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sabato, agosto 22, 2009

E ALLORA PARLIAMO DI DONNE 

L’ultimo grido in fatto di web, credo che sia il sito inglese missbimbo.com nel quale – così come avviene in quello francese (mabimbo.com) – ragazzine prepuberi (cioè di età tra i 9 e i 14 anni), creano una sorta di “Second Life” adulta, plasmata nel più bieco consumismo, con la possibilità di poter eseguire ritocchi estetici al seno o ai glutei.
L’obiettivo dichiarato è quello di conquistare – a colpi di interventi chirurgici e di prodotti dietetici con assonanze anoressiche – un boy friend, ovviamente anch’esso “virtuale”.
Mi si dirà di non preoccuparmi in quanto “è tutto un gioco”, ma insinuare in queste “non ancora donne” (1.200.000 le iscrizioni in Francia e 200.000 in un mese in Inghilterra) il concetto di un futuro privo di studi, di sacrifici e di applicazione ma basato soltanto su stereotipi fisici e su ideali di bassa lega, mi induce a qualche riflessione, specie perché – come appare nei miei post – la donna ha sempre avuto un ruolo preminente nel mio ideale di salvataggio di questo mondo così complicato e annodato su se stesso.
E infatti, in Birmania, in Cecenia e in Iran, sono le donne che mostrano la faccia pulita di un impegno sociale e civile: Aung San Suu Kyi – già Premio Nobel per la Pace - una fragile signora birmana, continua la sua lotta “senza armi” contro il regime dei colonnelli che da più di 20anni la manda dal carcere agli arresti domiciliari, accusata soltanto di invocare la libertà per la sua gente: grave reato in un Paese totalitario!
In Cecenia, dopo la Anna Politkovskaya, uccisa barbaramente dal regime russo a causa dei suoi interventi in favore della democrazia, è sorta una nuova attivista dei diritti civili, quella Nataliya Estemirova, rapita e uccisa un mese fa, massacrata e abbandonata sul ciglio di una strada da “ignoti” delinquenti; ed allo stesso modo è stata rinvenuta giorni addietro, insieme al marito, Zarema Sadulayeva, direttrice di una OnG che si occupa di giovani e che si è sempre battuta per il riconoscimento delle libertà fondamentali dell’individuo.
In Iran, in occasione delle recenti elezioni presidenziali e delle manifestazioni che ne sono seguite, si sono messe in luce una serie di ragazze appartenenti alla resistenza iraniana che per questi atti di ribellione sono state incarcerate e lì hanno subito sevizie e stupri tra i più bestiali; una di loro che le rappresenta tutte, Neda, è scesa in piazza per protestare contro i brogli elettorali, e un proiettile “anonimo”, (sono sempre anonimi in questi casi), l’ha fermata nel suo slancio giovanile; pensate alla paura che questa ragazzina ha messo al regine: il suo funerale è stato vietato a tutti!!!
Sembra, da confuse notizie d’Agenzia, che Ahmadinejad, voglia immettere tre donne nel governo che si accinge a formare: sia chiaro che la notizia, sia pure importante, non risolve il problema della lotta di Neda che non era tesa soltanto ad una formale parità tra uomini e donne, ma verteva soprattutto sulla democrazia in quel Paese che, con la sua “teocrazia” contravviene i più semplici principi della libertà di espressione.
Abbiamo visto una serie di “donne” che hanno lottato (o stanno ancora lottando) in vari Paesi del Mondo; chiediamoci adesso perché queste lotte sono interpretate da donne?
Forse le donne hanno una maggiore abitudine alla lotta in quanto stanno combattendo in tutto il Mondo per la loro parità e poi c’è da dire che dal lontano ‘800 e dalle sue “suffragette” sono nate tante eroine disposte a sacrificare la loro vita in difesa della giustizia, di un principio irrinunciabile o per tutelare i più deboli; abbiamo dei corrispettivi maschili di queste figure? Non mi sembra!!
Ed allora posso concludere con una speranza: nonostante questa società cerchi di “addormentarle” nel consumismo, le donne rimangono un caposaldo di lotta!! Chiaro?

