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sabato, novembre 14, 2009

ANCORA DUE PAROLE SUI PRETI 

Giorni addietro mi sono occupato della vicenda di quel prete che – per avere infranto una precisa disposizione della Curia Arcivescovile – è stato rimosso dalla Parrocchia ed inviato in un ritiro spirituale per riflettere e pregare;: forse l’Arcivescovo non pensava che il sacerdote avrebbe rilasciato una lunga intervista (un ora e mezza) ad una televisione locale; è sulla base di quanto dichiarato in questa intervista che completo il mio discorso di allora.
Il sacerdote – dopo avere ribadito la sua “fedeltà al Vangelo” – conferma che rifarebbe il gesto che lo ha portato in conflitto con l’Arcivescovo e afferma di non avere nessuna intenzione di lasciare la Chiesa.
Ed allora passiamo ai commenti: il termine sacerdote è la combinazione di sacer (cioè sacro) e di dho-ts (che vuol dire “fare”), dunque etimologicamente significa “colui che compie cose sacre; ma chi è questo personaggio? Sotto il profilo della concretezza, è colui che ha avuto la vocazione (significato: chiamata) ed ha risposto, prima con la frequentazione del seminario e poi con i voti sacerdotali, ai quali hanno fatto seguito le famose promesse: la povertà, la castità e l’ubbidienza; soffermiamoci su quest’ultima promessa (ubbidienza) e vediamo cosa, in concreto, significa.
L’ubbidienza non è una espressione in sé chiarissima, se non la si coniuga con una “autorità” alla quale ubbidire; quindi si tratta di individuare questa “autorità” alla quale il sacerdote deve la propria ubbidienza.
Ed allora facciamo un passo indietro e vediamo la cosa sotto un aspetto diverso: il sacerdote, pur avendo una relazione individuale e quindi del tutto speciale con Cristo, dal quale “è stato chiamato”, deve esercitare la propria missione “dentro” la Chiesa.
Teoricamente è possibile che un sacerdote operi sulla base della sola percezione diretta di Dio e dei suoi insegnamenti, ma di fatto egli agisce “nel” mondo e quindi storicizza la missione di Cristo (andate tra la gente ed evangelizzatela) dentro una istituzione, appunto la Chiesa.
La Chiesa (dal greco ekklesia che vuol dire assemblea), presuppone una struttura organizzata e una gerarchia; tale struttura assembleare, ha un “capo” ed il sacerdote, come ecclesiastico, cioè appartenente alla “ecclesia”, ha sempre una figura alla quale fare riferimento e a cui obbedire.
Sin dai tempi antichi, la Chiesa ha una struttura organizzativa “ad albero”, con in cima il “pontifex maximum”, il pastore supremo, che ha sotto di sé, come rami, i tanti pastori delle diverse comunità e, all’interno di ciascuna altri pastori “minori”, fino al sacerdote.
Il prete, quindi, si ritrova a vivere un possibile dualismo, una divisione, perché ha un rapporto diretto con Cristo, ma si trova all’interno di una struttura gerarchica; egli percepisce di dover fare una certa cosa – secondo quanto gli “dice” Cristo – ma il suo superiore gli chiede di comportarsi diversamente, sulla base di norme della Chiesa.
Questa dualità è alla base di moltissime disaffezioni di sacerdoti nei confronti della Chiesa e, in particolare, di molti discorsi del tipo: “sogno una Chiesa che si spogli anche del Vaticano”; ebbene, questa è una delle affermazioni del nostro prete, il quale è una bravissima persona, un galantuomo, uno dedito ai poveri ed agli “ultimi”: ma tutto questo, lo sono anch’io (o potrei esserlo), eppure non sono un prete e non ho nessuna intenzione di diventarlo in futuro: dov’è la differenza? Sicuramente nel fatto che non compio niente di “sacro” come invece fa il sacerdote (sacer-dho-ts) e quindi rimango nella mia sfera di “buono e bravo laico”. Chiaro il concetto??

