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giovedì, marzo 12, 2009

ZIBALDONE N.3/2009 

Un paio di argomenti che mi hanno interessato e che spero suscitino anche il vostro interesse e, soprattutto, un mio arrivederci al 20 o 21 corrente, data in cui rientrerò dalla Sicilia dove mi reco oggi stesso per tenere una “Settimana del Cinema” in una scuola superiore (3° e 4° ginnasio, 1°,2° e 3° liceo).
È un impegno che ormai assolvo da quattro anni ma – forse per l’età che avanza – ogni volta mi procura un forte stress derivante dalla “paura di non farcele”; poi, almeno finora, tutto si svolge nel migliore dei modi ed allora rientro nella mia sede abituale con una forte gratificazione; speriamo che sia così anche questa volta e che magari possa anche fare qualche incontro (femminile) interessante; fatemi gli auguri!
IL PRIMO argomento si riferisce al problema dell’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne e, in particolare, a come adeguarsi alla sentenza della Corte di Giustizia Europea che ci impone tale equiparazione nel settore del pubblico impiego.
È noto il diniego dei sindacati a tale forma di parificazione, ma non riesco a comprendere quali siano le argomentazioni che lor signori consigliano di presentare alla Corte, perché qualcosa dobbiamo pur dire e non far finta che non sia successo niente: siamo per la parità solo quando ci conviene?
La particolare situazione del mondo del lavoro pone problemi di ben altra natura e, forse, questo non era il momento giusto per discutere di pensioni, ma dobbiamo far buon viso al richiamo della Corte.
Tra le tante dichiarazioni – pro e contro – dei vari uomini politici, spicca l’affermazione di Umberto Bossi che, almeno, si distingue in originalità: “Devono essere le donne a scegliere; ci possono essere donne che vogliono andare in pensione dopo, ma la scelta deve essere loro”.
Signor Ministro, forse non le è chiaro che la Corte non ci chiede “un parere” o, peggio ancora, “un referendum tra le donne”, ma più semplicemente di adeguare la nostra normativa al concetto di parità uomo/donna; magari potremmo prendere tempo e quindi andare alla sospirata fine della crisi in atto, ma il bubbone lo dobbiamo far scoppiare, in un modo o nell’altro.
IL SECONDO argomento riguarda il problema delle imminenti elezioni per il Parlamento Europeo (giugno 2009); spero che converrete con me che in Europa dovremmo mandare “i migliori” e non quelli che considerano l’incarico come una sorta di risarcimento per qualche “trombatura” avuta in Italia e che non vedono l’ora di rientrare in patria per ricoprire un incarico qualsiasi, purché ben remunerato.
Sapete che dei 78 eletti nel 2004, 37 (quasi il 50%) non concludono il loro mandato perché hanno giudicato più convenienti posti locali? Eppure lo stipendio è il più alto trai tutti i colleghi europei che siedono al loro fianco, ma evidentemente non basta.
Possiamo fare l’esempio di Santoro e della Gruber, trionfalmente eletti al Parlamento Europeo, che hanno preferito tornare alla professione di giornalisti televisivi.
E volete l’ultima “boutade” in merito al problema? Il Governo sta preparando una norma di legge che prevede la proroga fino alla primavera 2010 dei Consigli Regionali i cui Presidenti venissero eletti al Parlamento Europeo; quindi, in sostanza i Governatori – si mormora di Martini per la Toscana e della piemontese Bresso – si potranno candidare senza dimettersi dalla carica e, qualora dovessero essere eletti, manterrebbero il doppio incarico per un anno circa. Questo ad ulteriore dimostrazione della considerazione nella quale viene tenuto il Parlamento di Bruxelles.

