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sabato, novembre 16, 2013

LA BELLA CALLIGRAFIA NON SERVE 



La vicenda che contiene l’assunto di cui al titolo, è avvenuta in un Tribunale di New York  dove una giovane – Rachel Jeantel – sta testimoniando sulla morte del proprio compagno ammazzato con una revolverata dalla guardia giurata George Zimmermann; ad un certo punto il giudice porge un foglio a Rachel la quale esita, arrossisce e balbetta: “Vostro onore, mi scusi, ma io non so leggere la scrittura a mano”.
Il fatto rimbalza immediatamente su tutti i media e cominciano i sondaggi, gli esperti incrociano le lame e anche l’opinione pubblica si appassiona al tema: il corsivo scritto a mano ha ancora un posto nella cultura degli anni duemila? Oppure è irrimediabilmente defunto e destinato ad una collocazione puramente ideologica?
Facciamo un passo indietro e spostiamoci in Italia: nei primi anni del ‘900 si hanno gli stampatelli applicati ai cartoons e poco dopo (1928) sbarcano Topolino e Paperino che gonfiavano la loro nuvoletta con dialoghi ancora in stampatello.
Poco dopo tante altre nuvolette giungono nei cieli della nostra fantasia per merito di Tex, Dylan Dog, Diabolik ed altri, tutto in maiuscolo e con il neretto usato solo per le imprecazioni e gli insulti.
I maestri elementari cominciarono ad insegnare il corsivo manuale lievemente inclinato a destra, ma poi si arresero ai cellulari con la tastierina in maiuscolo e gli sms sincopati.
Per psicologi e psichiatri il corsivo manuale è “uno specchio dell’anima”, espressione diretta della mente razionale o fantastica, insomma, uno strumento per la conoscenza dei bambini che favorisce lo sviluppo della memoria; quindi, poche chiacchiere: mettere le parole nero su bianco fa bene al cervello.
Nella Nazione dove è partita la polemica – gli Stati Uniti – divampa la polemica e si citano una marea di studi medici che dicono tutto ed il suo contrario; teniamo comunque presente che nella maggior parte degli Stati Uniti non c’è più l’obbligo di insegnare la scrittura in corsivo e si comincia a richiedere sempre più incessantemente l’insegnamento della tastiera perché la generazione “touch” sa usare solo i pollici su telefonini e tablet; un giovane “ultrà” aggiunge una ciliegina: “aboliamo la firma a mano e diamo valore legale alla croce”.
A proposito di materie abolite, non siamo certo secondi a nessuno: è stato abrogato l’insegnamento della geografia ed è stato assai ridotto quello della storia dell’arte; e questo in un paese la cui economia si regge sul turismo per merito dell’eccezionale patrimonio artistico che possediamo.
Mi sembra che la civiltà tecnologica stia commettendo un errore demenziale allorché  brucia tutto e distrugge il suo immenso “passato” con una furia iconoclasta degna di miglior causa.
Per concludere, possiamo dire che rinunciare all’insegnamento della scrittura a mano è paragonabile a proclamare l’inutilità del fare l’amore con la motivazione che esistono “Youporn” (sito per il piacere solitario) e la banca del seme per la prosecuzione della specie.
Ci sono comunque le solite incongruenze all’italiana: su Internet ci sono centinaia di corsi di bella scrittura che più di una “moda effimera” sembrerebbe una reazione allo stampatello che ormai dilaga in tutti gli scritti.
Comunque, una cosa è chiara: in molti Stati degli USA non si usa più a scuola carta e penna, ma computer e tablet; vorrà pur dire qualcosa!!

giovedì, novembre 14, 2013

I SOLDI CI SAREBBERO... 



