sabato, giugno 06, 2009
OGGI E DOMANI SI VOTA
Eravamo abituati a votare la domenica ed il lunedì mattina e questa volta – non so per quale motivo – si va alle une il sabato pomeriggio e l’intera giornata della domenica. Facciamo due chiacchiere allora sulle Elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo: saranno oltre 50milioni gli italiani che voteranno per eleggere i 72 componenti nostrali; le date e gli orari – a riprova della “coesione” dell’Europarlamento – sono stati decisi Stato per Stato, ma la proclamazione dei risultati sarà fatta dalla Commissione Centrale di Bruxelles; peccato che in Olanda – dove si è votato un paio di giorni fa – abbiano fatto di testa propria ed i risultati sono già di dominio pubblico: questi dati mostrano un forte incremento delle astensioni ed un aumento dei voti per un partito ultranazionalista contrario all’Europa.
La proclamazione unilaterale dei risultati ha fatto andare su tutte le furie Bruxelles, ma il portavoce del Governo olandese ha replicato, seraficamente, “riteniamo che gli elettori abbiano il diritto di conoscere i risultati” ad ulteriore riprova che anche le autorità centrali olandesi se ne infischiano delle norme comunitarie.
Ovviamente, sapere in anticipo i risultati, soprattutto le tendenze, può influenzare le elezioni in corso e quindi il temuto astensionismo montante potrebbe risentirne; qui da noi il fatto di legare le Europee con quelle di Comuni e Province, potrebbe rivelarsi una mossa valida per scongiurare la voglia di “non voto” che sembra ormai avere preso piede anche in una Nazione come l’Italia, presa a modello di partecipazione elettorale (da noi si è avuto dati del 70 e più per cento di partecipazione al voto).
Non darò, ovviamente nessuna indicazione di voto, ma sono costretto a far notare che la voglia di astenersi può derivare dal fatto che in un momento di crisi economica e sociale, non si è sentita una voce autoritaria e univoca partire da Bruxelles e dirigersi verso i vari Stati; per il resto, i problemi che l’U.E. si affanna ad affrontare, al cittadino medio non interessano granché.
Non vi dirò quindi per chi votare, ma vi farò invece un breve discorsetto su “come si forma il voto”, tratto da una recente ricerca del Censis; anzitutto diciamo che l’italiano, pur dando la priorità ai messaggi elettorali in TV, ha un atteggiamento nei confronti dei “media” più smaliziato di quanto si creda.
Si riconosce il grande peso del mezzo televisivo – per il 78% degli elettori è il principale strumento per la formazione delle proprie opinioni politiche - seguito dalla carta stampata con il 20%; solo il 17% afferma che le proprie idee derivano da confronti con familiare ed amici e appena il 10% partecipa a incontri politici “per farsi un’idea”.
Tra i cosiddetti “poteri forti”, alla domanda su quale sia quello che detiene il maggior potere in Italia, solo il 18% indica le elité dell’informazione, mentre il 40% degli intervistati ritiene più influente il potere economico-finanziario, seguito da quello strettamente politico con il 35%. Questa apparente distonia, indica che di fronte ai mezzi d’informazione ci sentiamo meno inermi che davanti ad altri poteri, anche perché è da notare che la TV è il mezzo del quale gli italiani si fidano di meno: solo il 35% gli da affidamento, dato molto più basso della media europea (53%) che ha punte del 56% in Germania e addirittura del 60% in Spagna.
Quindi, possiamo dire che in Italia si da grande importanza ai “media”, ma al tempo stesso li si ritiene non particolarmente insidiosi proprio perché ormai etichettati come “poco affidabili”; questo fa poco onore alla nostra informazione ma lo fa al senso critico dei nostri concittadini. Speriamo che la ricerca sia stata veritiera!!
La proclamazione unilaterale dei risultati ha fatto andare su tutte le furie Bruxelles, ma il portavoce del Governo olandese ha replicato, seraficamente, “riteniamo che gli elettori abbiano il diritto di conoscere i risultati” ad ulteriore riprova che anche le autorità centrali olandesi se ne infischiano delle norme comunitarie.
Ovviamente, sapere in anticipo i risultati, soprattutto le tendenze, può influenzare le elezioni in corso e quindi il temuto astensionismo montante potrebbe risentirne; qui da noi il fatto di legare le Europee con quelle di Comuni e Province, potrebbe rivelarsi una mossa valida per scongiurare la voglia di “non voto” che sembra ormai avere preso piede anche in una Nazione come l’Italia, presa a modello di partecipazione elettorale (da noi si è avuto dati del 70 e più per cento di partecipazione al voto).
Non darò, ovviamente nessuna indicazione di voto, ma sono costretto a far notare che la voglia di astenersi può derivare dal fatto che in un momento di crisi economica e sociale, non si è sentita una voce autoritaria e univoca partire da Bruxelles e dirigersi verso i vari Stati; per il resto, i problemi che l’U.E. si affanna ad affrontare, al cittadino medio non interessano granché.
Non vi dirò quindi per chi votare, ma vi farò invece un breve discorsetto su “come si forma il voto”, tratto da una recente ricerca del Censis; anzitutto diciamo che l’italiano, pur dando la priorità ai messaggi elettorali in TV, ha un atteggiamento nei confronti dei “media” più smaliziato di quanto si creda.
Si riconosce il grande peso del mezzo televisivo – per il 78% degli elettori è il principale strumento per la formazione delle proprie opinioni politiche - seguito dalla carta stampata con il 20%; solo il 17% afferma che le proprie idee derivano da confronti con familiare ed amici e appena il 10% partecipa a incontri politici “per farsi un’idea”.
Tra i cosiddetti “poteri forti”, alla domanda su quale sia quello che detiene il maggior potere in Italia, solo il 18% indica le elité dell’informazione, mentre il 40% degli intervistati ritiene più influente il potere economico-finanziario, seguito da quello strettamente politico con il 35%. Questa apparente distonia, indica che di fronte ai mezzi d’informazione ci sentiamo meno inermi che davanti ad altri poteri, anche perché è da notare che la TV è il mezzo del quale gli italiani si fidano di meno: solo il 35% gli da affidamento, dato molto più basso della media europea (53%) che ha punte del 56% in Germania e addirittura del 60% in Spagna.
