sabato, giugno 20, 2009
SITUAZIONI GRAVI
A leggere i nostri maggiori giornali la più importante situazione critica in Italia è rappresentata dalle donnine che avrebbero partecipato a vari festini a Bari e, si mormora, anche a Roma nella sede privata del premier; sappiamo bene che tali festini sono sempre esistiti e, purtroppo io non sono mai stato invitato, per cui questa è una situazione “grave ma non seria”, come diceva il grande Ennio Flaiano, e quindi non fa parte dei miei interessi primari.
È invece molto grave (e molto seria) a mio giudizio la situazione dell’occupazione che, stando ai dati dell’ISTAT, a fine marzo 2009 ha fatto registrare dei dati sconcertanti: 204mila persone hanno perduto il lavoro, ma attenzione alla sottigliezza: questo dato risulta dalla somma algebrica tra gli “italiani” che hanno perduto il lavoro (426.000 unità) e gli “stranieri” che lo hanno trovato (222.000); se fate la sottrazione tra le due cifre si ottiene appunto il dato iniziale di 204.000 unità lavorative.
Ma ecco che a questo punto balza fuori lo spiritello bizzarro che è dentro di me: perché l’ISTAT non produce anche un dato che ci indichi il numero dei disoccupati nel settore privato e quello riveniente dal settore pubblico? La risposta è molto semplice: perché il numero sopra indicato è “solo” del settore privato in quanto il settore pubblico – nonostante l’impegno di Brunetta – non ha perso neppure una unità lavorativa; perché? Ma perché nel settore pubblico per licenziare qualcuno bisogna fargli causa e molte volte non basta. Non mi sembra che questo stato di cose abbia un minimo di giustizia sociale, in quanto un settore risulta essere troppo privilegiato rispetto all’altro,
Ed allora, sarebbe blasfemia ipotizzare una sorta di osmosi tra i lavoratori dei due settori, visto che ormai le specifiche competenze sono state azzerate dalle macchine? In sostanza, facciamo l’ipotesi che l’azienda “X” debba ridurre il proprio personale di 1.000 unità; si potrebbe ipotizzare di prenderne 500 e introdurli nel settore pubblico al posto di un analogo numero di dipendenti di quel settore che escono dal posto di lavoro; così avremmo una sorta di equità sociale e a fronte dei 1.000 dipendenti dell’azienda da estromettere dal lavoro, ne avremmo 500 provenienti dal privato e 500 dal pubblico; per le modalità applicative lascio il compito ai sindacati che sono bravissimi in questo campo.
La seconda cosa che vado a trattare – interessante finché si vuole ma non certo grave – è l’affermazione fatta da tale padre Peter Gumpel nella sua veste di relatore della causa di beatificazione di Pio XII: “Lo so per conoscenza diretta e personale che Benedetto XVI ha grande stima ed ammirazione per Papa Pacelli anche in relazione a quanto ha fatto per gli ebrei. Egli non firma la causa di beatificazione in quanto è rimasto da alcuni recenti incontri con rappresentanti delle organizzazioni ebraiche che gli hanno detto chiaro e tondo che se farà qualcosa in favore di Papa Pacelli i rapporti tra Chiesa Cattolica ed ebrei saranno definitivamente e irrimediabilmente compromessi”.
A questa dichiarazione – per me di una gravità inaudita – hanno fatto seguito tutta una serie di “precisazioni” da parte cattolica ed ebraica che non hanno fatto altro che confermare quanto detto dal Padre Gumpel.
Io credo che oltre all’incomprensibile ingerenza degli ebrei in una decisione che spetta solo al rappresentante del mondo cattolico, ci sia anche qualche divisione e qualche sofferenza all’interno della Chiesa, dato che la figura di Papa Pacelli è di quelle che sembrano fatte apposta per dividere. Un consiglio: Benedetto decidi alla svelta!!
È invece molto grave (e molto seria) a mio giudizio la situazione dell’occupazione che, stando ai dati dell’ISTAT, a fine marzo 2009 ha fatto registrare dei dati sconcertanti: 204mila persone hanno perduto il lavoro, ma attenzione alla sottigliezza: questo dato risulta dalla somma algebrica tra gli “italiani” che hanno perduto il lavoro (426.000 unità) e gli “stranieri” che lo hanno trovato (222.000); se fate la sottrazione tra le due cifre si ottiene appunto il dato iniziale di 204.000 unità lavorative.
Ma ecco che a questo punto balza fuori lo spiritello bizzarro che è dentro di me: perché l’ISTAT non produce anche un dato che ci indichi il numero dei disoccupati nel settore privato e quello riveniente dal settore pubblico? La risposta è molto semplice: perché il numero sopra indicato è “solo” del settore privato in quanto il settore pubblico – nonostante l’impegno di Brunetta – non ha perso neppure una unità lavorativa; perché? Ma perché nel settore pubblico per licenziare qualcuno bisogna fargli causa e molte volte non basta. Non mi sembra che questo stato di cose abbia un minimo di giustizia sociale, in quanto un settore risulta essere troppo privilegiato rispetto all’altro,
Ed allora, sarebbe blasfemia ipotizzare una sorta di osmosi tra i lavoratori dei due settori, visto che ormai le specifiche competenze sono state azzerate dalle macchine? In sostanza, facciamo l’ipotesi che l’azienda “X” debba ridurre il proprio personale di 1.000 unità; si potrebbe ipotizzare di prenderne 500 e introdurli nel settore pubblico al posto di un analogo numero di dipendenti di quel settore che escono dal posto di lavoro; così avremmo una sorta di equità sociale e a fronte dei 1.000 dipendenti dell’azienda da estromettere dal lavoro, ne avremmo 500 provenienti dal privato e 500 dal pubblico; per le modalità applicative lascio il compito ai sindacati che sono bravissimi in questo campo.
