sabato, novembre 06, 2004
Berlusconi, le tasse e Bush
Nella fissazione quotidiana che il Cavaliere ha per l’abbassamento dell’IRPEF a tutti (ricchi, un poco, e poveri, di più) si sono innescati due fatti nuovi che hanno fatto il suo gioco.
Il primo è la bocciatura del cattolicissimo Buttiglione da parte dei deputati europei che non lo hanno ritenuto “degno” di fare il commissario alla giustizia: senza neppure abbozzare uno straccio di difesa della propria scelta, il Berlusca ha provveduto a sostituirlo con Frattini (già Ministro degli Esteri) lasciando così libera questa casella e impostando una sorta di baratto con Fini: “io ti do il Ministero degli Esteri a patto che tu non mi rompa le uova nel paniere circa l’abbassamento delle tasse (Fini, come è noto, è uno dei contrari)”.
Fini sta cercando di tergiversare, poiché oltre a lui, tutto il partito è contrario all’abbassamento delle tasse e quindi si starà guardando attorno per cercare una soluzione che vada bene per lui (agli Esteri) e per A.N. (che condiziona il Premier).
Il secondo è la vittoria di Bush alle elezioni americane: di tutto il programma illustrato dal Presidente texano sulle cose fatte durante i quattro anni trascorsi, il nostro premier ha subito estrapolato “l’abbassamento delle tasse” e si è scatenato con un discorso non molto lontano da questo, rivolto agli alleati di governo: “avete visto che anche Bush ha abbassato le tasse e questo provvedimento è stato quello che gli ha fatto stravincere le elezioni?”.
Come al solito il Cavaliere non ha capito oppure ha fatto finta di non capire: anzitutto l’economia americana non è quella italiana, in secondo luogo il sistema fiscale americano è tutta un’altra cosa rispetto al nostro e, terza e ultima cosa, l’abbassamento delle tasse non ha influito di molto nella vittoria di Bush.
Chi ha generato questo autentico plebiscito nei confronti di un uomo che tutto il mondo considerava “perdente” (come lo era stato suo padre) sono stati quelli che in america chiamano – con un termine anche un po’ spregiativo – “i red collie” (colli rossi), intendendo con questo termine i lavoratori all’aperto (contadini, mandriani, ecc), coloro cioè che ricevono il sole direttamente nella nuca che pertanto si arrossa.
Questa pletora di umanità, lavoratrice, fedele agli ideali di famiglia, patria, Dio e onore, si è come sentita attaccata da quegli pseudo intellettuali alla Michael Moore che, dopo un evento disastroso come l’attacco alle Twin Towers, anziché allinearsi con il Comandante, addirittura lo sbeffeggiano e ne fanno un ritratto di potenziale connivenza con Bin Laden.
E poi c’è la storia dei matrimoni gay: solo al sentire parlare della possibilità di una cosa del genere, i nostro bravi “americani duri e puri”, hanno fatto quadrato attorno al loro Capo, pronti a sostenerlo nella battaglia contro questi distruttori dei sacri valori americani.
Queste persone sono coloro che normalmente non votano neppure (tanto l’uno vale l’altro) intente come sono a lavorare e a portare il benessere in famiglia; questa volta invece hanno avvertito la presenza di un pericolo immanente e si sono recati alle urne, facendo così aumentare di molto la percentuale dei votanti.
Questi nuovi elettori non possono essere che loro, questa enorme truppa di americani che – chiamati a raccolta dal Capo – si presentano all’appello con lo scopo di respingere il nemico, chiunque esso sia.
Non mi spiego altrimenti l’aumento dei votanti e l’enorme numero di consensi che è piovuto su Bush; se Berlusconi crede che sia tutto merito dell’abbassamento delle tasse cade in uno dei suoi soliti errori.
Il primo è la bocciatura del cattolicissimo Buttiglione da parte dei deputati europei che non lo hanno ritenuto “degno” di fare il commissario alla giustizia: senza neppure abbozzare uno straccio di difesa della propria scelta, il Berlusca ha provveduto a sostituirlo con Frattini (già Ministro degli Esteri) lasciando così libera questa casella e impostando una sorta di baratto con Fini: “io ti do il Ministero degli Esteri a patto che tu non mi rompa le uova nel paniere circa l’abbassamento delle tasse (Fini, come è noto, è uno dei contrari)”.