Quindi, possiamo dire che in Italia si da grande importanza ai “media”, ma al tempo stesso li si ritiene non particolarmente insidiosi proprio perché ormai etichettati come “poco affidabili”; questo fa poco onore alla nostra informazione ma lo fa al senso critico dei nostri concittadini. Speriamo che la ricerca sia stata veritiera!!
venerdì, giugno 05, 2009
SPIGOLATURE
Una volta, sulla Settimana Enigmistica c’erano le “spigolature d’ilarità”, raccolte di fatti che suscitano, appunto, ilarità; il mio titolo è soltanto “spigolature” e questo toglie l’ilarità e lascia solo il sostantivo che – come recita il fido Devoto Olii – significa “raccolta di notizie o argomenti d’interesse secondario, presentati come curiosità”; ecco, proprio quello che intendo fare riprendendo dalla stampa quotidiana due argomenti che mi hanno interessato e ragionarci sopra insieme a voi.
Il primo argomento riguarda Paolo Bonolis che è rientrato in Mediaste dopo un periodo di tempo trascorso in RAI, dove tra le altre cose ha realizzato un Festival di Sanremo che ha battuto tutti i record d’ascolto.
Alla festa organizzata in Mediaset per il suo ritorno – presenti tutti i pezzi grossi dell’azienda – il bravo Paolino si è lasciato andare a qualche commento non propriamente lusinghiero su chi gli ha fornito il pane (e molto companatico) in tempi recenti, affermando, cito testualmente, “trovo surreale che dopo un successo del genere nessuno mi abbia chiesto se volevo fare un altro festival; non potevo essere io a proporlo; mi sono chiesto il perché di quel silenzio desertico; io non credo che il Festival di Sanremo viva di equilibri politici, ma non so cosa sia successo”.
Alla festicciola era presente anche il Vicepresidente di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, il quale – forse nel tentativo di stemperare le dichiarazioni di Bonolis – se ne è uscito con questa affermazione: “Stiamo parlando di un’azienda, poveraccia, che ogni volta che cambia governo viene rivoltata come un calzino; qui è molto diverso perché riusciamo a lavorare con continuità”. Prima una breve parentesi: il giovane manager rampante spero che usi il termine “poveraccia” sotto il profilo morale, perché per quello finanziario, sia gli artisti che i manager non sono sicuramente trattati da “poveracci”.
E adesso torniamo alla dichiarazione di Pier Silvio: voglio sperare che il nostro rampollo sappia perfettamente che la persona che “ha rivoltato i calzini” in RAI è suo padre; oppure crede ancora nella Befana?
Il secondo argomento che mi ha interessato riguarda una dichiarazione di Micheli, Direttore Generale di Intesa San Paolo, che in risposta al richiamo del Governatore Draghi sulle ristrettezze del credito concesso dalle Banche, afferma che “daremo credito alle Aziende”; badate bene che non viene detto “abbiamo dato” credito alle Aziende, ma esattamente come ho scritto, cioè “daremo”.
Allora, poiché “daremo” è il futuro del verbo dare, significa che il Governatore Draghi ha ragione e che, almeno finora, questo credito non è stato concesso a sufficienza; e poi questo modo di argomentare, rimandando il tutto ad un futuro più o meno prossimo, mi fa venire in mente una sorta di apologo con due personaggi: la moglie che è già andata a coricarsi e sta attendendo il marito che invece continua a vedere la partita in televisione e che, ai richiami della consorte rimanda il momento di compiere il proprio “dovere coniugale” a più tardi, forse sperando che quando andrà a letto, la moglie si sarà già addormentata.
È un apologo, una storia di fantasia, ma ci vorrebbe poco a riempirlo di nomi e cognomi, di nomi di aziende messe sul lastrico da Banche micragnose e, di conseguenza, da decine di operai espulsi dal mondo del lavoro che non sanno chi ringraziare della situazione in cui si trovano.
Conclusione: i signori sopra citati, bisognerebbe che prima di parlare accendessero il collegamento tra il cervello e la bocca; ci guadagnerebbero certamente!!
Il primo argomento riguarda Paolo Bonolis che è rientrato in Mediaste dopo un periodo di tempo trascorso in RAI, dove tra le altre cose ha realizzato un Festival di Sanremo che ha battuto tutti i record d’ascolto.
Alla festa organizzata in Mediaset per il suo ritorno – presenti tutti i pezzi grossi dell’azienda – il bravo Paolino si è lasciato andare a qualche commento non propriamente lusinghiero su chi gli ha fornito il pane (e molto companatico) in tempi recenti, affermando, cito testualmente, “trovo surreale che dopo un successo del genere nessuno mi abbia chiesto se volevo fare un altro festival; non potevo essere io a proporlo; mi sono chiesto il perché di quel silenzio desertico; io non credo che il Festival di Sanremo viva di equilibri politici, ma non so cosa sia successo”.
Alla festicciola era presente anche il Vicepresidente di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, il quale – forse nel tentativo di stemperare le dichiarazioni di Bonolis – se ne è uscito con questa affermazione: “Stiamo parlando di un’azienda, poveraccia, che ogni volta che cambia governo viene rivoltata come un calzino; qui è molto diverso perché riusciamo a lavorare con continuità”. Prima una breve parentesi: il giovane manager rampante spero che usi il termine “poveraccia” sotto il profilo morale, perché per quello finanziario, sia gli artisti che i manager non sono sicuramente trattati da “poveracci”.
E adesso torniamo alla dichiarazione di Pier Silvio: voglio sperare che il nostro rampollo sappia perfettamente che la persona che “ha rivoltato i calzini” in RAI è suo padre; oppure crede ancora nella Befana?
Il secondo argomento che mi ha interessato riguarda una dichiarazione di Micheli, Direttore Generale di Intesa San Paolo, che in risposta al richiamo del Governatore Draghi sulle ristrettezze del credito concesso dalle Banche, afferma che “daremo credito alle Aziende”; badate bene che non viene detto “abbiamo dato” credito alle Aziende, ma esattamente come ho scritto, cioè “daremo”.