giovedì, novembre 12, 2009

STUDIO E LAVORO 

Nel post precedente a questo, affronto – anche se in un contesto diverso – il problema del “lavoro” nel nostro Paese; intanto, stampa, televisione e buona parte degli uomini politici “perdono tempo” a parlare della sentenza della Corte Europea che vieta il crocifisso nelle aule scolastiche. Perché dico che “perdono tempo”? Per due ordini di motivi: il primo è che la “sentenza” non è affatto impegnativa per il Paese ed il secondo – e più importante – è che alla gente non frega niente del problema “crocifisso si/crocifisso no”; la gente ha ben altri problemi a cui pensare, cioè quello del posto!!
E allora torniamo al lavoro, anche perché sono stato attirato al problema da uno studio di affermati economisti che hanno consegnato al Ministro Gelmini un’analisi approfondita sull’istruzione dalla quale risulta che tale valore è ”il migliore investimento a medio termine, migliore di BOT, CCT, e titoli azionari”.
Allora mi sono ricordato di quando, ai miei tempi di inizio scuola, i genitori apostrofavano i figli con la frase: “studia se vuoi trovare un posto al coperto, sennò vai a fare il contadino o l’operaio”. Già, quando ero giovane io c’era la caccia al posto “al coperto”, cioè al lavoro impiegatizio o comunque da svolgersi in una bella stanza, seduto su una comoda poltrona.
Ed ora? Il sogno è sempre lo stesso? Sentite queste poche esperienze che voglio raccontarvi: la prima mi è capitata su un taxi, preso alla stazione per tornare a casa; il tassista, che al solito attacca discorso per far trascorrere il tempo della corsa, dopo avere appreso che tornavo dall’aver fatto delle lezioni, inizia a raccontarmi che lui ha due figli, entrambi laureati, uno in biologia e l’altro in antropologia culturale.
Lo interrompo per congratularmi con lui, ed il nostro bravo autista continua a raccontarmi che, se in casa non entrasse l’introito del “suo” lavoro, non ci sarebbe da mangiare, giacché nessuno dei due rampolli ha trovato un lavoro: non ho parole per commentare questa affermazione e resto in silenzio, forse deludendolo….!
Il secondo fatterello mi è accaduto proprio ieri sera, su un autobus urbano che ho utilizzato per recarmi in centro: ad un certo momento della corsa sono saliti sul mezzo pubblico due “controllori” che, con modi estremamente garbati, chiedevano a tutti i passeggeri (eravamo pochi, per la verità) di esibire il biglietto; tutti in regola ad eccezione di un extra-comunitario che era sprovvisto del regolare ticket e quindi uno dei due controllori si è accinto a redigere il “verbale”; l’altro si è soffermato di fronte a me in attesa della conclusione dell’operazione e così mi sono sentito di congratularmi per la compostezza, la garbatezza e la calma con cui svolgeva il proprio ingrato lavoro.
Quello che mi ha risposto, dopo i ringraziamenti di rito, mi ha lasciato di sasso: “caro signore, io non provengo dall’azienda degli autobus, ma sono un dipendente “in mobilità”; ho chiesto: “che significa” e lui mi ha così completato il discorso: “sono laureato in economia e commercio e fino a pochi mesi fa svolgevo un lavoro direttivo presso un’Azienda locale che adesso ha chiuso i battenti e collocato tutto il personale in mobilità; da questa situazione sono uscito grazie alla chiamata dell’Azienda degli autobus che mi ha dato questo lavoro per tre mesi, speriamo che me lo rinnovino”.
Forse sarò io che sono sfortunato e che mi trovo a dialogare con persone “sfortunate”, ma da questi due esempi mi sembra chiaro che, in questa situazione critica, quello che serve oltre lo studio, è, come sempre, conoscere l’amico dell’amico di colui che conosce l’assessore o il senatore o il Presidente….; insomma la vecchia raccomandazione che permette di superare quasi tutti gli scogli. Chiaro il concetto??

martedì, novembre 10, 2009

ALLORA C'E' QUESTA RIPRESA ? 