Fini sta cercando di tergiversare, poiché oltre a lui, tutto il partito è contrario all’abbassamento delle tasse e quindi si starà guardando attorno per cercare una soluzione che vada bene per lui (agli Esteri) e per A.N. (che condiziona il Premier).
Il secondo è la vittoria di Bush alle elezioni americane: di tutto il programma illustrato dal Presidente texano sulle cose fatte durante i quattro anni trascorsi, il nostro premier ha subito estrapolato “l’abbassamento delle tasse” e si è scatenato con un discorso non molto lontano da questo, rivolto agli alleati di governo: “avete visto che anche Bush ha abbassato le tasse e questo provvedimento è stato quello che gli ha fatto stravincere le elezioni?”.
Come al solito il Cavaliere non ha capito oppure ha fatto finta di non capire: anzitutto l’economia americana non è quella italiana, in secondo luogo il sistema fiscale americano è tutta un’altra cosa rispetto al nostro e, terza e ultima cosa, l’abbassamento delle tasse non ha influito di molto nella vittoria di Bush.
Chi ha generato questo autentico plebiscito nei confronti di un uomo che tutto il mondo considerava “perdente” (come lo era stato suo padre) sono stati quelli che in america chiamano – con un termine anche un po’ spregiativo – “i red collie” (colli rossi), intendendo con questo termine i lavoratori all’aperto (contadini, mandriani, ecc), coloro cioè che ricevono il sole direttamente nella nuca che pertanto si arrossa.
Questa pletora di umanità, lavoratrice, fedele agli ideali di famiglia, patria, Dio e onore, si è come sentita attaccata da quegli pseudo intellettuali alla Michael Moore che, dopo un evento disastroso come l’attacco alle Twin Towers, anziché allinearsi con il Comandante, addirittura lo sbeffeggiano e ne fanno un ritratto di potenziale connivenza con Bin Laden.
E poi c’è la storia dei matrimoni gay: solo al sentire parlare della possibilità di una cosa del genere, i nostro bravi “americani duri e puri”, hanno fatto quadrato attorno al loro Capo, pronti a sostenerlo nella battaglia contro questi distruttori dei sacri valori americani.
Queste persone sono coloro che normalmente non votano neppure (tanto l’uno vale l’altro) intente come sono a lavorare e a portare il benessere in famiglia; questa volta invece hanno avvertito la presenza di un pericolo immanente e si sono recati alle urne, facendo così aumentare di molto la percentuale dei votanti.
Questi nuovi elettori non possono essere che loro, questa enorme truppa di americani che – chiamati a raccolta dal Capo – si presentano all’appello con lo scopo di respingere il nemico, chiunque esso sia.
Non mi spiego altrimenti l’aumento dei votanti e l’enorme numero di consensi che è piovuto su Bush; se Berlusconi crede che sia tutto merito dell’abbassamento delle tasse cade in uno dei suoi soliti errori.
giovedì, novembre 04, 2004
Cosa cambia con la vittoria di Bush?
Con questo titolo alludo allo scenario che andrà a realizzarsi circa i rapporti tra America ed Europa, intendendo quest’ultima come entità di 25 nazioni riunite nella U.E.
L’Europa ha alcuni problemi che se non risolti vanificano qualsiasi tentativo di riappacificazione: il primo e più importante è stabilire con quale voce parla la U.E., la voce di tutti (cioè si ricerca l’unanimità) oppure la voce della maggioranza o, ancora, la voce che proviene da alcune nazioni tra le più importanti (es. Gran Bretagna oppure Francia, Italia oppure Germania).
Questa inattuabilità di una voce sola che rappresenti tutta l’Europa, fa sì che prima di pronunciare qualunque cosa, i rappresentanti dell’Europa si debbano riunir più volte, limare il testo, concordarlo tra tutti e via discorrendo: probabilmente sono già trascorsi i quattro anni della Presidenza Bush quando e se riusciremo ad uscire con una voce comune.