Questo ragionamento, grosso modo, l’ho già fatto tempo addietro, ma mi piace rifarlo - pur con i dovuti aggiornamenti – dato che non è cambiato proprio niente eppure credo, non solo io, che sia la cosa basilare per aggiustare i conti dissestati dello Stato Italiano.
A margine dell’ultimo scandalo sui finanziamenti pubblici ai partiti, è ritornato a galla il non dimenticato Fiorito, il Batman di Anagni, che quando fu messo al gabbio per le mostruose ruberie fatte con quei soldi, avvertì tutti noi con questa frase lapidaria: “così fan tutti, miei signori; mica sono il solo; è la legge che lo consente”.
Sembrerebbe un paradosso e invece, se ci pensiamo un po’ sopra, ci accorgiamo dell’innegabile verità: chi è che fa le leggi? Il Parlamento, cioè gli uomini politici eletti a tale alto scranno. Chi gestisce i rimborsi dello Stato ai partiti politici?  Gli stessi uomini politici eletti a tali scranni? E, per finire, chi troviamo sulle prime pagine dei giornali per le ruberie su tali rimborsi? Gli stessi uomini politici eletti a tali alti scranni.
Facciamo un passo indietro: gli italiani si sono espressi, con un referendum plebiscitario “CONTRO” il finanziamento pubblico dei partiti; dopo tale evento e dopo alcuni tentativi di rimediare attraverso dei rimborsi percentuali ai voti ottenuti (i soldi vennero sperperarti o meglio mangiati dalla solita “casta”), qualcuno ha avuto la bella pensata di inventare il “rimborso pro capite” per elettore, una sorta di voto di scambio all’incontrario, per cui più crocette otteneva il signor x e più quattrini gli entravano nelle tasche. Ma per scucire i denari, c’era bisogno delle pezze giustificative che legittimassero esborsi milionari.
Ed allora, ecco che si è assistito alle fatture “allegre”, con giustificazioni singolari (ed è dire poco!): soggiorni termali, cene sfarzose, ricevute di beneficenza, forniture di penne stilografiche extra lusso per arrivare a mettere di mezzo la solita “famiglia”: sono stati schiaffati persino i pranzi di nozze familiari, costringendo alcuni inquirenti a spiccare un paio di mandati di arresto.
Insomma, siamo ancora a ricercare un qualche sistema che “annulli” gli effetti di un referendum che gli italiani hanno votato plebiscitariamente e si è avuta la furbata che a fare la legge che disciplina un nuovo sistema, venga chiamato proprio colui che questo nuovo sistema dovrà subirlo.
E adesso due parole per chiarire di cosa stiamo parlando: in Calabria 13 indagati per rimborsi usati per pagare delle multe e per acquistare Gratta e Vinci e persine biglietti di locali di Lap Dance; in Campania 60 consiglieri indagati in quanto avrebbero bruciato in soli due anni “2/milioni e mezzo di rimborsi”; in Umbria è sotto processo il Presidente del Consiglio, Brega; in Basilicata due assessori e un consigliere sono agli arresti domiciliari; in Molise è stato rilevato un utilizzo improprio di 2.5/milioni l’anno di rimborsi, utilizzati anche per giocare al casinò e per frequentare night club; in Piemonte anche il Presi9dente Cota è tra i 56 indagati per peculato; in Valle d’Aosta indagati tutti e sei i gruppi consiliari con ipotesi di reato di peculato e finanziamento illecito ai partiti; in Lombardia indagati i gruppi di maggioranza e opposizione (tra i rimborsi pure sigarette e Nutella); in Emilia Romagna tutti i gruppi sono indagati per spese pazze e consulenze atipiche (si è dimesso il capogruppo del PD); nel Lazio abbiamo la madre di tutte le inchieste: l’ex capogruppo Pdl Fiorito è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per peculato; potrei continuare ma temo di annoiarvi e quindi mi fermo qui.
Come uscirne? Semplicissimo: rispettare il dettato del referendum e “ABOLIRE” il finanziamento pubblico ai partiti politici; e basta!! Chiaro il concetto??!

martedì, novembre 12, 2013

TENGO FAMIGLIA 



Era il motto creato da quel geniale intellettuale di Leo Longanesi, il quale con questo alludeva al fatto che – stringi stringi – in Italia, la famiglia è importantissimo, ma perché  rappresentata dalla “casta” da cui si riceve favori e che diventa così più importante della famiglia vera e propria che può annoverare soltanto il “diritto di sangue”.
Tutto questo nasce all’indomani dello scandalo Cancellieri, quando cioè il nostro Ministro della Giustizia è stato “intercettato” – indirettamente, dato che l’intercettazione era destinata al suo interlocutore – mentre tranquillizza la figlia di Ligresti sul fatto di poterla fare accedere al regime degli “arresti domiciliari”, stante il suo scarso appetito mostrato alla mensa del carcere.
Il Ministro ha interessato della cosa un alto funzionario dell’amministrazione penitenziaria che, in quattro e quattr’otto ha sistemato l’appetito della signorina Ligresti, con buona pace di tutti; motivazione della Cancellieri sul suo gesto: soltanto “umanitario”, nei confronti di una persona “amica di famiglia”.
E si ritorna al concetto già espresso: i piaceri agli amici di famiglia; si narra infatti che la stessa Camcellieri – ai tempi in cui era soltanto Prefetto – quando dovevano trasferirla in altra sede, chiamò subito Ligresti che, di conseguenza interviene sull’allora premier Berlusconi, il quale chiamò il fido Angelino Alfano, il quale è anche affittuario di uno splendido appartamento romano messogli a disposizione proprio dai Ligresti.
E torniamo così al motto di Longanesi – “tempo famiglia” - che secondo l’illustre scrittore era da considerarsi motto italico per eccellenza e dunque da stampare addirittura sul tricolore.
Tutti i manager e in particolare i supermanager “tengono famiglia” come vi voglio succintamente rappresentare: Giannini per l’Antitrust si fa raccomandare dai Ligresti; ma ha amicizie di famiglia anche la stessa Cancellieri il cui figlio ha lavorato per i Ligresti per 11 mesi incassando la bella somma di 5/milioni di euro, così come furono messi a libro paga anche due ex prefetto di Milano, Enzo Vicari e Bruno Ferrante.
Quindi possiamo dire che “l’amicizia è una cosa splendida, ma se “rende” è ancora meglio”! Non siete d’accordo??
Ed ora vi voglio raccontare un piccolo fatto emblematico: nel 1987 “Il Giornale” di Montanelli pubblica un pezzo sgradito ai Ligresti – già allora sotto inchiesta – i quali convocano il cronista che ha scritto il pezzo, per un chiarimento; il chiarimento avviene sotto lo sguardo vigile della Cancellieri – allora capo ufficio stampa della prefettura di Milano – che afferma: “ero lì per caso, in quanto amica di famiglia”.
E rieccola questa “famiglia”, ma non credo proprio che il povero cronista l’abbia presa così quella silenziosa presenza che gli sarà apparsa come una sorta di “messaggio”, un qualcosa sul tipo “sappi che il  ministero dell’interno è dalla parte dei Ligresti, quindi regolati di conseguenza.
In effetti, molte carriere al ministero dell’interno si spiegano con alte sponde esterne, così come i buoni rapporti con gli americani spiegano la carriera di molti alti ufficiali nostrali e di influenti capi dei servizi segreti; e nel campo civilistico, le affinità politiche trasformano mediocri medici in riveriti primari e le cordate portano diritto ad una cattedra prestigiosa all’Università.
Funziona così l’Italia del “familismo amorale”, dove non occorre essere mafiosi per apprezzare l’utilità di un “padrino” e dove il caso Cancellieri-Ligresti è solo uno dei tanti esempi per capire come gira la ruota in questo nostro disgraziato Paese.

