sabato, maggio 08, 2010
IL TITANIC AFFONDAVA E L’ORCHESTRA SUONAVA
Mi è venuto in mente questo titolo nel pensare alle manifestazioni dei Teatri Lirici in Italia, in contrapposizione a quanto sta avvenendo in Grecia, dove le misure governative per rientrare nei parametri europei prevedono addirittura il taglio degli stipendi e delle pensioni agli statali.
Dunque, le Fondazioni liriche, inutili e costosi carrozzoni creati per “inventare” posti ambiti ed alte prebende per gente squalificata artisticamente, continuano nella loro protesta ed a niente è valsa l’apposizione della firma in calce al decreto del governo da parte di Napolitano e neppure l’incontro del Ministro Bondi con sindacati e responsabili delle strutture artistiche.
In alcuni teatri si è avuto lo sciopero della normale programmazione, sostituita da varie “prove aperte al pubblico”, con la motivazione che la manifestazione di protesta non è certamente rivolta verso chi paga il biglietto al botteghino, ma verso le autorità, sia centrali che locali, le quali disattendono il problema gravissimo dei teatri lirici in crisi finanziaria.
Tra lo starnazzare dei vari “artisti”, mi è sembrato che uno di loro uscisse dal coro e parlasse di cose vere e serie, affrontando il problema nella sua giusta dimensione: si tratta del sovrintendente al Teatro Comunale di Bologna, Marco Tutino, che – dopo avere ribadito che i tagli compiuti al FUS per i teatri lirici, mettono tutte le istituzioni di fronte ad un problema gravissimo – aggiunge chela situazione si può risolvere con l’impegno di tutti e a patto che tutti si mettano bene in mente che “fare cultura è anche adeguarsi ai tempi che corrono”.
Inoltre, Tutino invita sindacati e addetti ai lavori a tenere ben presente che “a pochi chilometri dal nostro ci sono paesi in bancarotta e nella stessa Italia ci dono aziende che chiudono, spedendo sulla strada decine o centinaia di lavoratori”; e quindi, continua il sovrintendente, “i lavoratori della lirica devono capire che è necessario adeguarsi al cambiamento dei tempi e forse è indispensabile accettare qualche sacrificio oggi per poter sperare di vedere tempi migliori”.
Sono parole che mi vedono d’accordissimo e si sente che provengono da persona consapevole della responsabilità del proprio ruolo ed anche della situazione nella quale il mondo contemporanea si sta dibattendo.
Poiché la nuova normativa fa esplicito riferimento alle “aperture di sipario” come elemento qualificante ai fini dei “sussidi”, Tutino compie alcuni paragoni impietosi (per le strutture italiane) sulle nostre situazioni e quelle straniere: “l’Opera di Monaco di Baviera che certamente non è colossale, vanta 177 recite l’anno, mentre la Fenice di Venezia si ferma a 61; il Metropolitan di New York ne ha 225 contro le 42 del Maggio Musicale di Firenze”.
Pur ammettendo di non avere la bacchetta magica, Tutino afferma che “è indispensabile aumentare la produttività dei nostri Teatri, ma al tempo stesso contenerne i costi, magari facendo coproduzioni regionali, divisioni delle spese, circuitazioni delle opere e via di questo passo”, insomma, concludo io, dandosi da fare per aprire il sipario più spesso e ad un costo sostenibile e che non possa gravare solamente sulla mano pubblica (nazionale e locale), ma anche su quella privata e quindi intervenendo sulla tassazione delle donazioni; e per finire, ricordiamoci che il giudice ultimo è il pubblico che si priva dei soldi che investe nel biglietto e che ha diritto di essere tenuto nella debita considerazione. Da tutti. Se lo ricordino artisti e politici!!
Dunque, le Fondazioni liriche, inutili e costosi carrozzoni creati per “inventare” posti ambiti ed alte prebende per gente squalificata artisticamente, continuano nella loro protesta ed a niente è valsa l’apposizione della firma in calce al decreto del governo da parte di Napolitano e neppure l’incontro del Ministro Bondi con sindacati e responsabili delle strutture artistiche.
In alcuni teatri si è avuto lo sciopero della normale programmazione, sostituita da varie “prove aperte al pubblico”, con la motivazione che la manifestazione di protesta non è certamente rivolta verso chi paga il biglietto al botteghino, ma verso le autorità, sia centrali che locali, le quali disattendono il problema gravissimo dei teatri lirici in crisi finanziaria.
