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giovedì, ottobre 21, 2004

Consumi, sindacato e terroristi 

Quasi ogni giorno spuntano rilevazioni di fantomatici Uffici Studi di questo o di quello che sostengono un calo di consumi.
Bella forza, ci vorrà l’algebra per effettuare una simile considerazione; spero proprio che il committente non paghi per intero il costo della rilevazione, data l’ovvietà del risultato.
Basta chiedere a qualunque persona per sentirsi rispondere che la contrazione nei consumi discende direttamente da un calo – vistoso – degli introiti, o meglio di quello che gli economisti chiamano “il potere d’acquisto”, cioè quello che si poteva fare con 1000 Euro e quello che ci possiamo fare adesso.
Il buon vecchio Marx, con la saggezza della barba bianca, sosteneva che “l’economia è stata inventata per fregare il proletariato”; e forse aveva ragione, perché non ho sentito nessun economista fare discorsi comprensibili a tutti – e non solo agli addetti ai lavori – su quello che è accaduto circa il nostro potere d’acquisto.
Ci si rifugia dietro a concetti astrusi che richiamano le basi dell’economia, quella disciplina appunto che ha delle logiche così ferree che nessuno può interferirci.
In questo marasma ci potremmo aspettare che il sindacato (uno qualsiasi) facesse la sua parte e dicesse cose comprensibili alla sua base; invece anch’essi hanno i loro bravi Uffici Studi che sfornano dati e considerazioni ad uso e consumo dei soliti noti e non certo dei lavoratori.
D’altronde c’è da dire che anche i sindacati hanno i loro problemi: anzitutto qualche scheletro targato Brigate Rosse nei loro armadi, perché non si comprende altrimenti come possano essere indicati nei file dei terroristi diversi sindacalisti assolutamente sconosciuti alla grande massa: significa che le segnalazioni provengono dall’interno della struttura.
E con questo passiamo ai registri nei quali i bravi terroristi hanno schedato ben 300 nomi (si, 300 avete letto bene) di persone che sono state sottoposte a minuzioso controllo.
Malfidato come sono, mi viene spontaneo chiedermi: ma come, in 5 brigatisti (tanti sono quelli sotto processo) hanno fatto un tale lavoro da travet che richiederebbe l’opera di alcune decine di investigatori. In questi file dei computer, sono riportati tanti minuziosi dati che richiedono indubbiamente un grosso lavoro di carattere logistico.
Si pensi che – a quanto è trapelato dal Viminale – stiamo parlando di 50.000 pagine di file (cioè, immagino, videate) che riportano abitudini, composizione familiare, attività svolta nella struttura di appartenenza e via discorrendo.
Una vera e propria miniera di dati, alcuni dei quali provengono certamente dall’interno e non possono essere rintracciati neppure da un controllo costante: quindi possiamo ragionevolmente supporre che molte strutture di potere (Ministeri, Forze Armate, Sindacati, Partiti) sono inquinati da presenze inquietanti e che, lungi dall’essere state sgominate, le Brigate Rosse hanno ancora diverse frecce da scoccare.
D’altro canto ci sarebbe anche la versione “ottimista”: tutti questi nomi sono “troppi”, è come se fossero presi dalla Guida Monaci e integrati da notizie di fonte giornalistico o altro e non provenire da una ricerca costante e minuziosa.
È comunque una struttura che definire completamente sgominata mi sembra peccare di ottimismo; siamo sulla buona strada, ma ancora c’è da finire di percorrerla.