domenica, novembre 10, 2013

SI RUBA ANCHE AI BIMBI MORTI 



Va bene, siamo in crisi e non si vede – almeno a occhio nudo – l’uscita dal tunnel, tant’è vero che un disoccupato – uno dei tanti (troppi) – ha sfiorato una strage compiendo un atto sconsiderato: ha fatto esplodere una tanica di benzina nel suo garage, pensando così di morire lui e una buona parte degli inquilini della palazzina dove sarebbe scoppiato il botto; per fortuna allo scoppio della tanica sono rimasti coinvolti solo tre persone (lui e due poliziotti), nessuna delle quali versa in pericolo di vita.
Ma possiamo dire che quanto accaduto al cimitero di un piccolo paese abbastanza vicino a dove è scoppiata la tanica di benzina è da ascrivere alla crisi? Sentite cosa è successo e poi ne riparliamo.
Una madre disperata per aver perduto un figlio di cinque anni, nel tentativo di lenire, almeno in parte, il dolore, si reca tutti i giorni sulla tomba del bambino e gli porta un “regalino” (una macchinina, un pupazzetto ed altre cose similari).
Possiamo dire che la vita della donna, stroncata dall’immane dolore, è ormai scandita soltanto da queste visite cimiteriali; poi accade qualcosa che nessuno vorrebbe sapere e nessuno vorrebbe scriverci sopra: i “regalini” per il piccolo sono scomparsi, il marmo della tomba è senza niente e la sua “nudità” è impressionante.
Anzi, diciamo meglio, un qualcosa su quel marmo c’è: un cartello, scritto dalla madre, dove si chiede esplicitamente di non portare via i giocattolini dalla tomba del figlio.
Che ipotesi fare: che quella roba l’abbia presa qualcuno che non ha i soldi per fare regali al proprio bambino; oppure che sia stata presa da un bambino capitato per caso davanti a quella tomba; oppure che sia stato un “imbecille” a prendere quei ricordini di una madre e, magari, li ha già gettati nella pattumiera.
Rubare i giocattoli ai bambini è quanto di più inumano si possa immaginare; pensate poi se a questo si aggiunge l’aggravante che i giocattoli sono stati sottratti ad un “bambino morto”, si raggiunge l’infamia.
Ma possiamo continuare a dare la colpa alla crisi? Non credo proprio, perché altrimenti potrei elencare decine e decine di cose che verrebbero prima dei giocattolini in un ideale elenco di “cose da rubare”.
Il presidente dell’Ordine dei medici della città in cui è situato il cimitero, si è impegnato a portare ogni giorno – per un intero mese – un giocattolo nuovo sulla tomba così barbaramente violata ed ha aggiunto questo pensiero che mi piace riportare per intero: “noi che lottiamo ogni giorno contro il male ci sentiamo vicini a un bimbo strappato alla vita troppo presto; ho paura che questo sia il male del nostro tempo, il vero cancro che sta nell’assenza di valori, di solidarietà, di condivisione; non ci sono parole per definire un gesto così ignobile come quello perpetrato sulla tomba del piccolo morto a soli cinque anni”.
È sicuramente un bel gesto, che pur non restituendo alla madre un minimo di serenità, schiera in difesa della giustezza dei valori un esercito di 3.000 medici (quelli della Provincia) ed è bello pensare insieme a questo stuolo di “brave persone” che quando il piccolo giocherà lassù con la macchinina giornaliera e la farà sfrecciare con le sue piccole mani, quaggiù l’esercito di “brava gente” gli batterà calorosamente le mani e lui riderà felice.
Non dico che il gesto del presidente faccia scomparire l’orrore del furto, ma possiamo dire che i cuori della gente non sono tutti uguali

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