La seconda cosa che vado a trattare – interessante finché si vuole ma non certo grave – è l’affermazione fatta da tale padre Peter Gumpel nella sua veste di relatore della causa di beatificazione di Pio XII: “Lo so per conoscenza diretta e personale che Benedetto XVI ha grande stima ed ammirazione per Papa Pacelli anche in relazione a quanto ha fatto per gli ebrei. Egli non firma la causa di beatificazione in quanto è rimasto
A questa dichiarazione – per me di una gravità inaudita – hanno fatto seguito tutta una serie di “precisazioni” da parte cattolica ed ebraica che non hanno fatto altro che confermare quanto detto dal Padre Gumpel.
Io credo che oltre all’incomprensibile ingerenza degli ebrei in una decisione che spetta solo al rappresentante del mondo cattolico, ci sia anche qualche divisione e qualche sofferenza all’interno della Chiesa, dato che la figura di Papa Pacelli è di quelle che sembrano fatte apposta per dividere. Un consiglio: Benedetto decidi alla svelta!!
venerdì, giugno 19, 2009
LA MORTE DI UN GRANDE LIBERALE
A 80 anni è morto uno dei filosofi liberali più grandi del dopoguerra, Ralf Dahrendorf, quello che da molti studiosi e politici venne definito “il maestro inascoltato”.
Figlio di un deputato socialdemocratico della Repubblica di Weimar deportato dai nazisti, fu professore di filosofia ad Amburgo, poi a Tubinga e a Costanza, ma venne presto tentato dalla politica ed entro prima nel partito del padre e poi nell’Fdp, il partito liberale; la sua carriera politica fu fulminea tanto che venne chiamato “il ragazzo prodigio”; nel 1969 divenne sottosegretario agli esteri nel governo di Willy Brandt, quello della storica svolta e della prima fase dell’ostpolitik; in questa fase politica il giovane Ralf, oltre ad occuparsi degli incarichi di governo, guidò la trasformazione del vecchio partito liberale in una compagine moderna: si disse che – solo che lo avesse voluto – avrebbe potuto prendere tranquillamente la guida del partito.
Dopo poco più di un anno ne ebbe abbastanza della politica attiva e si fece trasferire a Bruxelles per vivere l’esperienza della nascente Unione Europea, ma scoprì ben presto che “anche Bruxelles lo annoiava”.
In quel periodo scrisse molti saggi critici sull’Europa firmandoli con lo pseudonimo “EuropaWieland”, ma venne scoperto e finì per abbandonare del tutto la politica.
Si trasferì a Londra dove prese ad insegnare nella London School of Economics e nel 1988 divenne cittadino inglese; dopo soli 5 anni – nel 1993 – la regina Elisabetta lo nominò baronetto con il titolo di Lord of Clare Market; da notare l’umorismo: Clare Market è la piazza dove si trova la scuola dove Dahrendorf insegnava e il filosofo ci rise sopra con grande gusto.
Durante la sua breve carriera politica, il grande filosofo ebbe a intuire che i politici di professione lo avrebbero stritolato e quindi abbandonò la lotta senza rimpianti, dichiarandosi sempre disponibile a incontrare chi volesse sentire quello che pensava, ma senza l’aria di voler impartire consigli; “tanto non li seguirebbero” e non nascose il suo orgoglio per essere rimasto un “maestro inascoltato”.
Non ho né lo spazio né la competenza per parlare sulla complessa tematica del filosofo di Amburgo (che ha avuto i maggiori successi in Inghilterra, ma che è voluto tornare a morire in Germania) ma voglio estrapolare alcuni suoi giudizi sulla crisi in corso; egli affermava che per affrontarla in modo produttivo bisognava tornare alle radici, agli insegnamenti di Max Weber, alle antiche virtù prussiane, alla diligenza, al senso del dovere; insomma bisogna riscoprire l’etica protestante del lavoro.
A queste virtù adesso stiamo contrapponendo una società che è un misto di liberalismo e di conservatorismo, con entrambe le componenti che vengono tirate per tutti i versi soltanto per permettere ai “padroni del vapore” di fare i propri comodi.
La società del tardo capitalismo – osservava Dahrendorf – è scivolata in un capitalismo dell’effimero, nell’edonismo dell’indebitamento irresponsabile e sono queste componenti che hanno dato origine alla crisi che sta attanagliando il mondo intero.
Per concludere mi piace ricordare una sua affermazione risalente al periodo in cui era a Bruxelles: “l’Europa è diversa in tutto: interessi, clima, tradizioni, lingue; dobbiamo imparare a convivere con la diversità” e l’altra del suo impegno politico in Germania in cui ebbe a dire che la politica è fatta dai burocrati e dai mediocri, non c’è spazio per chi eccelle”; e quando gli fecero notare che la Merkel lo aveva citato, pur senza nominarlo esplicitamente, commentò: “forse la signora Cancelliera ha sentito che è di moda parlare di cultura”. Questo è “un po’” di Ralf Dahrendorf!!
