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sabato, gennaio 14, 2006

REVERENDO, QUOQUE TU ! 

Ricordate? Circa un mesetto fa ho affrontato il problema della violenza sulle donne e mi ci sono arrabbiato anche moltissimo. L’evento che ho appreso in questi giorni mi fa ribollire il sangue e mi ritorna l’arrabbiatura, perché in questo caso la violenza è di più tipi: fisica, morale, psicologica.. Sentite un po’ anche voi!

L’inizio della storia risale al 2004, quando una ragazzina di 14 anni, di origine marocchina, che chiameremo per comodità Sara, sbarca in Italia con uno dei soliti gommoni della speranza e si ritrova a Verbania e dopo poche settimane si sposta a Modena, chiamata da una connazionale che la induce a prostituirsi.

Sul finire del 2004, Sara si trasferisce in un paese in provincia di Macerata dove vive una sorella trentenne; Sara vorrebbe smettere di guadagnarsi la vita vendendo il proprio corpo, ma le persone che le capita di incontrare hanno tutti pochissimi scrupoli ed una sola idea fissa in testa: fare sesso con lei e, possibilmente guadagnarci pure.

Il primo é un anziano del luogo che, dopo essere entrato in intimità con lei, le suggerisce di pubblicare un annuncio su una rivista, nel quale Sara scrive di essere pronta a svolgere qualsiasi lavoro; il primo che le risponde è un ex vigile urbano di Fabriano che per la ragazza ha in mente una occupazione precisa: la seduce (e non deve essere stata un’impresa da Casanova) e la fotografa in atteggiamenti più che spinti.

Sara, disillusa anche da questo incontro, riprende a prostituirsi e – data la sua bellezza – si procura un sacco di clienti, tra i quali possiamo annoverare anche il parroco del paese,che dopo averla avvicinata con la scusa di cercare di aiutarla, ne approfitta anche lui e più volte.

Le “personalità” del paese, i VIP come si chiamano adesso, sfilano tutti (con le mutande abbassate) davanti alla giovane marocchina che ha appena compiuto 15 anni: dal proprietario del ristorante ad alcuni appartenenti alle Forze dell’Ordine, quindi impiegati, professionisti , tutti ovviamente cercando di tenere rigorosamente nascosti gli incontri.

Durante uno di questi, Sara resta incinta e si rivolge alla sorella che la conduce da un ginecologo il quale le procura un aborto farmacologico; superato questa sorta di “incidente sul lavoro”, la ragazza riprende la propria attività: ingenua, immatura, forse anche un po’ ritardata, non fissa dei prezzi, ma chiede delle cifre – comunque basse – che variano a seconda della simpatia del cliente; a volte per ringraziare qualcuno di un favore prestatole, si concede gratuitamente.

Un paio di operai di un paese vicino fiutano l’affare e, dopo averne abusato ripetutamente, la sfruttano incassando i guadagni della ragazza: è qui che viene scoperto tutto il sudiciume, sono gli strani movimenti di alcune persone che mettono in allarme i Carabinieri che, dopo brevi indagini, scoprono l’intera verità.

Sara viene interrogata dal maresciallo dei carabinieri e rivela una serie di fatti che il graduato stenta a credere; saranno le perquisizioni a casa del parroco oppure in quella dell’ex vigile che confermeranno il racconto di Sara.

Conclusione: una ventina di persone sono accusate di avere avuto rapporti con una minorenne, fra questi anche il parroco in casa del quale sono state trovate varie pillole di Viagra e alcuni profilattici: il reverendo è stato rimosso dalla Curia, mentre tutti gli altri personaggi VIP sono accusati “a piede libero”, il che mi induce a ritenere che, a parte qualche schiaffone delle mogli, non subiranno molti fastidi.

Non so niente circa l’attuale destinazione di Sara, penso però che sia stata affidata ad un Istituto Religioso; e dopo cosa ne facciamo di questa “macchinetta per fare sesso”? La rimandiamo in patria, dove verrebbe probabilmente condannata a morte oppure ce la teniamo per finire di sfruttarla finché non le sfiorisce la bellezza e poi la gettiamo in un cassonetto dell’immondizia?


venerdì, gennaio 13, 2006

W I CONDONI !! 