mercoledì, marzo 11, 2009

IL PERICOLO VIENE DALL'EST 

Non sto ripetendo il vecchio detto “addavvenì baffone” come minaccia di chissà quali arrivi di cosacchi che mangiano i bambini, ma di problemi legati all’economia ed in particolare alla crisi finanziaria in atto in tutto il mondo.
I Paesi dell’est Europa aderenti all’U.E. – Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania – attraversano un “logico” periodo di gravissimi problemi finanziari; quei paesi, tutti ex-comunisti, membri dell’UE da cinque anni, hanno chiesto aiuto per cercare di rimettere in sesto la loro disastrata economia e il premier ungherese si è fatto portavoce di tutti, chiedendo la costituzione di un fondo di circa 180 miliardi di euro, a sostegno della ripresa economica.
Il commento del cancelliere tedesco, Angela Merkel, è stato così gelido da affossare definitivamente questo piano: “sconsiglio di mettersi a discutere su cifre gigantesche”; a questa dichiarazione che non lascia molto spazio di discussione ha risposto il premier ungherese avvertendo che “dobbiamo evitare che una nuova cortina di ferro divida l’Europa”, precisando che – fatto mai visto nella storia della U.E. – i Paesi dell’Est hanno confrontato le proprie posizioni prima di prendere parte al vertice dei 27 membri dell’U.E.; come a dire: noi siamo tutti uniti!!
La prima conseguenza delle difficoltà in cui versano queste economie, è la ricaduta che avrebbe su alcuni Paesi europei che hanno investito fortemente nelle economie dell’Europa Orientale; si tratta di Irlanda, la più esposta in assoluto, ma anche della Grecia, dell’Austria e dell’Italia.
Un’altra problematica che si sta verificando è l’aumento della disoccupazione in quei paesi, con la conseguente spinta migratoria verso le altre Nazioni che – si ritiene – meno toccate dalla crisi e quindi più adatte ad accogliere questa mano d’opera.
Per gli aiuti, dopo la sostanziale bocciatura della Merkel al piano ungherese, restano i 24,5 miliardi messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale degli Investimenti; di tale cifra usufruiranno per prime Ungheria e Lettonia, le cui economie rischiano il tracollo completo, con conseguente dichiarazione di insolvenza per tutti i crediti vantati da terzi nei confronti di questi Stati.
Accanto alle problematiche dei paesi ex-comunisti, abbiamo la più grossa di queste economie – quella russa, non entrata nell’U.E. – che sta vivendo momenti drammatici, ripetendo la crisi del 1998, durante la quale l’allora premier, Putin, dichiarò “default” su 40 miliardi di dollari di debiti esteri; la crisi attuale, come la precedente, prende le mosse dalla caduta del prezzo del petrolio, giunto a poco più della metà di quanto indicato nel budget statale (70 dollari il barile contro gli attuali 40/45).
Il rublo ha perduto il 35% del suo valore dall’agosto 2008 a oggi e a nulla sono serviti i 210 miliardi di dollari immessi sul mercato dalla Banca Centrale russa per difendere la propria moneta attaccata da ogni parte; elemento di curiosità: in entrambe le crisi Putin si è ritrovato ad affrontarle da premier; sarà un caso?
Se la crisi dovesse continuare e fare ancora più disastri nella popolazione russa, quest’ultima potrebbe rimettere in discussione la fiducia in Putin e quest’ultimo – insieme al pupillo Medvedev – potrebbe venirne travolto; e allora gli orologi della storia rischierebbero veramente di essere rimessi all’indietro; non dimentichiamo che la Russia è ancora in possesso di 5.000 testate nucleari.
Non bastassero i nostri problemi, dobbiamo preoccuparci anche di quelli degli altri!