Scherzo, ovviamente, ma fino ad un certo punto: certo che nei commenti del dopo elezioni i leader europei si sono distinti nella totale e disarmonica autonomia.
Mentre lo spagnolo Zapatero è il primo a congratularsi con Bush, nell’evidente ricerca di riallacciare i rapporti bruscamente interrotti dal ritiro spagnolo dall’Irak, la Francia, per bocca del suo Ministro degli Esteri ammonisce che gli U.S.A. “non possono immaginare di costruire, dirigere e animare il mondo da soli”.
La dichiarazione dei francesi – da sempre ostili a tutto quello che è americano, dimenticandosi di quando li hanno chiamati perché si ritrovavano Hitler a Parigi (e forse c’era ancora se non intervenivano loro) – è in direzione di tutto fuorché del tentativo di riallacciare buoni rapporti con gli U.S.A.; forse aspettano che sia Bush a fare la prima mossa, ma trovo questo atteggiamento molto poco producente e sostanzialmente miope per quanto riguarda il futuro.
Questo perché tutti dicono: l’America deve cercare di riallacciare i rapporti con l’Europa!
E va bene, ma anzitutto qualcuno dovrebbe chiarire a Bush che cosa si intende per Europa, se questa è rappresentata dalla Francia o dalla Gran Bretagna, dalla Germania o dall’Italia e dalla Polonia: tutto questo per evidenziare che prima di ogni altra mossa dovremmo essere noi a chiarirci le idee ed a cercare di trovare una posizione comune per affrontare il futuro dei rapporti con gli U.S.A.
Certo che l’astio e l’acredine di certe posizioni della sinistra italiana e francese non sono assolutamente indirizzate alla ricerca di questa nuova situazione dei rapporti tra le due sponde dell’Oceano, bensì volte a fare impressione sullo scenario politico dei loro paesi: alla faccia dell’Europa e di chi continua a crederci!
I paesi europei, se vogliono essere credibili, si devono cacciare in testa che questo presidente – da tutti considerato un mezzo deficiente (un po’ come Regan che ora viene da tutti rivalutato) – ha battuto ogni record di voti “popolari” conquistati, ha staccato Kerry di quasi 4 milioni di voti (sempre popolari) e, oltre ad avere vinto lui, ha condotto alla vittoria l’intero partito che ha aumentato i propri rappresentanti sia alla Camera che al Senato americano, dove – in entrambi – ha la maggioranza.
La democrazia impone di comportarci come ha fatto Kerry: prima della fine dello scrutinio ha telefonato a Bush e si è congratulato per la vittoria: gesto molto elegante ma anche sintomatico della volontà di essere, il mattino dopo, di nuovo “tutti americani”; noi cerchiamo di essere “tutti amici”, schierati contro il comune nemico: il terrorismo, la fame nel mondo, la povertà, l’ambiente e altri ce ne sarebbero.
L’Europa ha alcuni problemi che se non risolti vanificano qualsiasi tentativo di riappacificazione: il primo e più importante è stabilire con quale voce parla la U.E., la voce di tutti (cioè si ricerca l’unanimità) oppure la voce della maggioranza o, ancora, la voce che proviene da alcune nazioni tra le più importanti (es. Gran Bretagna oppure Francia, Italia oppure Germania).
Questa inattuabilità di una voce sola che rappresenti tutta l’Europa, fa sì che prima di pronunciare qualunque cosa, i rappresentanti dell’Europa si debbano riunir più volte, limare il testo, concordarlo tra tutti e via discorrendo: probabilmente sono già trascorsi i quattro anni della Presidenza Bush quando e se riusciremo ad uscire con una voce comune.
Scherzo, ovviamente, ma fino ad un certo punto: certo che nei commenti del dopo elezioni i leader europei si sono distinti nella totale e disarmonica autonomia.
Mentre lo spagnolo Zapatero è il primo a congratularsi con Bush, nell’evidente ricerca di riallacciare i rapporti bruscamente interrotti dal ritiro spagnolo dall’Irak, la Francia, per bocca del suo Ministro degli Esteri ammonisce che gli U.S.A. “non possono immaginare di costruire, dirigere e animare il mondo da soli”.
