sabato, settembre 25, 2010
RELATIVISMO E PECCATO
Il fido “Devoto-Oli così definisce il peccato: “violazione dell’ordine morale, specialmente in quanto motivo di condanna o di pentimento nell’ambito della legge e dell’esperienza religiosa”; quindi, occorre che ci sia una sovrastrutture (religiosa?) che stabilisca quello che è peccato ed anche se possiamo parlare di peccato veniale o mortale; insomma tutta una scala di valori e di importanza che viene data alle nostre azioni.
Partiamo dalla Sacra Scrittura e vediamo quali sono i peccati cosiddetti “capitali”: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria; è chiaro che se togliessimo dalla faccia della Terra tutte quelle azioni che contengono uno dei suddetti peccati, le cose andrebbero meglio, ma evidentemente non si può e quindi dobbiamo tenerceli.
In soccorso dei peccatori, è arrivato ai tempi nostri il cosiddetto relativismo; il primo a parlarne è stato l’allora Cardinale Ratzinger nella messa “pro eligendo Pontefice”: egli ebbe ad affermare che “esiterebbe una sorta di dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura il proprio IO e le sue voglie”; se ne deduce che qualsiasi legge morale, da qualunque confessione religiosa provenga, viene prima vagliata attraverso le considerazioni del singolo individuo e riceve il “via libera” per la propria coscienza soltanto se coincide con esse.
Altrimenti si ha la frase rituale che recita pressappoco così: io credo in Dio ma non credo nella Chiesa e tantomeno nei preti; così facendo l’individuo tende a realizzare un collegamento diretto tra lui ed il Padreterno, colui cioè che ha inventato le regole e le ha trasmesse al genere umano perché le applicasse e ne fosse così felice e contento.
La mia sensazione – non sono un assiduo frequentatore di Chiese – è che l’attuale ordine di scuderia sia quello di glissare il più possibile sui peccati sopra specificati e concentrare il sermone su cose che “fanno sentire bene” la gente.
Quindi, abolito l’iter che partiva dal peccato, proseguiva con il pentimento e finiva con la redenzione, adesso non avendo più il concetto della “consapevolezza e del timore del peccato”, praticamente scomparsi, siamo soliti chiederci non più “cosa desidera Dio da me”, ma “cosa può fare Dio per me”, arrivando addirittura a chiederGli l’aumento di un certo titolo in Borsa o la vincita al Superenalotto.
Nella grandissima e molto densa marmellata che è adesso la nostra società, abbiamo cancellato una serie di termini proprio perché non sono “politicamente corretti”; e quindi non diciamo che due persone “vivono nel peccato”, quando convivono pur non essendo sposati, ma si dice “vivono insieme”, così come per gli “adulteri” si dice semplicemente che “hanno una storia”.
Dicevo alcuni giorni addietro in un mio post, che adesso la nostra società ci chiede di “apparire in un certo modo ” e non di esserlo e questa è la condizione ideale per colui che pecca, in quanto la gente è pronta ad accettare come “normale” quello che è “peccaminoso” e quindi è sufficiente “galleggiare” in questa palude dei sentimenti.
La gente dice: “in campo morale sono molto esigente sia con me stesso che con gli altri, ma so che siamo umani e quindi non mi aspetto troppo”; questo bel discorsino ha due punti focali: il primo è quel giudicare “esigente” il suo approccio alla morale ed il secondo è il dare per scontato che l’uomo è peccatore per definizione e quindi auto-scusarsi per i peccati che andremo a commettere;non so come funziona nelle altre confessioni, ma nel cattolicesimo, una recente ricerca ha stabilito nel 60% l’ammontare dei “credenti” che non si confessa e non si comunica con regolarità; può voler dire che “non si ritiene in peccato”? Forse!!
Partiamo dalla Sacra Scrittura e vediamo quali sono i peccati cosiddetti “capitali”: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria; è chiaro che se togliessimo dalla faccia della Terra tutte quelle azioni che contengono uno dei suddetti peccati, le cose andrebbero meglio, ma evidentemente non si può e quindi dobbiamo tenerceli.
