venerdì, febbraio 01, 2013
LA MORTE DEI LIBRI
In questa crisi senza fine, in questa
distruzione di qualunque cosa che non
generi profitto, i libri sono “il ventre molle” del problema e sono
quelli che ci rimettono ancora più di altri; come i miei amici lettori avranno avuto
modo di vedere, nelle nostre città le librerie stanno chiudendo a vista
d’occhio e le poche rimaste sono in attesa di fare la stessa fine; ma dove
vanno a finire i libri dei negozi che chiudono?
C’è una struttura – la “Opportunity” –
che in un “castello” vicino a
Sant’Arcangelo di Romagna impila milioni e milioni di libri provenienti da
strutture che non li possono più ospitare oppure sono “fuori catalogo” e quindi
occupano solo spazio; il titolare della struttura, Marco Mattioli, afferma che
il suo lavoro è quello di dare “una seconda chance ai libri” e quindi si può
assistere alla morte o alla resurrezione di alcuni volumi che, messi in vendita
a poco prezzo, possono avere una nuova vita.
Il tutto è molto bello, molto romantico ma
anche significativo – specie per uno come me appassionato di cinema – in quanto
richiama alla mente un celebre film “Fahrenheit 451”, diretto nel 1966 da
Francois Truffaut, tratto dall’omonimo libro fantascientifico di Ray Bradbury;
in questa opera, si assiste alla presenza continua ed ossessiva di uno schermo
televisivo casalingo che costringe la popolazione ad una ebete sudditanza nei
confronti del potere; i libri – sovversivi per definizione – costituiscono una
possibile via di fuga verso nuovi orizzonti.
Ed allora la struttura del potere incarica i
Pompieri di distruggere tutti i libri in circolazione in quanto “rendono la
vita di chi li legge triste”, dato che “fanno
credere che le vite immaginarie dei protagonisti possano essere vissute anche
dai lettori, causando così forti frustrazioni” e quindi solo bruciandoli tutti
- alla temperatura prescritta di 451 gradi fahrenheit – gli uomini saranno
veramente tutti uguali e felici.
Ed è sintomatico un dialogo tra il
protagonista – il Pompiere Montag - ed un suo collega: stammi a sentire Montag,
a tutti noi una volta nella carriera viene la curiosità di sapere cosa c’è in
questi libri; ci viene come una specie di smania; beh, dai retta a me, Montag,
non c’è niente lì, i libri non hanno niente da dire!
Ed un altro film mi viene alla mente:
“L’attimo fuggente”, interpretato da un superbo Robin Williams e rivedo un
certo numero di giovanotti che si passano di mano il cestino della carta
straccia per farci canestro con le pagine strappate al loro libro di testo e
questi sono momenti in cui l’opera si carica di significazioni che poi
esplodono nella frase di Williams “noi non leggiamo e scriviamo poesie perché è
carino farlo; noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza
umana e la razza umana è piena di passione”.
Questa frase racchiude una grande verità: la
battaglia per la sopravvivenza in un mondo sempre più affollato, sempre più
tecnologico, sempre meno viscerale; ma allo stesso tempo ne individua la morte
sotto forma di nemico, di cupo mietitore che pertanto lascerà il campo alle
schermo immanente dei tristi appartamenti pieni di gente che sa tutto delle
nuove tecnologie ma non conosce una sola riga di poesia e, quel che è peggio,
non ne sente assolutamente il desiderio; che sia questo – al di là della crisi
immanente – il problema delle librerie che vanno scomparendo??
Dice il filosofo Simmel che la tecnologia ha
creato un meccanismo che ha invertito le posizioni, subordinando l’uomo alla
tecnologia e alle proprie esigenze, massificandolo, omologandolo e togliendogli
identità e soggettività e rendendolo sempre più incapace di opporsi al mostro
che lo sta divorando come il serpente con il coniglio.
mercoledì, gennaio 30, 2013
DELIRIO DA GIOCO
Il nome scientifico è “ludopatia”, cioè dipendenza incontrollabile dal gioco d’azzardo e per la prima volta un Giudice del Tribunale di La Spezia ha deciso che un signore quarantenne – che chiameremo convenzionalmente Mario – non è tenuto a restituire i soldi (oltre 40/mila euro) di debito per vaglia cambiari ed assegni firmati ad alcuni Titolari di Agenzie che lo facevano giocare a credito.