Dopo l’apparizione su tutti i giornali dello scandaloso “condono” del quale ha usufruito il nostro beneamato premier che aveva anche controfirmato la relativa legge, alcuni giornali – pochissimi per la verità – si sono dati daffare e hanno spulciato le richieste di condono presentate in questi ultimi anni; ne sono venute fuori delle belle! Peccato che nessuno ne sappia niente perché i grandi quotidiani e la grande TV non ne hanno parlato. Io comunque, che me ne frego di Berlusconi e dei suoi avversari, mi faccio carico di riportarvi alcune di queste gustose notizie.

Come si dice, mi pare “prima le donne e i bambini”; allora diamo la precedenza alla signora Flavia Prodi, moglie del presumibile prossimo premier, che non ha perso l’occasione di attaccare il povero Cavaliere sul fatto del condono: ebbene, la signora Flavia ha usufruito nello scorso novembre di una sanatoria fiscale per la sua società immobiliare “Aquitania s.r.l.” per ottomila euro e passa.

Passiamo poi ai D.S. che hanno presentato addirittura una interrogazione parlamentare sul fatto di Berlusconi: la società “Beta” che gestisce gli immobili del partito e la finanziaria “Se.Var.”, braccio organizzativo della quercia per eventi, feste, ecc, hanno entrambe presentato la richiesta di condono; forse chi ha fatto l’interrogazione non lo sapeva? Può essere, ma ci credo poco.

Anche “L’Unità”, organo ufficiale dei D.S., ha sentito il bisogno di aderire al condono fiscale, addirittura procrastinando l’approvazione del bilancio della “N.I.E. – Nuova Iniziativa Editoriale” società che gestisce il quotidiano.

Passiamo al sindacato: tutti conoscono le invettive di Epifani della CGIL sul condono fiscale; ebbene, forse non sapeva che due suoi Caf-CGIL, quello del Lazio e quello della Basilicata hanno aderito anch’essi al condono fiscale.

C’è poi una cosa curiosa che merita di essere ricordata: Dario Fo, premio Nobel per la letteratura, ha denunciato la “disinformazione della TV sui condoni fiscali”; mentre siamo d’accordo con lui nell’attaccare la televisione, siamo però costretti a indicargli chi può fornirgli tutte le indicazioni del caso su queste operazioni: suo figlio Jacopo che, per il suo Agriturismo in Umbria, ha fatto come tutti, ha aderito a vari condoni.

Per concludere, ci sarebbe una perla: immaginate Beppe Grillo, il novello Torquemada, il moralista e fustigatore dei costumi per antonomasia. Ebbene anche lui ha usufruito del condono e ben due volte (si vede che ci ha provato gusto!) per la sua (al 99% delle quote) società Immobiliare “Gestimar s.r.l.” proprietaria di diverse costruzioni tra la Liguria e la Sardegna; il focoso Grillo si è trovato talmente bene con questi condoni che si è avvalso del cosiddetto “tombale” per gli anni 2002 e 2003 per una cifra anche importante.

Alcune piccole e modeste considerazioni: non voglio dire che i signori e le strutture sopra indicate abbiano fatto male a usufruire di una normativa che non approvano, magari però avrebbero fatto meglio a dirlo subito, contemporaneamente all’attacco al Berlusca, sennò potrebbe scoppiare lo scandalo “opposto”.

Lo scandalo però non scoppia, perché mentre per il condono di Berlusconi ne hanno parlato tutti i quotidiani (anche i suoi) e tutte le televisioni (anche le sue), di queste richieste di sanatorie non ne ha parlato quasi nessuno: perché??

Eppure il mestiere del giornalista dovrebbe essere quello di frugare in ogni angolo e riferire su ogni cumulo di sporcizia rinvenuta, di qualsiasi colore essa sia.


giovedì, gennaio 12, 2006

COSA C'E' ATTORNO AL CASO COOP? 

La gente comune, quelli come me e come voi, non ha capito molto dello scandalo UNIPOL e si ricorda del fatto soltanto quando si reca alla COOP a fare la spesa, mettendo in relazione i due colossi, assicurativo e bancario il primo, della distribuzione il secondo.

Per il resto rimane l’indignazione per le cifre “mostruose” percepite dai dirigenti cooperativistici e rimane le implicazioni dei maggiorenti diessini D’Alema e Fassino, i cui allacci con la storia si apprendono da intercettazioni telefoniche quanto meno dubbie sulla loro regolarità.

Quello invece che mi ha colpito profondamente è l’atmosfera che circonda tutta la vicenda, specie quando viene a galla cose che già conoscevo, ma che avevo tentato di dimenticare: l’accaparramento del potere a fini personalissimi.