Tra lo starnazzare dei vari “artisti”, mi è sembrato che uno di loro uscisse dal coro e parlasse di cose vere e serie, affrontando il problema nella sua giusta dimensione: si tratta del sovrintendente al Teatro Comunale di Bologna, Marco Tutino, che – dopo avere ribadito che i tagli compiuti al FUS per i teatri lirici, mettono tutte le istituzioni di fronte ad un problema gravissimo – aggiunge chela situazione si può risolvere con l’impegno di tutti e a patto che tutti si mettano bene in mente che “fare cultura è anche adeguarsi ai tempi che corrono”.
Inoltre, Tutino invita sindacati e addetti ai lavori a tenere ben presente che “a pochi chilometri dal nostro ci sono paesi in bancarotta e nella stessa Italia ci dono aziende che chiudono, spedendo sulla strada decine o centinaia di lavoratori”; e quindi, continua il sovrintendente, “i lavoratori della lirica devono capire che è necessario adeguarsi al cambiamento dei tempi e forse è indispensabile accettare qualche sacrificio oggi per poter sperare di vedere tempi migliori”.
Sono parole che mi vedono d’accordissimo e si sente che provengono da persona consapevole della responsabilità del proprio ruolo ed anche della situazione nella quale il mondo contemporanea si sta dibattendo.
Poiché la nuova normativa fa esplicito riferimento alle “aperture di sipario” come elemento qualificante ai fini dei “sussidi”, Tutino compie alcuni paragoni impietosi (per le strutture italiane) sulle nostre situazioni e quelle straniere: “l’Opera di Monaco di Baviera che certamente non è colossale, vanta 177 recite l’anno, mentre la Fenice di Venezia si ferma a 61; il Metropolitan di New York ne ha 225 contro le 42 del Maggio Musicale di Firenze”.
Pur ammettendo di non avere la bacchetta magica, Tutino afferma che “è indispensabile aumentare la produttività dei nostri Teatri, ma al tempo stesso contenerne i costi, magari facendo coproduzioni regionali, divisioni delle spese, circuitazioni delle opere e via di questo passo”, insomma, concludo io, dandosi da fare per aprire il sipario più spesso e ad un costo sostenibile e che non possa gravare solamente sulla mano pubblica (nazionale e locale), ma anche su quella privata e quindi intervenendo sulla tassazione delle donazioni; e per finire, ricordiamoci che il giudice ultimo è il pubblico che si priva dei soldi che investe nel biglietto e che ha diritto di essere tenuto nella debita considerazione. Da tutti. Se lo ricordino artisti e politici!!
venerdì, maggio 07, 2010
DA UN MALE PUǑ VENIRE UN BENE?
Mi spiego meglio: da una situazione oggettivamente catastrofica, può nascere un qualcosa che vada nel senso diametralmente opposto?
E per esemplificare, prendo la situazione greca; semplificando, possiamo dire che l’attuale governo di centro-sinistra è subentrato ad un altro di centro-destra; quest’ultimo aveva truccato i conti del bilancio statale in modo vergognoso e i soloni dell’europarlamento non si erano accorti di niente o avevano fatto finta di non vedere.
La situazione ha preso una china non più accettabile e, complice un paio di agenzie di rating internazionale (una specie di magistratura “arrabbiata”) ha fatto precipitare il paese in una sorta di fallimento virtuale, dal quale si può salvare solo con aiuti di paesi stranieri che, per dare questi aiuti (prestiti, si badi bene e a tasso molto alto) esigono quelle che nella vita comune sono le “garanzie” e nel caso di una Nazione, sono “la sistemazione delle poste di bilancio”, in primo luogo la spesa pubblica.
Si è arrivati a postulare una “diminuzione” degli stipendi per gli impiegati statali ed a esaminare la possibilità di una analogo taglio delle pensioni: come ovvio e prevedibile i fruitori di questi stipendi e/o pensioni si sono fortemente incazzati, sia perché “indietro non si torna” e sia perché sono ben consci di non entrarci niente nella crisi finanziaria del loro paese che è stata invece originata da sfrenate operazioni di finanza avventata e parassitaria senza nessun costrutto per la vita sociale del Paese.
Ma se questo è “il male” del titolo, dove starebbe “il bene”? Uno come me che in tutti i suoi scritti fa trasparire un anelito un po’ rivoluzionario si ricorda che Lenin postulava come “indispensabile” per una rivoluzione, una condizione del Paese oggettivamente rivoluzionaria (cioè una parte che soffre) e mi sembra che ci sia; sempre secondo Lenin, mancherebbe la seconda, cioè la presenza di un partito autenticamente rivoluzionario, ma intanto la prima esiste e la seconda potrebbe formarsi, specie perché sembra che le misure governative per sistemare il bilancio siano tutte rivolte a salariati e pensionati e niente che vada contro le classi più agiate, i ricchi finanzieri tanto per intenderci, e questo, oltre che ingiusto è intollerabile per della gente che vede tagliare il proprio stipendio (più o meno misero).