In soccorso dei peccatori, è arrivato ai tempi nostri il cosiddetto relativismo; il primo a parlarne è stato l’allora Cardinale Ratzinger nella messa “pro eligendo Pontefice”: egli ebbe ad affermare che “esiterebbe una sorta di dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura il proprio IO e le sue voglie”; se ne deduce che qualsiasi legge morale, da qualunque confessione religiosa provenga, viene prima vagliata attraverso le considerazioni del singolo individuo e riceve il “via libera” per la propria coscienza soltanto se coincide con esse.
Altrimenti si ha la frase rituale che recita pressappoco così: io credo in Dio ma non credo nella Chiesa e tantomeno nei preti; così facendo l’individuo tende a realizzare un collegamento diretto tra lui ed il Padreterno, colui cioè che ha inventato le regole e le ha trasmesse al genere umano perché le applicasse e ne fosse così felice e contento.
La mia sensazione – non sono un assiduo frequentatore di Chiese – è che l’attuale ordine di scuderia sia quello di glissare il più possibile sui peccati sopra specificati e concentrare il sermone su cose che “fanno sentire bene” la gente.
Quindi, abolito l’iter che partiva dal peccato, proseguiva con il pentimento e finiva con la redenzione, adesso non avendo più il concetto della “consapevolezza e del timore del peccato”, praticamente scomparsi, siamo soliti chiederci non più “cosa desidera Dio da me”, ma “cosa può fare Dio per me”, arrivando addirittura a chiederGli l’aumento di un certo titolo in Borsa o la vincita al Superenalotto.
Nella grandissima e molto densa marmellata che è adesso la nostra società, abbiamo cancellato una serie di termini proprio perché non sono “politicamente corretti”; e quindi non diciamo che due persone “vivono nel peccato”, quando convivono pur non essendo sposati, ma si dice “vivono insieme”, così come per gli “adulteri” si dice semplicemente che “hanno una storia”.
Dicevo alcuni giorni addietro in un mio post, che adesso la nostra società ci chiede di “apparire in un certo modo ” e non di esserlo e questa è la condizione ideale per colui che pecca, in quanto la gente è pronta ad accettare come “normale” quello che è “peccaminoso” e quindi è sufficiente “galleggiare” in questa palude dei sentimenti.
La gente dice: “in campo morale sono molto esigente sia con me stesso che con gli altri, ma so che siamo umani e quindi non mi aspetto troppo”; questo bel discorsino ha due punti focali: il primo è quel giudicare “esigente” il suo approccio alla morale ed il secondo è il dare per scontato che l’uomo è peccatore per definizione e quindi auto-scusarsi per i peccati che andremo a commettere;non so come funziona nelle altre confessioni, ma nel cattolicesimo, una recente ricerca ha stabilito nel 60% l’ammontare dei “credenti” che non si confessa e non si comunica con regolarità; può voler dire che “non si ritiene in peccato”? Forse!!
giovedì, settembre 23, 2010
ZIBALDONE N.9
Sono tre le notizie che mi hanno colpito e che trasmetto ai miei lettori con qualche commento ed altrettanti “stimoli”, spero, per coloro che mi seguono.
LA PRIMA notizia proviene dal Giappone e riguarda una esibizione al pubblico di uno strano oggetto: il patibolo; i giornalisti infatti sono stati portati a vedere il luogo delle sentenze capitali a Tokio, uno dei sette esistenti nel Paese; la macabra visita guidata è stata organizzata dal Ministro della Giustizia giapponese, esponente di un partito contrario alla pena di morte che – è bene precisarlo – è ancora esistente nel paese asiatico. “La mia speranza” – ha detto il ministro – “è che si apra una discussione sulla pena di morte”; per la verità, mi sembra che ci sia poco da discutere, specie perché in un recentissimo sondaggio, l’86% dei cittadini giapponesi si sono dichiarati favorevoli alla pena di morte.
Il Guardasigilli giapponese spera, con la visione della macabra stanza del patibolo, di smuovere le coscienze dei cittadini asiatici, specie perché al momento i condannati che aspettano nei braccio della morte sono ben 107 e la loro sorte è appesa ad una decisione del governo che, al momento non sembra attuabile.