Lo spunto me l’ha dato un articolo su una mega villa con tanto di allevamento di cavalli e struttura per addestramento degli stessi al controllo dei bovini, di proprietà del numero due di Unipol, quel Sacchetti indagato insieme a Consorte addirittura per associazione a delinquere; la struttura è in un posto che non ricordo – comunque in Emilia Romagna – e il sindaco del luogo, ovviamente diessino, si è subito affrettato a precisare che tutto è stato fatto in perfetta regola e che il progetto sul quale è stata realizzata la villa porta la firma del figlio di Sacchetti, architetto (come se fosse sinonimo di autorità).

Ed ecco che – a prescindere dal fatto singolo – mi viene in mente quanto già affermato altre volte e cioè che in questo nostro paese, quando si raggiunge una posizione di potere, non si pensa assolutamente al “servizio” che siamo chiamati a svolgere per il bene comune, ma viceversa al bene dei figli, delle mogli, comprese le ex, dei nipoti, delle amanti e, infine ma non ultimi per importanza, dei “nani e delle ballerine” di craxiana memoria.

Questo significa appropriazione di potere, questo significa che se non sei nella manica di chi comanda non puoi fare niente in quel luogo, questo significa che il presupposto della totale acquisizione del potere ha due facce: la prima è quella dello sfacciato nepotismo imperante e la seconda è quella del “ricambiare i favori fatti” e anche di “procurarsi dei crediti in persone alle quali chiedere favori in seguito”.

Il primo partito ad operare in questo senso è stata la DC del dopoguerra, che con i suoi “cavalli di razza” cercò di entrare nei gangli vitali di tutto il paese; contemporaneamente l’allora P.C.I. fu sulle orme degli avversari e anch’esso operò una totale acquisizione del potere negli enti locali delle zone in cui aveva raggiunto la maggioranza politica.

Purtroppo per noi le frasi fatte tipo “Veneto bianco” ed “Emilia rossa” hanno retto e continuano a reggere anche adesso e, di questa situazione di potere ricorrente ne subiamo le conseguenze: in pratica, in assenza di una effettiva “alternanza” politica, le società occupate da quei poteri non hanno potuto essere investite dallo “spoil system” di marca anglosassone, in virtù del quale i partiti che si alternano alla guida o locale o nazionale, estromettono dal potere tutti coloro che sono stati messi dai predecessori e li sostituiscono con i propri, in attesa della prossima volta dove potrebbe avvenire il contrario.

In pratica, con questo sistema – perfetto solo in teoria, ma poi nella pratica anch’esso soggetto a critiche – non ci sarebbe il tempo perché una certa forma di potere clientelare potesse allignare per un tempo occorrente per fare danni irreversibili come purtroppo sono stati fatti e si continuano a fare da noi.

Soluzioni? Difficile indicarle in una società sempre più dominata dai mass-media e quindi guidata da giornali e TV; ma ne riparleremo e cercheremo di inventarci qualcosa.


mercoledì, gennaio 11, 2006

C'era bisogno del video choc? 

Ne avevamo bisogno? Ce lo aveva ordinato il medico? Ci ha fatto bene a qualcosa? Chi ha voluto mettere in onda il video?

Tutte queste domande, e tante altre ne avrei, si riferiscono alla trasmissione – quasi a reti unificate – del video ripreso dai “terroristi” che rapirono i quattro italiani e ne uccisero barbaramente uno di loro, Fabrizio Quattrocchi, senza riuscire a fargli chiedere perdono o pietà.

Il filmato, fatto pervenire a suo tempo all’emittente araba Al Jaziza, non fu da questa messo in onda perché ritenuto troppo crudo; lo stesso video venne acquisito dalla Procura della Repubblica di Roma che ha aperto un fascicolo “contro ignoti” per l’assassinio del giovane italiano; adesso la stessa Procura, per qualche ragione che a me sfugge, ha deciso di mettere il filmato a disposizione delle televisioni che lo desiderano

Queste ultime si sono precipitate e, ottenuto, il video lo hanno messo in onda nel TG di maggiore ascolto, non trasmettendo, peraltro, alcune sequenze veramente troppo crude; la caccia all’audience è stata più forte di ogni altra considerazione, ma ha avuto un limite!