Figlio di un deputato socialdemocratico della Repubblica di Weimar deportato dai nazisti, fu professore di filosofia ad Amburgo, poi a Tubinga e a Costanza, ma venne presto tentato dalla politica ed entro prima nel partito del padre e poi nell’Fdp, il partito liberale; la sua carriera politica fu fulminea tanto che venne chiamato “il ragazzo prodigio”; nel 1969 divenne sottosegretario agli esteri nel governo di Willy Brandt, quello della storica svolta e della prima fase dell’ostpolitik; in questa fase politica il giovane Ralf, oltre ad occuparsi degli incarichi di governo, guidò la trasformazione del vecchio partito liberale in una compagine moderna: si disse che – solo che lo avesse voluto – avrebbe potuto prendere tranquillamente la guida del partito.
Dopo poco più di un anno ne ebbe abbastanza della politica attiva e si fece trasferire a Bruxelles per vivere l’esperienza della nascente Unione Europea, ma scoprì ben presto che “anche Bruxelles lo annoiava”.
In quel periodo scrisse molti saggi critici sull’Europa firmandoli con lo pseudonimo “EuropaWieland”, ma venne scoperto e finì per abbandonare del tutto la politica.
Si trasferì a Londra dove prese ad insegnare nella London School of Economics e nel 1988 divenne cittadino inglese; dopo soli 5 anni – nel 1993 – la regina Elisabetta lo nominò baronetto con il titolo di Lord of Clare Market; da notare l’umorismo: Clare Market è la piazza dove si trova la scuola dove Dahrendorf insegnava e il filosofo ci rise sopra con grande gusto.
Durante la sua breve carriera politica, il grande filosofo ebbe a intuire che i politici di professione lo avrebbero stritolato e quindi abbandonò la lotta senza rimpianti, dichiarandosi sempre disponibile a incontrare chi volesse sentire quello che pensava, ma senza l’aria di voler impartire consigli; “tanto non li seguirebbero” e non nascose il suo orgoglio per essere rimasto un “maestro inascoltato”.
Non ho né lo spazio né la competenza per parlare sulla complessa tematica del filosofo di Amburgo (che ha avuto i maggiori successi in Inghilterra, ma che è voluto tornare a morire in Germania) ma voglio estrapolare alcuni suoi giudizi sulla crisi in corso; egli affermava che per affrontarla in modo produttivo bisognava tornare alle radici, agli insegnamenti di Max Weber, alle antiche virtù prussiane, alla diligenza, al senso del dovere; insomma bisogna riscoprire l’etica protestante del lavoro.
A queste virtù adesso stiamo contrapponendo una società che è un misto di liberalismo e di conservatorismo, con entrambe le componenti che vengono tirate per tutti i versi soltanto per permettere ai “padroni del vapore” di fare i propri comodi.
La società del tardo capitalismo – osservava Dahrendorf – è scivolata in un capitalismo dell’effimero, nell’edonismo dell’indebitamento irresponsabile e sono queste componenti che hanno dato origine alla crisi che sta attanagliando il mondo intero.
Per concludere mi piace ricordare una sua affermazione risalente al periodo in cui era a Bruxelles: “l’Europa è diversa in tutto: interessi, clima, tradizioni, lingue; dobbiamo imparare a convivere con la diversità” e l’altra del suo impegno politico in Germania in cui ebbe a dire che la politica è fatta dai burocrati e dai mediocri, non c’è spazio per chi eccelle”; e quando gli fecero notare che la Merkel lo aveva citato, pur senza nominarlo esplicitamente, commentò: “forse la signora Cancelliera ha sentito che è di moda parlare di cultura”. Questo è “un po’” di Ralf Dahrendorf!!
giovedì, giugno 18, 2009
LE ELEZIONI IN IRAN
Continuano in Iran le manifestazioni dei sostenitori del candidato Mousavi, sconfitto sonoramente dal rieletto Presidente Ahmadinejad; il motivo del contendere risiede in una colossale truffa che sarebbe stata perpetrata ai seggi elettorali per favorire il candidato degli Ajatollah a danno di quello definito “moderato”; la vittoria del Presidente si è concretizzata con una massa di voti pari al 62,64%, mentre l’avversario si è fermato al 34,7%, quindi il sistema per imbrogliare deve essere stato di grande finezza, perché avrebbe dovuto spostare una massa di voti molto importante.
Il trucco infatti – semplice ma geniale – consisterebbe nell’attribuzione dei numeri di lista ai due candidati: Mousavi ha avuto il numero “4” e Ahmadinejad il “44”; facile - in sede di scrutinio - aggiungere ai vari “4” un altro “4” a fianco in modo che venisse fuori un “44”, appunto il numero del Presidente che avrebbe così battuto l’avversario.
Così viene raccontata e così ve la riporto; c’è da aggiungere che oltre il 60% dei rappresentanti di lista di Mousavi non sono stati fatti entrare nei seggi con scuse le più disparate e quindi il giochetto che ho sopra illustrato è stato facile farlo.
Ma al di là dei brogli elettorali, possibili ma di difficile individuazione, cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando, cioè che cosa rappresentano i due candidati alla Presidenza dell’Iran; sono stati definiti l’uno (Mousavi) “moderato”, ma non si capisce cosa voglia dire e l’altro (Ahmadinejad) “conservatore”, che starebbe a significare il continuatore dell’opera dell’Ajatollah Komeini e dei pasdaran, l’esercito del popolo.
