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sabato, aprile 30, 2005

Le scarpe straniere 

In questi ultimi giorni ho avuto modo di vedere una mezza pagina pubblicitaria che l’Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani ha fatto pubblicare, a proprie spese, su diversi quotidiani: vi si legge un “pressante invito” a comprare calzature prodotte in Italia; questo viene motivato come una necessità per salvaguardare un modello di civiltà della produzione.
Per trattare adeguatamente l’argomento bisogna fare un piccolo passo indietro e precisamente ai primi anni ’90; è di quell’epoca infatti il primo esodo di massa delle aziende calzaturiere italiane verso paesi con mano d’opera “più malleabile” e soprattutto a buon mercato.
Si cominciò con alcuni paesi europei, poi con l’India e l’Egitto e da ultimo con la Cina e l’est europeo; cosa è stato fatto in questi Paesi? Semplice, alcune nostre aziende si sono trasferite in quei lidi e hanno impiantato aziende manifatturiere utilizzando un ventesimo di mano d’opera nostrale (i superspecializzati) e affidandosi per il resto a quella locale, alla quale le maestranze italiane insegnavano il mestiere.
In quei tempi io ero uno dei pochi che avvertiva la sostanziale ingiustizia di questa forma di “globalizzazione” e andavo dicendo che uno stato serio avrebbe detto a questi furbi di imprenditori: “fabbrichi le tue scarpe in India? Bene, vendile anche agli indiani”.
Notate bene che anche i nostri governanti nelle occasioni di visite ufficiali in quei paesi avevano parole di elogio (quasi novelli eroi) per questi nostri concittadini che avevano aperto questa nuova strada; in effetti si erano semplicemente limitati ad andare a utilizzare personale sotto pagato, sfruttato e con nessuna tutele sindacale.
E questi erano i novelli “Marco Polo”!
Per un po’ le cose sono andate nel modo previsto dai nostri furbacchioni, poi gli stati che ospitano queste strutture hanno fatto questo discorso: ma perché dobbiamo dipendere da questi italiani, ormai il mestiere lo sanno fare anche i nostri, quindi facciamogli una bella e spietata concorrenza. E così è stato, tant’è che adesso si hanno prodotti che una volta venivano fatti dagli italiani che ci pervengono dall’estero a prezzo invitante e che quindi mette fuori mercato le nostre produzioni.
Ma a voi sembra una cosa così difficile da prevedere? Vi sembra che se l’avevo prevista io non avrebbe potuto fare altrettanto anche un normale imprenditore o, peggio ancora, un semplice funzionario del Ministero del Commercio con l’Estero. Se non l’hanno capito è perché a nessuno è interessato capirlo: intanto hanno messo a casa una miriade di operai italiani quando se ne sono andati, adesso che sono costretti a tornare, perché all’estero non c’è più quel margine di prima, non credo che riassumeranno personale italiano ma si accontenteranno di qualche europeo proveniente da zone nelle quali ci sono state lavorazioni del genere e il tutto verrà contrabbandato come “prodotto in Italia”; ma da chi?
Resta da aggiungere che dopo avere invocato dall’U.E. una sorta di clausola di salvaguardia per imporre dazi a questi tipi di merci, hanno deciso di passare direttamente al contrattacco: se non fosse che questi stessi signori erano in testa a tutti nel magnificare la globalizzazione, sarei al loro fianco, ma così….
Questo discorso della globalizzazione merita che gli si dedichi un approfondito esame; non oggi, ma in un prossimo futuro prometto che tornerò in argomento per trattare di questa fase economica che – e questa è l’anticipazione – ha prodotto tanta miseria in tante zone d’Italia, ma al tempo stesso ha generato tanta ricchezza, specialmente in chi lo era già. Questo potrebbe essere l’assioma di partenza per la nostra analisi – alla buona – come siamo abituati a fare su tutto quello che ci pare interessante.

venerdì, aprile 29, 2005

Come si risolve il caso Calipari? 

