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sabato, aprile 29, 2006

A PROPOSITO DI AGGIOTAGGIO 

Ricordate quanto è accaduto al povero Ricucci, costretto da un paio di settimane a Regina Coeli con l’accusa di aggiotaggio che – come ho già spiegato nel post del periodo – sta ad indicare una qualche manovra messa in atto per fare salire (o scendere) le quotazioni di Borsa di un titolo azionario, con lo scopo di farci un guadagno di carattere economico.
Fermo restando che quello che vi sto per raccontare è puramente accademico, cioè non intendo accusare nessuno di aggiotaggio, sentite quello che è accaduto alle azioni della Juventus.
La francese Chevreux, da me mai sentita nominare (per mia colpa), ma evidentemente una delle più apprezzate Agenzie di rating internazionale, specializzata in analisi di mercato, ha pubblicato – all’inizio della scorsa settimana – uno studio sul titolo bianconero, per effetto del quale le azioni juventine sono schizzate di un + 33% a una settimana, di un + 50,06% a un mese e di un + 75,13% a tre mesi.
Tutto questo all’indomani della dolorosa eliminazione dalla Coppa dei Campioni ad opera dell’Arsenal che non ha evidentemente intaccato la fiducia della Chevreux, la quale dal canto suo ha sentenziato che la società bianconera “non è considerata una rischiosa squadra di calcio, ma una media factory” nella quale gli incassi delle partite incidono soltanto per il 10% sulle entrate, mentre l’80% deriva dai diritti d’immagine.
Non mi intendo molto di analisi borsistiche, ma per quanto possa capire io, l’Agenzia francese vuole dire che – al di là del gioco del pallone che dovrebbe essere lo scopo principale della Juventus – la stessa è diventata una formidabile macchina per fare soldi, grazie ai contratti stipulati con Mediaste per il digitale terrestre e con Sky per il satellitare; in aggiunta a ciò, abbiamo la fila delle aziende – tutte ad altissimo livello – che fanno a gara per assicurarsi un pezzettino della tuta o di altri indumenti dei giocatori bianconeri.
Da notare che stiamo parlando di una azienda che ha chiuso il bilancio 2005 con una perdita di 3 milioni di euro ma che prevede di passare, nell’esercizio 2005/2006 ad un avanzo di quasi 6 milioni di euro.
Quindi, se ho capito bene, per le società calcistiche quotate in borsa – attualmente sono la Juventus, la Roma e la Lazio – le vittorie o le sconfitte sul piano sportivo non sono determinanti per la formazione del valore del titolo; altri sono i parametri che vengono presi in considerazione per raggiungere la quotazione e questi sono tutti “dentro” la società e il suo appeal nei confronti dei potenziali sponsor.
Eppure stiamo parlando di una squadra che – a onta delle tante vittorie – non riesce a racimolare più di trenta mila spettatori per le partite casalinghe, tant’è vero che tempo addietro il settore marketing studiò anche l’opportunità di giocare alcune partite in campi diversi dal proprio, proprio perché la squadra ha forse più tifosi in altre città che a Torino.
Comunque, beata la Juventus e basta! Torniamo però all’aggiotaggio e riflettiamoci un po’ sopra: se la notizia della Chevreux è stata resa pubblica e ha provocato questo mostruoso aumento di valore delle azioni, possiamo ipotizzare qualcosa oppure no? Sicuramente no! Però nessuno mi toglie dalla testa il povero Ricucci che deve dormire in una cella umida e fredda mentre a casa ha lasciato il comodo talamo nuziale abitato da una sventola come la Falchi! Sarà arrabbiato? Io dico di sì!!

