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sabato, luglio 30, 2005

Ma queste bombe chi le mette? 

Il mondo intero si interroga su quello che sarà il prossimo futuro: tra quanto scoppierà il prossimo kamikaze imbottito di esplosivo e quanti saranno i morti.
Intanto si è avuto anche un mezzo incidente diplomatico, in quanto il Papa – in occasione dell’Angelus di domenica scorsa – ha citato gli ultimi luoghi dove si è avuto una carneficina provocata dagli uomini-bomba e non ha citato un analogo “incidente” avvenuto in Israele, tra Londra e Sharm, come se quelle bombe ormai facessero parte di una specie di logica ineluttabile; gli Israeliani si sono molto arrabbiati e hanno convocato il Nunzio Apostolico a Gerusalemme per esternare questo loro stato d’animo. Il Vaticano ha cercato di mettere una pezza attraverso il proprio Portavoce Navarro Vals, ma ormai la frittata era fatta e non c’è stato niente da fare, gli israeliani se la sono legata a un dito.
In Inghilterra le indagini sulle bombe nella metropolitana stanno procedendo alacremente, ma anche “la più celebrata e attrezzata Polizia del mondo” ha fatto il proprio errore: ha ucciso a sangue freddo un giovane brasiliano che non si era fermato ad un posto di blocco in quanto non in regola con i documenti; l’errore è comprensibile – anche se fortemente angoscioso – specie dopo che gli agenti hanno ricevuto l’ordine di “sparare per uccidere” tutte le volte che vi siano fondati sospetti che la persona inseguita sia un attentatore.
Ci sono poi le esasperanti polemiche sugli islamici buoni e quelli cattivi: ogni “intellettuale” che si rispetti partecipa a questa interessante disputa; pensate che pure il Santo Padre è entrato nella discussione: interpellato dai giornalisti se l’Islam sia una religione di pace o no, il bravo Ratzinger se l’è cavata affermando che ci sono islamici votati al bene ed altri che invece sono dediti al male. E così siamo allo stesso punto di prima!
Non so se in mezzo a cotanto senno posso permettermi di dire la mia, ma io la dico lo stesso: sono rimasto colpito dalla “sceneggiata” – uso il termine non a caso – dei 500 Imam inglesi che hanno lanciato una fatwa, cioè una condanna religiosa a coloro che eseguono questi attentati; ci siamo subito detti: ma guarda che brava gente, come si schiera dalla parte delle persone colpite e come invoca la pace e la concordia; sono trascorse solo 24 ore e dalla stessa fonte è giunta una nuova dichiarazione che suona pressappoco così: “certo che Blair dovrebbe ritirare le truppe dall’Iraq, certo che dovrebbe fare altrettanto con quelle dislocate in Afghanistan, altrimenti questi attentati potrebbero continuare”.
Ma allora, il discorso è lo stesso che viene fatto da Al Zarqawi: via le truppe, altrimenti…; sia pure con parole diverse e più accomodanti siamo sullo stesso piano e quindi si potrebbe usare un termine delle mie parti: “se non è zuppa è pan bagnato”.
Intanto, qui da noi abbiamo approvato alcune misure che dovrebbero limitare l’attività dei terroristi; mi sembra che sia come voler vuotare il mare con un cucchiaio, ma tant’è, forse erano le uniche disposizioni possibili, stante il desiderio di approvarle in forma bipartisan; in sede di discussione del disegno di legge, il Ministro dell’Interno ha ribadito ancora con più forza che si hanno notizie attendibili su un prossimo attentato nel nostro Paese: i casi sono due, o lo ha detto per accelerare l’approvazione del provvedimento ma non è vero niente (e sarebbe grave!), oppure è vero ma non capisco perché si continui a mettere paura alla gente: se le Forze dell’Ordine sono a conoscenza di qualcosa agiscano, altrimenti continuino ad indagare e si tengano per se le risultanze fino al momento di agire; altrimenti sembra quasi un mettere le mani avanti, per la serie: “io l’avevo detto!”.
E Prodi annuncia che se vincerà le prossime elezioni ritirerà immediatamente le truppe dall’Iraq, alla stessa stregua di quello che ebbe a dichiarare Zapatero prima delle vittoriose elezioni spagnole: ma gli spagnoli non votarono socialista per questa dichiarazione, ma perché scoprirono la menzogna nelle affermazioni di Aznar che imputava gli attentati all’ETA e gli fecero pollice verso: attento Romano, cerca di non fare fesserie, perché le elezioni le puoi perdere solo tu.