Cercando meglio, si viene a scoprire che Ahmadinejad rappresenta gli interesse ed i valori dei due terzi della popolazione iraniana, quella più povera, disagiata, anche se non necessariamente la più incolta, mentre Mousavi è sostenuto dalla ricca borghesia iraniana che gravita attorno al petrolio e che strizza l’occhio all’occidente.
Quindi – ed ecco il motivo di tanta agitazione – si tratta di “interessi” contrapposti che si vanno scontrando e la sconfitta di Mousavi è vista male dall’intero occidente che aveva puntato le proprie carte proprio sul candidato “moderato”.
Ahmadinejad ha dichiarato, a proposito di queste manifestazioni, che esse sono state amplificate dai media occidentali, in quanto “per gli occidentali, le elezioni sono valide quando vincono gli amici, sono nulle quando le vincono i loro avversari”.
E in questo non possiamo dargli torto, perché un caso simile avvenne nel 1991 in Algeria, quando le prime elezioni libere dopo trent’anni di una dittatura sanguinaria, furono vinte dal Fis (Fronte Islamico di Salvezza) con il 78% dei suffragi, ma furono subito annullate per le pressioni dell’occidente, dando così origine alla sanguinosa guerra civile algerina che vede da una parte l’Islam e dall’altra le forze cosiddette “democratiche”.
Ma torniamo all’Iran: noi lo consideriamo un residuo del Medioevo, con quegli omoni dalle lunghe barbe, infagottati in lunghe tonache nere, ma Ahmadinejad non veste così e non porta la barba; il Paese ha alcune conquiste che non tutto l’occidente possiede, tipo la possibilità di abortire fino al 45° giorno, inoltre esiste il divorzio e l’intervento chirurgico per il cambiamento di sesso è pagato dalla mutua; inoltre, la prostituzione è legale e il numero dei laureati è superiore al nostro; e per concludere, le donne votano e – benché portino il velo, vero cruccio dell’occidente – hanno libero accesso a tutti i mestieri. Il problema base per quel Paese mi sembra la grande quantità di esecuzioni capitali (secondi solo alla Cina), dovute al carattere “teocratico” della legge, ma questo nessuno dei due candidati lo aveva nel proprio programma!!
Il trucco infatti – semplice ma geniale – consisterebbe nell’attribuzione dei numeri di lista ai due candidati: Mousavi ha avuto il numero “4” e Ahmadinejad il “44”; facile - in sede di scrutinio - aggiungere ai vari “4” un altro “4” a fianco in modo che venisse fuori un “44”, appunto il numero del Presidente che avrebbe così battuto l’avversario.
Così viene raccontata e così ve la riporto; c’è da aggiungere che oltre il 60% dei rappresentanti di lista di Mousavi non sono stati fatti entrare nei seggi con scuse le più disparate e quindi il giochetto che ho sopra illustrato è stato facile farlo.
Ma al di là dei brogli elettorali, possibili ma di difficile individuazione, cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando, cioè che cosa rappresentano i due candidati alla Presidenza dell’Iran; sono stati definiti l’uno (Mousavi) “moderato”, ma non si capisce cosa voglia dire e l’altro (Ahmadinejad) “conservatore”, che starebbe a significare il continuatore dell’opera dell’Ajatollah Komeini e dei pasdaran, l’esercito del popolo.
Cercando meglio, si viene a scoprire che Ahmadinejad rappresenta gli interesse ed i valori dei due terzi della popolazione iraniana, quella più povera, disagiata, anche se non necessariamente la più incolta, mentre Mousavi è sostenuto dalla ricca borghesia iraniana che gravita attorno al petrolio e che strizza l’occhio all’occidente.
Quindi – ed ecco il motivo di tanta agitazione – si tratta di “interessi” contrapposti che si vanno scontrando e la sconfitta di Mousavi è vista male dall’intero occidente che aveva puntato le proprie carte proprio sul candidato “moderato”.
Ahmadinejad ha dichiarato, a proposito di queste manifestazioni, che esse sono state amplificate dai media occidentali, in quanto “per gli occidentali, le elezioni sono valide quando vincono gli amici, sono nulle quando le vincono i loro avversari”.
E in questo non possiamo dargli torto, perché un caso simile avvenne nel 1991 in Algeria, quando le prime elezioni libere dopo trent’anni di una dittatura sanguinaria, furono vinte dal Fis (Fronte Islamico di Salvezza) con il 78% dei suffragi, ma furono subito annullate per le pressioni dell’occidente, dando così origine alla sanguinosa guerra civile algerina che vede da una parte l’Islam e dall’altra le forze cosiddette “democratiche”.
Ma torniamo all’Iran: noi lo consideriamo un residuo del Medioevo, con quegli omoni dalle lunghe barbe, infagottati in lunghe tonache nere, ma Ahmadinejad non veste così e non porta la barba; il Paese ha alcune conquiste che non tutto l’occidente possiede, tipo la possibilità di abortire fino al 45° giorno, inoltre esiste il divorzio e l’intervento chirurgico per il cambiamento di sesso è pagato dalla mutua; inoltre, la prostituzione è legale e il numero dei laureati è superiore al nostro; e per concludere, le donne votano e – benché portino il velo, vero cruccio dell’occidente – hanno libero accesso a tutti i mestieri. Il problema base per quel Paese mi sembra la grande quantità di esecuzioni capitali (secondi solo alla Cina), dovute al carattere “teocratico” della legge, ma questo nessuno dei due candidati lo aveva nel proprio programma!!
mercoledì, giugno 17, 2009
ANCORA LE B.R.?