martedì, marzo 10, 2009

TU VO' FA' L'EUROPEO 

Ricordate la canzone “tu vo’ fa’ l’americano” scritta e interpretata da Carosone? Ebbene, il nostro Obama – l’abbronzato con i capelli che gli si cominciano ad incanutire – sta cercando di fare il percorso inverso e cioè di atteggiare la sua politica ad un sempre più evidente europeismo; ha cominciato con lo slogan “tassare di più i ricchi per dare ai poveri” che è tipico delle socialdemocrazie europee.
Mentre ci sentiamo orgogliosi per aver fornito le tracce della politica sociale di Obama, non possiamo tacere che al momento il Presidente è in una situazione assolutamente non felice: Wall Street ha perduto un altro 20% che, aggiunto al 30 del terribile autunno 2008, porta il crollo della Borsa americana al 50%; nel 1929 fu del 70, ma ricordiamoci che ancora siamo ben lontano dall’essere fuori dalla crisi.
Un altro comparto che sta facendo tribolare il Presidente è quello del mondo del lavoro, dove altri 2milioni di americani hanno perduto il lavoro, facendo segnare un totale di 12milioni, cifra mai raggiunta dagli anni ’70.
Il terzo fatto che – almeno per il momento – non gli dà soddisfazioni è quello dei pacchetti di stimolo, nonché dei ripetuti salvataggi finanziari: tutte queste manovre, anziché arginare la recessione, stanno rischiando di far esplodere il bilancio statale e, di conseguenza, di aumentare smisuratamente il debito pubblico, in controtendenza con le promesse dello stesso Obama in sede di campagna elettorale.
I suggerimenti degli analisti americani sono tutti rivolti ad una concezione prettamente “liberista” del mercato e quindi sollecitano Obama ad abbandonare le “cause perse” e dare il via ad una serie di bancarotte sulle quali eventualmente rimodellare le aziende; è chiaro che il disdoro che ne deriverebbe induce il Presidente a tentare il salvataggio a qualunque costo, ma se la General Motors ha quei conti, meglio il “Charter 11”, come chiamano in america la bancarotta.
C’è poi la proposta di estendere a tutti l’assicurazione sanitaria, ma per questa riforma occorre molto denaro e, con il bilancio che si ritrova, non sembra che l’America sia in grado di trovare altre disponibilità; a meno che non si voglia utilizzare un vecchio sistema statunitense e cioè quello di battere moneta e di “obbligare” gli stati che detengono il dollaro come valuta di riferimento, a difenderne il valore.
Nella strada dell’europeizzazione dell’America, Obama si becca le contumelie di molti media di prestigio che vedono all’orizzonte una deriva socialista di tipo scandinavo e dunque più “pubblico” e meno “privato”, nuova burocrazia e nuovi controlli, assistenzialismo pigro e costoso; secondo questi critici non sarebbe questa la ricetta per rilanciare l’economia, e il leader di questa compagine, il conduttore del più prestigioso talk show, Rush Limbaugh, ricorda quotidianamente agli americani “ve l’avevo detto, Obama è un radicale, non un moderato”. Una cosa mi lascia perplesso: Obama – copiando Berlusconi – in piena crisi e con il panico dei lavoratori che perdono il posto di lavoro, si lancia in una impresa che sa bene che creerà aspri dibattiti: la riapertura dei finanziamenti statali alle ricerche sulle staminali; il suo collega e nostro Presidente Berlusconi usa tali operazioni (adesso il testamento biologico) per distogliere l’interesse dei media dalle cose che interessano veramente alla gente; Obama sembra avere imboccato la stessa strada e, al di là delle cifre fallimentari su Borsa e mondo del lavoro, butta in pasto ai giornali ed alla televisione la nuova crociata contro “tutti i mali”, facendo così infuriare i cattolici integralisti e soprattutto le altre cariche del Vaticano. Che sia tattica e basta??

lunedì, marzo 09, 2009

ANCORA DUE PAROLE SULLO STARNAZZAMENTO 

Vorrei aggiungere due parole sui concetti espressi nel post di ieri, nel quale ho succintamente e parzialissimamente elencato alcune realtà esistenti sul nostro pianeta di scienziati che sono contrari all’attuale sistema di produzione e commercio ma soprattutto sono contrari alla vita che stiamo conducendo in nome dell’obbligo del consumare ad ogni costo al fine di realizzare i sogni della “globalizzazione”.
Riprendo quindi dal concetto iniziale di “starnazzare” (rumoroso sbattimento delle ali senza che il pollo si alzi da terra) figura retorica che mi piace utilizzare come simbolo di questa situazione: infatti, tutti i reggitori delle sorti dei Paesi più industrializzati, tutti i Ministri economici, tutti gli economisti (consulenti a vario titolo dei governi) andrebbero – senza nessuna eccezione – appesi ad un alto pennone, in quanto sono colpevoli di non aver saputo prevedere la situazione attuale ed anche – alle prime avvisaglie del problema – di non aver saputo approntare delle misure idonee per fronteggiare la crisi.
E invece, salvo rare eccezioni, sono tutti al loro posto e continuano a “starnazzare” senza riuscire a trovare il bandolo della matassa; da notare che due crisi – di dimensioni minori – hanno preceduto l’attuale, quella del Messico del 1996 e quella delle “piccole Tigri Asiatiche” del 1997; in entrambi i casi il male derivava dall’immissione sconsiderata di denaro all’interno di un sistema già tossico di suo che in tal modo vedeva solo aumentare la febbre.
La crisi attuale – per quello che si è potuto capire – sembra discendere dall’immissione di “titoli tossici” all’interno di una finanza totalmente disastrata da mancati controlli e da avidità mostruose: quindi tossico allora e tossico adesso.
E purtroppo la cura che adesso viene propinata sia negli USA che in Europa non si discosta da quella già sperimentata in passato e che si limita a provocare un momentaneo abbassamento della febbre ma non attacca la malattia nella sua virulenza; diciamo che ne sopisce le conseguenze per un po’ ma a scadenza è destinata a ricomparire: si tratta in sostanza di immettere denaro nel sistema con la speranza di ricreare lo sviluppo pre-crisi, per poi proseguire nell’aumento del PIL e riprendere imperterriti la marcia verso la sospirato crescita esponenziale dell’economia.
In America e in Europa abbiamo assistito ad una cosa che ha dell’incredibile: gli Stati, dopo avere “aiutato” le Banche a riprendersi (da coloro che non hanno pagato) sono state invitate (è un eufemismo per dire che sono state ricattate) a concedere prestiti ad aziende medie, grandi e piccole, pena la perdita degli aiuti.
Ora, tutti noi sappiamo che la merce che le Banche vendono è il denaro e che se non mettono in circolazione l’unica merce che hanno compiono un’azione contro natura; però è altrettanto vero che per prestare denaro occorre che il fruitore abbia delle garanzie di restituirlo, altrimenti siamo daccapo; perciò, signori governanti, lasciate fare alle Banche il loro mestiere e state tranquilli che se possono, cioè se esiste un minimo di solvibilità, il denaro continua a circolare e ad essere prestato.
Tra le tante nefandezze compiute dalla Rivoluzione Industriale – da cui discende in linea diretta la “globalizzazione” - c’è anche la “creazione” di un termine che poi diventerà tristemente famoso in tutto il mondo: “disoccupazione”; infatti, nell’era pre-industriale gli artigiani ed i contadini vivevano tutti del “proprio” e sul “proprio” e tutto era organizzato in modo tale che ad ogni nucleo familiare fosse assicurato un degno spazio vitale. Abbiamo avuto la nostra brava convenienza ad abbandonare le campagne per andare ad inurbarsi? Non credo proprio, ma ormai è inutile recriminare!