Ma pensate un po’; chi l’avrebbe mai detto!! L’OSCE ha “nominato” l’Italia come capofila della ripresa dell’economia: in questa specie di gara, i cavalli più quotati – scritti in ordine di preferenza – sono l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna e la Cina; mi chiedo, e vi chiederete anche voi: ma la Germania come mai non appare in questa graduatoria? Mah, misteri della macro economia!
Ovviamente i nostri governanti si sono scatenati in dichiarazioni trionfalistiche; il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, dopo aver laconicamente commentato “il tempo è stato galantuomo; adesso avanti così”, si è permesso anche una battuta non male: “sembrava che altri fossero pecore bianche e noi quelle nere; non è così e noi l’avevamo detto ben prima della crisi”.
Il premier Berlusconi – che quando vince tende a strafare – ha dichiarato: “l’Italia è il sesto Paese più ricco del Mondo, e il terzo dell’Unione Europea, con un Pil che ha ormai superato la Gran Bretagna”; se non sbaglio, questo superamento degli inglese è stato un cavallo di battaglia di un altro Premier, Bettino Craxi: non gli ha portato molta fortuna; prendi nota Silvio??
Quelli con la testa sulle spalle, ci richiamano ad andare avanti, ma con i piedi ben piantati per terra e aggiungono che al momento la priorità è ricreare, in tutta Europa, il lavoro che è andato perduto.
Per la verità anche in questo campo le cose – almeno secondo i dati ISTAT – non vanno malissimo, specie se confrontati con quelli degli altri Paesi: infatti, ad un dato di disoccupazione medio riferito all’UE del 9,2% i due valori, minimo e massimo, sono rispettivamente quello dell’Olanda (3,6%) e quello della Spagna (19,7%).
Il valore riferito all’Italia è tra i più bassi dei Paesi europei (7,4%), inferiore a quello di Germania (7,6%), Gran Bretagna (7,8%) e Francia (10%).
I dato sopra riportati, sono interessanti e significativi: anzitutto mi preme commentare la situazione della Spagna – non molto tempo fa candidatasi a superarci – che si trova in un “momento” veramente preoccupante; diciamo che non si riesce a capire come faccia il governo spagnolo a reggere ad una tale carenza di posti di lavoro: probabilmente le altre forze politiche contrarie al governo, non hanno interesse a subentrarci in questa situazione in cui le forze sociali (Sindacati, ecc.) potrebbero scatenarsi in manifestazioni di ogni genere.
I nostri “buoni dati” in riferimento ai cugini europei a noi più vicini (Francia. Gran Bretagna e Germania) non debbono indurci a trastullarci nell’ozio: potrebbe darsi (non lo so, lo dico solo in forma dubitativa) che in quei Paesi, i sostegni sociali siano superiori a quelli presenti da noi e quindi che la disoccupazione venga vissuta in modo migliore che da noi.
A proposito del mondo del lavoro, il nostro Paese è diverso dagli altri; prendiamo per esempio quanto accaduto nella mia città nel mondo Universitario: il nuovo rettore, per trovare i soldi da utilizzare in altre assunzioni, aveva disposto che i “primari” che superavano i 70 anni di età sarebbero stati messi in pensione (quindi non “fucilati” ma pensionati con oltre 10mila euro mensili); a questa mossa ha fatto seguito il ricorso al TAR che ha “riammesso” i pensionati: morale della favola, i 13 ultrasettantenni che non si possono toccare, bloccano l’assunzione di 18 precari.
Questi sono i nostri “ammortizzatori sociali”: a favore di coloro che prendono tanti soldi e contrari ai “veri” bisognosi di sostegno sociale; chiaro il concetto??

domenica, novembre 08, 2009

COME FACCIAMO CON LE CASTE ? 