Accanto alla mia proposta di ritiro delle nostre truppe dall’Irak nel caso che gli USA non dovessero riconoscere la colpevolezza dei loro soldati, si è avuto una “new entry” di grosso spessore: addirittura l’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, amico di vecchia data con Berlusconi e sicuramente altrettanto amico degli americani lòa pensa esattamente come me!
Come si sta sviluppando la questione: stiamo andando verso una doppia relazione della commissione d’inchiesta, una firmata dagli americani ma non dai due italiani presenti e l’altra invece sottoscritta dai nostri rappresentanti e, ovviamente, non dagli americani.
In concreto, gli americani scaricano tutta la responsabilità sul capo missione, Nicola Calipari, accusato di non avere opportunamente avvertito le autorità militari statunitensi e anche di aver fatto viaggiare l’auto ad una velocità eccessiva (80 Kmh contro i 40 ammessi in quella strada che è quotidianamente teatro di attentati). Per questo motivo i militari U.S.A. sono stati “costretti” ad applicare le procedure previste in questi casi e cioè apertura del fuoco in modo da costringere l’automezzo a fermarsi prima.
Gli italiani controbattono che la dinamica dell’evento è esattamente opposta: in primo luogo le autorità americane sono state avvertite più volte (una addirittura con una telefonata partita da Roma e diretta ai militari di stanza all’aeroporto di Bagdad); inoltre la velocità dell’auto era all’interno di quanto prescritto e di ciò è testimone l’autista sopravvissuto.
Entrambi gli schieramenti hanno testimoni che avvalorano le singole tesi (gli americani i soldati e noi i due superstiti, Giuliana Sgrena e l’agente del SISMI che guidava la Toyota) e a questo punto c’è veramente il rischio che la commissione partorisca due relazioni.
Adesso il problema diventa politico e quindi i militari dovrebbero essere messi fuori dal gioco; adesso i due governi dovrebbero trovare una soluzione in modo tale che nessuno dei due perda la faccia.
Gli americani, che pure hanno uno degli slogan elettorali più belli (“compreresti un’auto usata da questo tizio?”) hanno il brutto vizio di costruire delle bugie che poi regolarmente vengono scoperte; probabilmente è la convinzione dell’intangibilità che li porta a commettere questi errori, ma da Nixon nel caso Watergate a Clinton nella vicenda Lewinski, si è assistito a dei casi che sono diventati tali soprattutto per effetto della “bugia” che è stata detta all’inizio della vicenda e che poi è stata sostenuta con pervicacia nonostante l’evidenza mostrasse il contrario.
Probabilmente anche in questo caso le cose stanno prendendo questa piega e quindi ritorno all’inizio di questo post: il nostro premier deve convocare una conferenza stampa nella quale annuncia i risultati della “nostra” indagine e “avvertire” gli amici americani che se le conclusioni non seguiranno questa traccia (con conseguente punizione per esecutori ed eventuali mandanti) noi entro tre mesi ce ne andremo dall’Irak.
Che poi, caro Berlusca, sarebbe per lei come vincere all’Enalotto, perché potrebbe prendere due piccioni con una fava: risparmiare sulle spese militari in maniera imponente – e Dio solo sa se abbiamo bisogno di risparmiare – e rifarsi un’immagine da autentico leader di un grande paese che ha l’autorità di trattare da pari a pari anche con il capo della maggiore potenza mondiale.
A margine poi ci sarebbe una delle armi dell’opposizione che in caso di messa in pratica di questa strategia, andrebbe a spuntarsi (l’eccessivo filo americanismo), ed anche qui Dio solo sa quanto ne avrebbe bisogno – il Cavaliere – di spuntare le armi dell’opposizione che sono tante e ben appuntite.