domenica, marzo 08, 2009

SULLA CRISI SI STARNAZZA 

Sulla crisi che attanaglia il mondo intero, i governanti del pianeta stanno starnazzando (rumoroso sbattimenti delle ali contro il terreno senza che il pollo riesca a decollare); a onor del vero, la crisi precedente – quella del 1929 – ebbe un lasso di tempo di quattro anni tra il crollo di Wall Street e l’avvio del new deal di Roosvelt, quattro anni che fecero versare lacrime e sangue al mondo intero che, pur non essendo ancora “globalizzato”, era comunque dipendente dalla locomotiva americana; la crisi attuale non ha ancora compiuto il primo anno di vita e, quasi certamente è ancora lontana dall’aver raggiunto il picco, atteso per la seconda metà del corrente anno; quindi possiamo consolarci: siamo in linea con i tempi della precedente batosta.
Che poi coloro che governano la crisi attuale siano dei politici – nella maggior parte ignoranti di politica economica – mi induce ad invitarli a cercare strade per una futura impostazione di vita dei loro simili.
Chiaramente si ritorna al concetto di globalizzazione e se diamo per intoccabile questo sistema, tutto quello che segue è superfluo; se invece cerchiamo di spaziare oltre questa concezione economica, possiamo incontrare sistemi e personaggi assai interessanti: cercherò di raccontarvi di qualcuno, iniziando proprio da un americano, Kirkpatrick Sale, l’ideatore della concezione “bioregionalista” della vita: è un diverso approccio etico, politico e ideologico alla vita, legato al territorio in cui si vive che viene considerato un insieme omogeneo sia dal punto di vista morfologico che sotto quello degli esseri viventi; in tale ambiente vengono considerate predominanti le regole dettate dalla natura e non le leggi che l’uomo ha definito in modo assolutamente “artificiale”; chiaro il distacco con il concetto di globalizzazione.
Anch’esso di origine americana, il “neocomunitarismo”, nato nei primi anni ’70, si contrappone al liberalismo (da cui scaturisce la globalizzazione) richiamandosi a regole di valore universale, espressioni della cultura e della tradizione condivisa dai vari membri di una società ed invocando quindi una “res-publica” viva e feconda.
L’ambientalista indiana Vandana Shiva correla la povertà del terzo mondo agli effetti della globalizzazione ed afferma che noi possiamo sopravvivere, come specie, solo se viviamo in accordo con le leggi della biosfera, la quale può soddisfare i bisogni di tutti se l’economia globale rispetta i limiti imposti dalla sostenibilità; ed a questo proposito richiama una frase di Gandhi che dice “La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di alcune persone”.
Ci sono poi le idee propugnate dal “Club di Roma”, associazione no-profit fondata nel 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King; con il suo rapporto sui limiti dello sviluppo si afferma che “la crescita economica non può continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del nostro pianeta”; al moment, i principali indicatori hanno seguito quanto previsto dal rapporto e la conclusione è che ben presto l’umanità è destinata a confrontarsi con le conseguenze del superamento dei limiti fisici del pianeta.
Mi piace concludere questo parzialissimo spaccato degli anti-globalizzazione con il metodo del giapponese Fukuoka, il quale tenta di riprodurre, il più fedelmente possibile, le condizioni naturali, per cui il terreno non viene arato e la germinazione avviene direttamente in superficie mescolando i semi con argilla e fertliizzanti e coprendo il terreno al fine di evitarne l’impoverimento per “erosione superficiale”.

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