Qualcuno ricorderà che due anni fa – all’indomani del 13 aprile, data dell’evento – sorse una piccola polemica perché la frase che veniva attribuita a Quattrocchi era: “ora vedrete come muore un italiano”, oppure come dicevano altri: “ora vedrete come muore un camerata”, facendo così riferimento ad una supposta appartenenza alla destra italiana.

Il filmato, sulla cui inutilità non spenderò altre parole, fa giustizia almeno su questo particolare: Quattrocchi è in ginocchio ma con la schiena ben dritta, gli hanno fasciato la testa con una kefiah e davanti a lui ci sono due o forse tre “terroristi” che lo stanno per uccidere; rivolto a “qualcuno” che evidentemente capiva l’italiano, chiede di essere liberato dalla kefiah, di poter vedere in faccia i suoi uccisori e che anche loro lo guardino in faccia; questo “qualcuno” traduce la domanda in dialetto magrebino, ma gli viene risposto con un secco “NO”; Quattrocchi insiste dicendo la frase che poi diventerà celebre e che è: “ora vi faccio vedere come muore un italiano”, ribadendo la richiesta di togliersi quella sorta di benda con un educatissimo “posso?”. Non può, non gliel’hanno permesso ed anzi, dopo pochi attimi gli sparano un primo colpo alla fronte, un po’ sopra all’occhio sinistro ed un secondo, sparato quando il corpo è ormai a terra, lo colpisce alla schiena.

Quello che avviene dopo i TG non lo hanno trasmesso, ma voglio raccontarvelo – almeno sommariamente – perché testimonia della ferocia di questi barbari: il corpo viene girato, gli si toglie la kefiah, uno dei carnefici lo afferra e lo trascina verso una fossa scavata lì vicino; il pertugio scavato è piccolo, poco profondo e allora devono cacciarlo dentro a forza, pigiandolo come si potrebbe fare con una valigia troppo piena.

Qui mi interrompo e faccio due brevi riflessioni: la prima è che dopo la trasmissione del video si è gridato all’eroe e si è addirittura chiesto di intitolargli una strada; nessuno di noi potrà mai sapere cosa passava per la mente di Quattrocchi mentre affrontava la morte, ma certamente non era nei suoi desideri atteggiarsi ad eroe, lui che eroe non lo era stato mai: voleva, forse, fare vedere a quei cialtroni che si può essere “uomini” anche senza la pistola in mano.

La seconda considerazione è che se Quattrocchi si è rivolto in italiano a qualcuno che lo ha capito e gli ha anche risposto, evidentemente era presente una persona che, o era italiana o comunque capiva la nostra lingua; mi sembra un dettaglio molto utile per le indagini della Procura.


martedì, gennaio 10, 2006

MA DELL'IRAQ NON NE PARLIAMO PIU'? 

E’ un po’ di tempo che non parliamo più dell’Iraq, come se la situazione si fosse normalizzata; e invece, giornalmente, con uno stillicidio poco appariscente ma che alla fine del periodo fa un bel numero, si registrano una decina di morti (nei giorni fortunati) e una ventina (nei giorni peggiori) e cifre superiori nei giorni particolarmente sfortunati, che però non sono rarissimi.

I numeri in effetti non sono così alti da fornire argomento per la loro collocazione nelle prime pagine dei quotidiani, ma di una cosa sono sintomatici: alla faccia delle elezioni che si sono tenute nel paese, alla faccia della formazione del nuovo governo (di coalizione), i “terroristi” non sono stati affatto sconfitti e il loro leader Al Zarqawy risulta ancora imprendibile per le forze americane e per quelle della coalizione.

Intanto, fedeli al detto “ogni bel gioco dura poco”, in Europa, i governi che hanno aderito all’iniziativa di Bush stanno cercando una scorciatoia per togliersi dall’impaccio: sia noi italiani che i britannici stiamo ipotizzando una diminuzione a scalare entro il 2006 e, alla fine dell’anno un totale disimpegno; analogamente le altre forze armate europee presenti sul teatro irakeno.

Anche in America, lo stesso governo Bush, comincia ad avanzare ipotesi abbastanza ravvicinate per il ritiro delle truppe ed il rientro in patria dei soldati.

Quale il motivo di questi rientri “anticipati”? A mio modesto avviso il motivo principale è che questa missione è diventata antipatica a tutti (ammesso che sia mai stata simpatica) e che quindi questa antipatia viene scontata in calo di voti alle elezioni; c’è poi il discorso sull’esportazione della democrazia che è rimasto un bel teorema e basta.

