiosamente pubblicato solo alcuni giorni dopo la fine dell’evento: la Polizia portoghese è dovuta intervenire nell’albergo che ospitava la delegazione della Georgia, per i rumori molesti che venivano dalle loro stanze, rumori uditi pure dal Presidente Sarkozy che sarebbe stato disturbato grandemente e, pertanto avrebbe provveduto a chiamare gli agenti della sicurezza.
Cosa era successo di tanto clamoroso? Semplicemente un festino organizzato dai georgiani, ai quali si sono uniti gli armeni, composto da laute libagioni e da ben 80 (ottanta) escort portoghesi fatte arrivare appositamente nell’albergo.
Le ottanta “professioniste” sono entrate grazie ad una banale bugia: i delegati georgiani le hanno spacciate per loro consorti, e così sono potute sfilare sotto gli occhi degli addetti alla sicurezza stando bene attente a non lasciarsi scappare una sola parola, elemento che avrebbe potuto consentire il loro smascheramento.
L’entrata delle ragazze è filato liscio e così si è potuto dare inizio alla festa, i cui partecipanti – man mano che passavano i minuti – diventavano sempre più rumorosi, complici le libagioni e le evoluzioni delle giovani partecipanti alla serata.
E torniamo a Sarkozy: il focoso presidente francese, già incavolato per fatti propri (si era congedato dai giornalisti partecipanti alla conferenza stampa con un significativo “addio amici pederasti!”) è rientrato nelle proprie stanze, attigue a quelle dei georgiani, ed ha sentito tutta quella confusione; ha chiamato la sicurezza e così la situazione si è chiarita. Il festino dei georgiani si è interrotto in anticipo su quanto era previsto, le ragazze sono fuggite precipitosamente e la Polizia ne ha identificata una sola in quanto già schedata per un analogo “incidente” avvenuto tempo addietro nello stesso albergo.
E così i georgiani con gli amici armeni se ne sono andati a dormire senza che si sia consumato completamente il festino; il Presidente Sarkozy ha anch’esso cercato di prendere sonno nonostante l’arrabbiatura creatagli dai giornalisti, rei di impostare sempre le domande su “fatti personali” e finalmente nel grande albergo di Lisbona è tornata la pace e la tranquillità.
Mi dimenticavo di aggiungere una domanda al racconto dell’intera vicenda: le 80 (ottanta) escort, alle quali saranno stati promessi almeno 1.000 euro a testa (in totale 80.000 euro), sono state pagate per intero nonostante l’interruzione del servizio? Ed anche un’ultima domanda: il costo delle escort e delle libagioni è stato caricato nel conto spese della partecipazione georgiana al summit oppure è stato pagato di tasca propria dai singoli partecipanti alla serata? Lo so che sembro ingenuo a fare questa domanda, ma mi è venuta!!
mercoledì, novembre 24, 2010
IL “TEA PARTY ITALIA”
Ricorderete che in occasione delle recenti elezioni americane “di mezzo termine”, ci imbattemmo in un nuovo movimento – il “Tea Party” - alleato con i repubblicani, il cui impegno sembra essere stata l’arma vincente per la sconfitte inflitta ai democratici.
Il nome del movimento prende il nome dal “Boston tea party”, ovvero un atto di protesta che ebbe luogo nel porto della città USA il 16/12/1773: il tè contenuto in tre navi britanniche fu buttato a mare dai coloni americani, in segno di protesta contro le tasse imposte dalla regina; da questo episodio si fa iniziare la rivoluzione americana che si concluse con la cacciata degli inglesi.
Ovviamente, potevamo fare a meno di questa nuova formazione politica? Sicuramente no, ed infatti in Italia – unico Paese europeo – sembra essere attecchito il movimento americano e, il gruppo più corposo è in Lombardia, seguita dall’Emilia e dalla Toscana, ed è proprio da quest’ultima regione, precisamente da Prato, cioè abbastanza vicino a casa mia che viene il coordinatore nazionale; gli slogan che sono stati creati per l’occasione chiedono “meno Stato e più libertà” e anche “meno tasse e meno spesa pubblica”; insomma un movimento liberale, liberista e libertario e, direi, molto meno “conservatore” di altre strutture esistenti tra noi.