Allora, poiché “daremo” è il futuro del verbo dare, significa che il Governatore Draghi ha ragione e che, almeno finora, questo credito non è stato concesso a sufficienza; e poi questo modo di argomentare, rimandando il tutto ad un futuro più o meno prossimo, mi fa venire in mente una sorta di apologo con due personaggi: la moglie che è già andata a coricarsi e sta attendendo il marito che invece continua a vedere la partita in televisione e che, ai richiami della consorte rimanda il momento di compiere il proprio “dovere coniugale” a più tardi, forse sperando che quando andrà a letto, la moglie si sarà già addormentata.
È un apologo, una storia di fantasia, ma ci vorrebbe poco a riempirlo di nomi e cognomi, di nomi di aziende messe sul lastrico da Banche micragnose e, di conseguenza, da decine di operai espulsi dal mondo del lavoro che non sanno chi ringraziare della situazione in cui si trovano.
Conclusione: i signori sopra citati, bisognerebbe che prima di parlare accendessero il collegamento tra il cervello e la bocca; ci guadagnerebbero certamente!!
giovedì, giugno 04, 2009
CHI LICENZIA CHI
Può sembrare un titolo criptico, ma prende spunto da una recentissima dichiarazione di un politico, Marco Ferrando, membro del Partito Comunista dei Lavoratori; egli ha detto: “Non si capisce perché i padroni licenzino gli operai ma gli operai non possano licenziare i padroni”. Ovviamente l’aspetto paradossale della frase sommerge una eventuale validità del contenuto e così mi sono detto: perché non esaminarla con maggiore attenzione e verificarne i contenuti; ecco il risultato!!
Anzitutto la prima parte (i padroni che licenziano gli operai) non può essere smentita, è una realtà, una dolorosa realtà; mi si dirà che esistono tutta una serie di ammortizzatori sociali a disposizione in modo che l’atterraggio del lavoratore sia il più morbido possibile; ecco, su quest’aspetto facciamo una prima fermata: quando si parla di ammortizzatori si fa riferimento alla Cassa Integrazione Guadagni che è una sorta di “assicurazione” che permette al dipendente licenziato o comunque “in esubero” di percepire una parte (tra il 50 e l’80%) del proprio stipendio per un certo tempo.
Ma come ho detto tempo addietro, in Italia abbiamo una situazione che ci mostra una partecipazione alla CIg di circa il 30% dei lavoratori; ho già spiegato che tale operazione ha un costo e quindi il datore di lavoro (il padrone) cerca di farne a meno.
E allora, specie dopo che sia il Papa (“invito a trovare valide soluzioni alla crisi occupazionale”) e sia il Ministro del Lavoro, Sacconi che definisce “doveroso per il Governo proteggere il reddito di coloro che sono costretti all’inattività, invitando le aziende a valutare una moratoria dei licenziamenti” mi sembra che ci sia l’unanimità nel considerare una inaccettabile porcheria il licenziamento di persone che lavorano per mantenere la famiglia.
Una soluzione ci sarebbe, e sarebbe anche semplice: una normativa che “obblighi” le aziende di ogni ordine e tipo a iscriversi alla CIg, così come è obbligatoria l’assicurazione per coloro che acquistano un’automobile; in concreto, questa iscrizione all’INPS dovrebbe far parte dei “libri obbligatori” di ciascuna azienda, cioè di coloro che utilizzano mano d’opera a cominciare dalla FIAT fino all’ultimo barista che assume un aiutante banconiere; temo però che questa soluzione abbia il difetto di essere troppo semplice e quindi non verrà presa in considerazione.
Vediamo ora la seconda parte della dichiarazione di Ferrando “perché gli operai non possono licenziare i padroni”; siamo nel campo del paradossale anche in questa frase, ma se ci soffermiamo un po’ vedrete che c’è di che discutere: se un padrone sbaglia alcune mosse aziendali e riduce la fabbrica in “brache di tela” costringendola a diminuire il personale, a chi dobbiamo dare la colpa del licenziamento degli operai? Ovviamente all’improvvide mosse del padrone e quindi si dovrebbe poter “licenziarlo”. Ma in quale modo? Un modo ci sarebbe e sarebbe quello di “metterlo al bando” – sia degli uffici pubblici che delle banche – in modo che non possa fare il giochino – scontato ma sempre attuale – di chiudere un’azienda e di riaprirne un’altra e magari, con la differenza che ottiene per il mancato pagamento dei fornitori, cambiare l’automobile e comprarsi un modesto chalet in montagna.
Forse la mia ipotesi è una delle tante “pazze idee” che ho avuto l’ardire di esporvi, ma se proviamo a sviscerarla senza i luoghi comuni che ci hanno insegnato (il padrone comanda e l’operaio esegue, ecc.) vedrete che c’è un briciolo di verità e di attuabilità; e poi, amici carissimi, questa crisi tra le poche cose positive ha avuto quello di spazzare via i luoghi comuni e sostituirli con qualcos’altro: che cosa non so ancora!!
Anzitutto la prima parte (i padroni che licenziano gli operai) non può essere smentita, è una realtà, una dolorosa realtà; mi si dirà che esistono tutta una serie di ammortizzatori sociali a disposizione in modo che l’atterraggio del lavoratore sia il più morbido possibile; ecco, su quest’aspetto facciamo una prima fermata: quando si parla di ammortizzatori si fa riferimento alla Cassa Integrazione Guadagni che è una sorta di “assicurazione” che permette al dipendente licenziato o comunque “in esubero” di percepire una parte (tra il 50 e l’80%) del proprio stipendio per un certo tempo.
Ma come ho detto tempo addietro, in Italia abbiamo una situazione che ci mostra una partecipazione alla CIg di circa il 30% dei lavoratori; ho già spiegato che tale operazione ha un costo e quindi il datore di lavoro (il padrone) cerca di farne a meno.
E allora, specie dopo che sia il Papa (“invito a trovare valide soluzioni alla crisi occupazionale”) e sia il Ministro del Lavoro, Sacconi che definisce “doveroso per il Governo proteggere il reddito di coloro che sono costretti all’inattività, invitando le aziende a valutare una moratoria dei licenziamenti” mi sembra che ci sia l’unanimità nel considerare una inaccettabile porcheria il licenziamento di persone che lavorano per mantenere la famiglia.
