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sabato, ottobre 08, 2005

Era ora Signor Presidente 

Giorni addietro il nostro Presidente della Repubblica, in visita ufficiale ad Aosta, ha sventolato, metaforicamente il tricolore ed ha esclamato: "Date slancio alle nostre imprese, l’Italia ce la può fare: comprate prodotti italiani".
Di tutta questa affermazione, la parte che reputo più interessante – ed anche nuova – è l’ultima, quella cioè che incita il consumatore italiano a comprare merce prodotta nel suo paese: dovete convenire con me che per un europeista convinto come Ciampi è un bel passo avanti, oppure indietro, scegliete voi.
Fatto sta che gli elogi che in ogni visita all’estero il nostro Presidente rivolgeva agli imprenditori italiani, ringraziandoli per il grande impegno profuso ai fini della "delocalizzazione delle loro aziende", dell’incremento che il "genio italico" contribuiva a dare ai paesi meno sviluppati del nostro, adesso appaiono come minimo superati da una nuova situazione economica nazionale..
Evidentemente si è accorto – o qualcuno glielo ha detto – che questi paesi cosiddetti sottosviluppati stanno portando alla distruzione la nostra industria "Made in Italy" che – essendo basata soprattutto sul prezzo appetibile per gli stranieri – viene spazzata via dalla mano d’opera a bassissimo costo che produce dei prezzi per le merci d’esportazione che diventavano una frazione dei nostri.
È indubbiamente una bella cosa, almeno fin che dura, poter disporre di merce a bassissimo costo da immettere sul mercato nostrale con guadagni stratosferici, ma viene il momento in cui ci si accorge del male che si è fatto alla nostra industria, del disastro che si è compiuto ai danni dei nostri lavoratori.
Nel gennaio del corrente anno, il Primo Ministro inglese, Tony Blair, nell’assumere la presidenza della U.E. per il semestre di competenza, affermava che l’Europa – così come stava procedendo, era un grasso pachiderma buono soltanto a mangiare, che si presentava agli albori del nuovo anno con oltre 20 milioni di disoccupati e che era indispensabile fare qualcosa per cercare di invertire questa tendenza.
Niente è stato fatto allora e niente si continua a fare adesso; pensate che l’Europa non è riuscita neppure a varare una normativa per l’ingresso dei manufatti "contraffatti", cioè finti italiani o francesi o altro paese aderente; pensate che non siamo ancora riusciti a mettere un freno all’importazione del tessile cinese realizzato, palesemente, con mano d’opera sotto pagata, direi quasi ridotta in regime di schiavitù.
E adesso, si accorge anche il bravo Carlo Azeglio che dobbiamo tornare a comprare italiano, anche se costa un po’ di più, perché a gioco lungo sarà una mossa che potrà risultare vincente in questa autentica guerra economica.
Signor Presidente, una sola raccomandazione: questo incitamento ai consumatori italiani lo rivolga più spesso, ne faccia una sorta di tormentone, per vedere se riusciamo a invertire la tendenza in atto.
Grazie in anticipo!