giovedì, aprile 28, 2005

Di unica c'é solo la mamma 

Il Cavaliere dovrebbe sapere che in Italia la sola cosa ad essere considerata “unica” è la mamma e lui vorrebbe fare invece il “partito unico”; niente di più assurdo e inconcepibile per il modo tutto nostrano di fare politica.
Forse qualcuno non si è accorto che in occasione delle recenti consultazioni al Quirinale è stato fatto una sorta di censimento dei gruppi parlamentari presenti, arrivando a contarne addirittura quaranta, il che equivale a quaranta segretari, a quaranta macchine blu, a quaranta prebende statali per le elezioni; insomma ognuno rappresenta uno staterello, ma in quel territorio è signore e padrone.
E lui invece vorrebbe che tutti i partiti riconducibili all’area del centro destra confluissero in una sorta di “rassemblement” da identificare in partito unico, il cui leader – bontà sua il Berlusca non si è autonominato – dovrebbe scaturire da una elezione primaria.
Ha poi soggiunto: chi non entra in questo partito entro una certa data poi corre da solo alle elezioni, paventando così una diminuzione feroce dei rappresentanti in Parlamento.
Va bene, caro Cavaliere, facciamo finta che tutto questo si realizza e che i vari “little leader” (per intenderci i vari Follini, De Michelis, Fini, Bossi, ed altri ancora “più minori”) confluiscano in questo erigendo partito unico; alle elezioni – svolte con il sistema maggioritario e facendo finta che il leader venga confermato in Berlusconi - questo partito acquisisca un certo numero di seggi che gli consente di governare. Una volta stabilito chi governa, c’è materialmente da mettere mano alla compagine ministeriale fatta di posti da ministro, vice ministro e sottosegretario.
A questo punto i nostri parlamentari entrati in aula con una unica giacca, si tolgono la giacca uguale e ognuno si rimette la propria maglietta indicativa della propria squadra e i singoli partito si riformano automaticamente nel momento in cui sono a dividersi il potere.
E quindi non cambia niente, perché gli scontenti rimangono scontenti – come singolo partito, anche se il partito unico ha vinto – e quindi pretendono dei cambiamenti programmatici e un aumento dei posti nel governo; insomma, passata la fase elettorale, ognuno di loro si scorda il benedetto partito unico, il suo “leader maximo” e ritorna ad interessarsi del proprio orticello, cioè del proprio mini-partito e del proprio “leader minimo”.
Così è, caro Berlusconi, e se credi di sparigliare la partita della politica italiana con la promessa di realizzare il partito unico ti sbagli di grosso, perché tutti diranno di sì, salvo poi rifare le stesse cose di sempre, cioè tirare ad ampliare sempre più il proprio campetto, arandolo sempre meglio e con un numero sempre maggiore di operai agricoli.
L’unica cosa che può rivestire un qualche interesse è l’adozione delle “primarie” per la scelta del leader: nel caso, però, che i vari Follini, Fini e compagnia bella acquisissero la piena consapevolezza di perdere, non parteciperebbero all’elezione e il Cavaliere si troverebbe a correre da solo, ma riceverebbe un coro di “bella forza che hai vinto, noi non abbiamo partecipato!”.
Ma tutte queste sono forse chiacchiere per riempire il vuoto di idee circa le cose da fare in questo ultimo scorcio di legislatura?
Questo perché al momento l’unico che parla è Tremonti, ma riesce solo a dire fesserie (vendita delle spiagge, detassazione dell’IRAP e degli aumenti salariali), tutte cose che non gli competono: forse lo usano per occupare il tempo, come una volta negli spettacoli di rivista veniva usato “il fine dicitore”.

mercoledì, aprile 27, 2005

Sempre la solita minestrina riscaldata 

Il giorno della presentazione di un nuovo governo alle Camere dovrebbe essere una data importante per tutti gli italiani; e invece si è trattato – ieri 26 aprile – della solita minestrina riscaldata, insipida, senza nessun “appeal” e senza nessun vigore.
Per quanto riguarda la composizione si è assistito ad un vertiginoso aumento di ministri, vice ministri e sottosegretari, il tutto per parare gli appetiti sempre crescenti dei partiti e per tacitare, con questa forma di “ricompensa”, la riottosità di qualche partito o corrente di partito ad ingoiare alcune parti del programma.
A questo proposito circola una battuta che non è niente male: all’uscita di Tremonti di vendere le spiagge del Sud per fare cassa, Berlusconi chiede a Fini cosa ne pensi e lui risponde: se mi dai un ministro e un sottosegretario in più puoi vendere anche il Colosseo!
Ma torniamo al programma; sembra di ascoltare il libro dei sogni, sembra di sentire dei desideri che a definirli irrealizzabili è dire poco; e poi ci sarebbe da controbattere che le cose che vengono auspicate come da realizzare nei prossimi 10 o 11 mesi, perché non sono state fatte fino ad ora, nei quattro anni di legislatura?
Sarebbe come se io andassi in giro a raccontare ai miei amici che domani sera andrò a cena con la Arcuri e dopo…., poi il fine settimana lo trascorrerò con la Ferilli e via di questo passo: loro – cioè i miei amici che mi conoscono bene – poiché non mi hanno mai visto insieme a queste sventole di donne, sarebbero autorizzati a dubitare fortemente di questi discorsi.
Una delle poche analisi serie sulla crisi che sta attraversando il nostro Paese è stata fatta da un onorevole – Romani, di F.I., purtroppo – che non avrei supposto così perspicace: in pratica egli ha detto che mentre prima dell’avvento dell’Euro uno stipendio di 2.500.000 di lire rappresentava un “buono stipendio”, adesso il suo controvalore in Euro – circa 1.300 – non consente al percettore di arrivare alla fine del mese; questo è il problema da risolvere, questo è il problema dei problemi, poiché se il potere di acquisto delle famiglie riprende il valore che aveva prima della sciagurata entrata in funzione della moneta unica, si rimette in moto tutta l’economia.
Se poi per dare un’accelerata alla nostra economia ed anche a quella dell’export, dovremo uscire dall’Europa, non mi scandalizzerei più di tanto, anzi, da buon “eurocontrario” come mi sono sempre definito in questi miei scritti, auspicherei questa mossa più di ogni altra: se potremo tornare a riprendere la nostra libertà economica affrancandoci dai parrucconi della finanza internazionale che ci sono sempre stati contrari, ben venga questa soluzione, soltanto cerchiamo di fare presto, perché se perdiamo ancora tempo prezioso in questo marasma di sciocchezze – come quella di vendere le spiagge – non ritroveremo più neppure le penne biro con cui fare i conti.
E non scandalizzatevi troppo amici miei, perché non c’è niente di impossibile a questo mondo – escluso “l’uomo pregno” come dicono dalle mie parti – e tutto può essere praticato purché derivi da una analisi seria della situazione e contenga una programmazione altrettanto seria e condivisibile.
Qualcuno forse ricorderà che ai tempi dell’entrata in Europa, all’atto di rientrare nei famosi e famigerati parametri di Maastricht, qualcuno disse: non preoccupiamoci più di tanto, poiché i paesi europei tremano dalla paura per un’Italia che rimane fuori dall’Europa e può tranquillamente fare i giochetti che ha fatto sempre (tipo microsvalutazioni truccate), senza che noi si abbia la possibilità di controllarla.
Comunque tranquilli, è un progetto purtroppo irrealizzabile: Berlusconi non ha le palle e Prodi è il capofila degli “euro-burocrati”, quindi…