venerdì, aprile 28, 2006

LA MADRE DI TUTTI GLI ERRORI GIUDIZIARI 

E’ quanto è accaduto ad un signore di Taranto, tale Domenico Morrone, che messo in carcere con l’accusa di duplice omicidio, viene condannato a 21 anni di reclusione (siamo nel 1991) e ne ha scontati 15 prima di essere scarcerato con tante scuse e con la promessa di un risarcimento milionario (in euro).
Come è andata la vicenda processuale? Semplice, il nostro Domenico, di professione pescatore, venne arrestato subito dopo che uno sconosciuto scaricò tutti i colpi di una calibro 22 sui fratelli Sebastio, appena uscito da scuola.
Rintracciato nella propria abitazione, gli viene imputato il duplice omicidio sull’indicazione di alcuni testimoni e nonostante la madre spergiurasse che il figlio era a casa di una vicina a ripararle l’acquario: l’alibi veniva confermato dalla signora, ma nessuno gli dava importanza, anzi, sia la madre che la vicina venivano condannati per falsa testimonianza.
Il “mostro” aveva il movente – una discussione in strada con i due fratelli Sebastio – e alcune testimonianze si accanivano contro di lui: condannato, come detto, a 21 anni di carcere, ne ha scontati più di due terzi (15) e godeva quindi della semilibertà, potendo uscire di giorno per andare a lavorare.
Domenico aveva tentato varie volte di ottenere la revisione del processo, ma non c’era mai stato niente da fare; anche i suoi testimoni (la madre e la vicina) vedevano la loro condanna diventare definitiva.
Finché la parola di due “pentiti” è stata creduta e a fine ottobre 2004 sono iniziate le indagini processuali che in poche battute hanno fatto luce sulla verità: i due Sebastio erano stati uccisi dal fratello di una signora che era stata da loro scippata e per tale sgarro l’uomo si era vendicato sui due giovani.
Sono bastate poche udienze per riscrivere la storia del processo e per assolvere il Morrone e decretarne la scarcerazione.
Questo è quanto si apprende dalla stampa, questo è quanto ha raccontato anche il diretto interessato, il quale ha affermato che nessuna cifra lo potrà ricompensare dei 15 anni trascorsi in galera.
E adesso passiamo alla parte della magistratura che a suo tempo curò le indagini e successivamente il processo a carico del Morrone: ovviamente non ci sono state dichiarazione di nessun genere, ma non si sono appresi neppure i nomi di coloro che nel lontano 1991 fecero le indagini e istruirono il processo.
Naturalmente non era compito loro auto-pubblicizzare un simile errore giudiziario, ma ritengo che i giornalisti della Puglia, ma anche del resto d’Italia, avrebbero dovuto farsi parte diligente e, così come sono andati a rintracciare le linee portanti del duplice omicidio, avrebbero dovuto indicare i nomi e i cognomi dei magistrati che si occuparono del caso.
Non per fare niente di particolare – tanto non esiste la responsabilità civile del magistrato e quindi i soldi al Morrone li darà lo Stato, cioè noi tutti – ma per sapere almeno chi ringraziare per questa bella operetta.
Invece, nessuno lo ha fatto, nessuno si è preso la briga di andare a scartabellare i polverosi fascicoli giudiziari di 15 anni fa, ma forse sarebbe stato anche deontologicamente un fatto dovuto per coloro che si riempiono la bocca continuamente con parole tipo libertà d’informazione, indispensabilità di una libera stampa e tante altre balle del genere; o no?