venerdì, ottobre 07, 2005

Questi politici ne sanno una più del diavolo 

Hai voglia di mettere paletti agli arricchimenti dei politici, hai voglia di frenare gli stipendi che percepiscono dallo Stato o dagli Enti Pubblici – insomma da noi tutti – loro sono così bravi a trovare delle scappatoie che il legislatore non ce la fa a stragli dietro; c’è da dire che di tempo per pensare a come fare ne hanno a sufficienza: avete mai visto in TV o di persona una seduta di un Consiglio Regionale oppure della Camera dei Deputati: quasi tutti non mostrano alcun interesse per quello che succede in aula e fanno altre cose, tipo leggere la loro corrispondenza privata oppure addirittura un quotidiano; mi direte, ma fanno per tenersi aggiornati su quello che succede intorno a loro, ma io potrei controbattere che non capisco quale tipo di aggiornamento possono ricavare dai giornali sportivi (ho visto io personalmente la "rosea" aperta sui banchi di Montecitorio.
Sentite cosa hanno inventato alcuni Consiglieri di una regione del Nord per incrementare i loro già lauti stipendi: hanno inventato il "mestiere del pendolare", cioè si sono trasferiti dalla mamma oppure dalla nonna (ovviamente soltanto "sulla carta"), purché lontane dal capoluogo ma all’interno della regione.
Questo perché il valore del loro pendolarismo non deve essere dimostrato da idonee pezze d’appoggio, tipo fatture del benzinaio, biglietti ferroviari e cose simili, ma una norma regionale prevede un rimborso forfettario di 51 centesimi di euro per ogni chilometro di distanza dalla sede della regione e per ogni giorno lavorativo del mese.
Facciamo due conti: il consigliere che abita più lontano dal capoluogo percorre 91 chilometri ad andare ed altrettanti a rientrare nell’abitazione della mamma, per un totale di 182 Km che – computati a 0,51 euro cadauno – danno un ammontare giornaliero di 91,8 euro, per un totale mensile di circa 1.800 euro; non male, direi, per un rimborso spese, specialmente se questo è in aggiunta al normale stipendio , e ad un altro rimborso – forfettario questo e non meglio definito – di altri 3.000 euro. Possiamo dire che soltanto di "rimborsi" il nostro eroe della regione del nord percepisce quasi 5.000 euro: alla faccia delle spese!
Nella prossima finanziaria sembra che ci sia una diminuzione del 10% dei compensi agli uomini della politica (sia nazionale che regionale, provinciale e comunale) ma non si è capito se questo taglio avverrà sullo stipendio vero e proprio oppure su tutto il complesso degli emolumenti che ciascun personaggio percepisce.
Poiché mi piace usare un po’ di "cerchiobottismo", voglio ora spendere due parole in ordine al comportamento generale circa il denaro: allora, tolti alcuni rari esempi di virtù – sono già stati tutti beatificati – ognuno di noi cerca di arraffare il più possibile dalla greppia di fronte alla quale si trova a mangiare.
Mi spiego meglio, ma questo concetto l’ho già espresso tempo addietro: tutti noi ci comportiamo a seconda di come ci consentono le circostanze (potere, posto ricoperto, ecc) e quindi ognuno cerca di fare innanzitutto il proprio interesse; non vedo quindi per quale motivo i consiglieri di quella tale regione che hanno una legge che consente loro di arrangiarsi con il pendolarismo, dovrebbero rinunciare a siffatti benefici: finché gli dura è grasso che cola!
Con queste mie affermazioni non voglio prendere la patente di "cinico", ma soltanto essere considerato realista.

giovedì, ottobre 06, 2005

I Vescovi e il divorzio 

E’ in corso a Roma il primo Sinodo dell’era di Papa Benedetto XVI, che vede presenti la bellezza di 241 Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo: il tema dell’incontro è l’Eucarestia.
Con questo tema all’ordine del giorno, è ovvio che il discorso – specialmente a latere degli interventi ufficiali – sia scivolato sul divieto di consentire ai divorziati di prendere la Comunione e, da più parti, si è invocata una maggiore apertura verso questo problema che finora le gerarchie della Chiesa – con in testa Ratzinger nella sua vecchia carica di Prefetto per la Congregazione della Fede - hanno sempre affrontato in maniera assolutamente negativa.
Le maggiori pressioni perché la Chiesa riveda la propria posizione, vengono da un vero e proprio esercito di "VIP", sia del campo dello spettacolo e sia di quello politico, anzi – per mettere in grado i Vescovi di esaminare la situazione alla luce di autentiche "realtà storiche" – sarebbe interessante che il Vaticano promuovesse una sorta di "rilevazione statistica" riferita ai visitatori degli ultimi cinque anni ai Pontefici e calcolasse la percentuale di quelli che, essendo divorziati, erano in "grave peccato mortale": tanto per citare un paio di nomi di quelli che mi vengono in mente, sia Berlusconi che Casini sono divorziati e vivono con un'altra donna dalla quale hanno avuto "altri" figli da aggiungere ai precedenti.
E dire che entrambi mi sembra di poterli annoverare tra i più devoti "battiginocchi" della compagnia.
Tra la gente di spettacolo il più scalmanato a chiedere una sorta di "amnistia ecclesiastica" mi è sembrato Pippo Baudo che, all’epoca in cui si mise con Katia Ricciarelli (già lasciata e sostituita, peraltro) era già sposato e aveva una figlia che ora è grandicella: ebbene in virtù di queste circostanze ha avuto diversi problemini, uno dei quali è stato quello di non poter fare il padrino in occasione di un battesimo e, anzi, di essere stato cacciato dalla Chiesa.
Insomma il Pippo Nazionale afferma che la Chiesa del Perdono non può rifiutare questo perdono proprio a coloro che continuano a frequentarla: per inciso, pur non essendo un esperto di catechismo, mi sembra però che a questo discorso manchi un pezzo e cioè, la Chiesa può perdonare, come di fatto avviene col Sacramento della Confessione, ma soltanto se colui o colei che chiede il perdono mostra un autentico pentimento, altrimenti é tutta una manfrina e basta.
Baudo afferma anche un’altra cosa, e questa mi sembra veramente inquietante, e cioè che all’epoca della rottura del suo primo matrimonio, gli fu detto (da chi? il barista oppure un alto prelato?) che il vincolo poteva essere annullato ma soltanto con alcune condizioni da soddisfare: la più importante sarebbe stata quella di affermare alcune cose circa le modalità del matrimonio, tipo costrizione fisica o morale ed altre balle del genere.
Ho detto che quest’ultima dichiarazione di Pippo è inquietante, soprattutto perché fa il paio con quanto affermato da un Padre Sinodale: il divieto della Comunione ai divorziati è un principio che non si tocca, piuttosto si può rivedere alcune norme e rendere più agevoli le pratiche per ottenere il completo annullamento del vincolo e la conseguente possibilità di fare un nuovo matrimonio in Chiesa; tutto come se nulla fosse accaduto!
Spero di aver capito male, altrimenti mi sembra che tutto questo cozzi in modo violento contro la battaglia che il Papa ha mostrato di voler fare nei confronti del "relativismo etico", del quale quello sopra citato mi sembra un esempio da manuale.