Negli Stati Uniti ci sarà a breve le elezioni per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e Bush rischia fortemente di perdere la maggioranza che aveva conquistato alle precedenti consultazioni; da qui il piano che il Pentagono sta mettendo a punto per favorire il rientro dei soldati.

Analoga situazione in Italia, con la scusante che noi siamo da meno tempo in Iraq e che è sempre stato affermato che la scadenza “massima” sarebbe stata quella del 2006, a meno di evenienze particolarissime.

Però mi sembra di avvertire una sorta di menefreghismo su quello che si lascia nello sfortunato paese mediorientale, in particolare da parte degli americani: le forze di polizia irakene istruite approssimativamente dagli europei e dagli statunitensi, non sono assolutamente in grado di tenere testa ai “terroristi” di Al Qaeda e quindi la situazione è e resterà esplosiva, con le bande armate che spadroneggiano nell’intero paese.

Ma cosa vogliono questi “terroristi”? Nessuno dei tanti soloni esperti in problemi irakeni è stato in grado di fornire una spiegazione più o meno valida; se ci togliamo dalla mente la cosiddetta “guerra di liberazione” teorizzata soltanto dalla Giudice milanese Forleo, si resta allo schema originario di Bin Laden: attaccare e fare esplodere le contraddizioni specialmente in quei paesi arabi più moderati e quindi più disponibili ad abbracciare il modello di vita occidentale; tra l’altro, è di oggi il sondaggio (non so quanto attendibile) promosso dall’emittente Al Jazira, secondo cui il 57% degli arabi è favorevole ad Al Qaeda.

Non ci dimentichiamo mai che il fine ultimo di Bin Laden è il ripristino dell’originario “califfato”, smantellato dai turchi alla fine dell’ottocento e per fare questo deve riconquistare anzitutto la “sua” Arabia.

La soluzione, in caso di partenza precipitosa da parte delle forze occidentale, io l’ho già detta tempo addietro, ma mi piace ripeterla: diamo una bella ripulita a Saddam, gli ricompriamo la divisa da generalissimo e lo rimettiamo alla testa dell’Iraq; lui, state tranquilli, sa benissimo come riportare l’ordine!


MA DELL'IRAQ NON NE PARLIAMO PIU'? 

E’ un po’ di tempo che non parliamo più dell’Iraq, come se la situazione si fosse normalizzata; e invece, giornalmente, con uno stillicidio poco appariscente ma che alla fine del periodo fa un bel numero, si registrano una decina di morti (nei giorni fortunati) e una ventina (nei giorni peggiori) e cifre superiori nei giorni particolarmente sfortunati, che però non sono rarissimi.

I numeri in effetti non sono così alti da fornire argomento per la loro collocazione nelle prime pagine dei quotidiani, ma di una cosa sono sintomatici: alla faccia delle elezioni che si sono tenute nel paese, alla faccia della formazione del nuovo governo (di coalizione), i “terroristi” non sono stati affatto sconfitti e il loro leader Al Zarqawy risulta ancora imprendibile per le forze americane e per quelle della coalizione.

Intanto, fedeli al detto “ogni bel gioco dura poco”, in Europa, i governi che hanno aderito all’iniziativa di Bush stanno cercando una scorciatoia per togliersi dall’impaccio: sia noi italiani che i britannici stiamo ipotizzando una diminuzione a scalare entro il 2006 e, alla fine dell’anno un totale disimpegno; analogamente le altre forze armate europee presenti sul teatro irakeno.

Anche in America, lo stesso governo Bush, comincia ad avanzare ipotesi abbastanza ravvicinate per il ritiro delle truppe ed il rientro in patria dei soldati.

Quale il motivo di questi rientri “anticipati”? A mio modesto avviso il motivo principale è che questa missione è diventata antipatica a tutti (ammesso che sia mai stata simpatica) e che quindi questa antipatia viene scontata in calo di voti alle elezioni; c’è poi il discorso sull’esportazione della democrazia che è rimasto un bel teorema e basta.

Negli Stati Uniti ci sarà a breve le elezioni per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e Bush rischia fortemente di perdere la maggioranza che aveva conquistato alle precedenti consultazioni; da qui il piano che il Pentagono sta mettendo a punto per favorire il rientro dei soldati.