All’indomani della conclusione del processo di Milano che ha condannato 14 dei 17 imputati a pene tra i 3 e i 14 anni, sarei tentato di riprendere un discorso che sembrava interrotto dal tragico omicidio Moro e successivo annientamento dell’intera colonna romana delle B.R.
In quest’ultima circostanza, abbiamo assistito anche ad una sorta di “sceneggiata” (mi perdoni il celebre giuslavorista) messa in piedi dal Prof. Ichino che ha tentato di “scambiare” la provvisionale di risarcimento fissata dal giudice con un incontro con questi veri o presunti appartenenti alle nuove BR, per un confronto “a parole”; come era facile prevedere, l’incontro è stato sdegnosamente rifiutato in quanto “con il massacratore di operai Ichino non si parla ma si agisce”.
Ma la cosa che più mi ha impressionato è stata la foto che molti quotidiani hanno pubblicato, nella quale si vede un gruppo di persone, una ventina quasi tutti giovani ma non giovanissimi, che saluta con il pugno chiuso i “compagni condannati”: mi hanno riportato indietro nel tempo, agli anni ’80 e mi hanno ricordato che le immagini sono sempre le stesse e le frasi anche.
Sentite queste, dopo che anche questa volta, la saldatura tra rivoluzionari e proletari; non sembra essersi concretizzata: “Le BR non vanno mai in pensione, sopravvivono e si riproducono di volta in volta! Agiremo sino alla morte” non è dato sapere se la morte è quella dei rivoluzionari oppure quella dei borghesi, storici nemici del proletariato.
Ma perché anche questa ennesima colonna delle BR è nata e fa proseliti, nonostante che il presupposto essenziale – movimento del proletariato guidato da una elité – continui a non verificarsi; forse sperano ancora? Forse hanno individuato il sistema con cui agganciare il proletariato operaio?
A questo proposito mi permetto di fornire una qualche idea – non mia ma di uno molto più “intellettuale” di me, Pier Paolo Pasolini – che affermava come il nostro proletariato aveva una sola velleità: quella di entrare a far parte della borghesia e non certo quella di sostituirla a livello di classe sociale dominante.
Ed è per questo motivo che negli ultimi tempi Pasolini si era spostato sul sottoproletariato, confidando in maggiori aneliti rivoluzionari da parte di coloro che non avevano niente da difendere; il grande regista non fece in tempo a vedere cosa stava succedendo alla sua categoria prescelta in quanto la morte prematura ce lo strappò, ma non sarebbe stato certamente soddisfatto di come andavano le cose.
Se facciamo un parallelismo si potrebbe dire che il sottoproletariato attuale è impersonificato dalla gran massa dei migranti che arrivano nel nostro Paese senza nessun’altro bagaglio che una speranza di migliorare la propria condizione sociale; ma a questa massa di gente manca una condizione essenziale: una minima presa di coscienza rivoluzionaria, un atteggiamento da “classe” e non da “massa”.
A proposito di questa suddivisione, mi viene spontaneo parlare di uno dei “perché” non c’è e, forse, non ci sarà nessuna rivoluzione, nonostante le enormi differenze sociali e le precarie condizioni di vita di molti proletari: conoscete già il mio orientamento, per il quale do la colpa di tutto alla comunicazione di massa ed infatti anche in questo caso dico che per fare un atto come la rivoluzione bisogna “scegliere” e noi, ormai, non siamo più in possesso di criteri personali di scelta, ma operiamo con scelte che ci vengono imposti dalla testa di altre persone, le quali, ovviamente, non ci forniranno certamente il necessario “anelito rivoluzionario”: chiaro il concetto??
In quest’ultima circostanza, abbiamo assistito anche ad una sorta di “sceneggiata” (mi perdoni il celebre giuslavorista) messa in piedi dal Prof. Ichino che ha tentato di “scambiare” la provvisionale di risarcimento fissata dal giudice con un incontro con questi veri o presunti appartenenti alle nuove BR, per un confronto “a parole”; come era facile prevedere, l’incontro è stato sdegnosamente rifiutato in quanto “con il massacratore di operai Ichino non si parla ma si agisce”.
Ma la cosa che più mi ha impressionato è stata la foto che molti quotidiani hanno pubblicato, nella quale si vede un gruppo di persone, una ventina quasi tutti giovani ma non giovanissimi, che saluta con il pugno chiuso i “compagni condannati”: mi hanno riportato indietro nel tempo, agli anni ’80 e mi hanno ricordato che le immagini sono sempre le stesse e le frasi anche.
Sentite queste, dopo che anche questa volta, la saldatura tra rivoluzionari e proletari; non sembra essersi concretizzata: “Le BR non vanno mai in pensione, sopravvivono e si riproducono di volta in volta! Agiremo sino alla morte” non è dato sapere se la morte è quella dei rivoluzionari oppure quella dei borghesi, storici nemici del proletariato.
Ma perché anche questa ennesima colonna delle BR è nata e fa proseliti, nonostante che il presupposto essenziale – movimento del proletariato guidato da una elité – continui a non verificarsi; forse sperano ancora? Forse hanno individuato il sistema con cui agganciare il proletariato operaio?
A questo proposito mi permetto di fornire una qualche idea – non mia ma di uno molto più “intellettuale” di me, Pier Paolo Pasolini – che affermava come il nostro proletariato aveva una sola velleità: quella di entrare a far parte della borghesia e non certo quella di sostituirla a livello di classe sociale dominante.