martedì, aprile 26, 2005

Maledetta puntualità 

Il giorno dopo la sua intronizzazione, Papa Benedetto XVI ha ricevuto una folta delegazione di pellegrini tedeschi – tra cui suo fratello – e, essendo arrivato in ritardo si è scusato con questa frase: “un tedesco non arriva mai in ritardo, si vede che mi sto italianizzando”.
La battuta è bellina ma decisamente di cattivo gusto – non me ne voglia Santo Padre – essendo pronunciata in terra italiana ed alla presenza di tanti italiani che erano venuti ad acclamarlo; non è bella perché non è mai sintomo di buon gusto rinfacciare a qualcuno i propri difetti, in particolare se questi sono difetti reali.
Ebbene sì, effettivamente il popolo italiano è solito arrivare in ritardo, ma non per cattiva educazione, ma soltanto perché parte all’ultimo minuto e, durante la strada, non si affretta per recuperare quello che gli consentirebbe di arrivare in orario; eppoi, stimatissimo Santo Padre, proprio Lei che rappresenta l’Eternità viene a raccomandarci questa forma di puntualità che, sinceramente, accogliamo ma non condividiamo.
Non condividiamo soprattutto quando questa puntualità diventa maniacale, come è in Giappone per quanto riguarda l’orario dei tremi; sentite ora cosa è successo nello splendido paese orientale a bordo di un velocissimo e modernissimo treno con 580 passeggeri a bordo.
Il conducente – ventitre anni e poca esperienza – ha commesso un primo errore non fermando nel giusto posto ad una stazione ed è dovuto rinculare per alcuni metri, perdendo così alcuni minuti sul ferreo orario di percorrenza; sembra che dopo la partenza da questa stazione il ritardo sia stato calcolato dal centro di controllo in un minuto e trenta secondi.
Ripartito da questa stazione ha cercato di recuperare il ritardo lanciando il treno a tutta velocità e, ad una curva che può essere affrontata al massimo a 70 chilometri orari, ha fatto toccare al suo treno una velocità di 133 Kmh, con il bel risultato che cinque vagoni sono usciti dai binari e due di essi sono andati a schiantarsi contro un palazzo di otto piani che ha tremato vistosamente per il tremendo urto.
Il bilancio dell’incidente – peraltro ancora provvisorio – parla di 57 morti e 325 feriti; i danni all’impianto ferroviario ed al casamento contro cui si sono schiantati i due vagoni sono ingentissimi.
A detta dei funzionari governativi accorsi sul posto, l’incidente è dovuto ad una combinazione di errore umano, inadeguatezza tecnologica e scarso rispetto delle norme di sicurezza; tutto questo non sorprenderebbe più di tanto se fosse stato detto a proposito di un incidente accaduto in Italia, ma in Giappone, dove le ferrovie rappresentano uno dei miti più invidiati della sua eccellente tecnologia, lascia assai perplessi.
A meno che non si tenga nel giusto conto quel minuto e mezzo di ritardo – che in Italia non rappresenterebbe un bel niente né per il conduttore, né per il capotreno e neppure per i passeggeri – nel quale si è concentrata tutta l’attenzione del macchinista il quale sapeva che se fosse arrivato a destinazione con il perdurare di tale ritardo, avrebbe avuto come minimo un solenne cicchetto o addirittura dei giorni di sospensione, quando non si arriva addirittura al licenziamento; quindi l’alta velocità con cui ha imboccato quella maledetta curva, oltre ad una normale inesperienza, deriva anche dal desiderio di recuperare sull’orario di percorrenza ed arrivare alla stazione di destinazione in orario o quasi.
Vede, Santità, quanti guai può portare la troppa puntualità?!