Al Momento la struttura italiana non è ancora caduta in mano a qualche solone della politica oppure a qualche miliardario in cerca di gloria (e di appoggi): il coordinatore è un giovane di Prato dell’età di “soli” 28 anni, il quale ha già annunciato che – pur senza un impegno diretto in politica, il “Tea Parti Italiano” avrà qualche suo candidato in lizza, sia pure all’interno degli schieramenti esistenti.
Fra le tante affermazioni di questo neo-politico, m’inquieta questa, riferita al sistema previdenziale nostrale: “se io non volessi dare soldi all’INPS, ma pagare una mia pensione privata oppure sperperare il denaro legalmente guadagnato?”; mi sembra che non si abbia ben presente che la “S” della sigla dell’istituto previdenziale sta ad indicare il termine “sociale”, cioè che a tutti dovrebbe essere assicurata una minima pensione a prescindere dai versamenti; è chiaro che in un discorso esasperatamente liberista tutto questo non può piacere.
Nel movimento americano, si è rilevato che alla base non c’è una ideologia ma dei valori, in primo luogo il primato dell’individuo, delle sue libertà personali, in netto contrasto con il “big-government” di marca democratica ed al “big-business” di marca repubblicana; questo ci dice che il movimento è antitetico ad entrambe le formazioni politiche che si spartiscono il potere negli USA, anche a quei repubblicani che ne hanno ospitato i candidati nelle recenti elezioni.
Resta da aggiungere che a molti degli slogan del “tea party”, anche i repubblicani erano nettamente contrari e che – non potendo arginare il movimento o incanalarlo verso situazioni più gestibili – lo hanno cooptato pur di non rompere il fronte conservatore; ma stiano bene attenti perché etichettarli solo come “ultra conservatori” mi sembra riduttivo; comunque, un terzo dei deputati repubblicani sono stati eletti sotto l’egida del “tea party” e sarà bene osservare se e quando faranno riferimento ai valori fondanti del movimento, cioè all’assoluta libertà economica dell’individuo.
Un’altra novità del movimento: si astengono dal prendere posizione su temi etici, morali e religiosi, limitandosi a occuparsi dei temi economici con lo slogan dei tre meno: “meno tasse, meno spesa pubblica, meno Stato”. Non vi sembra assurdo che in un momento di crisi nasca un movimento che vorrebbe azzerare quasi tutto il welfare?
Il nome del movimento prende il nome dal “Boston tea party”, ovvero un atto di protesta che ebbe luogo nel porto della città USA il 16/12/1773: il tè contenuto in tre navi britanniche fu buttato a mare dai coloni americani, in segno di protesta contro le tasse imposte dalla regina; da questo episodio si fa iniziare la rivoluzione americana che si concluse con la cacciata degli inglesi.
Ovviamente, potevamo fare a meno di questa nuova formazione politica? Sicuramente no, ed infatti in Italia – unico Paese europeo – sembra essere attecchito il movimento americano e, il gruppo più corposo è in Lombardia, seguita dall’Emilia e dalla Toscana, ed è proprio da quest’ultima regione, precisamente da Prato, cioè abbastanza vicino a casa mia che viene il coordinatore nazionale; gli slogan che sono stati creati per l’occasione chiedono “meno Stato e più libertà” e anche “meno tasse e meno spesa pubblica”; insomma un movimento liberale, liberista e libertario e, direi, molto meno “conservatore” di altre strutture esistenti tra noi.
Al Momento la struttura italiana non è ancora caduta in mano a qualche solone della politica oppure a qualche miliardario in cerca di gloria (e di appoggi): il coordinatore è un giovane di Prato dell’età di “soli” 28 anni, il quale ha già annunciato che – pur senza un impegno diretto in politica, il “Tea Parti Italiano” avrà qualche suo candidato in lizza, sia pure all’interno degli schieramenti esistenti.
Fra le tante affermazioni di questo neo-politico, m’inquieta questa, riferita al sistema previdenziale nostrale: “se io non volessi dare soldi all’INPS, ma pagare una mia pensione privata oppure sperperare il denaro legalmente guadagnato?”; mi sembra che non si abbia ben presente che la “S” della sigla dell’istituto previdenziale sta ad indicare il termine “sociale”, cioè che a tutti dovrebbe essere assicurata una minima pensione a prescindere dai versamenti; è chiaro che in un discorso esasperatamente liberista tutto questo non può piacere.