martedì, ottobre 04, 2005

Scioperi...motivati e una mia risposta ad un lettore 

Qualcuno dei miei lettori si ricorderà che tempo addietro ebbi la malaugurata idea di formulare un concetto che – grosso modo – diceva così: perché le segreterie dei Sindacati quando viene indetto uno sciopero particolarmente importante non inviano ai quotidiani (con preghiera di pubblicazione) le motivazioni che hanno indotto a questa estrema forma di protesta?
Non credo che sia scaturito dalla mia richiesta, ma i quotidiani di ieri, a proposito dello sciopero indetto per domenica 9 e lunedì 10 prossimi in tutto il settore dei trasporti (48 ore filate), hanno pubblicato le motivazioni di questa agitazione; ve le elenco, caso mai a qualcuno di voi fosse sfuggito: 1) Difesa del diritto alla libera associazione sindacale; 2) Democrazia nei posti di lavoro; 3) Ripristino diritto di sciopero; 4) Piano Nazionale dei trasporti che preveda progetti con obiettivi di sviluppo. Le sigle sindacali che hanno indotto questa manifestazione sono il SULT, il SINCOBAS e la CNL.
Quando ho letto questa roba ho avuto un mezzo sturbone, ma subito dopo mi sono ricordato del detto "chi è causa del suo mal pianga se stesso" e mi sono detto che si stava meglio quando si stava peggio, cioè si stava meglio quando ci dicevano che c’era sciopero senza tante spiegazioni, perché adesso con queste "motivazioni" io mi sento anche preso in giro (si dovrebbe dire in un altro modo ma ci sono delle signore).
Sulle presunte motivazioni a fronte delle quali è stato indotto uno sciopero di 48 ore (non un simbolico due ore) non credo che metta conto scendere in maggiori dettagli, anche perché più vado avanti e più mi arrabbio.
Un’altra cosa invece merita un minimo di attenzione: se non vado errato, due giorni di sciopero su 22 o 23 giorni lavorativi di un mese, rappresentano circa un decimo del tempo su cui si dovrebbe effettuare il computo della retribuzione, quindi i lavoratori in sciopero al 27 del mese riscuoteranno il 10% in meno – grosso modo ovviamente – del proprio stipendio: e con la miseria che abita in tutte le tasche degli italiani si possono permettere di buttare i soldi in questo modo?
Ed ora passiamo alla mia risposta ad un lettore del mio blog che mi ha inviato un commento; premetto che non ho mai replicato a nessuno – neppure agli insulti (rari) – ma questa volta voglio proprio mettere alcuni puntini sulle i, con calma, correttezza e sperando di rimanere amico di questo mio lettore.
Dunque il signore – del quale non rivelo neppure il nikname, o comunque il soprannome, per ovvi motivi di riservatezza – ha replicato ad un mio post di alcuni giorni fa in cui cercavo di individuare l’obiettivo di Osama Bin Laden, dopo gli ultimi attentati, quelie dell’Isola di Bali.
A questo mio intervento, giusto o sbagliato che sia, mi viene replicato citando tutta una serie di nefandezze compiute da Bush in Irak contro la popolazione civile, tutte cose contro le quali mi sono scagliato anch’io e non una sola volta.
Quello che però non mi appare logico, è la messa in relazione delle nefandezze di uno con le nefandezze dell’altro, e questo per due ordini di motivi: primo, Bin Laden non compie quelle azioni "in risposta" a Bush ma con un altro e ben diverso obiettivo; secondo, non posso accettare che i due personaggi vengano "paragonati", per un motivo semplicissimo: Bush fra tre anni è out, gli americani – se lo riterranno opportuno – cambieranno totalmente l’ideologia dell’inquilino della Casa Bianca; Osama temo che nessuno al mondo può schiodarlo da dove si trova e questo, caro amico, per me rappresenta una differenza sostanziale.