lunedì, aprile 25, 2005

Ma la crisi di governo è risolta? 

Le dichiarazioni di questi ultimi giorni sull’avvenuta ricomposizione del governo mostrano un Berlusconi “scocciato” di tutti questi riti della politica, riti che lui riconduce alla famigerata Prima Repubblica e che quindi addita all’opinione pubblica come qualcosa di fortemente nefasto da modificare al più presto.
Ci sarebbe subito da notare che la pubblica opinione potrebbe rispondergli: noi nel 2001 ti abbiamo dato i voti occorrenti per modificare anche queste vecchie formule; tu hai usato questa grande maggioranza , per fare leggi e leggine “pro domo” tuo o comunque di amici e sodali; quindi che vuoi da noi! Ora, col cavolo che ti ridiamo i voti, visto il bel risultato che hai ottenuto!
E qui si conclude il dialogo fra Silvio ed il suo elettorato in preda ad una grave crisi di disaffezione; cosa avrebbe potuto fare il prode Cavaliere di diverso da questa squallida ricomposizione di un governo–fotocopia, nel quale la rappresentatività dei vari partiti è ancora più marcata a scapito di una professionalità che sicuramente adesso manca?
Prima di proseguire bisognerebbe conoscere il vero significato del cambio Gasparri/Storace, con quest’ultimo insediato al posto di Sirchia, dopo che questi si era battuto – anche con successo – contro il fumo e contro quindi le multinazionali che gestiscono il tabacco: evidentemente il cambio tra i due uomini politici – sia pure a ministeri diversi – è un fatto interno ad AN che non digeriva più l’atteggiamento di Gasparri giudicato troppo filo–Mediaste e quindi sostituito da un altro AN che, a guardarlo in faccia, non ha l’aria molto vispa, ma dobbiamo necessariamente attendere qualche atto concreto prima di giudicarlo.
Ma, tornando al governicchio, non si crederà mica che queste poche modifiche riescano da sole a modificare il pensiero degli italiani su Berlusconi ed i suoi accoliti? Ci vuole altro, ci vuole qualche atto eclatante che scuota la gente inducendola a modificare i cattivi pensieri che si è fatta di recente.
Ed allora parliamo del gesto eclatante – mi dispiace suggerirlo, ma tanto sono certo che non seguirà il consiglio – che Silvio dovrebbe mettere in piedi, dopo acconcia preparazione: partiamo dal caso del povero Calipari, il funzionario del SISMI ucciso dagli americani mentre si stava dirigendo all’aeroporto di Bagdad dopo aver liberato la giornalista Giuliana Sgrena; gli Stati Uniti hanno insediato una commissione mista (ci sono anche due generali italiani) con l’incarico di fare piena luce su quanto accaduto e individuare eventuali responsabilità.
Dai primi “rumors” sembrerebbe che la colpa di tutto quanto è accaduto verrà fatta ricadere sul nostro povero funzionario che non avrebbe avvertito il comando americano e avrebbe poi proceduto a forte velocità su quella strada che è quasi giornalmente teatro di attentati alle forze armate americane.
Ebbene, in questo caso (ormai è più di una ipotesi) il nostro premier dovrebbe cominciare una vera e propria offensiva mediatica con la quale avverte il governo e le forze armate statunitensi che qualora non si giungesse ad un risultato soddisfacente per l’onore del nostro Paese, il governo ed il popolo italiano sarebbero costretti a trarre le proprie conclusioni.
Poiché gli americani non prenderanno sul serio questa affermazione, quando arriveranno le risultanze favorevoli ai militari USA, il Berlusconi dichiarerà che così non si fa, non è un atto di amicizia, insomma, prendere cappello e contemporaneamente all’arrabbiatura dichiarerà che entro tre mesi il contingente italiano rientrerà in patria.
Risultato: almeno l’epiteto di leccaculo degli americani non ce lo avrà più ed avrà così spuntato una delle armi degli avversari.
Sarà sufficiente per recuperare tutti i voti perduti in questi quattro anni di legislatura? Certo che no, dovrà essere accompagnato da un programma serio, non firmato nel salotto di Vespa, ma spiegato in maniera acconcia agli italiani e nel quale gli elettori possano tornare a credere e ad avere fiducia.
È difficile? Certo, direi quasi impossibile, ma chi è causa del suo mal pianga se stesso, come dicono dalle mie parti!