Il termine “caste” non vuole essere il contrario di “licenziose”, ma riferirsi – come dice il fedele Devoto Oli – alla “classe o ordine di persone che si considera, per nascita o per condizione, separato dagli altri e gode o si attribuisce speciali diritti e privilegi”; in questi ultimi tempi si sono susseguiti alcuni libri – scritti per lo più da giornalisti – che hanno descritto questa situazione di privilegi e quindi adesso mi sono deciso a fare un discorso un po’ più generale della solita denuncia.
L’idea mi è partita da una notizia appresa stamani dalla TV, nella quale un giornalista riportava che nel bagno per gli ospiti della residenza del Presidente del Senato, sono stati acquistati 50 asciugamani con una spesa almeno quadrupla di quella corrente; mi sono chiesto – ed anche i giornalisti presenti in studio lo hanno fatto – se trattasi di “mazzetta sottobanco” a colui che provvede all’acquisto oppure di negligenza, di superficialità, di noncuranza per quanto viene speso, tanto i soldi non sono suoi.
Ecco, quest’ultima mi sembra la più azzeccata: nonostante la crisi abbia sprofondato milioni di persone nell’indigenza o comunque nella parsimonia più accurata, ci sono persone che spendono e spandono senza curarsi minimamente di niente: questi sono, in genere, gli appartenenti ad una “casta”, una delle tante, coloro cioè che si sentono – e di fatto lo sono – superiori agli altri esseri umani e che si arrogano il diritto di fare come meglio aggrada loro (tanto i soldi in qualche modo arrivano).
E chi sono gli appartenenti a queste “caste”? Citiamone solo alcuni: in testa poniamo ovviamente i politici e tutti coloro che ci gravitano attorno (pensate che un usciere al Parlamento guadagna molto più di un Prefetto); poi ci mettiamo i magistrati che in fatto di privilegi non sono inferiori a nessuno, quindi i baroni universitari e per ultimi – ma solo perché lo spazio mi vieta di proseguire – mettiamoci i giornalisti.
La riflessione che volevo fare è questa: dipende dal colore politico del governo in carica questa situazione di privilegio? Ebbene, se facciamo mente locale, dobbiamo ammettere che è abbastanza irrilevante il nome di chi siede a Palazzo Chigi: sembra molto, dato che il personaggio è particolarmente “ingombrante”, ma prima di questo Presidente ce n’era un altro di colore opposto, caduto circa un anno e mezzo fa e già in carica negli anni precedenti: insomma, in questi ultimi 15 anni, il centro destra ha governato per meno di 6 anni, mentre i restanti 9 sono stati appannaggio del centro sinistra: eppure non è cambiato niente con gli uni o con gli altri.
Infatti, le “caste” non si alternano con i governi, ma restano a difendere i loro privilegi, conquistati in anni di “lotte” sia che ci fosse Tizio o Caio: chiaro il concetto?
E allora ritorniamo su quello che vado predicando da anni:; non è il “manico” che conta, ma è “il sistema” che puzza e quindi deve essere sostituito; come farlo? Difficile dirlo, ma certo che ormai abbiamo visto che “con le buone non si ottiene niente”; quindi, l’alternativa mi sembra logica e semplice al tempo stesso.
Intanto una notizia: negli USA, lo Stato della California ha istallato un gruppo di lavoro composto da “cervelli” al di fuori della politica, con una missione: “cambiare la fisionomia dello Stato”, sotto tutti i profili, dal giuridico all’organizzativo, insomma “rivoltarlo come un calzino”; da notare che la California è grande quanto l’Italia e ha un Pil superiore al nostro, quindi non stiamo parlando di quattro scarzabubboli.
Questo – tra i sistemi incruenti – potrebbe essere un modo per modificare la struttura dello Stato; certo che qui da noi sarebbe difficile mettere tutti d’accordo: chi ha già i privilegi se li vuole tenere, chi non li ha vuole averli: questo è il problema. Quindi…..!!

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