lunedì, ottobre 03, 2005

Spunti, anche comici, dal mondo della pubblicità 

Nel mondo della pubblicità capita di vedere quasi di tutto e, comunque sia, il tutto è molto più divertente di quello che accade nel mondo politico, dove i vecchi barbogi si atteggiano a ultime vestali dei buoni pensieri.
Cominciamo dal primo spunto, comico, che ho visto proprio ieri – 2/10, Festa dei Nonni – e si riferisce ad un augurio molto ripetuto che dagli schermi televisivi un’Azienda ha inviato "a tutti i nonni d’Italia"; volete sapere il nome del prodotto pubblicizzato: semplice, la pasta per dentiere Polident, la quale mostrando uno stile invidiabile glissa sulla tipologia del prodotto e carica di significato soltanto il nome del marchio e gli auguri.
Se ci pensiamo bene non c’è niente di cui stupirsi, poiché nella Festa degli Innamorati (14 febbraio, San Valentino) molte sono le Aziende che si rifanno a questa data e sottacendo un invito al regalo – in particolare di "lui" a "lei" – legano il prodotto reclamizzato con la festività.
E la Polident ha – sia pure con qualche accorgimento – fatto la stessa cosa: poiché non poteva invitare al regalo i nipoti, ha invitato i nonni a ricordarsi di quel prodotto che è per loro un continuo regalo, permettendo loro di mangiare bene, parlare bene e, se del caso, scambiare anche qualche bacio con il partner.
La cosa che mi ha colpito è la enorme ridondanza che è stata data alla campagna televisiva: i commercial che ho avuto modo di vedere personalmente sono stati una quantità impressionante, soprattutto considerando che si trattava di una pubblicità "di un solo giorno", non prevedendo né un prima né un dopo, ma soltanto il giorno dell’evento.
Il secondo commento sulla pubblicità televisiva in genere riguarda la percentuale dei prodotti che dedicano risorse a questa forma di contatto con il pubblico; da una ricerca condotta dall’A.P.I. (Associazione Pubblicitari Italiani) oltre il 40% del mercato è retto da aziende fornitrici di servizi di telefonia mobile, il 25% da aziende automobilistiche e quasi il 20% da finanziarie e banche.
A proposito di queste ultime, avete visto lo spot di Capitalia con tutta quella massa di comparse che rende il "plot" narrativo assai simile – per impostazione strutturale – al famoso "spot di Gandhi realizzato da Telecom; da quello spot di Capitalia non si può altro che rendersi conto che è perfettamente vero quanto affermato da varie Associazioni Consumatori quando accusano le banche italiane di essere le più care in Europa, ed infatti le banche degli altri paesi – vedasi la vicenda Antonveneta – cercano di entrare in questo mercato che al momento si mostra assai remunerativo per gli azionisti di riferimento.
Terza ed ultima "spigolatura" che ho trovato in pubblicità (cartacea questa volta) è la pagina acquistata da Sony Italia e che riporta l’immagine del volto di un giovane con sulla testa una corona di spine e, come slogan, "10 anni di passione!", alludendo al decennale dell’arrivo in Italia della Playstation.
Chiaro l’intento del pubblicitario di abbinare "la passione" dei giovanissimi nel giocare con la Palystation, alla "passione" di Gesù e, in particolare al titolo del film di Mel Gibson che si riferisce proprio a quest’ultimo aspetto della vita di Cristo.
Quasi tutte le autorità ecclesiastiche hanno gridato allo scandalo – il Cardinale Tonini, vera mosca cocchiera dei "benpensanti", in testa – ottenendo così che quell’immagine adesso viene pubblicata non solo a pagamento, ma anche nelle pagine interne dei giornali, a supporto degli articoli che illustrano le prese di posizione dei cattolici: bel risultato: bel risultato!
Bel colpo invece per l’autore della pubblicità: è riuscito a far parlare della sua campagna pubblicitaria anche al di fuori delle pianificazioni a pagamento!