Nel movimento americano, si è rilevato che alla base non c’è una ideologia ma dei valori, in primo luogo il primato dell’individuo, delle sue libertà personali, in netto contrasto con il “big-government” di marca democratica ed al “big-business” di marca repubblicana; questo ci dice che il movimento è antitetico ad entrambe le formazioni politiche che si spartiscono il potere negli USA, anche a quei repubblicani che ne hanno ospitato i candidati nelle recenti elezioni.
Resta da aggiungere che a molti degli slogan del “tea party”, anche i repubblicani erano nettamente contrari e che – non potendo arginare il movimento o incanalarlo verso situazioni più gestibili – lo hanno cooptato pur di non rompere il fronte conservatore; ma stiano bene attenti perché etichettarli solo come “ultra conservatori” mi sembra riduttivo; comunque, un terzo dei deputati repubblicani sono stati eletti sotto l’egida del “tea party” e sarà bene osservare se e quando faranno riferimento ai valori fondanti del movimento, cioè all’assoluta libertà economica dell’individuo.
Un’altra novità del movimento: si astengono dal prendere posizione su temi etici, morali e religiosi, limitandosi a occuparsi dei temi economici con lo slogan dei tre meno: “meno tasse, meno spesa pubblica, meno Stato”. Non vi sembra assurdo che in un momento di crisi nasca un movimento che vorrebbe azzerare quasi tutto il welfare?
lunedì, novembre 22, 2010
2014: BYE-BYE KABUL; SARA’ VERO?
“Se continueranno i risultati ottenuti finora nella lotta ai talebani, nel 2011 inizieremo il ritiro delle truppe NATO da combattimento che si concluderà nel 2014”; ricordiamo che l’invasione (la guerra) degli occidentali – capitanati dagli USA – è iniziata nel 2001, poco dopo gli attentati dell’11 settembre contro l’America, con l’obiettivo di “farsi consegnare Bin Laden”, conclamato autore dell’abbattimento delle Torri Gemelle. In realtà gli attacchi aerei – i più vigliacchi – contro l’Afghanistan erano iniziati nel 1998 dopo gli attentati di Al Qeda in Kenia e in Tanzania, attribuiti dagli USA al solito Osama; a questi primi attacchi, i talebani – allora al governo con il Mullah Omar – reagirono con vibrate proteste e, offrirono, anche “l’indicazione di come fare ad uccidere lo sceicco del terrore”: questo a dimostrazione che i talebani non avevano niente a che vedere con il terrorismo, ma volevano solo essere lasciati in pace.
L’operazione non ebbe successo e l’abbattimento delle Torri Gemelle chiuse ogni contatto: gli Stati Uniti capitanarono una coalizione di stati “democratici” volta ad ottenere la cattura di Bin Laden; con i feroci e inumani combattimenti che fecero decine di migliaia di morti tra i militari e il doppio tra i civili, i talebani furono cacciati dal governo centrale e si ritirarono tra le montagne dove iniziarono una sorta di guerriglia che ancora non è stata risolta; al centro, il fantoccio occidentale Karzai – un ricco uomo d’affari impelagato in molti scandali economici e finanziari – cerca di tenere la barra del timone, ma senza gli americani non ha la minima possibilità di riuscirci.
Al momento, i due obiettivi degli occidentali non sono stati raggiunti: Bin Laden, ammesso che esista realmente, non è stato catturato e neppure il Mullah Omar, nonostante la faraonica somma (per il luogo) di 50/milioni di dollari messa in palio per colui che fornirà notizie utili, non è stato individuato e tanto meno catturato.
Poi c’era anche da “insegnare” ai barbari afgani il bello della democrazia e questo è stato fatto con delle elezioni-farsa che li hanno ancora di più allontanati dai riti occidentali; per di più, stiamo anche cercando di insegnare a uomini e donne afgane tutto quello che è il bello dell’occidente, cercando così di occidentalizzare a tappe forzate la popolazione afgana e, in attesa di corrompere anche le loro donne – naturalmente in nome della dignità femminile – cerchiamo di ridurre i loro uomini, così fieri, audaci e coraggiosi, alla stessa stregua di noi occidentali, così pieni di nevrosi e di sessualità irrisolta, di sozzure e di vuoti sentimentali.