Quindi, quei soldi non dovrà restituirli in
quanto “malato di gioco” o, per meglio dire, quando giocava e s’indebitava era
“incapace d’intendere”; insomma adesso la sentenza conferisce un nome alla
“malattia” che ha preso il nostro Mario , il quale per diversi anni ha
trascorso le sue giornate a scommettere, a tutto quello su cui si può scommettere;
era arrivato a scommettere oltre 500 euro al giorno; quanti anni bruciati
sull’altare delle scommesse!!
Questo comportamento gli ha procurato la
perdita del posto di lavoro, il suo matrimonio è andato in fumo e la moglie ha
anche ottenuto l’affidamento dei due figli; poi la “resurrezione”, grazie ad
una struttura terapeutica dove i genitori e i famigliari l’avevano convinto a
ricoverarsi.
È uscito con una “nuova pelle” e quindi
sembrava che questo fosse il lieto fine, ma non veniva tenuto conto dei debiti
che Mario aveva contratto durante gli anni di “malattia”, quei famosi 40/mila
euro che gli erano stati anticipati da un’Agenzia presso cui giocava; disperato
e senza alcuna speranza di poter raggranellare i soldi per tacitare il
creditore, Mario – facendo appello alla “ludopatia” che dal 28 dicembre è stata
inserita nell’elenco delle “dipendenze” – si è rivolto al Tribunale per
chiedere l’annullamento dei suoi debiti e il Giudice gli ha dato ragione,
condannando altresì l’Agenzia al pagamento delle spese processuali.
Questo l’assunto del magistrato: “l’atto è
annullabile ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato
compiuto l’atto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e
volitive, anche parziali, purché tale da impedire la formazione di una volontà
cosciente, dovuta a qualsiasi causa, pure transitoria”.
Secondo l’avvocato che ha difeso il nostro
Mario, che ha visto premiata la propria tesi, siamo di fronte ad una sentenza
innovativa con la quale il giudice ha riconosciuto nel gioco d’azzardo una
patologia idonea ad annullare atti di disposizione del patrimonio.
E adesso vediamo un po’ di numeri relativi a
questa patologia: in Italia abbiamo un
milione di giocatori e il nostro Paese vanta il non invidiabile primato delle
risorse destinate al gioco, 80/miliardi di euro, cioè il 4% del Pil; la spesa
pro-capite stimata nel 2011 – ultimi dati conosciuti – è di 2/mila euro e negli
ultimi otto anni è aumentata del 450%; e per finire, le statistiche ci dicono
che la sopra citata “ludopatia” riguarda ben 700.000 giocatori ed altri 50.000
sono dei potenziali ammalati.
Come diceva Indro Montanelli dall’alto della sua saggezza,
lo Stato italiano finge di farsi qualche scrupolo di fronte agli enormi incassi
che gli arrivano, ma poi accetta tutto, pur di far cassa; lo possiamo definire
uno stato “biscazziere”? Certo che sì!
Crollano i consumi, calano i risparmi,
diminuisce la spesa alimentare, ma cresce vertiginosamente la febbre da gioco:
dai 14/miliardi del 2000 siamo passati agli 80 del 2011 e la stima per il 2012
sale addirittura a 130/miliardi.
In testa gli apparecchi – slot machine e
videolottery – che raccolgono il 56% della torta, seguiti dal Gratta e Vinci
(12,7%), il lotto (8,5%), le scommesse sportive (5%) e il superenalotto; poi,
con percentuali basse,arrivano il Bingo e le scommesse ippiche.
lunedì, gennaio 28, 2013
LA MORTE DI GALLINARI
Nei giorni scorsi è morto uno dei pochi
rimasti delle BR, quel Prospero Gallinari, carceriere di Aldo Moro e che non ha
mai voluto svelare i misteri dell’assassinio del Presidente della DC , a costo
di farsi diversi anni di galera in più.