Una soluzione ci sarebbe, e sarebbe anche semplice: una normativa che “obblighi” le aziende di ogni ordine e tipo a iscriversi alla CIg, così come è obbligatoria l’assicurazione per coloro che acquistano un’automobile; in concreto, questa iscrizione all’INPS dovrebbe far parte dei “libri obbligatori” di ciascuna azienda, cioè di coloro che utilizzano mano d’opera a cominciare dalla FIAT fino all’ultimo barista che assume un aiutante banconiere; temo però che questa soluzione abbia il difetto di essere troppo semplice e quindi non verrà presa in considerazione.
Vediamo ora la seconda parte della dichiarazione di Ferrando “perché gli operai non possono licenziare i padroni”; siamo nel campo del paradossale anche in questa frase, ma se ci soffermiamo un po’ vedrete che c’è di che discutere: se un padrone sbaglia alcune mosse aziendali e riduce la fabbrica in “brache di tela” costringendola a diminuire il personale, a chi dobbiamo dare la colpa del licenziamento degli operai? Ovviamente all’improvvide mosse del padrone e quindi si dovrebbe poter “licenziarlo”. Ma in quale modo? Un modo ci sarebbe e sarebbe quello di “metterlo al bando” – sia degli uffici pubblici che delle banche – in modo che non possa fare il giochino – scontato ma sempre attuale – di chiudere un’azienda e di riaprirne un’altra e magari, con la differenza che ottiene per il mancato pagamento dei fornitori, cambiare l’automobile e comprarsi un modesto chalet in montagna.
Forse la mia ipotesi è una delle tante “pazze idee” che ho avuto l’ardire di esporvi, ma se proviamo a sviscerarla senza i luoghi comuni che ci hanno insegnato (il padrone comanda e l’operaio esegue, ecc.) vedrete che c’è un briciolo di verità e di attuabilità; e poi, amici carissimi, questa crisi tra le poche cose positive ha avuto quello di spazzare via i luoghi comuni e sostituirli con qualcos’altro: che cosa non so ancora!!
mercoledì, giugno 03, 2009
OSTENTARE LA FINTA NORMALITA'
La voglia di “normalità” (vera o finta) è una mania che prende moltissimi big e moltissimi Capi di Stato che si muovono in un altro universo rispetto alla gente comune. Ed è in questo contesto che amano riversarsi ogni volta che possono: lo fanno per vero, autentico desiderio di normalità o per ostentare la loro potenza verso coloro che sono veramente “normali”? Il quesito è interessante e merita un approfondimento.
Partiamo, come di consueto, dall’evento che mi ha mosso a scrivere questo articolo: alcuni quotidiani riportano le foto del Presidente Barack Obama che, in maniche di camicia, si presenta alla cassa di un locale dove si vendono hamburger e ne ordina una certa quantità; poi paga e si fa mettere tutto in una busta che porta nel luogo dove si sta tenendo una riunione con i suoi collaboratori, interrotta appunto per il pranzo.
Ed i fotografi riprendono il Presidente in mezzo agli altri clienti, mentre paga come un normale cliente, ma non ci mostrano i 70 uomini della scorta che lo seguono da ogni parte e i 25 del cosiddetto “advance team” che vanno in avanscoperta con 4 cani anti-bomba che annusano ogni metro dell’ambiente dove il Presidente si recherà.
Questa è la vita che conduce un VIP, questa e la vita che si è scelto ed il volere uscirne ogni tanto non è altro che velleitarismo o, peggio, ostentazione di potenza all’incontrario (pubblicitariamente è il massimo, perché la brava gente si dice: ma guarda il Presidente che mangia gli stessi hamburger che mangio io).
E, sempre su Obama, i cronisti americani ricordano quando si è recato al ristorante vicino allo stadio di Baseball e si è “divertito” a fare la coda col bigliettino dell’ordinazione in mano; domandina facile, facile: “sapeva Mister Barack che tutti i clienti in coda con lui erano stati costretti a passare sotto il metal detector?”.
In Italia abbiamo avuto un Presidente – il compianto Pertini – che tutte le volte che veniva nella mia città voleva andare a prendere il caffè in un certo locale che non nomino per non fargli pubblicità; i poliziotti della scorta, che sapevano il desiderio del Presidente, andavano in anticipo nel locale e, dopo averlo perquisito con i cani poliziotto, facevano uscire tutti i clienti e così il locale, quando si presentava Pertini, risultava frequentato normalmente, ma tutti i clienti erano poliziotti in borghese che recitavano la parte. C’era poi tutta la sceneggiata alla cassa, quando Pertini voleva pagare ed il cassiere non voleva i soldi, finché si addiveniva ad una transazione e il conto (il suo caffè e quello della scorta) veniva pagato dal Presidente che poi faceva una dedica al barista su un foglietto apposito. Quanto sopra non è cronaca, ma l’ho visto con i miei occhi; ovviamente Pertini nella sua bellissima “ingenuità” non credo sapesse delle difficoltà in cui metteva la scorta e i cittadini ogniqualvolta si muoveva.
Ma tornando a Obama, dobbiamo riconoscere che sia lui che la moglie Michelle, sembrano già stufi della vita “controllata” che fanno alla Casa Bianca, dato che tutte le volte che possono, cercano di “evadere”; ma si accorgono che è tutto prestabilito? Si rendono conto che quando Michelle va ad un Supermercato per informarsi dei prezzi, crea una confusione indescrivibile perché la scorta lo ha visitato prima di lei?
Sull’argomento vi raccomando un film di Bob Reiner dal titolo “Il Presidente”, interpretato da Michael Douglas, che mostra le difficoltà incontrate dall’inquilino della Casa Bianca, vedovo con una figlia adolescente, per sviluppare una normalissima storia d’amore; come ho già detto in altre occasioni, la vita ci assegna di volta in volta dei ruoli ed è inutile lottare per cambiare la parte in commedia: quella è, e quella resta!