giovedì, aprile 27, 2006

ANCORA MORTI A NASSIRYA 

Proprio ieri riportavo il grido – ormai diventato slogan – di alcuni imbecilli presenti al corteo romano della Festa della Liberazione che “chiedevano” 10,100, 1000 Nassirya,. I bravi terroristi iracheni hanno subito accontentato i nostri stupidi compatrioti mettendo in campo un attentato che, per precisione e materiale usato, è uno dei più riusciti di questi ultimi tempi.
Cosa è successo lo saprete ormai tutti da varie fonti giornalistiche che ne parlano quasi in continuazione, per cui ricapitolo sommariamente: un convoglio di militari italiani e rumeni composto da cinque autovetture percorreva – come ogni mattina – una strada alla periferia di Nassirya, quando un ordigno, sembra una granata perforante collocata al centro della carreggiata, è stato fatto esplodere e ha preso in pieno la terza auto del convoglio: il tipo di esplosivo e il luogo dove è avvenuto l’esplosione (sotto l’auto) ha provocato una specie di reazione a catena che ha dato luogo ad un incendio che ha investito i cinque occupanti, uccidendone quattro (tre italiani e un rumeno) e ferindo gravemente un quarto carabiniere italiano.
A me, se mi scusate l’inciso, ha ricordato l’attentato a Falcone sulla strada di Capaci, ma evidentemente non c’entra niente, è solo una somiglianza.
La domanda che si fanno invece i vari commentatori è quella che si riferisce agli autori dell’attentato, dato che ancora non ci sono rivendicazioni, ma solo “dissociazioni” (da parte di Al Sadr); ho sentito alcuni dibattiti e per il momento siamo alla situazione che se i partecipanti sono quattro avanzano quattro ipotesi diverse sull’accaduto.
Questo a testimonianza che, prima di tutto l’attentato è abbastanza anomalo, proprio per effetto del materiale usato (particolarmente sofisticato) e poi perché – diciamocelo chiaro e tondo – più continua la presenza occidentale in Iraq e meno si riesce a capire qualcosa di quel disgraziato Paese.
Proviamo a ricapitolare: siamo andati lì per una ragione molto precisa: trovare le armi di distruzioni di massa che non abbiamo trovato; allora abbiamo optato per un secondo scopo: dopo avere catturato Saddam, impegnarci per “portare la democrazia”, o meglio quello che noi conosciamo con questo nome; e qui sono cominciati i problemi, perché soltanto il termine “democrazia” sembra fare venire l’orticaria agli arabi che sono abituati a vivere in un modo diverso dal nostro (non migliore o peggiore, “diverso).
Ed allora si sono avuti tutti i nostri abituali riti della democrazia (votazioni, elezioni, parlamento, ecc.) che hanno scatenato bombe e uccisioni tra i civili in modo esponenziale mano a mano che ci si avvicinava alla formazione del nuovo governo; siamo già al secondo (il primo si è già dissolto), ma quello che poteva sembrare un modo per pacificare il Paese, si sta dimostrando un ulteriore focolaio che provoca altri lutti: pensate che al Vice Presidente di questo governo é già stato ucciso il fratello e, in questi giorni, gli hanno ucciso anche la sorella.
A mio modo di vedere la situazione sta sempre più diventando problematica e non si vede all’orizzonte una qualche soluzione all’annoso problema della spartizione del potere tra sciiti e sunniti, con l’aggiunta dei curdi per il nord del Paese; c’éra riuscito il vecchio Saddam con la maniera forte, ma gli occidentali non ci riescono sicuramente.
E allora? Allora bisogna cercare di andarsene prima possibile, salvando la faccia (fine anno, come prospettato dal governo Berlusconi mi sembra una buona soluzione), cercando di rimetterci il meno possibile e di farsi pochi nemici, dato che ogni arabo che incontri può essere implicato nel mondo del petrolio e farci il consueto ricatto energetico, come sta minacciando di fare l’iraniano Ahmadinejad; e la prossima volta – se ci dovesse essere – mettiamoci con gente più furba degli americani!