giovedì, agosto 20, 2009

GLI ANGELI "BADANTI" 

Questo agosto l’ho trascorso quasi interamente in città e quindi mi sono reso conto – meglio che negli altri anni – del problema degli anziani; ne ho incontrati tantissimi, quasi che i giovani se ne fossero andati tutti, ma i nostri nonni erano tutti, o quasi, accompagnati dal nuovo angelo del focolare domestico: la badante, quella figura femminile proveniente dall’estero – spesso Romania o altre nazioni dell’Est Europeo, ma ce ne sono anche sudamericane e qualche africana – che, tenendo a braccetto la persona affidata loro, ne fa una specie di impegno vitale nei confronti dei tanti pericoli che circondano l’anziano.
Un recente dato ISTAT ci dice che una famiglia italiana su dieci ricorre a questa nuovissima figura di “assistente per anziani” e questo numero è destinato a crescere in quanto le persone da assistere aumentano sempre di più e lo Stato – inefficiente in sede di assistenza – ha trovato chi lo surroga e quindi si sta attrezzando a compiere una operazione che a definire ovvia non si sbaglia certo: mettere in regola queste signore o signorine che si preoccupano dei nostri anziani e che – se non ci capita qualcosa prima – si occuperanno anche di noi.
Il rapporto che va ad instaurarsi tra la badante e il o la “badata”, è dei più svariati, ma in tutti c’è una iniziale diffidenza reciproca che piano piano si va a stemperare in una logica comprensione dei problemi di entrambi; a questo proposito, lo scrittore Marcello Veneziani ha narrato di un signore di 95 anni che – in uno slancio romantico e in un rimpianto struggente – ha chiesto alla ragazza che lo assiste di coricarsi accanto a lui in quel lettone ormai vuoto da così tanto tempo e per una notte è tornato a dormire nell’alcova di una volta; non si conoscono i particolari di come è finita la cosa, ma non importa poi più di tanto: l’importante è la purezza dell’intenzione.
Ma torniamo con i piedi per terra e vediamo un po’ meglio il problema dell’assistenza agli anziani: come ho avuto modo di dire altre volte, possiamo dire con uno slogan, che questa società “non ci permette di morire ma neppure di vivere”; mi spiego meglio: con tutte le diavolerie della tecnica medica siamo diventati delle macchine alle quali possiamo cambiare quasi tutto e quindi la nostra morte – cioè la fine della macchina – è resa sempre più difficile ed è allontanata sempre più nel tempo, proprio per effetto di queste nuove tecnologie. Le quali comunque ci fanno “andare avanti” ma non ci consentono certo di condurre una vita regolare, perché la macchina, oltre un certo uso, deve essere buttata e cambiata; ecco quindi il “non vivere” a cui alludo nello slogan.
La conservazione della vita umana è diventata un valore così assoluto che è finito per diventare un dis-valore in quanto è contro la dignità della vita. E dobbiamo aggiungere che il portare sempre più avanti la data media della morte dell’individuo, crea problemi anche allo Stato che dovrebbe sobbarcarsi l’assistenza dell’individuo ormai inutile per la società e tenuto in vita da medicinali e dalle tecniche mediche.
Negli anni ’50 fece scalpore lo slogan che venne lanciato dalla socialdemocrazia scandinava sul concetto di assistenza: “dalla culla alla bara”, sottintendendo che lo Stato si sarebbe occupato dell’individuo per l’ intera esistenza: non conosco l’attuale sistema dell’Europa del Nord ma temo che non sia più così.
Insomma, se la vita dell’individuo dura più di quanto lo Stato può permettersi di sostenerlo, come si può fare? Ecco che l’unica salvezza sono diventate le badanti; in alternativa ci sarebbe solo la “data di scadenza vita” che lo Stato assegna a ciascuno di noi, trascorsa la quale l’individuo viene soppresso: macabro, ma efficace!!

mercoledì, agosto 19, 2009

MA BOSSI CE L'HA CON L'INNO DI MAMELI? 