Partiamo, come di consueto, dall’evento che mi ha mosso a scrivere questo articolo: alcuni quotidiani riportano le foto del Presidente Barack Obama che, in maniche di camicia, si presenta alla cassa di un locale dove si vendono hamburger e ne ordina una certa quantità; poi paga e si fa mettere tutto in una busta che porta nel luogo dove si sta tenendo una riunione con i suoi collaboratori, interrotta appunto per il pranzo.
Ed i fotografi riprendono il Presidente in mezzo agli altri clienti, mentre paga come un normale cliente, ma non ci mostrano i 70 uomini della scorta che lo seguono da ogni parte e i 25 del cosiddetto “advance team” che vanno in avanscoperta con 4 cani anti-bomba che annusano ogni metro dell’ambiente dove il Presidente si recherà.
Questa è la vita che conduce un VIP, questa e la vita che si è scelto ed il volere uscirne ogni tanto non è altro che velleitarismo o, peggio, ostentazione di potenza all’incontrario (pubblicitariamente è il massimo, perché la brava gente si dice: ma guarda il Presidente che mangia gli stessi hamburger che mangio io).
E, sempre su Obama, i cronisti americani ricordano quando si è recato al ristorante vicino allo stadio di Baseball e si è “divertito” a fare la coda col bigliettino dell’ordinazione in mano; domandina facile, facile: “sapeva Mister Barack che tutti i clienti in coda con lui erano stati costretti a passare sotto il metal detector?”.
In Italia abbiamo avuto un Presidente – il compianto Pertini – che tutte le volte che veniva nella mia città voleva andare a prendere il caffè in un certo locale che non nomino per non fargli pubblicità; i poliziotti della scorta, che sapevano il desiderio del Presidente, andavano in anticipo nel locale e, dopo averlo perquisito con i cani poliziotto, facevano uscire tutti i clienti e così il locale, quando si presentava Pertini, risultava frequentato normalmente, ma tutti i clienti erano poliziotti in borghese che recitavano la parte. C’era poi tutta la sceneggiata alla cassa, quando Pertini voleva pagare ed il cassiere non voleva i soldi, finché si addiveniva ad una transazione e il conto (il suo caffè e quello della scorta) veniva pagato dal Presidente che poi faceva una dedica al barista su un foglietto apposito. Quanto sopra non è cronaca, ma l’ho visto con i miei occhi; ovviamente Pertini nella sua bellissima “ingenuità” non credo sapesse delle difficoltà in cui metteva la scorta e i cittadini ogniqualvolta si muoveva.
Ma tornando a Obama, dobbiamo riconoscere che sia lui che la moglie Michelle, sembrano già stufi della vita “controllata” che fanno alla Casa Bianca, dato che tutte le volte che possono, cercano di “evadere”; ma si accorgono che è tutto prestabilito? Si rendono conto che quando Michelle va ad un Supermercato per informarsi dei prezzi, crea una confusione indescrivibile perché la scorta lo ha visitato prima di lei?
Sull’argomento vi raccomando un film di Bob Reiner dal titolo “Il Presidente”, interpretato da Michael Douglas, che mostra le difficoltà incontrate dall’inquilino della Casa Bianca, vedovo con una figlia adolescente, per sviluppare una normalissima storia d’amore; come ho già detto in altre occasioni, la vita ci assegna di volta in volta dei ruoli ed è inutile lottare per cambiare la parte in commedia: quella è, e quella resta!
martedì, giugno 02, 2009
GUERRA AI PIRATI
Dalla riunione romana del G8 sulla sicurezza con i ministri degli interni e della giustizia dei maggiori Paesi industrializzati, è scaturita una proposta – di origine italiana – per combattere la pirateria con la forza delle armi.
È stato messo a punto un piano – che trovo semplicemente ridicolo – per cui ogni mercantile (di tutto il mondo!!) sarà dotato di una sorta di “sceriffi del mare” con lo scopo di combattere eventuali attacchi dei pirati.
Forse il piano è stato messo a punto con un occhio alla disoccupazione montante dalla crisi mondiale, perché di questi “sceriffi” ce ne vogliono tanti ed anche ben preparati, quindi molto costosi.
I pirati – detto per inciso – ancora hanno in mano i 16 marinai (10 italiani) del mercantile Bucaneer, nave di armatore italiano, catturata un mese e più fa, per la cui liberazione ci sono varie trattative, tutti escludenti la forza, ma che al momento non hanno portato nessun risultato.
L’unica operazione in cui si è usata la forza è stato il caso della nave statunitense attaccata dai pirati e catturata ma dopo che il capitano aveva avuto modo di allertare la marina da guerra che – utilizzando il satellite – ha rintracciato il natante e fatto intervenire una squadra di assaltatori che hanno liberato i marinai e catturato i pirati.
Un’altra proposta che ha riscosso interesse è quella – sempre di provenienza italiana – di imbarcare sulle navi militari presenti nell’Oceano Indiano, dei funzionari di Polizia dei Paesi costieri (Kenya, Gibuti, Yemen, Eritrea e Tanzania, con esclusione quindi della Somalia) affinché i pirati arrestati in acque sotto la giurisdizione di questi Paesi, possano essere immediatamente trasferiti a terra e processati in base al codice del Paese interessato; questo perché toglierebbe ai “grandi” tutta una serie di contenziosi con questi signori corsari ed anche perché snellirebbe tutta la procedura giudiziaria.
Anche qui il problema – a mio modo di vedere – sono i costi: ogni nave dovrebbe ospitare 5 funzionari di Polizia e su questa cifra la moltiplichiamo per le unità navali che incrociano nell’Oceano Indiano, si raggiunge una bel numero di persone.
Alle proposte degli “otto grandi” mirate alla sicurezza e in particolare a quelle relative alla guerra alla pirateria, ha risposto a distanza il leader libico Gheddafi che ha ipotizzato l’istituzione di una zona marittima di esclusiva competenza somala in cambio della fine del “fenomeno pirateria”.
Gheddafi, che da sempre ha in mente di mettersi alla testa dei “popoli africani sfruttati”, ha aggiunto che i somali si possono definire come “dei poveri che difendono le loro uniche ricchezze”; ed infatti, queste “entrate”, sia pure di carattere malavitoso, sono autentica manna per le affamate popolazioni del Puntland, lo spazio autogovernato che ospita le basi dei pirati.
