sabato, maggio 10, 2008
SICUREZZA?? LA PENA DI MORTE!!
Sarà che entrambi gli schieramenti politici portavano “la sicurezza” come bandiera; sarà che i fatti che accadono adesso sembrano – badate bene dico “sembrano” – più cruenti e più frequenti di qualche tempo fa, fatto sta che si comincia a parlare sempre più spesso di pena di morte.
Andiamo in ordine inverso e parliamo prima dell’avvenimento più recente: a Firenze, quattro ragazze rom (una maggiorenne le altre minori) penetrano in un appartamento vuoto in quanto la proprietaria lavora a pianterreno in una enoteca e da lì ha udito degli strani rumori provenire da casa sua; insieme a un paio di amici si è diretta verso il “luogo del delitto” e, appena arrivata davanti a casa ha visto la porta che era reduce da una violenta effrazione; anche le “ladre” si sono accorte di essere state scoperte e hanno aggredito la donna, che per un qualche motivo – imputabile alle zingare solo indirettamente – è caduta dalle scale e si è procurata la frattura di tibia e perone; gli amici che l’avevano accompagnata, dopo aver chiuso il portone esterno, hanno avvertito
Soluzioni proposte da più parti: anzitutto viene rifiutata qualsiasi forma di integrazione – che peraltro neppure i rom desiderano – e subito dopo viene invocato il fatidico detto: cacciamoli via tutti! Ma “via” dove? Quale potrebbe essere la destinazione di questa gente, magari anche imposta con la forza? Se il loro “status” è quello di apolide, non hanno una patria a cui indirizzarli e quindi…..
Il buon Adolfo, di cognome Hitler, la soluzione l’aveva trovata, includendo gli zingari insieme agli ebrei in quelle razze da estinguere; vi sembra una cosa accettabile?
No, via smettiamola di scherzare e ritorniamo alle cose serie: mi ha colpito un’affermazione della donna rimasta vittima del furto e della successiva aggressione: “chi ci governa non dovrebbe permettere situazioni come queste e non dovrebbe neppure permettere che i cittadini diventino razzisti per paura”: concetto interessante!!
L’altro fatto eclatante circa la sicurezza, è accaduto a Verona e riguarda l’assassinio a pugni e calci che un gruppetto di quattro ragazzi (subito definiti naziskin) ha perpetrato ai danni di un giovane che si era rifiutato (forse perché non ne aveva) di dare una sigaretta a uno di loro; l’evento è talmente drammatico e soprattutto incredibile che ci dovrebbe indurre a riflettere sul perché possono accadere queste cose.
A proposito dei quattro “imbecilli”, sappiamo solo che provengono da famiglie “normali” (né ricche né povere), che svolgono una vita “normale” (due lavorano e due studiano), ma in giro si dice che non disdegnavano qualche scazzottata e che le loro uscite erano sempre improntate alla ricerca di qualcosa di violento.
Questi quattro non sono zingari o comunque extracomunitari, sono italianissimi e quindi non possiamo espellerli; possiamo invece sbatterli nelle patrie galere e lasciarceli a marcire per parecchi anni; la gente comune, quella in nome della quale si amministra giustizia nel nostro Paese, sa che
Dico subito e chiaramente che non sono per la pena di morte, pur non volendo intromettermi nelle decisioni di altri Paesi, sono però per una certezza della pena che da noi non esiste, forse per colpa un po’ dei giudici e un po’ dell’ipergarantismo delle leggi, fatte da una classe politica che su questa linea ha tante, ma tante colpe.
martedì, maggio 06, 2008
ANCORA CALO DEI CONSUMI
Nel primo trimestre del 2008 i consumi – in particolari quelli dei generi di prima necessità (alimentari bevande e tabacchi) – hanno subito un calo vistoso, - 1,7%, e i soliti giornalisti/giornalai hanno lanciato l’ennesimo grido d’allarme; a questo proposito – prima di sviscerare la questione in modo, spero, diverso dagli altri, mi corre l’obbligo di fare subito una prima distinzione: la diminuzione è avvenuta certamente perché ci sono sempre meno soldi in tasca, ma anche – e forse soprattutto – a causa della “specializzazione” dei consumi da parte degli italiani, cioè la scelta che viene fatta con i pochi soldi in tasca non sempre è a vantaggio di quelli che noi conoscevamo come generi di prima necessità.
Insomma, voglio dire, la scheda del cellulare (minimo uno per individuo in ogni famiglia) la possiamo considerare genere indispensabile o voluttuario? E la gita fuori porta della domenica o durante un “ponte” come la etichettiamo? Questi valori assegnati a nuove categorie merceologiche o a nuovi servizi, mandano all’aria le rilevazioni statistiche redatte ancora con parametri non attualizzati: comunque il dato dei minori soldi a disposizione rimane ben saldo al suo posto; si tratta ora di vedere come agiscono i meccanismi messi in moto per “creare i bisogni”.
Tutti voi avrete sentito dire mille volte da economisti, da sindacalisti, da uomini politici di ogni tendenza: “Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione”; se guardiamo bene al significato di questa frase, siamo in piena follia, in quanto l’attuale società ha come slogan sulla propria operatività, non più “produrre per consumare”, ma il. suo contrario, cioè “consumare per produrre”; e questo significa, in parole povere, che il meccanismo economico non è al nostro servizio, ma siamo noi ad esserlo al suo.
Possiamo dire che siamo i tubi digerenti, i lavandini, i water attraverso cui deve passare, il più rapidamente possibile, ciò che altrettanto rapidamente viene prodotto.