La dichiarazione dei francesi – da sempre ostili a tutto quello che è americano, dimenticandosi di quando li hanno chiamati perché si ritrovavano Hitler a Parigi (e forse c’era ancora se non intervenivano loro) – è in direzione di tutto fuorché del tentativo di riallacciare buoni rapporti con gli U.S.A.; forse aspettano che sia Bush a fare la prima mossa, ma trovo questo atteggiamento molto poco producente e sostanzialmente miope per quanto riguarda il futuro.
Questo perché tutti dicono: l’America deve cercare di riallacciare i rapporti con l’Europa!
E va bene, ma anzitutto qualcuno dovrebbe chiarire a Bush che cosa si intende per Europa, se questa è rappresentata dalla Francia o dalla Gran Bretagna, dalla Germania o dall’Italia e dalla Polonia: tutto questo per evidenziare che prima di ogni altra mossa dovremmo essere noi a chiarirci le idee ed a cercare di trovare una posizione comune per affrontare il futuro dei rapporti con gli U.S.A.
Certo che l’astio e l’acredine di certe posizioni della sinistra italiana e francese non sono assolutamente indirizzate alla ricerca di questa nuova situazione dei rapporti tra le due sponde dell’Oceano, bensì volte a fare impressione sullo scenario politico dei loro paesi: alla faccia dell’Europa e di chi continua a crederci!
I paesi europei, se vogliono essere credibili, si devono cacciare in testa che questo presidente – da tutti considerato un mezzo deficiente (un po’ come Regan che ora viene da tutti rivalutato) – ha battuto ogni record di voti “popolari” conquistati, ha staccato Kerry di quasi 4 milioni di voti (sempre popolari) e, oltre ad avere vinto lui, ha condotto alla vittoria l’intero partito che ha aumentato i propri rappresentanti sia alla Camera che al Senato americano, dove – in entrambi – ha la maggioranza.
La democrazia impone di comportarci come ha fatto Kerry: prima della fine dello scrutinio ha telefonato a Bush e si è congratulato per la vittoria: gesto molto elegante ma anche sintomatico della volontà di essere, il mattino dopo, di nuovo “tutti americani”; noi cerchiamo di essere “tutti amici”, schierati contro il comune nemico: il terrorismo, la fame nel mondo, la povertà, l’ambiente e altri ce ne sarebbero.
mercoledì, novembre 03, 2004
Ha vinto Bush
Anche se non ancora ufficializzata, la vittoria del presidente uscente Bush sembrerebbe confermata; primo dato: 7 milioni e mezzo di voti in più rispetto a quattro anni fa.
Come ho avuto modo di scrivere varie volte questa elezione non mi ha mai “preso” e quindi non sono tra coloro che hanno passato la notte in bianco per seguire gli scrutini nei vari stati americani.
L’ho appreso solo stamani – nei TG di mezza mattinata – che ancora peraltro non confermano ufficialmente i risultati che i media americani già danno per scontati: “G 2” è il titolo cubitale della prima pagina del New York Post, alludendo graficamente al raddoppio del presidente per i secondi quattro anni (Gorge doppio).
Possiamo cercare qualche motivo di questa vittoria che in Italia continua ad essere vista come una catastrofe e per me invece non sposta di un millimetro la politica estera che avrebbe impostato Kerry.
Per esempio, tornando alle cause del risultato, quanto ha influito l’ultimo mese della guerra in Irak? E l’ultimo – in ordine di tempo – messaggio di Bin Laden?
Sembra ormai accertato che per “risolvere” il problema Irak gli americani si fidano più di Bush che di Kerry; analogamente per quanto riguarda il terrorismo.
Ma ricordiamoci che la vittoria nelle elezioni USA è sempre derivata dalla politica interna; è su questo che si è giocata la vittoria: tasse, sanità, sviluppo dell’economia, posti di lavoro ed altro di questo genere, è questo il campo su cui si è giocata la partita. Da notare che i cosiddetti “voti popolari” danno una differenza di oltre 3 milioni e mezzo di voti a favore di Bush e questo in presenza di oltre 16 milioni di nuovi votanti sui quali Kerry faceva grande affidamento.