mercoledì, ottobre 20, 2004

La sposa turca 

Non so il gradimento dei miei lettori a questo nuovo argomento che vado ad aggiungere al mio blog: occuparsi anche di qualche film che vedo per motivi di lavoro e trasferire sul post le mie “letture”; inizio con “La sposa turca”, film che ha vinto l’Orso d’oro 2004 al Festival di Berlino e che ho visto ieri sera. Se vi piace l’idea fatemelo sapere ed io, sia pure saltuariamente, continuerò a proporvi qualche film.
È la storia di Sibel, giovane ragazza turca oppressa da una famiglia ortodossa alla religione e alla tradizione del paese di origine, e di Cahit, anch’egli turco e disperato (è rimasto vedovo giovanissimo di una ragazza che amava tantissimo), con una profonda insoddisfazione della vita che lo conduce al tentativo – non riuscito – di suicidarsi gettandosi con l’auto contro un muro,
In ospedale il giovane incontra Sibel – anch’essa reduce da un tentato suicidio – e da lei riceve una proposta a dir poco stravagante: sposami, per finta, senza metterci dentro il sentimento e neppure il sesso, soltanto per permettermi di andarmene di casa; verrò ad abitare con te, pagherò la metà dell’affitto e delle altre spese e tra noi non ci saranno complicazioni di nessun genere.
Dopo il primo comprensibile imbarazzo Cahit accetta e così si giunge alle nozze ed alla successiva coabitazione: la prima notte il giovane si scaglia contro Sibel e la caccia di casa; la mattina dopo i due si rimettono insieme.
L’andamento della strana famiglia va avanti: lei trova lavoro da una parrucchiera che è anche amante, saltuaria, di Cahit, ha varie esperienze di sesso e s’impegna anche a rimettere in sesto il piccolo appartamento del giovane, spendendo così tutti i soldi regalati alla coppia in occasione del matrimonio; il giovane continua nel suo umile lavoro e nella vita fatta di droga e di un po’ di sesso.
Piano, piano Cahit sembra sciogliersi e giunge a vedere la ragazza con altri occhi, quelli dell’affetto prima e dell’amore poi, il tutto di pari passo con la ragazza; come conseguenza nasce anche la gelosia per i rapporti che Sibel ha avuto in passato e dei quali i ragazzi che l’hanno posseduta si vantano con il giovane: in occasione di una di queste discussioni Cahit uccide involontariamente un giovane e viene imprigionato; Sibel è accusata di aver portato “scandalo e disonore” alla famiglia ed è inseguita dal fratello che cerca addirittura di ucciderla. Ripara ad Istambul da una cugina che lavora in un grande albergo, ma tante e brutte avventura tornano a marchiarla: al termine troverà la pace con un altro uomo (il tassista che la salva dai teppisti?) dal quale avrà anche una bimba; è in queste nuove condizioni sociali e psicologiche che Cahit, uscito di prigione, la ritrova ad Istambul: tra i due scatta di nuovo la scintilla dell’amore (o della passione?) e, dopo due giorni trascorsi insieme scatta la richiesta del giovane a Sibel: vieni via con me. Lei non risponde, la vediamo fare la valigia a casa sua, ma sull’autobus che i due dovrebbero prendere insieme, c’è solo Cahit, lei è rimasta col marito e con la bambina.
Il film si divide in tre parti: la prima che ci mostra la personalità, il carattere e il disagio dei due giovani; la seconda che invece si svolge quando Cahit e Sibel stanno insieme e, un po’ alla volta, trovano l’amore e, attraverso questo, una loro nuova dimensione umana; la terza è centrata sull’incontro dei due – trascorsi circa dieci anni – con l’amore sempre vivo, ma anche con la rinuncia a questo sentimento che, se appagato, potrebbe fare del male ad altre persone e fare quindi ripiombare i due amanti allo stadio iniziale (egoismo, violenza verso gli altri).
L’amore invece ha fruttificato ed ha reso “diversi” questi due esseri disperati, conducendoli ad una sorta di accettazione del mondo e di quello che è; non più droga, non più violenza, non più sopraffazione: i due desiderano inserirsi e cogliere la felicità in quello che il mondo può loro offrire, per esempio a lei la gioia della maternità e a lui la ricerca dei natali nella cittadina turca mai visitata.
L’amore quindi come condizione essenziale ed irrinunciabile per la sopravvivenza in questo mondo di lotte etniche, di malvagità, di tradizioni sempre più violente: ma questo amore è malvisto dagli altri, da coloro che con il loro desiderio di sopraffazione non possono concepire la possibilità di instaurare questo sentimento che – in tutta la narrazione – è portato avanti soltanto dai due giovani (gli altri sono dediti ad altre cose, di natura sempre e soltanto materiale).
Nel film, girato da un regista di origine turca residente in Germania, c’è un grosso discorso sulle etnie che si vanno generando nei paesi destinatari della emigrazione: la Germania, con i suoi 4 milioni di turchi, è senza dubbio il teatro adatto per questo discorso.
L’autore, nel mostrare le varie generazioni di turchi, ci presenta anche la tradizione della loro terra che continua ad essere portata avanti dai vecchi, ma anche da coloro che vivono perennemente in simbiosi con la “famiglia” autentico clan che tutto decide e tutto stabilisce; non a caso Selim mette in moto tutto il marchingegno per sfuggire ad essa.
C’è poi la seconda generazione, quelli nati in Germania e che non sono oppressi dalla “famiglia – clan” che si mostrano totalmente diversi e più disponibili ad una integrazione che invece è nettamente rifiutata dagli altri.
Il film è ben fatto, forse un po’ troppo impregnato di situazioni forti e al limite, ma evidentemente all’autore serviva dare la botta nello stomaco allo spettatore per farlo meglio ragionare sul discorso di fondo del film.
Da notare, infine, che la narrazione è contrappuntata da una orchestrina folcloristica turca con una cantante che sembra narrare con le parole della canzone, alcune cose del film; quando tace e la musica resta sola a interpretare questa specie di “coro tragico”, è nella parte in cui più feroce e violenta è la vita narrata dal film; scelta espressiva di un qualche interesse, anche perché – pur essendo girato quasi interamente ad Amburgo - la piccola orchestra suona sulle rive del Bosforo, con alle spalle Istambul (cioè con la Turchia come scenario), quasi a voler ribadire la contrapposizione tra modernità tedesca e tradizione turca.