mercoledì, aprile 26, 2006

LA FESTA DELLA LIBERAZIONE 

Un vecchio slogan dice “beati quei Paesi che non hanno bisogno d’eroi” e noi invece, abbiamo eletto a eroi non solo delle persone, ma addirittura dei periodi storici (Risorgimento prima e Liberazione dal giogo nazi-fascista poi); in entrambi i casi la partecipazione italiana all’evento è stata di modesto profilo mentre il grosso dell’impegno è stato assunto da eserciti stranieri: i francesi nel primo caso e gli anglo americani nel secondo.
E noi, mentendo alla storia, abbiamo “inventato” una nostra partecipazione predominante che, nel secondo degli eventi, prende il nome di “resistenza” per mezzo dei “partigiani”; e ce ne freghiamo degli storici che – specie in questi ultimi anni – sconfessano l’importanza della resistenza e, di questa, rilevano soprattutto il carattere settario e discriminante: i “rossi” – che avevano tra le proprie fila dei commissari politici inviati da Mosca - non volevano dividere la gloria con i “bianchi” e in qualche caso sono passati anche alle vie di fatto con morti e feriti; uno degli ultimi libri sull’argomento è stato scritto da un “comunista” – Giampaolo Pansa – il quale ripete, con dati di fatto oggettivi e storici, quanto sopra affermato e cioè che la partecipazione della resistenza alla liberazione dell’Italia è stata modesta e che, di contro, per i numerosi ammazzamenti tra partigiani di diverso colore si è occupata – in sordina – la giustizia italiana del dopoguerra.
Ma lasciamo stare questi fatti storici che, ognuno può verificare attraverso libri seri e passiamo invece a parlare della Festa di ieri: ha cominciato Ciampi affermando che l’evento doveva essere utilizzato per spazzare via tutte le scorie negative della campagna elettorale e che doveva servire a rilanciare il dialogo e l’unità di intenti delle due coalizioni; gli ha fatto eco il Presidente della Camera, Casini.
E meno male che tutti si riempiono la bocca di complimenti quando devono pronunciare il nome di Ciampi, salvo poi fare come diavolo vogliono: a Milano – dove era presente anche tutto il prossimo governo, Prodi e Bertinotti in testa – un gruppo di persone, a mo’ di squadracce fasciste di cui evidentemente qualcuno sente la nostalgia, ha riempito di insulti la Moratti, prossima candidata alla poltrona di Sindaco, presente al corteo in qualità di accompagnatrice del padre, 86 anni, in carrozzina, sopravvissuto dal campo di sterminio di Dachau, insignito di medaglia d’argento della resistenza: è stata insultata pesantemente lei e il padre con epiteti del tipo “fascista”, “bastarda” (e anche peggio!!) e costretta a uscire dal corteo; analogo trattamento per un’altra donna, Tiziana Maiolo, consigliera comunale, anch’essa insultata pesantemente e costretta ad andarsene; gli autori del “nobile gesto” non sono giovanissimi o ragazzetti scimuniti, ma donne e uomini adulti, con voci piene di odio che fanno paura.
Dal palco delle autorità sia Prodi che Bertinotti hanno stigmatizzato l’accaduto (e volevo vedere il contrario) ma a nessuno di loro è venuto in mente di andare a casa della Moratti e della Maiolo con un mazzo di fiori e scusarsi per avere “questi seguaci”; i quali, peraltro, se la sono presa anche con le “brigate ebraiche” (che parteciparono attivamente alla resistenza), rappresentate da alcuni ebrei, ai quali sono state strappate e date alle fiamme le bandiere di Israele: anche in questo caso si stigmatizza e…basta.
Al corteo romano, un gruppo di imbecilli (“autonomi”, ma da cosa?) hanno ribadito lo slogan “10,100,1000 Nassirya”: anche qui solito film.
Arrendiamoci, perché non c’è nessuna volontà di unire le forze per fare qualcosa di utile per il bene dell’Italia; caso mai se ne potrà riparlare quando e se ci sarà bisogno di qualche voto, altrimenti…ciccia!