LA SECONDA notizia si riferisce ad una intervista rilasciata da Don Verzé, nella quale il fondatore del celebre Ospedale San Raffaele di Milano, parla a ruota libera, proprio come può fare un “personaggio” come lui che è ormai diventato “intoccabile”.
Dopo aver dato il proprio assenso alla “comunione ai divorziati”, si mette a parlare del Papa, con un curioso espediente: usa il “se fossi Papa..” per affrontare alcuni problemi della Chiesa; il primo di queste allocuzioni riguarda il modo di vita del Pontefice: “se fossi Papa scenderei da solo, senza bardature a stare tra la gente, scenderei non da sacri Palazzi, ma da un semplice appartamento come un buon Parroco”.
Inoltre, “se fosse Papa”, il nostro Don Verzé eliminerebbe il Cardinalato e passerebbe l’elezione del Pontefice direttamente ai Vescovi, aggiungendo – in barba a tutti i segreti del conclave – che per i moderni sistemi telematici non sarebbe un problema.
Fra le tante cose che Don Verzé dice a proposito de “se fossi Papa”, l’ultima che vi propongo è quella che si riferisce ai viaggi in tutte le parti del mondo: “anziché fare visite lampo con costose comparse oceaniche, mi fermerei nei cinque continenti qualche mese e magari – in qualche caso – alcuni anni, a viverci come facevano gli Apostoli, Pietro, Paolo e gli altri”.
Molto interessanti le cose dette da Don Verzé, anche se sembra fantascienza.
LA TERZA notizia riguarda “il branco”, quell’accozzaglia di giovani che, presi singolarmente sono tutti bravi ragazzi, ma messi insieme rappresentano un autentico pericolo ambulante; sentite come si esprimono cinque ragazzi arrestati per uno stupro di gruppo: con tono tranquillo, di persone assennate, raccontano di aver condotto la malcapitata ragazza in un luogo riparato e, dopo averla picchiata, l’hanno derubata e stuprata tutti e cinque, concludendo con la frase che mi ha particolarmente colpito: “forse abbiamo esagerato un po’”. Quindi, non hanno cercato di mentire o di darsi reciprocamente la colpa, ma hanno ammesso tranquillamente il reato, tirando fuori l’unica scusante dell’assunzione di alcool e di droga, ma in sostanza, considerando lo stupro una cosa “quasi accettabile”, ma forse diventata una “brutta cosa” per alcuni particolari di quella nottata raccontati agli allibiti poliziotti, i quali alla domanda “perché l’avete rapinata” si sono sentiti rispondere tranquillamente “perché lei ha opposto resistenza, si è ribellata”; doveva accettare e stare zitta!! Chiaro il concetto??
LA PRIMA notizia proviene dal Giappone e riguarda una esibizione al pubblico di uno strano oggetto: il patibolo; i giornalisti infatti sono stati portati a vedere il luogo delle sentenze capitali a Tokio, uno dei sette esistenti nel Paese; la macabra visita guidata è stata organizzata dal Ministro della Giustizia giapponese, esponente di un partito contrario alla pena di morte che – è bene precisarlo – è ancora esistente nel paese asiatico. “La mia speranza” – ha detto il ministro – “è che si apra una discussione sulla pena di morte”; per la verità, mi sembra che ci sia poco da discutere, specie perché in un recentissimo sondaggio, l’86% dei cittadini giapponesi si sono dichiarati favorevoli alla pena di morte.
Il Guardasigilli giapponese spera, con la visione della macabra stanza del patibolo, di smuovere le coscienze dei cittadini asiatici, specie perché al momento i condannati che aspettano nei braccio della morte sono ben 107 e la loro sorte è appesa ad una decisione del governo che, al momento non sembra attuabile.
LA SECONDA notizia si riferisce ad una intervista rilasciata da Don Verzé, nella quale il fondatore del celebre Ospedale San Raffaele di Milano, parla a ruota libera, proprio come può fare un “personaggio” come lui che è ormai diventato “intoccabile”.