lunedì, ottobre 18, 2004

Si avvicinano le elezioni USA 

Poco più di dieci giorni ci separano dalla data delle elezioni americane: il match tra Bush e Kerry è ancora incertissimo (due sondaggi odierni danno il Presidente uscente in vantaggio di due punti, praticamente un niente alla resa dei conti).
Vediamo di scoprire quali possono essere le cose che inducano il popolo americano a schierarsi per uno o per l’altro dei due candidati.
Per quanto riguarda Bush, ovviamente, si guarda all’andamento della campagna irakena: qualora l’esercito della coalizione riuscisse a conseguire un successo importante, questo si rifletterebbe sull’andamento della campagna elettorale.
Quale potrebbe essere un successo veramente eclatante? Sicuramente la morte o la cattura di Al Zarqawi, inviato di Bin Laden in Irak e gravato da una taglia di 25 milioni di dollari; l’attacco a Falluja e i bombardamenti ripetuti a questa località sembrano andare verso questa direzione, poiché tutti ritengono che in quella cittadina ci sia la base dei delinquenti amici di Al Qaeda.
Qualora invece non ci sia nessuna novità sul fronte della guerra irakena, questo si rivelerà un aiuto per Kerry che potrà continuare a battere il motivo del “pantano nel quale è andata a cacciarsi l’America”.
Sul fronte interno i due candidati battono strade abbastanza diverse: Bush cerca di magnificare i successi in economia e l’abbassamento dei tassi di disoccupazione; allo stesso tempo batte il chiodo su possibili futuri abbassamenti di tasse (mi sembra una canzone già udita) e cerca così di accaparrarsi il voto del ceto medio che sarebbe il maggiore beneficiato da questo provvedimento.
Kerry invece cerca di cavalcare l’insoddisfazione del ceto medio/basso per le condizioni di vita e, segnatamente, per la mancanza di provvedimenti sociali a suo favore (sanità, asili, scuole,ecc.). Per queste rivendicazioni il candidato ricerca (e ottiene) l’appoggio dell’elettorato “liberal – progressista” composto da intellettuali e gente di spettacolo, quasi tutti schierati con lui.
Entrambi i candidati hanno un problema che li angustia e che cercano di risolvere: gli indecisi (nei sondaggi) che poi si trasformano in astenuti (nel corso delle votazioni), facendo così raggiungere alla percentuale dei votanti – al massimo – un percentuale del 50% degli aventi diritto.
Questo problema, che sembra manifestare una disaffezione per la massima espressione della democrazia, in realtà discende da una consapevolezza del popolo americano che i due candidati sono talmente simili tra loro che “questo o quello per me pari sono”; che poi magari non è così vero come può apparire, ma anche i confronti televisivi si sono rivelati inutili a formare una graduatoria di gradimento: in pratica ha vinto di pochissimo Kerry, ma sono stati sufficienti pochi giorni per fare scordare tutto alla gente e infatti i sondaggi più recenti mostrano un nuovo sorpasso di Bush.
E intanto i due candidati battono l’America palmo a palmo alla ricerca spasmodica del consenso, nella convinzione di poter riuscire a scuotere gli indecisi e portarli dalla loro parte. Sarebbe la vera, autentica sfida vincendo, con la quale si fa saltare il banco.
Che dire? Auguri a entrambi, nella ferma convinzione che non siano poi tanto diversi l’uno dall’altro.