In Italia – almeno per ora – questa situazione non esiste e per incazzarci dobbiamo ricorrere ad altre notizie: è di questi giorni un piccolo articolo uscito su “L’Espresso” in cui si dice che i nostri parlamentari – zitti, zitti – hanno approvato all’unanimità (notate bene, unanimità; dov’era il giustiziere Di Pietro?) una norma che prevede un aumento di stipendio mensile di 1.135 euro, facendolo così arrivare ad una cifra complessiva, di soli contanti, cioè senza i tantissimi benefit, che supera i 20.000 euro.
È sufficiente per incazzarsi? Se non ci basta, potrei citare l’emendamento – per fortuna rientrato - alla riforma del codice stradale che prevedeva una sorta di immunità per le auto blu; a proposito, sapete (o meglio: vi ricordate, perché io l’ho già scritto) quante sono? Qualcosa più di 600mila che rappresentano un numero mostruoso “in assoluto” ma soprattutto se paragonato a quello degli altri Paesi: 72mila negli USA, 61mila in Francia, 55mila in Inghilterra, 54mila in Germania.
Come si può vedere, non vinceremo i prossimi campionati del mondo di calcio, ma in questa classifica dei “privilegi” riusciamo a batterli tutti; mi chiedo se questo può considerarsi un fattore sufficiente a scatenare una rivoluzione: purtroppo devo dire che non basta, perché non tocca, se non indirettamente, il portafoglio della gente comune; quando lo farà allora le cose potrebbero cambiare! Chiaro il concetto??
E per esemplificare, prendo la situazione greca; semplificando, possiamo dire che l’attuale governo di centro-sinistra è subentrato ad un altro di centro-destra; quest’ultimo aveva truccato i conti del bilancio statale in modo vergognoso e i soloni dell’europarlamento non si erano accorti di niente o avevano fatto finta di non vedere.
La situazione ha preso una china non più accettabile e, complice un paio di agenzie di rating internazionale (una specie di magistratura “arrabbiata”) ha fatto precipitare il paese in una sorta di fallimento virtuale, dal quale si può salvare solo con aiuti di paesi stranieri che, per dare questi aiuti (prestiti, si badi bene e a tasso molto alto) esigono quelle che nella vita comune sono le “garanzie” e nel caso di una Nazione, sono “la sistemazione delle poste di bilancio”, in primo luogo la spesa pubblica.
Si è arrivati a postulare una “diminuzione” degli stipendi per gli impiegati statali ed a esaminare la possibilità di una analogo taglio delle pensioni: come ovvio e prevedibile i fruitori di questi stipendi e/o pensioni si sono fortemente incazzati, sia perché “indietro non si torna” e sia perché sono ben consci di non entrarci niente nella crisi finanziaria del loro paese che è stata invece originata da sfrenate operazioni di finanza avventata e parassitaria senza nessun costrutto per la vita sociale del Paese.
Ma se questo è “il male” del titolo, dove starebbe “il bene”? Uno come me che in tutti i suoi scritti fa trasparire un anelito un po’ rivoluzionario si ricorda che Lenin postulava come “indispensabile” per una rivoluzione, una condizione del Paese oggettivamente rivoluzionaria (cioè una parte che soffre) e mi sembra che ci sia; sempre secondo Lenin, mancherebbe la seconda, cioè la presenza di un partito autenticamente rivoluzionario, ma intanto la prima esiste e la seconda potrebbe formarsi, specie perché sembra che le misure governative per sistemare il bilancio siano tutte rivolte a salariati e pensionati e niente che vada contro le classi più agiate, i ricchi finanzieri tanto per intenderci, e questo, oltre che ingiusto è intollerabile per della gente che vede tagliare il proprio stipendio (più o meno misero).
In Italia – almeno per ora – questa situazione non esiste e per incazzarci dobbiamo ricorrere ad altre notizie: è di questi giorni un piccolo articolo uscito su “L’Espresso” in cui si dice che i nostri parlamentari – zitti, zitti – hanno approvato all’unanimità (notate bene, unanimità; dov’era il giustiziere Di Pietro?) una norma che prevede un aumento di stipendio mensile di 1.135 euro, facendolo così arrivare ad una cifra complessiva, di soli contanti, cioè senza i tantissimi benefit, che supera i 20.000 euro.