Per quanto ci riguarda, il centro sinistra è uscito scornacchiato, anche se il tifo per lo sfidante è stato modesto, direi “sottotraccia”, mentre il centro destra festeggia la vittoria del “presidente amico”.
Berlusconi ha seguito le elezioni dalla Russia dove è in visita ufficiale dall’amico Putin: entrambi hanno tifato per Bush, in maniera più sperticata il presidente russo e in modo più soft il nostro premier.
Tra gli scornacchiati, sicuramente gli intellettuali USA, con Moore in testa che – sia pure inconsapevolmente – hanno fatto il gioco di Bush: pensate, che l’autore di “Farheneit 9/11”, il film-pamphlet contro il presidente, è stato autorizzato ad intervenire alla convention repubblicana e a vomitare le sue contumelie contro Bush; e non si è accorto che faceva il loro gioco, mostrandoli come aperturisti e disponibili a qualsiasi dibattito.
Torniamo ai motivi della vittoria: premesso che i favori del pronostico durante la campagna elettorale e con gli scontri televisivi a suo favore, erano per Kerry; può darsi che qualcuno in America abbia fatto soltanto finta di aiutarlo?
Vedo in questo ruolo sicuramente la consorte di Clinton, la brava Hilary che intenderebbe candidarsi tra quattro anni, diventando così la prima donna alla presidenza americana; la spregiudicata Hilary avrebbe logicamente più volentieri sfidato un candidato “repubblicano” che uno “democratico” investito della carica di Presidente; come ragionamento non fa una grinza.
Alcune contestazioni dei democratici, faranno il gioco degli intellettuali sconfitti e consentirà a Moore di guadagnare altri miliardi con un film su questa vicenda. Ma tutto resterà intatto e Kerry, con la coda tra le gambe, rientra nei ranghi mestamente e lascia il campo ad un pimpante Bush.
Farà danni? Certo! Ne ha già fatti e ne farà altrettanti, ma non sarà tutta colpa sua, ma anche dei suoi consiglieri. Speriamo che qualcuno venga cambiato!
A noi comunque cambia niente!
Come ho avuto modo di scrivere varie volte questa elezione non mi ha mai “preso” e quindi non sono tra coloro che hanno passato la notte in bianco per seguire gli scrutini nei vari stati americani.
L’ho appreso solo stamani – nei TG di mezza mattinata – che ancora peraltro non confermano ufficialmente i risultati che i media americani già danno per scontati: “G 2” è il titolo cubitale della prima pagina del New York Post, alludendo graficamente al raddoppio del presidente per i secondi quattro anni (Gorge doppio).
Possiamo cercare qualche motivo di questa vittoria che in Italia continua ad essere vista come una catastrofe e per me invece non sposta di un millimetro la politica estera che avrebbe impostato Kerry.
Per esempio, tornando alle cause del risultato, quanto ha influito l’ultimo mese della guerra in Irak? E l’ultimo – in ordine di tempo – messaggio di Bin Laden?
Sembra ormai accertato che per “risolvere” il problema Irak gli americani si fidano più di Bush che di Kerry; analogamente per quanto riguarda il terrorismo.
Ma ricordiamoci che la vittoria nelle elezioni USA è sempre derivata dalla politica interna; è su questo che si è giocata la vittoria: tasse, sanità, sviluppo dell’economia, posti di lavoro ed altro di questo genere, è questo il campo su cui si è giocata la partita. Da notare che i cosiddetti “voti popolari” danno una differenza di oltre 3 milioni e mezzo di voti a favore di Bush e questo in presenza di oltre 16 milioni di nuovi votanti sui quali Kerry faceva grande affidamento.
Per quanto ci riguarda, il centro sinistra è uscito scornacchiato, anche se il tifo per lo sfidante è stato modesto, direi “sottotraccia”, mentre il centro destra festeggia la vittoria del “presidente amico”.
Berlusconi ha seguito le elezioni dalla Russia dove è in visita ufficiale dall’amico Putin: entrambi hanno tifato per Bush, in maniera più sperticata il presidente russo e in modo più soft il nostro premier.