Sembra una delle solite polemiche del Ferragosto italiano, quando i big della politica – in vacanza con le brache calate – parlano su tutto e su tutti; ma il discorso di Bossi sull’Inno di Mameli merita qualche parolina in più, specie perché è la mosca cocchiera di una polemica che ha dietro le “gabbie salariali” e l’uso del dialetto nelle scuole.
I commentatori politici hanno smesso di prendere in giro il “senatur”, tacciandolo di poca cultura e di scarsa intelligenza, specie da quando ha inanellato un successo elettorale dietro l’altro, fino a collocarsi all’interno del PdL come l’autentico ago della bilancia; ormai dobbiamo ammettere che – ferma restando la sua antipatia a pelle – il Bossi Umberto è il miglior animale politico che abbiamo, l’unico che capisce al volo (senza tanti sondaggi) quali sono gli umori della gente e agisce di conseguenza.
E quindi, la polemica sull’inno, maschera il discorso ben più interessante sulle differenze salariali “effettive” tra il Nord e il Sud; mi sembra chiaro per tutti che un professore di scuola media che insegna a Caltanisetta ha a disposizione uno stipendio identico a quello del collega di Milano, ma – per effetto del costo della vita che in Sicilia è del 30% inferiore alla Lombardia – i suoi soldi fruttano un tenore di vita superiore appunto del famoso 30%.
Pertanto, combattere questa battaglia è diventato un punto centrale nell’offensiva autunnale che la Lega muoverà all’interno della compagine governativa, forte anche della famosa frase di Aristotele che diceva: “ingiustizia non è solo trattare gli eguali in modo diseguale, ma anche trattare i diseguali in modo eguale”.
Ovvio che il mettere in pratica questa forma perequativa è difficilissimo, in quanto può essere attuata in due soli modi: abbassare gli stipendi dei dipendenti pubblici del Sud (e mi sembra improponibile), oppure alzare quelli del Nord, e qui si ritorna al solito dilemma: dove si trovano i quattrini?
A questo proposito si torna a parlare delle solite cose: sconfiggere l’evasione fiscale, autentica panacea per tutti i mali dell’Italia; e a questo proposito, sono di questi giorni alcune novità che – pur senza farsi soverchie illusioni – ci fanno ben sperare per il futuro. Il Direttore Generale dell’Agenzia per le Entrate, Attilio Befera, ha dichiarato che 170mila italiani sono nel mirino del fisco per patrimoni o beni detenuti all’estero e che saranno perseguiti in ogni modo possibile; un po’ come sta facendo l’amministrazione americana con i propri cittadini che hanno conti in Svizzera.
Questa operazione, nella quale si inserisce anche l’eredità Agnelli, parte della quale sarebbe “nascosta” in un paradiso fiscale, svolge anche una sorta di “promozione” per il celebre “scudo fiscale” tanto caro al ministro Tremonti, con la cui riuscita si conta di recuperare importanti risorse da utilizzare nel bilancio dello Stato.
Ma torniamo per un attimo al problema delle differenze Nord-Sud in tema di stipendi “pubblici”: ho già avuto modo di scrivere che un Consigliere regionale siciliano incassa circa 11.000 euro mensili – oltre a tutti i benefit – ovverosia un terzo in più dei colleghi del Nord; questo può accadere in quanto la Sicilia è “Regione Autonoma” e questa autonomia la utilizza soprattutto nel differenziare le prebende dei suoi amministratori pubblici, i quali hanno stipendi superiori del 30% rispetto ai colleghi del Nord, pur vivendo in una zona il cui costo della vita è inferiore del 30%; l’ingiustizia è così stridente che grida vendetta e Bossi lo sta facendo, anche se usa, provocatoriamente, un sacro simbolo italiano: l’inno di Mameli.
Ma state certi che l’obiettivo è un altro: le perequazioni stipendiali tra Nord e Sud.