Dopo aver dato il proprio assenso alla “comunione ai divorziati”, si mette a parlare del Papa, con un curioso espediente: usa il “se fossi Papa..” per affrontare alcuni problemi della Chiesa; il primo di queste allocuzioni riguarda il modo di vita del Pontefice: “se fossi Papa scenderei da solo, senza bardature a stare tra la gente, scenderei non da sacri Palazzi, ma da un semplice appartamento come un buon Parroco”.
Inoltre, “se fosse Papa”, il nostro Don Verzé eliminerebbe il Cardinalato e passerebbe l’elezione del Pontefice direttamente ai Vescovi, aggiungendo – in barba a tutti i segreti del conclave – che per i moderni sistemi telematici non sarebbe un problema.
Fra le tante cose che Don Verzé dice a proposito de “se fossi Papa”, l’ultima che vi propongo è quella che si riferisce ai viaggi in tutte le parti del mondo: “anziché fare visite lampo con costose comparse oceaniche, mi fermerei nei cinque continenti qualche mese e magari – in qualche caso – alcuni anni, a viverci come facevano gli Apostoli, Pietro, Paolo e gli altri”.
Molto interessanti le cose dette da Don Verzé, anche se sembra fantascienza.
LA TERZA notizia riguarda “il branco”, quell’accozzaglia di giovani che, presi singolarmente sono tutti bravi ragazzi, ma messi insieme rappresentano un autentico pericolo ambulante; sentite come si esprimono cinque ragazzi arrestati per uno stupro di gruppo: con tono tranquillo, di persone assennate, raccontano di aver condotto la malcapitata ragazza in un luogo riparato e, dopo averla picchiata, l’hanno derubata e stuprata tutti e cinque, concludendo con la frase che mi ha particolarmente colpito: “forse abbiamo esagerato un po’”. Quindi, non hanno cercato di mentire o di darsi reciprocamente la colpa, ma hanno ammesso tranquillamente il reato, tirando fuori l’unica scusante dell’assunzione di alcool e di droga, ma in sostanza, considerando lo stupro una cosa “quasi accettabile”, ma forse diventata una “brutta cosa” per alcuni particolari di quella nottata raccontati agli allibiti poliziotti, i quali alla domanda “perché l’avete rapinata” si sono sentiti rispondere tranquillamente “perché lei ha opposto resistenza, si è ribellata”; doveva accettare e stare zitta!! Chiaro il concetto??
martedì, settembre 21, 2010
COSA C'ENTRANO CON L'AMORE?
L’ipotesi che cercherò di sviluppare con questo post, riguarda due caratteristiche della nostra civiltà – il relativismo etico e morale e la massificazione – ponendole in relazione con un’altra realtà adesso in crisi: l’amore, e le sue splendide realtà.
Anzitutto, analizziamo queste due caratteristiche dei nostri giorni e poi vedremo se riuscirò ad andare avanti: il relativismo, secondo quanto mi dice il Devoto-Oli, lo definiamo come “ogni atteggiamento del pensiero che consideri la conoscenza come incapace di attingere una realtà oggettiva ed assoluta”.
Per questo tipo di atteggiamento, non esistono né sistemi, né morali, né religioni, né principi universali, ma solo l’individualismo più assoluto e sfrenato che toglie valore a qualunque principio superiore; l’uomo ricerca - se non la felicità come insegna la Costituzione americana – almeno il godimento, e per fare ciò identifica il suo “mondo personale” e cerca di ottenervi un posto di prima fila per poter assistere allo spettacolo degli altri che si arrabattano all’inseguimento di un principio o di un sentimento.
Invece, sempre il Devoto-Oli, così definisce la massificazione: “l’opera di desolante spersonalizzazione spirituale e morale dell’individuo, perseguita per ovvi motivi dai regimi totalitari o, come diretta conseguenza, dalla civiltà dei consumi”.
Entrambi sono quindi fenomeni che antepongono l’”io ad ogni altra cosa; Per quest’ultimo fenomeno, dobbiamo aggiungere che nella nostra società, tutto parte dall’uso smodato dell’immagine che schiavizza l’uomo contemporaneo.