Analoga situazione in Italia, con la scusante che noi siamo da meno tempo in Iraq e che è sempre stato affermato che la scadenza “massima” sarebbe stata quella del 2006, a meno di evenienze particolarissime.

Però mi sembra di avvertire una sorta di menefreghismo su quello che si lascia nello sfortunato paese mediorientale, in particolare da parte degli americani: le forze di polizia irakene istruite approssimativamente dagli europei e dagli statunitensi, non sono assolutamente in grado di tenere testa ai “terroristi” di Al Qaeda e quindi la situazione è e resterà esplosiva, con le bande armate che spadroneggiano nell’intero paese.

Ma cosa vogliono questi “terroristi”? Nessuno dei tanti soloni esperti in problemi irakeni è stato in grado di fornire una spiegazione più o meno valida; se ci togliamo dalla mente la cosiddetta “guerra di liberazione” teorizzata soltanto dalla Giudice milanese Forleo, si resta allo schema originario di Bin Laden: attaccare e fare esplodere le contraddizioni specialmente in quei paesi arabi più moderati e quindi più disponibili ad abbracciare il modello di vita occidentale; tra l’altro, è di oggi il sondaggio (non so quanto attendibile) promosso dall’emittente Al Jazira, secondo cui il 57% degli arabi è favorevole ad Al Qaeda.

Non ci dimentichiamo mai che il fine ultimo di Bin Laden è il ripristino dell’originario “califfato”, smantellato dai turchi alla fine dell’ottocento e per fare questo deve riconquistare anzitutto la “sua” Arabia.

La soluzione, in caso di partenza precipitosa da parte delle forze occidentale, io l’ho già detta tempo addietro, ma mi piace ripeterla: diamo una bella ripulita a Saddam, gli ricompriamo la divisa da generalissimo e lo rimettiamo alla testa dell’Iraq; lui, state tranquilli, sa benissimo come riportare l’ordine!


lunedì, gennaio 09, 2006

ANCORA DUE PAROLE SUL CASO UNIPOL 

Nel mio post di ieri, che riguardava i rapporti tra UNIPOL – COOP e Partiti di sinistra, è uscita fuori la parola “etico” che merita, forse, un maggiore approfondimento; sempre avvalendosi della collaborazione del Devoto-Oli, al termine etico trovo la seguente definizione: “attività dell’uomo caratterizzata da una morale autonoma”.

Se ci pensate bene era quello che, negli anni ’80, distingueva Berlinguer da Craxi: il primo diceva che il P.C.I. doveva essere diverso da tutti gli altri sotto il profilo della moralità, mentre il leader socialista affermava, a mo’ di scusante, che loro facevano come tutti gli altri. Gli eredi di quel P.C.I., non solo non si sono disti dagli “altri” ma hanno attinto a piene mani al bottino che questo stato “forte con i deboli e debole con i forti” gli mette a disposizione.

Nel caso specifico, le strutture che discendono in qualche modo dall’ex Partito Comunista (Coop, Unipol, Lega Coop, ecc.) dovrebbero comportarsi in maniera diversa da come agiscono i concorrenti ordinari, cioè i “capitalisti”, quelli contro i quali è stata fatta una battaglia storica.

A questo proposito dobbiamo notare che le strutture create con fini cooperativistici hanno discreti sgravi fiscali, come è giusto che sia per aziende che hanno motivazioni etiche e fini altamente sociali: ma perbacco, che si comportino di conseguenza!

Siamo cioè in presenza di attività sociali che dovrebbero avere il bene pubblico alla base dell’operato; ora io mi chiedo, che cosa c’entra la scalata alla B.N.L.; aggiungo di più: cosa centra con la trasparenza che dovrebbe essere alla base dell’attività etica, tutto quel gioco di scatole cinesi che anche il movimento cooperativo ha messo in piedi, come un “Ricucci” qualsiasi? E cosa c’entra il segretario dei D.S, che ammette candidamente di avere “tifato” per Unipol, cosa per la quale è stato infamato il governatore?

Facciamo un po’ d’ordine, con quella semplicità da “uomo di campagna” che mi contraddistingue: le Coop, attraverso l’attività di distribuzione incassano giornalmente grandi quantità di denaro; tutto questo “liquido” passa a Unipol che, oltre all’attività primaria di assicuratrice, ha anche quella di banca, cioè di azienda che “acquista denaro a 8 e lo rivende a 10”; pensate che in questo caso l’istituto di credito acquista denaro a zero e lo rivende al tasso di mercato: niente male come operazione e niente male come business.