domenica, ottobre 02, 2005

Bin Laden continua con gli attentati 

Proprio ieri parlavamo di Osama Bin Laden ed oggi siamo costretti a replicare, dato che nell’Isola di Bali i suoi adepti – visto che Allah non provvedeva a qualche catastrofe naturale – ci hanno pensato di persona mettendo tre bombe in un breve lasso di tempo e provocando così una trentina di morti e un centinaio di feriti.
Ovviamente, sia i morti che i feriti sono nella stragrande maggioranza dei turisti stranieri, in particolare australiani, che in questo periodo affollano la bella isola indonesiana, alla ricerca di sole, spiagge tropicali e tranquillità.
Se vogliamo cercare il motivo per il quale Al Qaeda scatena questi attentati non solo contro gli occidentali ma anche contro gli interessi di paesi a maggioranza islamica, dobbiamo fare un passo indietro e ricercare gli obiettivi della rete terroristica.
Come ho già avuto modo di affermare da oltre un anno a questa parte, l’obiettivo di Bin Laden è nient’altro che la ricostituzione del "califfato", intendendo con questa parola un regno il più ampio possibile, ma il cui nucleo fondante non è in Occidente ma in Oriente (Medio ed Estremo).
Per rifondare questo califfato che venne sbriciolato dai "crociati" prima e successivamente dalla dissoluzione dell’Impero turco, Bin Laden deve per prima cosa tenere in grossa fibrillazione le nazioni a prevalenza islamica ma che sono ormai entrate nell’orbita del benessere occidentale.
E la prima fonte di benessere – se escludiamo i proventi petroliferi nei quali c’è lo zampino dello stesso Bin Laden – è rappresentata sicuramente dal turismo ed è proprio in quei luoghi che piovono le bombe di Al Qaeda: non ci dimentichiamo che il più recente attentato messo in piedi in un paese islamico è avvenuto in Egitto, a Sharm El Sheik, famoso e rinomato luogo di affluenza turistica, non solo di occidentali ma anche giapponesi, coreani, ecc.
Tutto questo a dimostrazione che si vuole affossare l’economia di queste nazioni basata sul "peccaminoso" turismo di massa e sicuramente inviso alla mentalità contorta e squallidamente integralista del nostro Osama.
Qualcuno dei miei lettori si ricorderà che una quindicina di giorni fa ha debuttato nello sconfinato mondo di Internet un telegiornale di Al Qaeda; avrete notato come ha iniziato le trasmissioni il lettore delle notizie, completamente bendato e con il mitra sul tavolo? Ha annunciato che quello era il primo telegiornale del "califfato", presentando così a tutto il mondo la creatura di Bin Laden e contemporaneamente l’obiettivo finale del terrorista islamico.
Contrastare un tale avversario mi sembra molto difficile, specie per il nostro "molliccio" mondo occidentale, al quale anche gli orientali che cercano di progredire fanno riferimento (Indonesiani, Egiziani, ecc.); mentre gli islamici – forse non tutti ma sicuramente molti – hanno come obiettivo la conquista del potere e la conseguente "felicità" in terra, a noi resta soltanto una blanda strategia difensiva che richiede un enorme dispendio di energie e di denari e non produce niente di buono.
Come fare a sconfiggere i terroristi? Anzitutto rendersi conto con precisione della situazione e non continuare a nascondersi dietro le solite frasi fatte tipo "portiamogli il benessere e smetteranno di fare gli attentati" ed altre del genere, perché il problema sta tutto da un’altra parte, perché anzi cerchiamo di capire che è proprio questo benessere che viene combattuto da Al Qaeda.
E allora? Ripeto: cominciamo con il chiamare le cose con il loro nome, poi da lì partire!

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