In concreto, l’uso scorretto delle immagini o meglio la loro non corretta “lettura”, ingenera nell’individuo il fenomeno della massificazione che – data la provenienza dal consumismo – possiamo definire come quel fenomeno che, dopo avere generato “la massa”, cioè l’amalgama delle persone caratterizzate da un denominatore comune (la mentalità massmediale) agisce nei confronti del singolo facendo in modo che egli “mutui i criteri di scelta da fattori estrinseci alla cosa da scegliere anziché da elementi intrinseci”. Quindi, in concreto, crediamo di scegliere liberamente, ma così non è, dato che i criteri di scelta ci vengono “imposti” dal sistema dei mass-media; e questo vale per tutto, anche per i sentimenti, poiché ci fa agire come se la finzione che ci appare fosse la realtà; da questo ne discende che il nostro soggettivismo diventa esasperato al massimo e quindi “quello che piace a me è l’unica cosa che conta, il resto si fotta!!”.
E adesso vediamo come queste due caratteristiche della nostra società possono incidere sull’amore, quel sentimento bellissimo e incomprensibile che sempre più sembra legato a fattori esteriori anziché a stati d’animo ed a sentimenti reali.
Possiamo dire che questo esasperato “soggettivismo”, così scarsamente suscettibile di sacrifici, donazione del proprio essere ed altre “baggianate” del genere, mal si concilia con la dedizione appassionata ed esclusiva, volta ad assicurare reciprocamente felicità, benessere e voluttà e neppure con la donazione di un qualcosa di “immateriale” che mal si concilia con la situazione attuale della “coppia”, in quanto una delle due componenti, o addirittura entrambe, ragionano con una mentalità relativista e massmediale, tutte e due nemiche giurate ed anzi “antitetiche” al sentimento ed alla dedizione, al sacrificio ed alla donazione – gratuita e meravigliosa – di se stesso all’altra con l’unica attesa di essere ricambiato, se possibile.
Che fare allora? Il mondo ci chiede di abbracciare una filosofia materialistica, di giocare le nostre carte sul versante dell’”apparire” e non su quello dell’”essere”; la maggioranza si adegua a questo, ma io non lo faccio e non fatelo neppure voi!!
Anzitutto, analizziamo queste due caratteristiche dei nostri giorni e poi vedremo se riuscirò ad andare avanti: il relativismo, secondo quanto mi dice il Devoto-Oli, lo definiamo come “ogni atteggiamento del pensiero che consideri la conoscenza come incapace di attingere una realtà oggettiva ed assoluta”.
Per questo tipo di atteggiamento, non esistono né sistemi, né morali, né religioni, né principi universali, ma solo l’individualismo più assoluto e sfrenato che toglie valore a qualunque principio superiore; l’uomo ricerca - se non la felicità come insegna la Costituzione americana – almeno il godimento, e per fare ciò identifica il suo “mondo personale” e cerca di ottenervi un posto di prima fila per poter assistere allo spettacolo degli altri che si arrabattano all’inseguimento di un principio o di un sentimento.
Invece, sempre il Devoto-Oli, così definisce la massificazione: “l’opera di desolante spersonalizzazione spirituale e morale dell’individuo, perseguita per ovvi motivi dai regimi totalitari o, come diretta conseguenza, dalla civiltà dei consumi”.
Entrambi sono quindi fenomeni che antepongono l’”io ad ogni altra cosa; Per quest’ultimo fenomeno, dobbiamo aggiungere che nella nostra società, tutto parte dall’uso smodato dell’immagine che schiavizza l’uomo contemporaneo.
In concreto, l’uso scorretto delle immagini o meglio la loro non corretta “lettura”, ingenera nell’individuo il fenomeno della massificazione che – data la provenienza dal consumismo – possiamo definire come quel fenomeno che, dopo avere generato “la massa”, cioè l’amalgama delle persone caratterizzate da un denominatore comune (la mentalità massmediale) agisce nei confronti del singolo facendo in modo che egli “mutui i criteri di scelta da fattori estrinseci alla cosa da scegliere anziché da elementi intrinseci”. Quindi, in concreto, crediamo di scegliere liberamente, ma così non è, dato che i criteri di scelta ci vengono “imposti” dal sistema dei mass-media; e questo vale per tutto, anche per i sentimenti, poiché ci fa agire come se la finzione che ci appare fosse la realtà; da questo ne discende che il nostro soggettivismo diventa esasperato al massimo e quindi “quello che piace a me è l’unica cosa che conta, il resto si fotta!!”.