Alcuni capi storici delle BR, tra cui Renato
Curcio, Barbara Balzarani e Raffaele Fiore, hanno preso parte ai funerali del
compagno, per i quali avevano sperato in “funerali togliattiani”, come quelli
del leader del PC nel 1964; peccato che alle esequie di Gallinari hanno
partecipato solo un migliaio di persone, quasi tutti anziani, senza che si
intravedesse tra loro un giovane.
È appunto per i giovani che scrivo queste
righe che vogliono riflettere le sensazioni sugli eventi accaduti negli anni
’60-70; l’atmosfera della rivolta dei cosiddetti anni di piombo, viene ben
descritta in un film che ho visto al Festival di Venezia, “Qualcosa nell’aria”,
del francese Assayas, che racconta il ’68 – o meglio quello che successe dopo –
ai ragazzi che nel 1971 avevano 17 anni e cominciavano a sognare una vita
diversa e soprattutto quello che si anelava più di ogni altra cosa: la libertà.
Le Brigate Rosse, organizzazione
dichiaratamente terroristica di estrema sinistra, è stata fondata nel 1970 da
Alberto Franceschini, Renato Curcio e Margherita Cagol; secondo i fondatori e i
successivi dirigenti, le B.R. “dovevano indicare il cammino per il
raggiungimento del potere, l’instaurazione della dittatura del proletariato e
la costruzione del comunismo anche in Italia”; i brigatisti ritenevano non
conclusa la fase della “resistenza” all’occupazione nazi-fascista, alla quale
si era sostituita una più subdola ”occupazione” economico – imperialista del
SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali), a cui bisognava rispondere con
un processo di lotta armata che potesse scardinare i rapporti di oppressione
dello Stato e fornire le azioni necessarie allo sviluppo di un processo
insurrezionalista; per questo motivo le B.R. hanno sempre rifiutato l’etichetta
di terroristi, attribuendosi invece quella di “guerriglieri”.
Uno dei primi è Prospero Gallinari, il quale
nasce a Reggio Emilia nel 1951, da una famiglia contadina, aderisce
giovanissimo alla Federazione Giovanile Comunista Italiana dove milita fino
agli anni ’70, per poi entrare a far parte delle B.R. dove scalerà tutte le
posizioni fino al vertice dell’organizzazione.
Nel sequestro Moro il “guerrigliero” emiliano
assume una veste importante, partecipando agli interrogatori ed alle
trascrizioni degli stessi; è stato detto da più parti che Gallinari è stato
l’esecutore materiale della condanna a morte di Moro nel 1993; Mario Moretti lo
discolpa, prendendosi la responsabilità del gesto, ma questa “confessione”
avviene quando Gallinari fa richiesta di uscire dal carcere per motivi di
salute, richiesta poi accolta; che fosse tutta una manovra??
Ai funerali hanno partecipato anche alcuni attuali
esponenti politici impegnati nelle prossime elezioni, come l’ex senatore
reggino Claudio Grassi di Rifondazione Comunista, che nelle prossime elezioni
correrà per la lista Ingroia; deve essere difficile per l’ex PM, entrato in
magistratura con Falcone e Borsellino, presentare un personaggio che,
inevitabilmente, fa tornare alla mente degli elettori l’impressionante tributo
di sangue di tanti innocenti, magistrati compresi; e che non ha mai rinnegato
la sua fede politica e “guerrigliera”.
Da un punto di vista prettamente iconico,
quello che mi ha colpito nelle foto del funerale di Gallinarfi è stato
l’unanime (del migliaio) cordoglio manifestato con il pugno chiuso e disteso,
saluto “internazionalista” reso ad un comunista
mai pentito.