È sufficiente per incazzarsi? Se non ci basta, potrei citare l’emendamento – per fortuna rientrato - alla riforma del codice stradale che prevedeva una sorta di immunità per le auto blu; a proposito, sapete (o meglio: vi ricordate, perché io l’ho già scritto) quante sono? Qualcosa più di 600mila che rappresentano un numero mostruoso “in assoluto” ma soprattutto se paragonato a quello degli altri Paesi: 72mila negli USA, 61mila in Francia, 55mila in Inghilterra, 54mila in Germania.
Come si può vedere, non vinceremo i prossimi campionati del mondo di calcio, ma in questa classifica dei “privilegi” riusciamo a batterli tutti; mi chiedo se questo può considerarsi un fattore sufficiente a scatenare una rivoluzione: purtroppo devo dire che non basta, perché non tocca, se non indirettamente, il portafoglio della gente comune; quando lo farà allora le cose potrebbero cambiare! Chiaro il concetto??
giovedì, maggio 06, 2010
MA CI FACCIA IL PIACERE!!
Leggete con attenzione questa frase: “Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l’annullamento del contratto; non potrei come ministro abitare in una casa pagata in parte da altri”.
Avrete riconosciuto in questa bellissima prosa, la bella penna dell’ex ministro dell’industria, Scajola e avrete anche ben compreso che la dichiarazione si riferisce alla vicenda, in verità molto squallida, delll’appartamento acquistato dal ministro “con l’aiuto di un altro signore”: il ministro ha consegnato degli assegni circolari pari all’importo di un mutuo di circa 610mila euro e l’altro benefattore la bellezza di 80 assegni circolari al portatore dell’importo complessivo di 900mila euro; da questa forma di pagamento si può rilevare che Scajola detiene circa il 40% dell’appartamento e “l’altro”, il restante 60%: chissà come si metteranno d’accordo per l’uso del bagno??
Primo commento: per fare una dichiarazione come quella sopra fedelmente riportata, i casi sono due: o il ministro ci considera tutti dei grandissimi bischeri (traduzione per i non toscani: facili ad essere presi in giro), oppure il bischero è lui stesso che, nell’ipotesi improbabile (ma chissà!!) che tutto sia vero, sarebbe stato un grandissimo sprovveduto a cadere in una trappola del genere senza accorgersi di niente.
Fermiamoci alla seconda ipotesi e cioè che il bischero sia lui: abbiamo qualche riprova che questo possa essere vero? Per la verità qualcosa del genere esiste, in quanto lo Scajola mostra una superficialità degna di miglior causa: ricorderete che subito dopo l’omicidio di Marco Biagi, a cadavere ancora caldo, ebbe a dichiarare ad un paio di esterrefatti giornalisti che “era solo un gran rompicoglioni che voleva solo il rinnovo del contratto di consulenza”: altra sequela di scuse conclusasi con le dimissioni da Ministro del Lavoro. Su questa vicenda esiste un curioso fatterello che lo riguarda: per raggiungere più celermente la sua abitazione a Ventimiglia, fece istituire un volo straordinario da Fiumicino al piccolo aeroporto di Albenga; passeggeri pochissimi, molte volte solo lui che rientrava in famiglia; quando si dimise per l’affare Biagi, il volo venne cancellato e quando rientrò al governo come Ministro per l’attuazione del programma, trovò ad attenderlo il solito volo prontamente ripristinato.
Ma il nostro ex ministro sembra affezionato alle dimissioni: nel 1983, ai primi “successi politici”, da Sindaco di Imperia, incappa in una disavventura che lo conduce addirittura in carcere per 70 giorni con l’accusa di concussione, per avere favorito la nomina a primario dell’ospedale di un suo cognato, procedimento poi conclusosi con un proscioglimento. Insomma, il personaggio non è nuovo a incidenti di percorso, ma non possiamo certo considerarlo un “bischero” come ho fatto io poco sopra; forse la superficialità che ha più volte dimostrato, discende da una sorta di consapevolezza di onnipotenza, di autentica immunità che gli discende dal fatto di avere sempre operato in politica e di avere riscosso buoni successi e, soprattutto, di avere avuto vari incidenti di percorso che non lo hanno mai affossato, ma al contrario, lo hanno sempre rimesso in sella ad un gradino superiore di quello che era stato costretto ad abbandonare.