martedì, agosto 18, 2009

ALTRE FORME DI GELOSIA 

Nel post di ieri l’altro ho trattato del problema delle gelosie viste in controluce con un rapporto di natura sentimentale; ma vorrete convenire con me che esistono altre forme che vengono chiamate “gelosie” – forse impropriamente – e che si riferiscono più propriamente alle “invidie”, cioè a quelle forme di malanimo provocate dalla vista dell’altrui soddisfazione, sia essa materiale o morale.
Quindi, nel campo delle invidie, pur essendo di natura diversa, abbiamo sempre una persona che noi consideriamo “superiore” a NOI e che – senza andare a indagare più di tanto su questa condizione – ci diventa immediatamente antipatica; ovviamente, queste vere o presunte superiorità agiscono nei nostri confronti in relazione alla nostra condizione fisica o materiale.
Mi spiego meglio: se abbiamo problemi di natura fisica (malattie o quant’altro), la cosa che invidiamo agli altri è la buona salute, arrivando persino a invocare – ovviamente dentro di noi – che anche alla fortunata persona sana, venga un malanno e si configuri così praticamente il detto “mal comune mezzo gaudio”.
Si badi bene che nell’invocare il “male comune”, non si ottiene – naturalmente – l’allontanamento del proprio male, ma questa circostanza che dovrebbe bastare a impedire l’invidia, non ci viene fuori e si continua a detestare colui che sta bene in contrapposizione alla nostra malattia.
Un’altra forma di invidia molto in voga nel nostro tempo è quella del benessere materiale, cioè dell’opulenza o, come si dice adesso, del poter spendere a proprio piacimento, insomma una sorta di Bill Gates o di Berlusconi; ovviamente coloro che sono portatori di questa forma di invidia sono principalmente quelli che non hanno “niente” oppure “poco o niente” oppure “soltanto poco”, oppure “il necessario e niente più”, oppure anche “qualcosa oltre il necessario”.
Come vedete ho costruito tutta una scala del benessere che parte dall’indigenza ed arriva fino ad una sorta di agiatezza: ebbene, tutti questi signori (o signore) hanno ancora desiderio di “avere di più” e quindi, tale invidia, se è comprensibile nello stadio dell’indigenza, lo è molto meno in quello dell’agiatezza.
E qui entra in funzione il meccanismo su cui si fonda tutto il nostro mondo: il non essere mai contento della propria condizione e così facendo, lavorare per migliorarla a scapito di tutte le altre cose che avrebbero potuto essere realizzate.
Ma questo meccanismo – che mi permetto di definire “perverso” – è quello che ci induce a guardare sempre avanti, cioè a chi ha più di noi e assai raramente, dietro di noi, cioè a chi ha molto meno di noi e avrebbe bisogno di essere aiutato.
Ma, come dice una battuta in voga nel mondo capitalista, “oggi chi lavora non può diventare ricco: perde troppo tempo a lavorare”; ed allora ecco che sorgono mestieri nuovi, in linea con le moderne tecnologie e con i quali si arriva a guadagnare – alcune volte!! – molto denaro; ma non arriva la felicità, perché il nostro vizio di “guardare davanti” ci induce a volere sempre di più, a proiettarsi verso il futuro con sempre maggiore energia da spendere e così facendo, appena colto un obiettivo, lanciarsi ad inseguirne uno nuovo, fino a quando il salire i gradini del grattacielo della vita non ci fa ruzzolare di sotto e….allora, accidenti all’invidia e a chi l’ha inventata; ma non scagliamoci contro nessuno, perché siamo stati proprio noi a diventare, piano piano, così come siamo e ad essere felici solo se – come i cani del cinodromo – abbiamo di fronte una “finta lepre” che rappresenta il nostro traguardo estremo: il NULLA.