martedì, aprile 25, 2006

RIECCO IL VECCHIO OSAMA 

Avevamo la nostalgia delle imprese del barbuto Osama e lui, obbediente ai nostri desideri, si è subito rimesso in azione ed ha colpito nuovamente l’Egitto, precisamente una meta di vacanze sul Mar Rosso, Dahab, dove ha fatto esplodere tre bombe delle quali due – almeno così di dice – sarebbero state innescate da kamikaze e una con un comando a distanza: bilancio 19 morti e un centinaio di feriti, tra i quali tre italiani, colpiti in modo leggero da ustioni agli arti inferiori e superiori.
Questo è quanto ci viene raccontato dalle varie “intelligence”, perché da parte di Al Qaeda non ci sono rivendicazioni in proposito; allora, prima di lanciarsi nell’esame più approfondito di quest’ultima tragedia, vorrei fare una battuta e riportarmi indietro negli anni: ricordate quando ogni evento delittuoso veniva imputato alla P2 di Gelli oppure alla mafia? Venne fuori – dopo tanti anni – che era un modo come un altro per dire che non sapevano assolutamente niente di quanto accaduto e quindi si riferivano a strutture così “misteriose” da autorizzarne qualunque intervento.
Andiamo avanti e facciamo finta che dietro alle tre bombe di Dahab ci sia effettivamente Osama Bin Laden; come prima cosa c’è una domanda che si impone subito: come mai i terroristi continuano a colpire l’Egitto (è già la quarta volta in meno di due anni) oppure il Kuvait o l’Arabia Saudita invece di andare a sfidare il nemico n.1, cioè l’America?
Non credo che gli Stati Uniti, dopo il famoso 11 settembre si siano dotati di tali mezzi antiterrorismo da rendere impossibile qualunque attentato; parlerei invece di una strategia, ben precisa, e della quale ho già avuto modo di parlare – diverso tempo fa su questo blog – e che fa specifico riferimento all’obiettivo finale di Al Qaeda.
Osama si pone di fronte agli Arabi come il “ricostruttore” dell’antico califfato su tutte le terre islamiche (e quindi anche la Turchia, oltre al Medio Oriente, all’Africa, all’Indonesia e alla Malesia) ; dopo questa impresa l’obiettivo è partire all’attacco del resto del mondo non islamizzato (cristiano ed ebraico) per conquistarlo e sottometterlo alla parola di Maometto.
Ecco perché i principali attacchi vanno a cadere su quei paesi che stanno cercando di uscire dalla secca dell’islamismo più esasperato e avvicinarsi all’occidente; e quale miglior modo di approccio con l’occidente se non il turismo – più o meno di massa, più o meno giovanile – quell’attività cioè che, oltre a tutto, rende bei soldi “pregiati” e attira frange di popolazioni europee e nordamericane.
Tutta questa attività è vista come il fumo agli occhi da parte dei fondamentalisti, tutto questo rappresenta effettivamente il nemico n.1 per i piani di ricostituzione del califfato tanto cari a Bin Laden ed al suo vice – ma vero ideologo – Al Zawahiri (il destista egiziano che appare in quasi tutte le foto di Osama).
Gli attacchi più o meno sporadici contro il “nemico occidentale” (U.S.A., Gran Bretagna, Spagna, ecc) sono – oltre che dimostrazioni di forza – delle bacchettate sulle mani degli occidentali, rei di avere imbastardito il popolo arabo rendendolo anche schiavo di alcune abitudini prettamente moderniste, come le auto di lusso, gli aerei, i liquori, ecc.; non ci dimentichiamo che le uniche immagini che abbiamo di Osama e del suo vice, ci mostrano due “poveracci” vestiti sempre allo stesso modo, con in mano un fucilino e con alle spalle delle grotte o delle montagne: direi tutto il contrario di come ci appaiono Mubarak (Presidente egiziano) o i vari componenti della famiglia reale saudita (della quale, peraltro, anche Osama fa parte, sia pure in un ramo cadetto).
Ed anche l’invito del nostro Ministero degli Esteri di “non frequentare spiagge nel Sinai” è una prova che Osama ha visto bene!