Ed è per questo motivo che negli ultimi tempi Pasolini si era spostato sul sottoproletariato, confidando in maggiori aneliti rivoluzionari da parte di coloro che non avevano niente da difendere; il grande regista non fece in tempo a vedere cosa stava succedendo alla sua categoria prescelta in quanto la morte prematura ce lo strappò, ma non sarebbe stato certamente soddisfatto di come andavano le cose.
Se facciamo un parallelismo si potrebbe dire che il sottoproletariato attuale è impersonificato dalla gran massa dei migranti che arrivano nel nostro Paese senza nessun’altro bagaglio che una speranza di migliorare la propria condizione sociale; ma a questa massa di gente manca una condizione essenziale: una minima presa di coscienza rivoluzionaria, un atteggiamento da “classe” e non da “massa”.
A proposito di questa suddivisione, mi viene spontaneo parlare di uno dei “perché” non c’è e, forse, non ci sarà nessuna rivoluzione, nonostante le enormi differenze sociali e le precarie condizioni di vita di molti proletari: conoscete già il mio orientamento, per il quale do la colpa di tutto alla comunicazione di massa ed infatti anche in questo caso dico che per fare un atto come la rivoluzione bisogna “scegliere” e noi, ormai, non siamo più in possesso di criteri personali di scelta, ma operiamo con scelte che ci vengono imposti dalla testa di altre persone, le quali, ovviamente, non ci forniranno certamente il necessario “anelito rivoluzionario”: chiaro il concetto??
martedì, giugno 16, 2009
ZIBALDONE N.6
In queste prime giornate veramente calde, cerco un po’ di refrigerio in tre argomenti che mi hanno interessato e che, pur nella loro variegata consistenza, spero suscitino anche il vostro interesse.
IL PRIMO argomento si riferisce ad una frase che il Papa ha detto domenica scorsa all’Angelus: “è assolutamente inaccettabile che centinaia di milioni di persone continuino a soffrire la fame nel mondo e che cresca la povertà; chiedo ai potenti del mondo che usino sapienza e umanità per trasformare la crisi attuale in un’opportunità per redistribuire in modo più equo il potere e le risorse del pianeta”.
Tutto giusto, tutto condivisibile, solo che un patito di cinema come me ricorda un altro discorso assai simile di un Papa – Kiril I – nel film “L’uomo venuto dal Cremino”; in esso il “papa cinematografico” fa grosso modo lo stesso discorso, ma prima dice che “la Chiesa venderà tutte le sue proprietà, tutte le sue opere d’arte, tutti i suoi palazzi per distribuire i soldi ai bisognosi del mondo”.
In sostanza, Kiril I, prima vende le sue proprietà, rischiando addirittura di condurre la Chiesa “mendica nel mondo” e solo dopo invoca la liberalità e la sapienza dei potenti della Terra per risolvere il problema della fame nel mondo e della disuguaglianza sociale tra le genti: se permettete c’è una certa differenza!
IL SECONDO argomento riguarda una situazione che si va creando all’interno del Parlamento Europeo: ricorderete che il P.C.I. – avo dell’attuale PD – chiese ripetutamente di entrare nel gruppo del Pse (partito socialista europeo), ma finché Craxi rimase sulla breccia, pose sempre il veto a questa operazione; adesso, visto che di “socialisti puri” non c’è rimasto gran ché, il Pse si trasforma in “Alleanza dei Socialisti e dei Democratici” e questo dovrebbe consentire il tranquillo ingresso del PD che, com’è noto è formato dagli eredi del PCI e da parte di quelli della DC
Sembra comunque che alcuni degli ex democristiani continuino a puntare i piedi (in particolare l’on. Rutelli) e quindi si fa fatica a mettere tutti d’accordo: eppure nel nome del gruppo è chiaramente specificato il “socialismo” e la “democrazia”, dunque che cosa si vuole ancora?.
IL TERZO argomento è di natura giuridica e riguarda una sentenza a “soli” 14 anni inflitta dalla Corte d’Appello di Genova a tale Angelo Piro che ha avuto la sventura di scoprire la moglie, dalla quale aveva avuto due figli, nuda su un divano in compagnia di tale Grasso, anch’esso nudo che stavano facendo quello che si comprende benissimo; il Piro, estratta la pistola posseduta legalmente in quanto metronotte, intima al Grasso di uscire di casa, ma questi gli si scaglia contro ed allora il marito tradito, gli esplode sei colpi della sua arma.
La Corte d’Appello, pur non riconoscendo il “delitto d’onore”, ha applicato nella sentenza le specifiche attenuanti derivanti dalla situazione particolare: il Piro non era a conoscenza della relazione della moglie; è rientrato in casa senza nulla sospettare; si è trovato di fronte alla scena dei due corpi nudi abbracciati sul divano del salotto.
La reazione del metronotte è stata considerata “scioccante” e infatti la Cassazione ha scritto di recente che “sorprendere moglie e amante nudi è uno choc emotivo di cui tenere conto”. Quindi nessuno scandalo e nessun ripristino del “delitto d’onore”, ma semplice applicazione delle attenuanti del caso; la magistratura, contro la quale varie volte mi sono scagliato, in questo caso ha bene agito e quindi merita i nostri complimenti.