domenica, agosto 16, 2009

LE GELOSIE 

Questo post l’ho intitolato le gelosie, al plurale, perché ritengo – e spero di dimostrarlo con questo mio scritto – che esistono più forme di “gelosie”, simili tra loro ma non uguali; ma cominciamo, come al solito, dalla definizione che il “Devoto Oli” ci fornisce della gelosia: “sentimento di ribellione provocato da una reale o presunta inferiorità nei confronti di un rivale, specialmente in amore”; aggiungo io che questo “rivale” può essere, anch’esso, reale o presunto; da notare comunque che il “geloso” (uso il maschile solo per comodità di scrittura) è uno che si sente inferiore.
E cominciamo dalla cosa più banale e ricorrente: la persona che ama, vede – o crede di vedere – che l’altra è innamorata o comunque attratta da un altro: questa è la gelosia “classica” quella resa celebre da Otello e Desdemona e - sembrerà un paradosso - è la più semplice da comprendere, affrontare e – se possibile – vincere; in effetti, si tratta di una “lotta”, di un agone in cui ci sono due persone sui due diversi piatti della bilancia e questa deve pendere da una o dall’altra parte. Chiaro il concetto?
Ma, sempre in amore, esiste un'altra forma di gelosia: quella che si riferisce a cose del passato e quindi non collocabili sul classico piatto della bilancia; in concreto, avviene che uno dei due ritiene che l’altro abbia amato di più un altro del passato e che quindi si sia verificata quanto detto nella definizione (“reale o presunta inferiorità”); la lotta quindi avviene con una sorta di “fantasma” che non può essere sconfitto materialmente proprio per la sua immaterialità.
E allora? Diciamo subito che questa seconda categoria della gelosia non è, per fortuna, frequente, ma quando esiste è perché si riferisce ad una relazione che ha due caratteristiche: la ricerca del vero amore e la volontà di uno o di entrambi i partners di progredire nella “comunicazione globale”; ed è infatti con quest’ultima metodologia che si raggiunge - non sempre, ma spesso – il superamento della gelosia del fantasma: per fare questo, l’individuo che ha il fantasma nel proprio vissuto, deve fare in modo, con la comunicazione globale, che l’altro venga a “conoscere” la stessa realtà e ne faccia parte integralmente, al fine di viverne la situazione e la “reale o presunta inferiorità”.
Per esperienza diretta vi dirò che le persone maggiormente colpite da questa “gelosia del fantasma” sono quelle in possesso di un “IO” smisurato, quelle cioè che si possono definire egocentriche e che non ammettono di essere secondi a nessuno; con la metodologia che ho sopra accennato (solo parzialmente), arrivando a partecipare – da semplice spettatore – alla vita del partner con il fantasma, si ottiene che la lotta si può quasi materializzare e quindi diventare un semplice rapporto di conoscenza che stempera la “vera o presunta superiorità” del fantasma in una comunicazione globale che comprende il presente ed attualizza il passato; vorrei sottolineare l’importanza di questo aspetto della metodologia, cioè l’”attualizzazione del passato”, da realizzare attraverso tutte le forme della comunicazione. Spero di essere stato chiaro.
In assenza di questa operazione che unisce la psicologia alla metodologia della comunicazione, il fantasma diventa sempre più grande e la sua superiorità continua a manifestarsi nelle forme più disparate, ma tutte riflettenti la sfera sentimentale e, in particolare, quella della sessualità. Si può “cancellare” il fantasma in altro modo? Si può al massimo tentare di “farlo tacere”, ma la sua cancellazione – a mio modesto avviso – può avvenire solo attraverso la sua “rimozione” con i modi sopra accennati.
Vi avrò stupito per il tema trattato, ma credo di avervi mostrato un mio “nuovo aspetto” che finora non mi sembra fosse mai emerso; speriamo vi sia piaciuto!

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