Poi mi domando anche un’altra cosa, per la quale mi aspetto che mi tacciate di bieco demagogo, ma non so che farci, io la vedo così: una struttura etica, che ha la morale come proprio faro, anziché elargire queste laute, direi quasi esagerate prebende ai propri dirigenti (come l’una tantum di quasi un miliardo e trecento milioni del vecchio conio a Consorte), potrebbe fare una politica diversa dall’odiato capitalista che sfrutta il personale con reiterati “contratti a termine” ed altre diavoleria – sia pure lecite – che la legge gli consente.

Potrebbe fare meno contratti a termine, potrebbe incrementare l’occupazione – e Dio solo sa quanto ce ne sarebbe bisogno – potrebbe insomma “agire sotto la spinta della morale” e non copiando quello che fanno gli altri che hanno il profitto come finalità unica.

Mi aspetto le vostre contumelie in quanto questa volta ho esagerato in demagogia, ma in presenza di quelle cifre che appaiono nei bilanci UNIPOL (gli unici che ci è dato vedere) credo che anche voi avreste fatto un pensierino alla falsa eticità delle strutture che acquisiscono denari pubblici e li distribuiscono in questo modo.


ANCORA DUE PAROLE SUL CASO UNIPOL 

Nel mio post di ieri, che riguardava i rapporti tra UNIPOL – COOP e Partiti di sinistra, è uscita fuori la parola “etico” che merita, forse, un maggiore approfondimento; sempre avvalendosi della collaborazione del Devoto-Oli, al termine etico trovo la seguente definizione: “attività dell’uomo caratterizzata da una morale autonoma”.

Se ci pensate bene era quello che, negli anni ’80, distingueva Berlinguer da Craxi: il primo diceva che il P.C.I. doveva essere diverso da tutti gli altri sotto il profilo della moralità, mentre il leader socialista affermava, a mo’ di scusante, che loro facevano come tutti gli altri. Gli eredi di quel P.C.I., non solo non si sono disti dagli “altri” ma hanno attinto a piene mani al bottino che questo stato “forte con i deboli e debole con i forti” gli mette a disposizione.

Nel caso specifico, le strutture che discendono in qualche modo dall’ex Partito Comunista (Coop, Unipol, Lega Coop, ecc.) dovrebbero comportarsi in maniera diversa da come agiscono i concorrenti ordinari, cioè i “capitalisti”, quelli contro i quali è stata fatta una battaglia storica.

A questo proposito dobbiamo notare che le strutture create con fini cooperativistici hanno discreti sgravi fiscali, come è giusto che sia per aziende che hanno motivazioni etiche e fini altamente sociali: ma perbacco, che si comportino di conseguenza!

Siamo cioè in presenza di attività sociali che dovrebbero avere il bene pubblico alla base dell’operato; ora io mi chiedo, che cosa c’entra la scalata alla B.N.L.; aggiungo di più: cosa centra con la trasparenza che dovrebbe essere alla base dell’attività etica, tutto quel gioco di scatole cinesi che anche il movimento cooperativo ha messo in piedi, come un “Ricucci” qualsiasi? E cosa c’entra il segretario dei D.S, che ammette candidamente di avere “tifato” per Unipol, cosa per la quale è stato infamato il governatore?

Facciamo un po’ d’ordine, con quella semplicità da “uomo di campagna” che mi contraddistingue: le Coop, attraverso l’attività di distribuzione incassano giornalmente grandi quantità di denaro; tutto questo “liquido” passa a Unipol che, oltre all’attività primaria di assicuratrice, ha anche quella di banca, cioè di azienda che “acquista denaro a 8 e lo rivende a 10”; pensate che in questo caso l’istituto di credito acquista denaro a zero e lo rivende al tasso di mercato: niente male come operazione e niente male come business.

Poi mi domando anche un’altra cosa, per la quale mi aspetto che mi tacciate di bieco demagogo, ma non so che farci, io la vedo così: una struttura etica, che ha la morale come proprio faro, anziché elargire queste laute, direi quasi esagerate prebende ai propri dirigenti (come l’una tantum di quasi un miliardo e trecento milioni del vecchio conio a Consorte), potrebbe fare una politica diversa dall’odiato capitalista che sfrutta il personale con reiterati “contratti a termine” ed altre diavoleria – sia pure lecite – che la legge gli consente.