Ed è proprio questo che il Mullah Omar ha sempre temuto dai contatti con l’Occidente, di fare “insudiciare” la dignità del popolo afgano dalle “meravigliose conquiste tecnologiche” del civilissimo occidente; la sua visione del mondo è resa molto bene dall’affresco che aveva fatto dipingere di fronte al suo letto nella camera che egli occupava in una modesta villetta: un immenso prato verde attraversato da una autostrada con qualche rada ciminiera nello sfondo; cioè un’Arcadia; un po’ ritoccata.
E con questa allegoria, il Mullah voleva dire che di una cosa era certo: se gli elementi del modello occidentale entrano in una società tradizionale come quella afgana, questa ne viene irrimediabilmente disgregata, distrutta e ridotta alla miseria più nera, come del resto è già avvenuto in tutti i Paesi del cosiddetto Terzo Mondo.
In quest’ottica deve essere inquadrata la distruzione materiale degli apparecchi televisivi e il deciso “no” alla musica rock e affini: vi immaginate lo scandalo che ha provocato negli occidentali questa presa di posizione? Ed è stato così lanciato un vero e proprio anatema nei confronti del povero Omar, reo solo di difendere la sua gente.
L’operazione non ebbe successo e l’abbattimento delle Torri Gemelle chiuse ogni contatto: gli Stati Uniti capitanarono una coalizione di stati “democratici” volta ad ottenere la cattura di Bin Laden; con i feroci e inumani combattimenti che fecero decine di migliaia di morti tra i militari e il doppio tra i civili, i talebani furono cacciati dal governo centrale e si ritirarono tra le montagne dove iniziarono una sorta di guerriglia che ancora non è stata risolta; al centro, il fantoccio occidentale Karzai – un ricco uomo d’affari impelagato in molti scandali economici e finanziari – cerca di tenere la barra del timone, ma senza gli americani non ha la minima possibilità di riuscirci.
Al momento, i due obiettivi degli occidentali non sono stati raggiunti: Bin Laden, ammesso che esista realmente, non è stato catturato e neppure il Mullah Omar, nonostante la faraonica somma (per il luogo) di 50/milioni di dollari messa in palio per colui che fornirà notizie utili, non è stato individuato e tanto meno catturato.
Poi c’era anche da “insegnare” ai barbari afgani il bello della democrazia e questo è stato fatto con delle elezioni-farsa che li hanno ancora di più allontanati dai riti occidentali; per di più, stiamo anche cercando di insegnare a uomini e donne afgane tutto quello che è il bello dell’occidente, cercando così di occidentalizzare a tappe forzate la popolazione afgana e, in attesa di corrompere anche le loro donne – naturalmente in nome della dignità femminile – cerchiamo di ridurre i loro uomini, così fieri, audaci e coraggiosi, alla stessa stregua di noi occidentali, così pieni di nevrosi e di sessualità irrisolta, di sozzure e di vuoti sentimentali.
Ed è proprio questo che il Mullah Omar ha sempre temuto dai contatti con l’Occidente, di fare “insudiciare” la dignità del popolo afgano dalle “meravigliose conquiste tecnologiche” del civilissimo occidente; la sua visione del mondo è resa molto bene dall’affresco che aveva fatto dipingere di fronte al suo letto nella camera che egli occupava in una modesta villetta: un immenso prato verde attraversato da una autostrada con qualche rada ciminiera nello sfondo; cioè un’Arcadia; un po’ ritoccata.
E con questa allegoria, il Mullah voleva dire che di una cosa era certo: se gli elementi del modello occidentale entrano in una società tradizionale come quella afgana, questa ne viene irrimediabilmente disgregata, distrutta e ridotta alla miseria più nera, come del resto è già avvenuto in tutti i Paesi del cosiddetto Terzo Mondo.
In quest’ottica deve essere inquadrata la distruzione materiale degli apparecchi televisivi e il deciso “no” alla musica rock e affini: vi immaginate lo scandalo che ha provocato negli occidentali questa presa di posizione? Ed è stato così lanciato un vero e proprio anatema nei confronti del povero Omar, reo solo di difendere la sua gente.