lunedì, aprile 24, 2006

"GIUSTIZIA", MA DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA 

Se vi siete stufati di leggermi sempre, o quasi, su faccende della nostra giustizia, vi prometto che questa sarà una delle ultime volte; vi spiego subito che cosa mi è successo circa l’argomento in questione.
“Tutti abbiamo diritto ad una seconda possibilità”; questo mi è stato detto oggi e chi ha pronunciato questa frase è una persona a me cara (mio figlio) che mi ha rimproverato per l’assolutismo “talebano” che ho mostrato in alcune occasioni: “sbattere il colpevole in galera e gettare la chiave”, ricorderete che questa è una frase che uso con una certa frequenza, ma oggi debbo ammettere che dobbiamo almeno spiegarci meglio.
Ogni delitto compiuto nei confronti di un membro della comunità, oltre al danno verso la vittima, provoca una ferita nei confronti dell’intera società alla quale la vittima appartiene; la condanna del colpevole non serve alla vittima, in quanto non la risarcisce delle sofferenze, se non attraverso un procedimento civile; chi invece riceve un risarcimento, ovviamente morale, dalla pena inflitta al reo è l’intera comunità che vede così “lenita”, almeno in parte, la ferita arrecatale dal delitto.
Fin qui credo che sia tutto chiaro: la pena serve prioritariamente alla società intera; ma andiamo avanti: la comunità ha anche altre esigenze che incombono, una delle quali è la ricerca del recupero della maggior parte degli individui che sono stati espulsi – per il momento – e si trovano a soggiornare nelle patrie galere.
Ed ecco che a questo punto scatta quella sorta di slogan usato da mio figlio (“tutti abbiamo diritto ad una seconda possibilità”); badate bene che questa formula va incontro anche alle esigenze dell’intera società, purché questa “seconda possibilità” venga concessa al reo dopo un accurato controllo della modifica psicologica che deve essere intervenuta durante il soggiorno, lungo o breve che sia, in prigione: quindi in pratica voglio dire che la prigione diventa un luogo ed un periodo di tempo nel quale il condannato può riconoscere i propri errori ed acquisire una nuova consapevolezza di quello che è l’effettiva libertà.
Ed a proposito del concetto di libertà, scusandomi per l’inciso, voglio riportarvi la definizione che ne dà Montesquieu: “essere liberi di fare le cose che devono essere fatte”; chiuso l’inciso e continuiamo col nostro colpevole che viene liberato.
Ma quando viene rimesso in libertà? Ovviamente quando coloro che ne sono preposti valutano il cambiamento positivo dell’individuo come una cosa che abbia un fondamento effettivo; in concreto, quando colui che rientra nella società non ha più nessuna voglia di “delinquere”: ma come si può fare a realizzare questa cosa?
Citando alcuni casi clamorosi di detenuti rimessi in libertà e che hanno di nuovo provocato una grave ferita alla società (Alessi, Izzo, ecc.) dobbiamo chiederci se questi tentativi di recupero sociale hanno valore in presenza di questi fallimenti, ai quali però se ne contrappongono tanti altri - molti di più - nei quali il detenuto non è tornato a delinquere e quindi è ridiventato un elemento “utile” alla società.
Quale è la percentuale dei “fallimenti”? Vale la pena continuare in questo tipo di politica giudiziaria sia pure in presenza di fallimenti così eclatanti (i media segnalano solo questi!)?
La domanda è difficile e delicata e richiederebbe un'altra pagina di scrittura (ma voi mi fucilereste): il bivio è sul valore che diamo al recupero, qualunque sia il prezzo che dobbiamo pagare; non voglio nascondermi dietro un dito e rispondo che un tentativo la società lo deve comunque fare, pur con tutte le cautele del caso, e gli eventuali fallimenti sono comunque una contropartita da pagare per una maggiore civiltà sociale e giuridica; quindi – contrariamente a quanto ho affermato sinora – non possiamo “gettare la chiave” della porta della cella in cui c’è un nostro simile e fregarcene delle conseguenze.
Aspetto di conoscere le vostre idee in proposito!