L’uomo quindi è la variabile dipendente dell’economia, anzi vorrei aggiungere che il termine “uomo” non è neppure più appropriato in quanto dobbiamo parlare di “consumatore”; e non siamo neppure consumatori coscienti e volontari, ma delle rane che, opportunamente stimolate, devono saltare anche quando vorrebbero stare ferme, per non ostacolare l’onnipotente meccanismo che sovrasta ogni cosa (ricordate il treno del mio post di ieri l’altro?).
E si badi bene che di questo processo chiamato globalizzazione – vale a dire omologazione dell’intero pianeta ad un unico modello economico – se ne parla da non più di una quindicina d’anni, anche se la sua origine può esser fatta risalire alla “Rivoluzione industriale” partita dall’Inghilterra alla metà del 1700, per effetto della quale il vecchio “mercante” viene sostituito dall’industriale che crea così il “capitalismo commerciale”.
L’industrialismo – a differenza del commercio – non si limita a trasferire dei beni, ma li crea e, una volta creati, ha la necessità di venderli e si arriva così alla prima pazzesca legge di un certo Jean-Baptiste Say, il quale codifica una delle prime norme anche della moderna pubblicità: “è l’offerta che crea la domanda”; e in questo contesto viene anche scoperto la natura illimitata dei bisogni o meglio, la irrisoria facilità con cui gli esseri umani si lasciano influenzare e – attraverso tutta una serie di tecniche psicologiche – diventano “consumatori”.
Questo è il mondo che stiamo vivendo; “volerlo rinnegare è come rinnegare la legge di gravità” (Fidel Castro, 1998); e allora cosa ci resta da fare? Poco, ma proprio poco!!
domenica, maggio 04, 2008
LA RETE E IL TRENO
Scusate il titolo un po’ criptico, ma se riesco ad esprimere con chiarezza il mio pensiero, poi si capirà l’accostamento; dunque tutto parte dalla messa sul sito dell’Agenzia delle Entrate dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per il 2005 fatta sulla base di una legge del 1973, poco chiara, mai applicata e di una data nella quale non c’era Internet; dopo qualche ora interviene il garante per la privacy e intima al Ministero di togliere i dati, ma gli stessi continuano egualmente a circolare.
Come è stato possibile? Semplice: è accaduto che gli “internauti” hanno visto i dati sul sito del Ministero delle Finanze, li hanno riversati sui propri per poi includerli in alcuni motori di ricerca; in sostanza i blogger hanno fatto in tempo a copiare la lista delle dichiarazioni dei redditi del 2005 e rimetterla in rete incuranti dell’altolà del garante, la cui dichiarazione è sintomatica: “La diffusione in Internet anche per poche ore rende ingovernabile la circolazione e l’uso di questi dati, così come la loro protezione”.
La dichiarazione del garante è intrisa di impotenza ma anche di oggettività e prende le mosse dalla consapevolezza che la rete – quando riceve un dato – lo gestisce in forma assolutamente incontrollabile anche dagli stessi autori dell’immissione.
E qui subentra la comparazione con il “treno”, di cui ho parlato in un mio post di qualche tempo fa; la metafora è del Premio Nobel Rubbia e recita grosso modo così: “siamo su un treno che va ad altissima velocità, il quale, per una sua dinamica interna, deve continuare ad aumentare la velocità; non esiste un macchinista e quindi il convoglio va per conto proprio”. In questa condizione, hanno senso alcune domande che ci poniamo – e che a ben guardare valgono anche per la rete – ma alle quali non è detto che ci siano delle risposte (io almeno non le ho): dove sta andando il treno? Qual è il rapporto tra i viaggiatori ed il meccanismo che li sta portando? Possono i viaggiatori decidere quale deve essere la velocità e la meta del viaggio, oppure è il treno, la cui via è segnata dalle rotaie su cui è stato messo, a decidere per loro?
Ovviamente l’esempio del treno con cervello autonomo rappresenta l’attuale società con il suo continuo impellente bisogno di espansione, pena una catastrofe economico finanziaria della cui portata nessuno osa immaginare le conseguenze; e questo automatismo del sempre avanti senza che nessuno sia ai comandi della locomotiva, mi sembra facilmente assimilabile alla realtà della rete, la cui potenza è proprio nella sua possibilità di espansione fino a livelli ancora da scoprire.
Queste due realtà, la cui intima natura è strettamente connessa, hanno la caratteristica che nessuno di noi è stato interpellato per la loro creazione e nessuno di noi viene chiamato a decidere sulla loro prosecuzione; evidentemente esiste una realtà ineluttabile che ci “costringe” ad accettarle ed a farne il miglior uso possibile per ciascuno di noi, dando cioè fondo alla nostra intima personalità.
Ed è per questa ragione che trovo incomprensibile l’affermazione del nostro Presidente Napolitano in occasione della giornata della stampa: “in un mondo aggressivamente multimediale bisogna resistere per garantire la libertà e la dignità della stampa”; mi sembra una posizione di retroguardia – che non scuso neppure per l’età di colui che l’ha pronunciata – che non comprende come le situazioni multimediali hanno ormai il sopravvento su ogni altra cosa e che è vano soltanto il pensare di poterle abbattere.
Questo è il mondo, il nostro mondo e soprattutto il mondo dei nostri figli e dei nostri nipoti: non lo abbiamo scelto noi? Inutile adesso recriminare, l’importante e saperci vivere ed operare al meglio per il nostro e l’altrui bene; chiaro il concetto??