IL PRIMO argomento si riferisce ad una frase che il Papa ha detto domenica scorsa all’Angelus: “è assolutamente inaccettabile che centinaia di milioni di persone continuino a soffrire la fame nel mondo e che cresca la povertà; chiedo ai potenti del mondo che usino sapienza e umanità per trasformare la crisi attuale in un’opportunità per redistribuire in modo più equo il potere e le risorse del pianeta”.
Tutto giusto, tutto condivisibile, solo che un patito di cinema come me ricorda un altro discorso assai simile di un Papa – Kiril I – nel film “L’uomo venuto dal Cremino”; in esso il “papa cinematografico” fa grosso modo lo stesso discorso, ma prima dice che “la Chiesa venderà tutte le sue proprietà, tutte le sue opere d’arte, tutti i suoi palazzi per distribuire i soldi ai bisognosi del mondo”.
In sostanza, Kiril I, prima vende le sue proprietà, rischiando addirittura di condurre la Chiesa “mendica nel mondo” e solo dopo invoca la liberalità e la sapienza dei potenti della Terra per risolvere il problema della fame nel mondo e della disuguaglianza sociale tra le genti: se permettete c’è una certa differenza!
IL SECONDO argomento riguarda una situazione che si va creando all’interno del Parlamento Europeo: ricorderete che il P.C.I. – avo dell’attuale PD – chiese ripetutamente di entrare nel gruppo del Pse (partito socialista europeo), ma finché Craxi rimase sulla breccia, pose sempre il veto a questa operazione; adesso, visto che di “socialisti puri” non c’è rimasto gran ché, il Pse si trasforma in “Alleanza dei Socialisti e dei Democratici” e questo dovrebbe consentire il tranquillo ingresso del PD che, com’è noto è formato dagli eredi del PCI e da parte di quelli della DC
Sembra comunque che alcuni degli ex democristiani continuino a puntare i piedi (in particolare l’on. Rutelli) e quindi si fa fatica a mettere tutti d’accordo: eppure nel nome del gruppo è chiaramente specificato il “socialismo” e la “democrazia”, dunque che cosa si vuole ancora?.
IL TERZO argomento è di natura giuridica e riguarda una sentenza a “soli” 14 anni inflitta dalla Corte d’Appello di Genova a tale Angelo Piro che ha avuto la sventura di scoprire la moglie, dalla quale aveva avuto due figli, nuda su un divano in compagnia di tale Grasso, anch’esso nudo che stavano facendo quello che si comprende benissimo; il Piro, estratta la pistola posseduta legalmente in quanto metronotte, intima al Grasso di uscire di casa, ma questi gli si scaglia contro ed allora il marito tradito, gli esplode sei colpi della sua arma.
La Corte d’Appello, pur non riconoscendo il “delitto d’onore”, ha applicato nella sentenza le specifiche attenuanti derivanti dalla situazione particolare: il Piro non era a conoscenza della relazione della moglie; è rientrato in casa senza nulla sospettare; si è trovato di fronte alla scena dei due corpi nudi abbracciati sul divano del salotto.
La reazione del metronotte è stata considerata “scioccante” e infatti la Cassazione ha scritto di recente che “sorprendere moglie e amante nudi è uno choc emotivo di cui tenere conto”. Quindi nessuno scandalo e nessun ripristino del “delitto d’onore”, ma semplice applicazione delle attenuanti del caso; la magistratura, contro la quale varie volte mi sono scagliato, in questo caso ha bene agito e quindi merita i nostri complimenti.
lunedì, giugno 15, 2009
GHEDDAFI IN ITALIA
La visita di Gheddafi in Italia ha avuto alcuni risvolti che meritano riflessione e approfondimento; anzitutto diciamo che è avvenuta all’indomani dell’accordo siglato con Berlusconi per la sistemazione di alcuni contenziosi: il prima è contenimento dei tanti africani che si ammassano nei porti libici per fare rotta sull’Italia e l’altra è il modo di far scucire un po’ dei dollari che Gheddafi incassa con il petrolio.
La prima operazione è andata in porto con il “regalo” di alcune navi costiere che dovrebbero indurre i libici a pattugliare le loro coste; a questo si è aggiunta una cifra colossale – sia pure rateizzata – per i danni di guerra causati dal nostro colonialismo.
Per fare scucire un po’ dei soldi al leader libico è stato abbastanza facile, in quanto sono talmente tanti quelli che incassa quotidianamente, che deve trovare uno sbocco (ricordate l’acquisto di azioni FIAT ai tempi dell’Avvocato Agnelli?); adesso questo investimento si chiama ENI, al cui aumento di capitale ed al successivo prestito obbligazionario Gheddafi ha promesso cifre importanti.
Ma in occasione della sua permanenza in Italia – prima volta nella storia delle relazioni tra i due paesi – ci sono stati anche occasioni per dire cose “non gradite” che, comunque, hanno un senso: la prima è quella frase che recita: “L’America non vuole la libertà dei popoli, vuole sottomettere il mondo”: e qui, salvo vedere come si comporterà Obama, non possiamo opporre alcuna obiezione. Ha poi detto una frase che ha colpito ancora di più ed è quella in cui afferma che “non c’è differenza tra gli attacchi americani contro la Libia del 1986 e il terrorismo di Osama Bin Laden”; anche in questo caso, specie se ci ricordiamo che in quei bombardamenti venne uccisa la moglie di Gheddafi e ferita gravemente la figlia, ci vediamo costretti a perdonare l’ardito accostamento, che se proponibile nella forma non lo è nella sostanza.