Per questi personaggi, esiste un nomignolo coniato da Indro Montanelli per Fanfani: “il rieccolo”, rivolto a coloro che non affondano mai e riappaiono sempre più baldanzosi di prima; vedrete che anche lui ritornerà a galla e potrà godersi la vista del Colosseo dalla finestra della sua “sudatissima” casa; auguriamogli che la finestra con vista sui ruderi romani faccia parte del “suo” 40% e non del 60% dell’”altro”!!
Avrete riconosciuto in questa bellissima prosa, la bella penna dell’ex ministro dell’industria, Scajola e avrete anche ben compreso che la dichiarazione si riferisce alla vicenda, in verità molto squallida, delll’appartamento acquistato dal ministro “con l’aiuto di un altro signore”: il ministro ha consegnato degli assegni circolari pari all’importo di un mutuo di circa 610mila euro e l’altro benefattore la bellezza di 80 assegni circolari al portatore dell’importo complessivo di 900mila euro; da questa forma di pagamento si può rilevare che Scajola detiene circa il 40% dell’appartamento e “l’altro”, il restante 60%: chissà come si metteranno d’accordo per l’uso del bagno??
Primo commento: per fare una dichiarazione come quella sopra fedelmente riportata, i casi sono due: o il ministro ci considera tutti dei grandissimi bischeri (traduzione per i non toscani: facili ad essere presi in giro), oppure il bischero è lui stesso che, nell’ipotesi improbabile (ma chissà!!) che tutto sia vero, sarebbe stato un grandissimo sprovveduto a cadere in una trappola del genere senza accorgersi di niente.
Fermiamoci alla seconda ipotesi e cioè che il bischero sia lui: abbiamo qualche riprova che questo possa essere vero? Per la verità qualcosa del genere esiste, in quanto lo Scajola mostra una superficialità degna di miglior causa: ricorderete che subito dopo l’omicidio di Marco Biagi, a cadavere ancora caldo, ebbe a dichiarare ad un paio di esterrefatti giornalisti che “era solo un gran rompicoglioni che voleva solo il rinnovo del contratto di consulenza”: altra sequela di scuse conclusasi con le dimissioni da Ministro del Lavoro. Su questa vicenda esiste un curioso fatterello che lo riguarda: per raggiungere più celermente la sua abitazione a Ventimiglia, fece istituire un volo straordinario da Fiumicino al piccolo aeroporto di Albenga; passeggeri pochissimi, molte volte solo lui che rientrava in famiglia; quando si dimise per l’affare Biagi, il volo venne cancellato e quando rientrò al governo come Ministro per l’attuazione del programma, trovò ad attenderlo il solito volo prontamente ripristinato.
Ma il nostro ex ministro sembra affezionato alle dimissioni: nel 1983, ai primi “successi politici”, da Sindaco di Imperia, incappa in una disavventura che lo conduce addirittura in carcere per 70 giorni con l’accusa di concussione, per avere favorito la nomina a primario dell’ospedale di un suo cognato, procedimento poi conclusosi con un proscioglimento. Insomma, il personaggio non è nuovo a incidenti di percorso, ma non possiamo certo considerarlo un “bischero” come ho fatto io poco sopra; forse la superficialità che ha più volte dimostrato, discende da una sorta di consapevolezza di onnipotenza, di autentica immunità che gli discende dal fatto di avere sempre operato in politica e di avere riscosso buoni successi e, soprattutto, di avere avuto vari incidenti di percorso che non lo hanno mai affossato, ma al contrario, lo hanno sempre rimesso in sella ad un gradino superiore di quello che era stato costretto ad abbandonare.
Per questi personaggi, esiste un nomignolo coniato da Indro Montanelli per Fanfani: “il rieccolo”, rivolto a coloro che non affondano mai e riappaiono sempre più baldanzosi di prima; vedrete che anche lui ritornerà a galla e potrà godersi la vista del Colosseo dalla finestra della sua “sudatissima” casa; auguriamogli che la finestra con vista sui ruderi romani faccia parte del “suo” 40% e non del 60% dell’”altro”!!
martedì, maggio 04, 2010
LA CICALA E LA FORMICA
Ricordate la favola della cicala e della formica, con quest’ultima sempre laboriosa e attenta a riempire il granaio per i tempi duri e la prima, al contrario, intenta a volteggiare ed a cantare senza preoccuparsi del domani?
Quando leggevamo questa favola durante le scuole, scoprivamo che, mentre la formica è sempre risultata un animaletto lavoratore costantemente impegnato a fare qualcosa nella sua vita (ma poco simpatico), la cicala ci è sempre piaciuta molto di più, con quel suo canto aggressivo che ci assale nelle calde giornate d’estate e il disinteresse per tutto quello che è il lavoro e/o comunque l’impegno.