Ho già avuto modo di dirlo, ma mi piace ripeterlo, che la battaglia contro i pirati si vince solo vanificando il mestiere del corsaro; cioè, mettendo in grado quelle popolazioni di farcela a campare anche senza gli introiti provenienti dalle azioni piratesche.
Ma di questo, cioè di azioni mirate a veri aiuti ai popoli africani (che poi sarebbero solo delle “restituzioni”), non se ne parla a questi vertici, perché ogni Stato ha la sua politica di aiuti; per la verità queste politiche – sia pure dissimili nella forma – sono assai uguali nella sostanza: si “concede” a questi disgraziati solo le briciole rimaste sulla tovaglia dopo un lauto pasto e prima di scuoterla per apparecchiare nuovamente in vista di un'altra bella abbuffata!! Chiaro il concetto??
È stato messo a punto un piano – che trovo semplicemente ridicolo – per cui ogni mercantile (di tutto il mondo!!) sarà dotato di una sorta di “sceriffi del mare” con lo scopo di combattere eventuali attacchi dei pirati.
Forse il piano è stato messo a punto con un occhio alla disoccupazione montante dalla crisi mondiale, perché di questi “sceriffi” ce ne vogliono tanti ed anche ben preparati, quindi molto costosi.
I pirati – detto per inciso – ancora hanno in mano i 16 marinai (10 italiani) del mercantile Bucaneer, nave di armatore italiano, catturata un mese e più fa, per la cui liberazione ci sono varie trattative, tutti escludenti la forza, ma che al momento non hanno portato nessun risultato.
L’unica operazione in cui si è usata la forza è stato il caso della nave statunitense attaccata dai pirati e catturata ma dopo che il capitano aveva avuto modo di allertare la marina da guerra che – utilizzando il satellite – ha rintracciato il natante e fatto intervenire una squadra di assaltatori che hanno liberato i marinai e catturato i pirati.
Un’altra proposta che ha riscosso interesse è quella – sempre di provenienza italiana – di imbarcare sulle navi militari presenti nell’Oceano Indiano, dei funzionari di Polizia dei Paesi costieri (Kenya, Gibuti, Yemen, Eritrea e Tanzania, con esclusione quindi della Somalia) affinché i pirati arrestati in acque sotto la giurisdizione di questi Paesi, possano essere immediatamente trasferiti a terra e processati in base al codice del Paese interessato; questo perché toglierebbe ai “grandi” tutta una serie di contenziosi con questi signori corsari ed anche perché snellirebbe tutta la procedura giudiziaria.
Anche qui il problema – a mio modo di vedere – sono i costi: ogni nave dovrebbe ospitare 5 funzionari di Polizia e su questa cifra la moltiplichiamo per le unità navali che incrociano nell’Oceano Indiano, si raggiunge una bel numero di persone.
Alle proposte degli “otto grandi” mirate alla sicurezza e in particolare a quelle relative alla guerra alla pirateria, ha risposto a distanza il leader libico Gheddafi che ha ipotizzato l’istituzione di una zona marittima di esclusiva competenza somala in cambio della fine del “fenomeno pirateria”.
Gheddafi, che da sempre ha in mente di mettersi alla testa dei “popoli africani sfruttati”, ha aggiunto che i somali si possono definire come “dei poveri che difendono le loro uniche ricchezze”; ed infatti, queste “entrate”, sia pure di carattere malavitoso, sono autentica manna per le affamate popolazioni del Puntland, lo spazio autogovernato che ospita le basi dei pirati.
Ho già avuto modo di dirlo, ma mi piace ripeterlo, che la battaglia contro i pirati si vince solo vanificando il mestiere del corsaro; cioè, mettendo in grado quelle popolazioni di farcela a campare anche senza gli introiti provenienti dalle azioni piratesche.
Ma di questo, cioè di azioni mirate a veri aiuti ai popoli africani (che poi sarebbero solo delle “restituzioni”), non se ne parla a questi vertici, perché ogni Stato ha la sua politica di aiuti; per la verità queste politiche – sia pure dissimili nella forma – sono assai uguali nella sostanza: si “concede” a questi disgraziati solo le briciole rimaste sulla tovaglia dopo un lauto pasto e prima di scuoterla per apparecchiare nuovamente in vista di un'altra bella abbuffata!! Chiaro il concetto??
lunedì, giugno 01, 2009
LO SCIVOLONE DI MARCHIONNE
Dalla Germania arriva la notizia che nella corsa all’acquisizione di Opel, la General Motors – proprietaria della fabbrica tedesca – ha scelto la “Magna”, casa austriaca che fabbrica componenti per autoveicoli, partecipata da aziende canadesi ma, soprattutto, dalla Gazprom di Putin.
Marchionne – A.D. della Fiat che ha speso una fortuna in voli aerei per trattare con Opel e con il governo tedesco – è rimasto comprensibilmente male dalla conclusione della vicenda e, mostrando scarso fair play, ha dichiarato che “a Berlino è andata in onda una soap opera brasiliana, ma la vita va avanti anche senza di loro”.
Nel paragonare la trattativa che vedeva impegnati tanti paesi ad una soap opera, per di più brasiliana (il peggio del peggio), Marchionne allude forse a qualche giochetto poco corretto che si è visto nelle stanze del potere tedesco; come ho già avuto modo di dire, la partita sulla Opel si giocava in termini politici e le carte giocate dai socialdemocratici tedeschi – Schroeder in testa – sono state molto pesanti, arrivando a condizionare anche la scelta del governo; da non scordare che al momento l’ex cancelliere tedesco è un dipendente di Putin nella Gazprom.
E qui, se mi consentite una breve parentesi, torna il termine soap-opera, il cui significato letterario è “opera-saponetta”, ma che ha preso questo nome dal primo sponsor (fabbrica di saponi) che credette in questa forma di racconto – iniziato alla radio e proseguito in televisione – come veicolo pubblicitario; anche in questo caso abbiamo lo sponsor ed è la Gazprom di Putin.