E adesso vediamo come queste due caratteristiche della nostra società possono incidere sull’amore, quel sentimento bellissimo e incomprensibile che sempre più sembra legato a fattori esteriori anziché a stati d’animo ed a sentimenti reali.
Possiamo dire che questo esasperato “soggettivismo”, così scarsamente suscettibile di sacrifici, donazione del proprio essere ed altre “baggianate” del genere, mal si concilia con la dedizione appassionata ed esclusiva, volta ad assicurare reciprocamente felicità, benessere e voluttà e neppure con la donazione di un qualcosa di “immateriale” che mal si concilia con la situazione attuale della “coppia”, in quanto una delle due componenti, o addirittura entrambe, ragionano con una mentalità relativista e massmediale, tutte e due nemiche giurate ed anzi “antitetiche” al sentimento ed alla dedizione, al sacrificio ed alla donazione – gratuita e meravigliosa – di se stesso all’altra con l’unica attesa di essere ricambiato, se possibile.
Che fare allora? Il mondo ci chiede di abbracciare una filosofia materialistica, di giocare le nostre carte sul versante dell’”apparire” e non su quello dell’”essere”; la maggioranza si adegua a questo, ma io non lo faccio e non fatelo neppure voi!!
domenica, settembre 19, 2010
E IN ITALIA COSA SUCCEDE ?
La situazione politica italiana è caratterizzata dalle “solite” polemiche che investono entrambe le compagini maggiori, PdL e PD: dei primi sappiamo che lo “strappo” di Fini ha messo in grossa agitazione il partito e che il Capo Berlusconi si arrabatta per tirare avanti la legislatura in modo da poter scansare le inchieste dei PM; dall’altra parte dello schieramento, ci ha pensato Veltroni ad agitare le acque, formando di fatto una nuova corrente – ostile al segretario Bersani – composta da 75 parlamentari e scompaginando le carte che pazientemente erano state disposte per formare un “qualcosa” che, in caso di elezioni, potesse sconfiggere l’”odiato” Berlusca.
I due “ribelli” – Fini e Veltroni – si sono distinti in passato per alcune affermazioni che adesso non gli fanno onore: cominciamo da Fini che ebbe a dire “le correnti sono il cancro dei partiti”, per proseguire con Veltroni che affermo, con enfasi maggiore e più poetica, “sulla mia tomba voglio sia scritto che non ho mai promosso o aderito a una corrente”; in politica la coerenza è un difetto???
Entrambi, ovviamente, avranno anche le loro sacrosante ragioni ad essere in collera con i loro “capi”, accusandoli di aver “tradito il progetto originario”, ma il momento storico e soprattutto economico in cui si svolgono questi duelli, rende gli attacchi alle leadership particolarmente incomprensibili per la gente comune, la quale ritiene – forse sbagliando, ma chissà…- che alla base di tutti questi distinguo ci siano soltanto degli interessi personali che niente hanno quindi a che vedere con il bene del popolo.
Se poi scendiamo un po’ di più nei dettagli della questione, possiamo dire che le similitudini tra Fini e Veltroni sono poche in quanto ognuno di loro ha provenienze particolari: per il primo, giova ricordare che circa venti anni fa, i colonnelli del vecchio Msi sostituirono il giovane Gianfranco con il vecchio Pino Rauti; a quel punto la moglie di Fini, Daniela – sostituita con quella che al momento gli sta dando qualche grattacapo – ebbe a dirgli, con chiarezza e brutalità: “o metti le palle sul tavolo o sei finito”; il marito capì l’insegnamento della moglie, tirò fuori gli attributi e in un anno riconquistò la segreteria del partito.
Per un caso curioso, anche Bersani ha una moglie che si chiama per l’appunto Daniela ed è presumibile che, dal bancone della sua farmacia comunale di Piacenza, gli abbia rivolto lo stesso invito, ma non è dato sapere come abbia reagito il marito Pierluigi; certo che nella sinistra, quando si cerca una scusante per le difficoltà, si tira fuori il concetto “da noi si discute democraticamente, non c’è un padrone come dall’altra parte” il che è un nascondersi dietro un dito, visti i tanti concorrenti per la leadership del partito che si stanno presentando, da Niki Vendola a Chiamparino, per citare solo i più gettonati.