Tra gli scornacchiati, sicuramente gli intellettuali USA, con Moore in testa che – sia pure inconsapevolmente – hanno fatto il gioco di Bush: pensate, che l’autore di “Farheneit 9/11”, il film-pamphlet contro il presidente, è stato autorizzato ad intervenire alla convention repubblicana e a vomitare le sue contumelie contro Bush; e non si è accorto che faceva il loro gioco, mostrandoli come aperturisti e disponibili a qualsiasi dibattito.
Torniamo ai motivi della vittoria: premesso che i favori del pronostico durante la campagna elettorale e con gli scontri televisivi a suo favore, erano per Kerry; può darsi che qualcuno in America abbia fatto soltanto finta di aiutarlo?
Vedo in questo ruolo sicuramente la consorte di Clinton, la brava Hilary che intenderebbe candidarsi tra quattro anni, diventando così la prima donna alla presidenza americana; la spregiudicata Hilary avrebbe logicamente più volentieri sfidato un candidato “repubblicano” che uno “democratico” investito della carica di Presidente; come ragionamento non fa una grinza.
Alcune contestazioni dei democratici, faranno il gioco degli intellettuali sconfitti e consentirà a Moore di guadagnare altri miliardi con un film su questa vicenda. Ma tutto resterà intatto e Kerry, con la coda tra le gambe, rientra nei ranghi mestamente e lascia il campo ad un pimpante Bush.
Farà danni? Certo! Ne ha già fatti e ne farà altrettanti, ma non sarà tutta colpa sua, ma anche dei suoi consiglieri. Speriamo che qualcuno venga cambiato!
A noi comunque cambia niente!
lunedì, novembre 01, 2004
Zibaldone n.10
Gli argomenti dei quali vorrei trattare in questo zibaldone sono tre, rilevati prevalentemente dai giornali e TG di questi ultimi giorni.
Il PRIMO si riferisce alla notizia che a quarantotto ore dall’apertura dei seggi in America, nessun candidato sembra esser riuscito a staccare in maniera significativa l’avversario di modo che le differenze tra i due, nei sondaggi dell’ultima ora, sono così risicate che gli esperti ritengono più prudente non affidarsi ad alcuna anticipazione,
L’unico fatto nuovo intervenuto nelle ultime ore di campagna elettorale è rappresentato dal video di Osama Bin Laden che minaccia sfracelli al popolo americano; evidentemente il terrorista arabo ritiene con questo suo intervento di poter incidere sulle sorti della campagna elettorale: quello che resta da verificare è quale parte egli intenda privilegiare con queste sue affermazioni.
Gli staff dei due candidati non si sono pronunciati circa l’effetto del video tra gli americani: evidentemente nessuno dei due desidera “appropriarsi” dell’ingombrante figura di Bin Laden, in quanto ogni mossa potrebbe poi risultare controproducente; però l’arabo la mossa l’ha mirata in una ben precisa direzione e il fatto che non si riesca a capirla deriva o da una nostra cattiva capacità interpretativa o da un suo difetto di comunicazione.
La SECONDA storia riguarda Putin e la strage di Beslan: a detta di una giornalista russa – tale Anna Politkoskaia – il governo russo non ha fatto niente per intavolare una qualche trattativa con i terroristi ceceni puntando invece sull’eccidio di massa che avrebbe provocato nella opinione pubblica mondiale una sorta di orrore e conseguentemente di ripulsa di tutto il movimento separatista ceceno.
Non ho nessuna informazione pro o contro la tesi della coraggiosa giornalista e reputo Putin sufficientemente spregiudicato da programmare una situazione del genere (proviene dal KGB e questo la dice lunga).
Dello stesso tenore è una proposta del Procuratore Capo russo (un militare!!) che ha suggerito, come deterrente contro i terroristi, di prendere in ostaggio i loro parenti, applicando così una specie di legge del taglione.
Entrambe le cose che provengono da quel grande parse che è la Russia, non possono che preoccuparci, sia perché sembrano indirizzate verso una sorta di ritorno ai famosi e temuti “tempi bui” dell’epoca stalinista e sia perché le aperture verso una democrazia erano ormai date per scontate dall’occidente e il buon Putin veniva regolarmente invitato ai G.8 e nelle ville di qualche leader occidentale (Berlusconi, tanto per non far nomi).