Ma non dimentichiamo – in ultima analisi – che la decisione finale è stata presa negli Stati Uniti, dalla General Motors, proprietaria effettiva della Opel; ed infatti, quando si è trattato di mettere sul piatto della bilancia i soldi occorrenti a ripianare i debiti, Putin, per conto della “Magna” ha fatto fronte alle necessità, mentre Marchionne si è trincerato dietro ad una dichiarazione molto sibillina che recita “FIAT non può prendersi rischi non necessari e irragionevoli non avendo avuto il tempo di valutare la situazione finanziaria di Opel”.
Il che, in concreto, significa che fino a mettere in campo la tecnologia per motori ecologici ed a basso consumo, nonché a fornire i supporti organizzativi necessari alla ripresa, la Fiat ci sta, ma se dobbiamo parlare di soldi allora le cose cambiano totalmente aspetto; insomma una riedizione degli accordi Chrysler.
Comunque Marchionne non si è perso d’animo e, nell’intento di trovare un partner insieme al quale arrivare a produrre 6/7 milioni di autovetture annue, ha cominciato a guardarsi attorno ed ha intavolato trattative con SAAB e con Vauxhall, sperando di avere maggiore fortuna e di riuscire a compiere l’ennesimo miracolo di comprare qualcosa senza tirare fuori denaro.
Ma c’è da chiedersi quale sia stato il ruolo dei lavoratori (sindacato) in questa trattativa; la risposta è molto facile: nessuno! Cioè, il management delle aziende interessate a questi giochi da Monopoli, non ha mai chiamato i rappresentanti dei lavoratori per spiegare loro la situazione; forse perché se troppe persone venivano a conoscenza dei termini dell’offerta, ci sarebbe stato il rischio che qualcosa trapelasse all’esterno, disturbando o addirittura annullando l’intera trattativa; oppure – e questa è l’ipotesi che io sposo più volentieri – i lavoratori sono considerati soltanto “carne da officina” e quindi senza alcun diritto di venire informati circa il proprio futuro. Mi direte che sono pessimista in questa mia dichiarazione, ma io preferisco “realista”!!
Marchionne – A.D. della Fiat che ha speso una fortuna in voli aerei per trattare con Opel e con il governo tedesco – è rimasto comprensibilmente male dalla conclusione della vicenda e, mostrando scarso fair play, ha dichiarato che “a Berlino è andata in onda una soap opera brasiliana, ma la vita va avanti anche senza di loro”.
Nel paragonare la trattativa che vedeva impegnati tanti paesi ad una soap opera, per di più brasiliana (il peggio del peggio), Marchionne allude forse a qualche giochetto poco corretto che si è visto nelle stanze del potere tedesco; come ho già avuto modo di dire, la partita sulla Opel si giocava in termini politici e le carte giocate dai socialdemocratici tedeschi – Schroeder in testa – sono state molto pesanti, arrivando a condizionare anche la scelta del governo; da non scordare che al momento l’ex cancelliere tedesco è un dipendente di Putin nella Gazprom.
E qui, se mi consentite una breve parentesi, torna il termine soap-opera, il cui significato letterario è “opera-saponetta”, ma che ha preso questo nome dal primo sponsor (fabbrica di saponi) che credette in questa forma di racconto – iniziato alla radio e proseguito in televisione – come veicolo pubblicitario; anche in questo caso abbiamo lo sponsor ed è la Gazprom di Putin.
Ma non dimentichiamo – in ultima analisi – che la decisione finale è stata presa negli Stati Uniti, dalla General Motors, proprietaria effettiva della Opel; ed infatti, quando si è trattato di mettere sul piatto della bilancia i soldi occorrenti a ripianare i debiti, Putin, per conto della “Magna” ha fatto fronte alle necessità, mentre Marchionne si è trincerato dietro ad una dichiarazione molto sibillina che recita “FIAT non può prendersi rischi non necessari e irragionevoli non avendo avuto il tempo di valutare la situazione finanziaria di Opel”.
Il che, in concreto, significa che fino a mettere in campo la tecnologia per motori ecologici ed a basso consumo, nonché a fornire i supporti organizzativi necessari alla ripresa, la Fiat ci sta, ma se dobbiamo parlare di soldi allora le cose cambiano totalmente aspetto; insomma una riedizione degli accordi Chrysler.
Comunque Marchionne non si è perso d’animo e, nell’intento di trovare un partner insieme al quale arrivare a produrre 6/7 milioni di autovetture annue, ha cominciato a guardarsi attorno ed ha intavolato trattative con SAAB e con Vauxhall, sperando di avere maggiore fortuna e di riuscire a compiere l’ennesimo miracolo di comprare qualcosa senza tirare fuori denaro.
Ma c’è da chiedersi quale sia stato il ruolo dei lavoratori (sindacato) in questa trattativa; la risposta è molto facile: nessuno! Cioè, il management delle aziende interessate a questi giochi da Monopoli, non ha mai chiamato i rappresentanti dei lavoratori per spiegare loro la situazione; forse perché se troppe persone venivano a conoscenza dei termini dell’offerta, ci sarebbe stato il rischio che qualcosa trapelasse all’esterno, disturbando o addirittura annullando l’intera trattativa; oppure – e questa è l’ipotesi che io sposo più volentieri – i lavoratori sono considerati soltanto “carne da officina” e quindi senza alcun diritto di venire informati circa il proprio futuro. Mi direte che sono pessimista in questa mia dichiarazione, ma io preferisco “realista”!!
domenica, maggio 31, 2009
BAMBINA DIMENTICATA ALL'AUTOGRILL
Una notizia di cronaca c’informa che nell’area di servizio San Zenone al Lambro sulla A1, una bambina di 5 anni è stata “dimenticata” dai genitori che si sono accorti della sparizione della bambina circa mezz’ora dopo il fatto; intanto un automobilista aveva notato la ragazzina tutta sola aggirarsi fuori dei locali dell’area di servizio ed aveva allertato la Polizia Stradale, di modo che quando i genitori hanno segnalato la scomparsa della piccola è stato facile fare due più due e incrociare le segnalazioni: in conclusione, la famiglia si è riunita circa due ore dopo la dimenticanza dei genitori e i baci e gli abbracci si sono sprecati, accompagnati ovviamente da qualche lacrima.