Adesso, abbiamo una situazione similare in tante strutture pubbliche: anzitutto la Grecia che, sembrerebbe avere taroccato i propri bilanci degli ultimi cinque anni, a tutto beneficio dell’U.E. che – forse non si è accorta, forse ha visto ma ha abbozzato – in un modo o nell’altro l’ha sempre appoggiata: in quale delle due categorie sopra citate la possiamo mettere? Ma sicuramente tra le cicale, in quanto sembra che abbia vissuto al di sopra delle sue possibilità e….adesso, qualcuno l’aiuterà.
Scendiamo in Italia e vediamo che la Campania, una regione spendacciona, non ha i soldi per pagare gli stipendi ai diecimila dipendenti e quindi bussa cassa a Roma e quest’ultima apre il portafoglio, alla stessa stregua di quanto accaduto in passato per la Sicilia.
Sono tutte cicale? Certo, e insieme a loro ci possiamo aggiungere quelle che prossimamente batteranno cassa a qualcuno, come la Spagna e il Portogallo e, probabilmente qualche altra nostra regione.
Scendiamo di livello e arriviamo in un asilo nido dell’alta Italia: i genitori di un certo numero di bambini non paga la retta per la mensa e il Comune – con un debito di oltre diecimila euro con l’azienda fornitrice dei pasti – blocca la pastasciutta e la fettina ai ragazzi con i genitori morosi e li sfama a pane e acqua; non è dato sapere i motivi del mancato pagamento e quindi, nel dubbio, li etichettiamo come cicale.
A questo punto interviene un ricco ed anonimo benefattore che salda il debito della mensa e scrive una lettera pepata alle autorità comunali, accusandoli di tutto e di più; sembrerebbe tutto finito con la polemica del ricco benefattore, ma a questo punto si scatena una piccola rivolta tra i genitori che hanno sempre pagato regolarmente la mensa dei bambini (le formiche) e coloro che hanno atteso l’arrivo del benefattore per saldare le proprie pendenze (le cicale).
Cosa dicono le formiche? Il discorso che fanno è semplice ma allo stesso tempo drammaticamente pericoloso in questo mondo egoista: se per i morosi si è atteso il benefattore, anche noi smettiamo di pagare e vediamo cosa succede, cioè se il ricco signore pagherà anche le nostre rette.
Sotto il profilo formale non c’è niente da eccepire, se non che con questo ragionamento si butta all’aria tutto il concetto di solidarietà e di comune responsabilità, il tutto in previsione di un federalismo fiscale che è sotto approvazione e che prevede una sorta di solidarismo (molto annacquato) per cui, con questo andazzo, le cicale, a gioco lungo potrebbero avere la meglio sulle laboriose formiche.È indubbio che agli italiani viene molto bene la parte di “cicala”, ma dobbiamo aggiungere che non sempre il simpatico animaletto trova qualcuno disposto a venirle in soccorso e quindi, in tale assenza potrebbe anche fare una brutta fine. Chiaro il concetto?
Quando leggevamo questa favola durante le scuole, scoprivamo che, mentre la formica è sempre risultata un animaletto lavoratore costantemente impegnato a fare qualcosa nella sua vita (ma poco simpatico), la cicala ci è sempre piaciuta molto di più, con quel suo canto aggressivo che ci assale nelle calde giornate d’estate e il disinteresse per tutto quello che è il lavoro e/o comunque l’impegno.
Adesso, abbiamo una situazione similare in tante strutture pubbliche: anzitutto la Grecia che, sembrerebbe avere taroccato i propri bilanci degli ultimi cinque anni, a tutto beneficio dell’U.E. che – forse non si è accorta, forse ha visto ma ha abbozzato – in un modo o nell’altro l’ha sempre appoggiata: in quale delle due categorie sopra citate la possiamo mettere? Ma sicuramente tra le cicale, in quanto sembra che abbia vissuto al di sopra delle sue possibilità e….adesso, qualcuno l’aiuterà.
Scendiamo in Italia e vediamo che la Campania, una regione spendacciona, non ha i soldi per pagare gli stipendi ai diecimila dipendenti e quindi bussa cassa a Roma e quest’ultima apre il portafoglio, alla stessa stregua di quanto accaduto in passato per la Sicilia.
Sono tutte cicale? Certo, e insieme a loro ci possiamo aggiungere quelle che prossimamente batteranno cassa a qualcuno, come la Spagna e il Portogallo e, probabilmente qualche altra nostra regione.