Il tutto, al momento, è una partita puramente teorica che si sta giocando in modo virtuale, visto che non ci sono all’orizzonte immediato delle nuove elezioni e che non sembra neppure che sia giunta l’ora per Berlusconi di abbandonare la politica, nonostante i suoi 74 anni; probabilmente la certezza dell’immortalità – scusate la battuta – può avergli fatto decidere per un altro mandato, dopo quello che dovrebbe scadere nel 2013, quando cioè gli anni di età saranno 77; staremo a vedere!!
È chiaro che un rimescolamento della politica si potrebbe avere soltanto se dal mazzo di carte viene tolto l’asso piglia tutto di Silvio; ma da solo non credo che si convinca; probabilmente qualche magistrato cercherà di “intervenire” sulla decisione, ma allora si entra in tutta un’altra storia che non è oggetto di questo post.
I due “ribelli” – Fini e Veltroni – si sono distinti in passato per alcune affermazioni che adesso non gli fanno onore: cominciamo da Fini che ebbe a dire “le correnti sono il cancro dei partiti”, per proseguire con Veltroni che affermo, con enfasi maggiore e più poetica, “sulla mia tomba voglio sia scritto che non ho mai promosso o aderito a una corrente”; in politica la coerenza è un difetto???
Entrambi, ovviamente, avranno anche le loro sacrosante ragioni ad essere in collera con i loro “capi”, accusandoli di aver “tradito il progetto originario”, ma il momento storico e soprattutto economico in cui si svolgono questi duelli, rende gli attacchi alle leadership particolarmente incomprensibili per la gente comune, la quale ritiene – forse sbagliando, ma chissà…- che alla base di tutti questi distinguo ci siano soltanto degli interessi personali che niente hanno quindi a che vedere con il bene del popolo.
Se poi scendiamo un po’ di più nei dettagli della questione, possiamo dire che le similitudini tra Fini e Veltroni sono poche in quanto ognuno di loro ha provenienze particolari: per il primo, giova ricordare che circa venti anni fa, i colonnelli del vecchio Msi sostituirono il giovane Gianfranco con il vecchio Pino Rauti; a quel punto la moglie di Fini, Daniela – sostituita con quella che al momento gli sta dando qualche grattacapo – ebbe a dirgli, con chiarezza e brutalità: “o metti le palle sul tavolo o sei finito”; il marito capì l’insegnamento della moglie, tirò fuori gli attributi e in un anno riconquistò la segreteria del partito.
Per un caso curioso, anche Bersani ha una moglie che si chiama per l’appunto Daniela ed è presumibile che, dal bancone della sua farmacia comunale di Piacenza, gli abbia rivolto lo stesso invito, ma non è dato sapere come abbia reagito il marito Pierluigi; certo che nella sinistra, quando si cerca una scusante per le difficoltà, si tira fuori il concetto “da noi si discute democraticamente, non c’è un padrone come dall’altra parte” il che è un nascondersi dietro un dito, visti i tanti concorrenti per la leadership del partito che si stanno presentando, da Niki Vendola a Chiamparino, per citare solo i più gettonati.
Il tutto, al momento, è una partita puramente teorica che si sta giocando in modo virtuale, visto che non ci sono all’orizzonte immediato delle nuove elezioni e che non sembra neppure che sia giunta l’ora per Berlusconi di abbandonare la politica, nonostante i suoi 74 anni; probabilmente la certezza dell’immortalità – scusate la battuta – può avergli fatto decidere per un altro mandato, dopo quello che dovrebbe scadere nel 2013, quando cioè gli anni di età saranno 77; staremo a vedere!!
È chiaro che un rimescolamento della politica si potrebbe avere soltanto se dal mazzo di carte viene tolto l’asso piglia tutto di Silvio; ma da solo non credo che si convinca; probabilmente qualche magistrato cercherà di “intervenire” sulla decisione, ma allora si entra in tutta un’altra storia che non è oggetto di questo post.