L’evento che ho sopra descritto sommariamente, mi serve per correlarlo con un film – a mio giudizio molto importante – girato nel 1999 da Silvio Soldini e dal titolo “Pane e Tulipani”; in questo film si narra di una donna che, mentre sta facendo una gita insieme alla famiglia (coniuge e due figli) viene “dimenticata” in un Autogrill, ma in questo caso nessuno interpella la Polizia: la donna si fa dare un passaggio ad un Autobus pieno di turisti che la porta a Venezia, mentre il “resto della famiglia” non si preoccupa della sua scomparsa, fedele al motto “tornerà”.
Arrivata a Venezia – con soli pochi spiccioli in tasca – comincia ad arrangiarsi per trovare il modo di sbarcare il lunario: incontra due tipi stranissimi, uno che le offre un lavoro in un negozio di fiori, e l’altro che le affitta una stanza nella sua casa.
Sia con questi due personaggi, ma anche con altre persone che gravitano nella zona, la donna interagisce e suscita in tutti ammirazione e simpatia; a casa invece – ecco il parallelismo – era considerata come una schiava e nessuno della famiglia guardava a lei con un briciolo di affetto e considerazione; il marito ha l’amante e non si cura della moglie se non per farsi stirare a puntino le camicie, mentre i ragazzi non la considerano proprio ed anzi quando parla lei, si alzano e se ne vanno.
La donna intanto ha fatto diverse nuove amicizie e ha suscitato un vero, profondo amore nel suo padrone di casa, un cameriere interpretato alla grande da Bruno Ganz.
Ma le faccende domestiche cominciano ad accumularsi e così il marito ingaggia un investigatore privato con l’incarico di ritrovarla e riportarla a casa; la prima parte del progetto riesce, ma la donna si rifiuta categoricamente di rientrare in famiglia.
Ci vorrà una sorta di ricatto per riportarla a casa (le annunciano, mentendo, che il figlio si droga) ma il rientro non è niente di particolare , in quanto il tran tran della famiglia riprende allo stesso modo di prima: il marito continua a tradirla e i figli ad ignorarla.
Ma l’amore, quello vero, busserà alla sua porta: il cameriere veneziano, fattosi imprestare un’automobile scassata, si reca a casa della donna e – munito del fatidico mazzolino di fiori – chiede ai componenti della famiglia – di volergli concedere la sua mano; tra lo stupore generale, il film ha il canonico lieto fine e la donna ritornerà a Venezia dove c’è chi la sa giustamente valutare.
Perché vi ho raccontato quasi tutta la trama del film, facendo un parallelismo con l’evento accaduto sulla A1? Per due ordini di motivi: il primo è che il film di Soldini rappresenta il primo, vero e autentico film “femminista” ben riuscito ed il secondo è che a monte di ogni “dimenticanza” c’è quasi sempre un sostanziale disinteresse per la gente, anche se questa è parte integrante della propria famiglia.
Si potrebbe aggiungere – a voler essere cattivi – che ogni essere umano serve solo nel momento in cui interpreta fedelmente il ruolo che gli è stato affidato: ovviamente mi riferisco alla donna del film, meno alla bambina dell’A1, di cui non so niente!
L’evento che ho sopra descritto sommariamente, mi serve per correlarlo con un film – a mio giudizio molto importante – girato nel 1999 da Silvio Soldini e dal titolo “Pane e Tulipani”; in questo film si narra di una donna che, mentre sta facendo una gita insieme alla famiglia (coniuge e due figli) viene “dimenticata” in un Autogrill, ma in questo caso nessuno interpella la Polizia: la donna si fa dare un passaggio ad un Autobus pieno di turisti che la porta a Venezia, mentre il “resto della famiglia” non si preoccupa della sua scomparsa, fedele al motto “tornerà”.
Arrivata a Venezia – con soli pochi spiccioli in tasca – comincia ad arrangiarsi per trovare il modo di sbarcare il lunario: incontra due tipi stranissimi, uno che le offre un lavoro in un negozio di fiori, e l’altro che le affitta una stanza nella sua casa.
Sia con questi due personaggi, ma anche con altre persone che gravitano nella zona, la donna interagisce e suscita in tutti ammirazione e simpatia; a casa invece – ecco il parallelismo – era considerata come una schiava e nessuno della famiglia guardava a lei con un briciolo di affetto e considerazione; il marito ha l’amante e non si cura della moglie se non per farsi stirare a puntino le camicie, mentre i ragazzi non la considerano proprio ed anzi quando parla lei, si alzano e se ne vanno.
La donna intanto ha fatto diverse nuove amicizie e ha suscitato un vero, profondo amore nel suo padrone di casa, un cameriere interpretato alla grande da Bruno Ganz.
Ma le faccende domestiche cominciano ad accumularsi e così il marito ingaggia un investigatore privato con l’incarico di ritrovarla e riportarla a casa; la prima parte del progetto riesce, ma la donna si rifiuta categoricamente di rientrare in famiglia.
Ci vorrà una sorta di ricatto per riportarla a casa (le annunciano, mentendo, che il figlio si droga) ma il rientro non è niente di particolare , in quanto il tran tran della famiglia riprende allo stesso modo di prima: il marito continua a tradirla e i figli ad ignorarla.
Ma l’amore, quello vero, busserà alla sua porta: il cameriere veneziano, fattosi imprestare un’automobile scassata, si reca a casa della donna e – munito del fatidico mazzolino di fiori – chiede ai componenti della famiglia – di volergli concedere la sua mano; tra lo stupore generale, il film ha il canonico lieto fine e la donna ritornerà a Venezia dove c’è chi la sa giustamente valutare.
Perché vi ho raccontato quasi tutta la trama del film, facendo un parallelismo con l’evento accaduto sulla A1? Per due ordini di motivi: il primo è che il film di Soldini rappresenta il primo, vero e autentico film “femminista” ben riuscito ed il secondo è che a monte di ogni “dimenticanza” c’è quasi sempre un sostanziale disinteresse per la gente, anche se questa è parte integrante della propria famiglia.
Si potrebbe aggiungere – a voler essere cattivi – che ogni essere umano serve solo nel momento in cui interpreta fedelmente il ruolo che gli è stato affidato: ovviamente mi riferisco alla donna del film, meno alla bambina dell’A1, di cui non so niente!