Scendiamo di livello e arriviamo in un asilo nido dell’alta Italia: i genitori di un certo numero di bambini non paga la retta per la mensa e il Comune – con un debito di oltre diecimila euro con l’azienda fornitrice dei pasti – blocca la pastasciutta e la fettina ai ragazzi con i genitori morosi e li sfama a pane e acqua; non è dato sapere i motivi del mancato pagamento e quindi, nel dubbio, li etichettiamo come cicale.
A questo punto interviene un ricco ed anonimo benefattore che salda il debito della mensa e scrive una lettera pepata alle autorità comunali, accusandoli di tutto e di più; sembrerebbe tutto finito con la polemica del ricco benefattore, ma a questo punto si scatena una piccola rivolta tra i genitori che hanno sempre pagato regolarmente la mensa dei bambini (le formiche) e coloro che hanno atteso l’arrivo del benefattore per saldare le proprie pendenze (le cicale).
Cosa dicono le formiche? Il discorso che fanno è semplice ma allo stesso tempo drammaticamente pericoloso in questo mondo egoista: se per i morosi si è atteso il benefattore, anche noi smettiamo di pagare e vediamo cosa succede, cioè se il ricco signore pagherà anche le nostre rette.
Sotto il profilo formale non c’è niente da eccepire, se non che con questo ragionamento si butta all’aria tutto il concetto di solidarietà e di comune responsabilità, il tutto in previsione di un federalismo fiscale che è sotto approvazione e che prevede una sorta di solidarismo (molto annacquato) per cui, con questo andazzo, le cicale, a gioco lungo potrebbero avere la meglio sulle laboriose formiche.È indubbio che agli italiani viene molto bene la parte di “cicala”, ma dobbiamo aggiungere che non sempre il simpatico animaletto trova qualcuno disposto a venirle in soccorso e quindi, in tale assenza potrebbe anche fare una brutta fine. Chiaro il concetto?
lunedì, maggio 03, 2010
SPUNTI DALLA CRISI
Vorrei vedere la situazione nostrale della crisi sotto due aspetti: quello che “è” e quello che “appare”; non voglio fare un discorso prettamente semiologico, ma rilevare quello che ci perviene dalla vita di tutti i giorni.
E partiamo allora da “quello che è” e diciamo subito che nel nostro Paese, con un tasso di disoccupazione vicino all’8% - lontano magari dal 20% spagnolo ma anche dal 3% olandese – non si vive tranquilli e la situazione del proprio posto di lavoro è in testa alle preoccupazioni di tutti.
Ed allora, nella discussione parlamentare sul decreto relativo agli ammortizzatori sociali, ecco che mi sembra da registrare una proposta che ha una sua validità: chiamiamola, con uno slogan ad effetto, la tassa dei ricchi, cioè una imposizione “una tantum”del 2% per gli anni 2010 e 2011 riferita ai redditi che superano i 200mila euro.
In pratica, l’aliquota marginale massima salirebbe al 45% e l’una tantum servirebbe per coprire l’allungamento da 12 a 24 mesi della Cassa Integrazione Guadagni.
La proposta è del PD ed è stata firmata da Cesare Damiano, già Ministro del Lavoro del governo Prodi e, per ora, ha trovato scettica la maggioranza che attende comunque di pronunciarsi dopo aver verificato l’idoneità del provvedimento per la copertura dell’incremento della CiG.
In questo momento di crisi, la formula “togliere ai ricchi per dare ai poveri” è certamente ben vista dalla gente, a prescindere dai risultati che genera; peraltro, dobbiamo ricordare che una proposta quasi analoga era stata avanzata dall’allora segretario del PD, Dario Franceschini: in questo caso la proposta riguardava i redditi al di sopra dei 150mila euro ed il ricavato era destinato a trovare 500milioni da destinare alle fasce di popolazione che si trovano “in povertà assoluta”: la mozione non venne accettata dal Governo.
Il mio commento è che un provvedimento del genere, anche se non risolve la situazione generale del Paese, mostra però un modo di procedere della finanza pubblica che parte dal prelievo ai ricchi e procede verso la condivisione con i poveri.