domenica, aprile 23, 2006

C'E' CHI E' PEGGIO DI ME 

Voi mi conoscete, non sono mai stato tenero con la magistratura, anzi…; in questi giorni però mi è capitato di leggere cose ben peggiori e da persone ben più autorevoli di me.
Andiamo con ordine e passiamo ai fatti: a Bologna sono avvenuti diversi episodi di “disubbidienza”, l’ultimo dei quali è stata un’autoriduzione del prezzo della mensa universitaria; una goliardata, direte voi, una cosa da ragazzi, ma così non l’ha pensata il sostituto procuratore Giovagnoli, il quale ha indagato una serie di giovani “disubbidienti” contestando loro l’aggravante dell’eversione dell’ordine democratico.
Il movimento cui gli inquisiti fanno riferimento ha aperto una sorte di guerra contro il magistrato, affiggendo anche vari manifesti in luoghi simbolo della città; fin qui niente di particolarmente interessante, ma sentite il seguito.
In consiglio comunale viene presentato un ordine del giorno che contiene un “documento di solidarietà ai manifestanti pacifisti” indagati dalla Procura della Repubblica; il presentatore del documento è Valerio Monteventi, leader dei “movimentasti” bolognesi nonché consigliere comunale (della maggioranza) per conto del Partito della Rifondazione Comunista (quello di Bertinotti, tanto per intenderci); l’ordine del giorno non passa perché l’asse DS-Margherita, con l’aiuto interessato del centro-destra gli vota contro.
Dopo la bocciatura del documento, ecco la dichiarazione del consigliere presentatore: “A Giovagnoli dobbiamo dire fermati o altrimenti lo dobbiamo fermare politicamente. Serve uno strumento per la riduzione del danno”. In concreto il nostro consigliere comunale auspica un intervento politico che possa fermare le azioni “sconsiderate” del magistrato.
Lo stesso segretario regionale del partito ha chiesto all’Unione una sorta di intervento “contro l’uso politico della magistratura messo in atto dal P.M. Giovagnoli” ed a questa tesi si è allineato anche il neo deputato Francesco Caruso, leader dei “no-global”, affermando che “certi giudici abusano del loro potere”; pensate che il prossimo Ministro della Giustizia potrebbe essere un collega di partito del Monteventi e di Caruso, come fu Diliberto ai tempi del caso Ocalan, e tirate le conclusioni.
Ma al di là delle polemiche di carattere politico, che non mi appassionano più di tanto, cerchiamo invece di fare qualche considerazione sull’evento in sé: un magistrato può essere criticato per le sue azioni, oppure le critiche possono provenire soltanto dall’interno della sua stessa categoria?
Mi spiego: qui siamo in sede di indagine, quindi ben lontani dal processo e ancora di più dalla successiva sentenza; una associazione, oppure un partito politico, ha facoltà di far sentire la sua voce in questa fase del procedimento?
Io ritengo che siano legittimati a farlo – sia pure con termini e forme adeguate – poiché in Italia, per effetto delle pressioni altalenanti dei media, la fase delle indagini preliminari è quella dalla quale il cittadino medio prende la sua posizione colpevolista o meno; nessuno riesce a seguire tutte le fasi convulse di un procedimento, ma viene a conoscere soltanto quello che i media gli propinano come “importante”; è ovvio quindi che l’intervento in questa prima fase operativa diventa legittimato; chiediamoci però che speranze ci sono perché il magistrato (o i suoi superiori) possa prendere atto delle proteste di “qualcuno” e sulla base di queste si possa modificare la sua azione; dirò subito: nessunissima speranza, poiché la casta dei magistrati è assolutamente intangibile da noi gente comune e completamente impermeabile a qualsiasi critica.
E allora? Allora niente, contentiamoci di abbaiare alla luna, come il coyote!!.

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