domenica, ottobre 17, 2004

Harem e INPS 

Trovo su un giornale odierno, trasecolo e comunico il mio stupore agli amici del Blog, cercando di coinvolgerli in una riflessione: in Germania, il deputato Wissing della FDP ha rivolto al Ministro della Sanità una interpellanza per conoscere se corrispondeva a verità il fatto che l’Istituto di Previdenza – dopo aver tagliato varie prestazioni sociali e aver soppresso alcune mutualità ai concittadini lavoratori tedeschi – pagava regolarmente assegni familiari e prestazioni sanitarie alle seconde mogli dei musulmani; il Ministro ha risposto affermativamente, aggiungendo che analoghi benefici venivano corrisposti anche alla terza e alla quarta moglie (ed oltre se del caso) dei signori musulmani.
“Ma così finiamo col mantenere un harem, noi che sicuramente non conciliamo la poligamia con i valori della nostra civiltà europea” ha continuato il deputato ed ha richiesto il numero e gli importi relativi a queste situazioni; il ministro non ha risposto a quest’ultima domanda.
Al deputato Wissing è stato suggerito di cercare di far approvare una legge che obblighi il marito a “scegliere” fra le sue mogli quella un po’ più moglie alla quale concedere le provvidenze previdenziali e sanitarie.
Naturalmente la polemica accesa dal deputato tedesco si è trasferita nella pubblica opinione e si è andata ad aggiungere ad altri problemi sorti con la comunità islamica, quali il minareto che deturpa il panorama, l’uso del velo alle donne islamiche nei momenti in cui interpretano il ruolo di funzionarie e rappresentano quindi i valori della Costituzione.
Come si può vedere, i motivi del contendere sono svariati e discendono anche dal grande numero di musulmani presenti in quel Paese (circa 4 milioni).
Confesso di non conoscere la situazione previdenziale in Italia per quanto riguarda gli immigrati di origine musulmana, ma nell’ipotesi che sia diversa da quella tedesca, penso che queste nuove informazioni potranno indurre gli islamici a chiedere e i politici nostrali ad affrettarsi a concedere almeno analoghe facilitazioni.
Quale migliore occasione di genuflettersi di fronte ai paladini di Allah? Quale migliore occasione per mostrare la nostra sudditanza ai musulmani? Quale migliore occasione per rimarcare il nostro senso di colpa per aver combattuto e vinto di fronte a Vienna, dove vennero respinti i musulmani e dove l’occidente partì per il suo sviluppo economico e culturale che lo ha condotto all’odierna situazione?
Eppure se ci pensiamo bene, non c’è niente – nella logica - che contraddica le richieste dei musulmani tedeschi: se mi autorizzate a restare e, successivamente mi consentite di portare la mia famiglia, cosa ci posso fare se essa è composta da cinque mogli e quindici figli e che tutti sono a mio carico.
Quindi assegni familiari e prestazioni sanitarie mi spettano di diritto, dice l’Alì di turno; ed ha ragione. Perciò il problema è alla base, cioè all’autorizzazione concessa a suo tempo di restare tranquillamente nei nostri Paesi (Italia, Francia o Germania, è la stessa storia), quindi in virtù di una malcompresa teoria della libertà religiosa, consentire la realizzazione di moschee e minareti, e quindi autorizzare il cosiddetto ricongiungimento familiare; in pratica ricostituire, un pezzo per volta, il loro Paese nel nostro Paese.
E noi? Noi stiamo a vedere come va a finire, cercando di non esporsi troppo per non offendere.


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