Ma la frase più interessante è forse quella che ricorda come “l’Iraq era una fortezza contro il terrorismo; con Saddam Hussein Al Qaida non poteva entrare; ora, grazie agli USA, l’Iraq è un’arena aperta e Al Qaida ringrazia”; in sostanza aumenta di una nuova sfaccettatura la vasta gamma di sciocchezze commesse da Bush in occasione della improvvida guerra contro l’Iraq, nella quale sono stati trascinati tanti altri Paesi e molti di loro sono ancora invischiati nella guerriglia che è in atto.
Possiamo quindi affermare che Gheddafi è diventato improvvisamente saggio e riesce a non dire più corbellerie? Forse l’età che passa è un grande antidoto alle sciocchezze ed anche le cariche che sta assumendo nel variegato mondo arabo sono un freno alla lingua del leader libico; fatto sta che nelle dichiarazioni pubbliche rese durante la sua visita, non ci trovo niente di scandaloso: diciamo che si è comportato da leader dei paesi arabi minori e da quella carica ha bacchettato i paesi occidentali maggiori.
Per concludere, voglio ricordare una ulteriore dichiarazione che ha fatto discutere i commentatori occidentali; Gheddafi, dopo avere “condannato pienamente Al Qaida”, ha ribadito che non è sufficiente condannare, ma dobbiamo anche ragionare sui motivi di certe atrocità (le Torri Gemelle?); perché dobbiamo rispondere con altre atrocità? Se non accettiamo di dialogare con i terroristi mettiamo in atto una politica sterile; dobbiamo dialogare anche con il diavolo se questo può portare ad una soluzione”.
Mi dispiace perché il personaggio mi è antipatico “a pelle”, ma non riesco a dargli pienamente torto in queste sue affermazioni; ed i continui ritardi alle manifestazioni istituzionali, mi sono sembrate ripicche di un “colonizzato” verso gli “ex colonizzatori” e quindi…ci vuole un po’ di pazienza.
La prima operazione è andata in porto con il “regalo” di alcune navi costiere che dovrebbero indurre i libici a pattugliare le loro coste; a questo si è aggiunta una cifra colossale – sia pure rateizzata – per i danni di guerra causati dal nostro colonialismo.
Per fare scucire un po’ dei soldi al leader libico è stato abbastanza facile, in quanto sono talmente tanti quelli che incassa quotidianamente, che deve trovare uno sbocco (ricordate l’acquisto di azioni FIAT ai tempi dell’Avvocato Agnelli?); adesso questo investimento si chiama ENI, al cui aumento di capitale ed al successivo prestito obbligazionario Gheddafi ha promesso cifre importanti.
Ma in occasione della sua permanenza in Italia – prima volta nella storia delle relazioni tra i due paesi – ci sono stati anche occasioni per dire cose “non gradite” che, comunque, hanno un senso: la prima è quella frase che recita: “L’America non vuole la libertà dei popoli, vuole sottomettere il mondo”: e qui, salvo vedere come si comporterà Obama, non possiamo opporre alcuna obiezione. Ha poi detto una frase che ha colpito ancora di più ed è quella in cui afferma che “non c’è differenza tra gli attacchi americani contro la Libia del 1986 e il terrorismo di Osama Bin Laden”; anche in questo caso, specie se ci ricordiamo che in quei bombardamenti venne uccisa la moglie di Gheddafi e ferita gravemente la figlia, ci vediamo costretti a perdonare l’ardito accostamento, che se proponibile nella forma non lo è nella sostanza.
Ma la frase più interessante è forse quella che ricorda come “l’Iraq era una fortezza contro il terrorismo; con Saddam Hussein Al Qaida non poteva entrare; ora, grazie agli USA, l’Iraq è un’arena aperta e Al Qaida ringrazia”; in sostanza aumenta di una nuova sfaccettatura la vasta gamma di sciocchezze commesse da Bush in occasione della improvvida guerra contro l’Iraq, nella quale sono stati trascinati tanti altri Paesi e molti di loro sono ancora invischiati nella guerriglia che è in atto.
Possiamo quindi affermare che Gheddafi è diventato improvvisamente saggio e riesce a non dire più corbellerie? Forse l’età che passa è un grande antidoto alle sciocchezze ed anche le cariche che sta assumendo nel variegato mondo arabo sono un freno alla lingua del leader libico; fatto sta che nelle dichiarazioni pubbliche rese durante la sua visita, non ci trovo niente di scandaloso: diciamo che si è comportato da leader dei paesi arabi minori e da quella carica ha bacchettato i paesi occidentali maggiori.
Per concludere, voglio ricordare una ulteriore dichiarazione che ha fatto discutere i commentatori occidentali; Gheddafi, dopo avere “condannato pienamente Al Qaida”, ha ribadito che non è sufficiente condannare, ma dobbiamo anche ragionare sui motivi di certe atrocità (le Torri Gemelle?); perché dobbiamo rispondere con altre atrocità? Se non accettiamo di dialogare con i terroristi mettiamo in atto una politica sterile; dobbiamo dialogare anche con il diavolo se questo può portare ad una soluzione”.
Mi dispiace perché il personaggio mi è antipatico “a pelle”, ma non riesco a dargli pienamente torto in queste sue affermazioni; ed i continui ritardi alle manifestazioni istituzionali, mi sono sembrate ripicche di un “colonizzato” verso gli “ex colonizzatori” e quindi…ci vuole un po’ di pazienza.