domenica, aprile 24, 2005

Oggi viene incoronato il Papa 

Oggi si celebra in Piazza San Pietro l’incoronazione ufficiale di Benedetto XVI; è attesa una grande folla, soprattutto arriveranno oltre centomila tedeschi; per la serie non facciamo mai stare in pace qualcuno, la cattolicissima Spagna ha compiuto uno “strappo” violentissimo a quelle che sono sempre state le splendide relazioni con la Santa Sede: ha approvato una legge che in pratica dà il via libera ai cosiddetti “matrimoni gay”.
Prima di affrontare – sia pure brevemente – la spinosa questione, intendiamoci sui termini: con “matrimonio”, secondo tutti i dizionari che ho potuto consultare (quattro), si intende l’unione – regolata da una legge – tra un uomo e una donna; quindi usare la parola matrimonio nel caso di unione tra due uomini o due donne è perlomeno scorretto.
Si può invece – anzi è bene che ci sia – regolamentare l’unione o la convivenza tra persone dello stesso sesso, sia a fini patrimoniale e sia sotto il profilo assistenziale e giuridico
In Spagna a questi “matrimoni” viene consentita anche l’adozione e, quello che sorge spontaneo è: visto in quali condizioni stanno i bambini del terzo mondo meglio affidarli a famiglie composte da gay oppure lasciarli in quelle condizioni a morire di fame e di stenti?.
Con questa normativa che tocca il Codice Civile spagnolo, si hanno ben sedici articoli modificati: in concreto, ogni volta che viene usato il termine “marito” o “moglie”, vengono sostituiti da “coniugi”, mentre i termini “padre” e “madre” da “genitori”. Il nuovo articolo che illustra il matrimonio (termine errato, ma insomma ci vuole pazienza) suona così: “Il matrimonio risponderà alle stesse condizioni e avrà gli stessi effetti sia che i contraenti siano dello stesso sesso che di sessi differenti”.
E il divorzio, ovviamente, avrà maggiore facilità operativa, in pratica si potranno sciogliere civilmente queste unioni con maggiore semplicità e minori spese, non come il sistema islamico del triplice “ti ripudio” sufficiente a rimandare la sposa a casa dai genitori, ma insomma tutto è molto semplificato.
È ovvio che in tutta questa normativa la Santa Sede – abituata all’Italia, ma anche alla Spagna pre Zapatero – avrebbe avuto piacere di metterci bocca, ma il governo socialista spagnolo ha consumato una sorta di blitz, anche se, dobbiamo dirlo, tutta questa presunta rivoluzione faceva parte del programma di governo dello stesso Zapatero, allo stesso modo del disimpegno dall’Irak.
Per mostrare che Ratzinger non l’ha proprio digerita, ieri ha ricevuto nell’Aula Nervi oltre quattromila giornalisti provenienti da tutto il mondo ed ha rivolto loro un breve discorso, pieno di ringraziamenti per l’attenzione che hanno voluto mostrare alle cose vaticane in questi ultimi tempi; ebbene, sapete in quali lingue ha rivolto questa sorta di allocuzione? In italiano, inglese, francese e tedesco; come si vede non ha parlato in spagnolo – lingua che peraltro conosce benissimo – a dimostrazione che con quella nazione o meglio con i suoi governanti attuali ha un conto aperto.
Comunque, caro Benedetto, questa della Spagna è solo la prima delle pratiche spinose che dovrai affrontare e, possibilmente, alla svelta; del resto c’era da aspettarselo che agli “onori”, come si usa dire, si affiancassero gli “oneri”.
Comunque auguri e buon Lavoro!

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