Potrebbe fare meno contratti a termine, potrebbe incrementare l’occupazione – e Dio solo sa quanto ce ne sarebbe bisogno – potrebbe insomma “agire sotto la spinta della morale” e non copiando quello che fanno gli altri che hanno il profitto come finalità unica.

Mi aspetto le vostre contumelie in quanto questa volta ho esagerato in demagogia, ma in presenza di quelle cifre che appaiono nei bilanci UNIPOL (gli unici che ci è dato vedere) credo che anche voi avreste fatto un pensierino alla falsa eticità delle strutture che acquisiscono denari pubblici e li distribuiscono in questo modo.


domenica, gennaio 08, 2006

LA COOP SEI TU, CHI PUO' DARTI DI PIU'? 

Ricordate lo slogan di un fortunato spot televisivo: “la coop dei tu, chi può darti di più?”; era proprio l’intimo significato della frase che induceva l’anziana signora a darsi da fare in forma disinteressata all’interno di una Coop, mettendo a posto i carrelli, sistemando la frutta negli scaffali ecc.: mia cara signora, è sempre dello stesso avviso, si rimetterebbe a lavorare gratuitamente per il bene della Coop? Provi a leggere quello che segue e poi decida!!

Certamente gratis non lavorano Consorte e Sacchetti, rispettivamente Presidente e Vicepresidente e Amministratore Delegato della Unipol, da qualche tempo nell’occhio del ciclone dopo il tentativo di scalata a B.N.L e addirittura indiziati del reato di “associazione a delinquere”.; ed è proprio in occasione di questa operazione borsistica che il colosso assicurativo e bancario delle Coop è stato costretto a rimettere alla Consob un bilancio consolidato e certificato dal fior fiore delle società di revisione internazionali.

Da questo bilancio – purtroppo per loro – si scopre quanto hanno guadagnato nel 2004 il citato Consorte e il suo vice Sacchetti: 1.792.202 euro per il primo, cioè quasi 3 miliardi e mezzo, e 4.631.499 per il secondo, comprensivo di 2.500.000 euro per la liquidazione per la cessazione in quell’anno del rapporto di lavoro dipendente e quindi, la retribuzione per la nuova carica ammonta a oltre 2.100.000 euro, cioè quasi quattro miliardi di lire: non si capisce perché il vice guadagni più del numero uno, ma non credo che ci siano state delle proteste da parte di nessuno.

Questo che ho sopra indicato, è quanto i due super dirigenti hanno percepito “ufficialmente”, cioè non comprende ovviamente benefit e neppure quelle plusvalenze su titoli azionari che sembra abbiano fruttato al duo delle Coop circa cinquanta milioni di euro, cioè 100 miliardi del vecchio conio, e che sembra siano stati “parcheggiati” in una banca di Montecarlo.

Comunque, tornando all’ufficialità, il monte stipendiale di Consorte comprende cifre notevoli per incentivi (730.000 euro, cioè un miliardo e mezzo di vecchie lire) e una corposa una tantum pari a 663.666 (oltre 1 miliardo e 200 milioni delle vecchie lire): non mi chiedete a quale titolo sia stata dato questo bonus perché il bilancio non lo indica e io non ho la fantasia sufficiente per indovinarlo.

Ci sarebbero poi una schiera di altri personaggi che – assommando una carica in Unipol alla loro attività principale, percepiscono in bilancio prebende che si aggirano attorno ai 45-50 mila euro (100 milioni di lire), ovviamente che si sommano al loro stipendio “principale”.

In tutto quello che ho scritto sopra ci sono poche indicazioni per eventuali reati commessi dai due di Unipol e dai loro padrini all’interno del partito (D’Alema e Fassini), ma quello che balza evidente è l’assoluta cancellazione del carattere cooperativistico e quindi “sociale” che avrebbe dovuto esserci e invece non c’è né in Coop e neppure in Unipol.

Credo di essere nel vero se affermo che l’ultimo barlume di etica risale agli anni ’80, quando un certo Enrico Berlinguer rivendicò la famosa “diversità morale” del PCI rispetto agli altri partiti; i suoi eredi di oggi, invece, non sono tanto diversi dai propri avversari in quanto a intrecci e legami con la finanza (e non alludo alla Guardia di Finanza).

Allora, signora, cosa facciamo domani mattina, andiamo alla Coop ad aiutare gratuitamente a spostare i carrelli o restiamo in casa?


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