Il TERZO argomento concerne il tipo di vita che ci viene riservato da vecchi: il genetista Antonio Simeone, uno dei maggiori scienziati a livello mondiale, nel rientrare in Italia dopo quattro anni trascorsi in Inghilterra, ha rilasciato – fra l’altro – questa splendida dichiarazione: “Il nostro obiettivo è far vivere la gente meglio, non più a lungo”.
Questa affermazione mi fa proprio tanto piacere perché è molto simile a un’altra di mia creazione (modestamente!!) che recita: “oggi hanno allontanato la morte ma non ci fanno vivere più a lungo”; e questa frase mi è venuta nel vedere tante persone che la scienza medica attuale aiuta a “non morire”, ma al prezzo di una qualità di vita che non è assolutamente vita.
Quindi, ben vengano gli scienziati che la pensano così!
Il PRIMO si riferisce alla notizia che a quarantotto ore dall’apertura dei seggi in America, nessun candidato sembra esser riuscito a staccare in maniera significativa l’avversario di modo che le differenze tra i due, nei sondaggi dell’ultima ora, sono così risicate che gli esperti ritengono più prudente non affidarsi ad alcuna anticipazione,
L’unico fatto nuovo intervenuto nelle ultime ore di campagna elettorale è rappresentato dal video di Osama Bin Laden che minaccia sfracelli al popolo americano; evidentemente il terrorista arabo ritiene con questo suo intervento di poter incidere sulle sorti della campagna elettorale: quello che resta da verificare è quale parte egli intenda privilegiare con queste sue affermazioni.
Gli staff dei due candidati non si sono pronunciati circa l’effetto del video tra gli americani: evidentemente nessuno dei due desidera “appropriarsi” dell’ingombrante figura di Bin Laden, in quanto ogni mossa potrebbe poi risultare controproducente; però l’arabo la mossa l’ha mirata in una ben precisa direzione e il fatto che non si riesca a capirla deriva o da una nostra cattiva capacità interpretativa o da un suo difetto di comunicazione.
La SECONDA storia riguarda Putin e la strage di Beslan: a detta di una giornalista russa – tale Anna Politkoskaia – il governo russo non ha fatto niente per intavolare una qualche trattativa con i terroristi ceceni puntando invece sull’eccidio di massa che avrebbe provocato nella opinione pubblica mondiale una sorta di orrore e conseguentemente di ripulsa di tutto il movimento separatista ceceno.
Non ho nessuna informazione pro o contro la tesi della coraggiosa giornalista e reputo Putin sufficientemente spregiudicato da programmare una situazione del genere (proviene dal KGB e questo la dice lunga).
Dello stesso tenore è una proposta del Procuratore Capo russo (un militare!!) che ha suggerito, come deterrente contro i terroristi, di prendere in ostaggio i loro parenti, applicando così una specie di legge del taglione.
Entrambe le cose che provengono da quel grande parse che è la Russia, non possono che preoccuparci, sia perché sembrano indirizzate verso una sorta di ritorno ai famosi e temuti “tempi bui” dell’epoca stalinista e sia perché le aperture verso una democrazia erano ormai date per scontate dall’occidente e il buon Putin veniva regolarmente invitato ai G.8 e nelle ville di qualche leader occidentale (Berlusconi, tanto per non far nomi).
Il TERZO argomento concerne il tipo di vita che ci viene riservato da vecchi: il genetista Antonio Simeone, uno dei maggiori scienziati a livello mondiale, nel rientrare in Italia dopo quattro anni trascorsi in Inghilterra, ha rilasciato – fra l’altro – questa splendida dichiarazione: “Il nostro obiettivo è far vivere la gente meglio, non più a lungo”.
Questa affermazione mi fa proprio tanto piacere perché è molto simile a un’altra di mia creazione (modestamente!!) che recita: “oggi hanno allontanato la morte ma non ci fanno vivere più a lungo”; e questa frase mi è venuta nel vedere tante persone che la scienza medica attuale aiuta a “non morire”, ma al prezzo di una qualità di vita che non è assolutamente vita.
Quindi, ben vengano gli scienziati che la pensano così!