Insomma, un modo di fare apparire le cose “come se”, circostanza che nella civiltà dell’immagine è ormai diventata un’abitudine; ed infatti un altro caso del genere – all’incontrario – è accaduto nella rossa e virtuosa Emilia-Romagna, laddove tre direttori generali della Regione con un contratto a termine, sono stati assunti – per un solo giorno – a tempo indeterminato e subito, con una “risoluzione consensuale del rapporto”, posti in pensione: così facendo, con un solo giorno di lavoro, sono riusciti a portarsi a casa pensione, liquidazione da direttori generali e buonuscita da semplici direttori a tempo determinato: solo quest’ultima uscita varia da 111mila euro per il più fortunato ai 50mila euro per il meno fortunato.
Tutta l’operazione, sia pure eseguita attraverso una serie di dribbling alla normativa per mezzo di “determine” e “delibere” formalmente ineccepibili, mostra una ferma volontà di “accaparrarsi” più benefici possibili non appena entrati in contatto con il settore pubblico; ecco perché queste situazioni generano sfiducia, rabbia e qualche volta anche peggio, da parte della gente nei confronti dello Stato; proprio perché – questa è l’immagine che esce all’esterno – sembra che in questi casi di ladrocinio siano tutti dalla stessa parte, forti del principio che adesso io faccio un favore a te e domani tu lo fai a me: insomma, si mettono da parte dispute politiche, litigi programmatici e robaccia del genere per fare massa comune al grande ristorante del “magna magna”. Chiaro??
E partiamo allora da “quello che è” e diciamo subito che nel nostro Paese, con un tasso di disoccupazione vicino all’8% - lontano magari dal 20% spagnolo ma anche dal 3% olandese – non si vive tranquilli e la situazione del proprio posto di lavoro è in testa alle preoccupazioni di tutti.
Ed allora, nella discussione parlamentare sul decreto relativo agli ammortizzatori sociali, ecco che mi sembra da registrare una proposta che ha una sua validità: chiamiamola, con uno slogan ad effetto, la tassa dei ricchi, cioè una imposizione “una tantum”del 2% per gli anni 2010 e 2011 riferita ai redditi che superano i 200mila euro.
In pratica, l’aliquota marginale massima salirebbe al 45% e l’una tantum servirebbe per coprire l’allungamento da 12 a 24 mesi della Cassa Integrazione Guadagni.
La proposta è del PD ed è stata firmata da Cesare Damiano, già Ministro del Lavoro del governo Prodi e, per ora, ha trovato scettica la maggioranza che attende comunque di pronunciarsi dopo aver verificato l’idoneità del provvedimento per la copertura dell’incremento della CiG.
In questo momento di crisi, la formula “togliere ai ricchi per dare ai poveri” è certamente ben vista dalla gente, a prescindere dai risultati che genera; peraltro, dobbiamo ricordare che una proposta quasi analoga era stata avanzata dall’allora segretario del PD, Dario Franceschini: in questo caso la proposta riguardava i redditi al di sopra dei 150mila euro ed il ricavato era destinato a trovare 500milioni da destinare alle fasce di popolazione che si trovano “in povertà assoluta”: la mozione non venne accettata dal Governo.
Il mio commento è che un provvedimento del genere, anche se non risolve la situazione generale del Paese, mostra però un modo di procedere della finanza pubblica che parte dal prelievo ai ricchi e procede verso la condivisione con i poveri.
Insomma, un modo di fare apparire le cose “come se”, circostanza che nella civiltà dell’immagine è ormai diventata un’abitudine; ed infatti un altro caso del genere – all’incontrario – è accaduto nella rossa e virtuosa Emilia-Romagna, laddove tre direttori generali della Regione con un contratto a termine, sono stati assunti – per un solo giorno – a tempo indeterminato e subito, con una “risoluzione consensuale del rapporto”, posti in pensione: così facendo, con un solo giorno di lavoro, sono riusciti a portarsi a casa pensione, liquidazione da direttori generali e buonuscita da semplici direttori a tempo determinato: solo quest’ultima uscita varia da 111mila euro per il più fortunato ai 50mila euro per il meno fortunato.
Tutta l’operazione, sia pure eseguita attraverso una serie di dribbling alla normativa per mezzo di “determine” e “delibere” formalmente ineccepibili, mostra una ferma volontà di “accaparrarsi” più benefici possibili non appena entrati in contatto con il settore pubblico; ecco perché queste situazioni generano sfiducia, rabbia e qualche volta anche peggio, da parte della gente nei confronti dello Stato; proprio perché – questa è l’immagine che esce all’esterno – sembra che in questi casi di ladrocinio siano tutti dalla stessa parte, forti del principio che adesso io faccio un favore a te e domani tu lo fai a me: insomma, si mettono da parte dispute politiche, litigi programmatici e robaccia del genere per fare massa comune al grande ristorante del “magna magna”. Chiaro??