mercoledì, luglio 27, 2005

Globalizzazione e islamismo 

Possiamo dire che la globalizzazione – con tutto quello che ne consegue – è uno dei principali nemici dell’Islam: da notare che questa nuova realtà economica altro non è che la continuazione, in forma parossistica, delle teorie proprie della Rivoluzione Industriale del settecento in cui il mondo civilizzato – o buona parte di esso – imboccò la strada del “benessere” e dell’attuale modello di sviluppo basato sul concetto di produzione e consumo al più alto livello possibile.
In pratica cosa veniva detto? Produciamo maggiori beni di consumo a patto però di trovare mercati sufficientemente ricchi e desiderosi di accogliere tali beni; se non sarà dalle nostre parti vorrà dire che tenteremo di invadere altre Nazioni o addirittura altri Continenti, con l’obiettivo primario di piazzare i nostri beni.
Con la globalizzazione questo concetto è stato portato al massimo dello sviluppo possibile, facendo subentrare lo slogan che il mondo è un villaggio – appunto, un villaggio globale – nel quale ogni figura del gioco assume una precisa identità: l’industriale ha il compito di produrre al minor costo possibile e quindi cerca il risparmio primario sul costo del lavoro; l’operaio a sua volta è investito di una duplice funzione “sociale”: da una parte rappresenta la leva essenziale per la buona riuscita del processo produttivo e dall’altra interpreta il ruolo del “consumatore”, di colui cioè che finisce tutto il proprio stipendio per acquistare e mettersi in casa tutta una serie di oggettistica e di stupidaggini che hanno la caratteristica della “futilità”.
È di qualche giorno fa un mio intervento circa la diversità dei consumi rispetto a soli venti anni addietro: pensiamo per un momento allo sviluppo delle telecomunicazioni (telefonini, Internet, ecc.) e vediamo come la moderna civiltà si sviluppa su direttrici stabilite dai potenti e la gran massa di consumatori deve subire questo mercato, sia esso formato da griffe apparentemente importanti oppure da cellulari di ultima generazione.
Di questa situazione l’Islam rappresenta il desiderio dell’esatto contrario: la loro visione della società è sostanzialmente centrata sulla teocrazia dei loro maestri (gli Imam) che hanno nei confronti della gente la funzione di guida spirituale ma anche di consigliere socio politico.
Il loro desiderio sarebbe quello di essere lasciati in pace a bollire nel loro brodo, senza nessuna contaminazione con “gli infedeli” che non possono portare niente di positivo ai seguaci di Allah; in questi giorni, dopo le bombe di Londra, sono usciti alcuni dettami islamici ad uso e consumo delle cellule dormienti, nate in “territorio nemico” ed in attesa di operarvi.
Ebbene, in esse viene indicato che il bravo musulmano deve rimanere fedele ai dettami religiosi anche in terra di infedeli, ma in questo caso può in un certo senso mimetizzarsi e comportarsi come tutti, salvo alcune prescrizioni ineluttabili: non bere alcolici, dire regolarmente le preghiere, non mangiare maiale e non fornicare; quest’ultimo verbo (fornicare, appunto) il Devoti-Oli me lo “traduce” come segue: avere rapporti sessuali peccaminosi.
Pensiamoci un momento: la nostra società è pervasa da questi “rapporti”, tutto o quasi viene fatto in funzione di essi che debbono avere – appunto – una matrice di peccato e non di sentimento: basta guardare alcune tra le principali pubblicità per vedere che tale forma di richiamo è costantemente presente.
Tutto questo – oltre a tante altre cose – ci divide dall’impostazione islamica dell’esistenza; quale delle due facce sarà migliore e quale soprattutto avrà un futuro?

lunedì, luglio 25, 2005

Un libro interessante sul multiculturalismo 

Con il proliferare degli attentati, dei kamikaze, delle bombe e dei tanti discorsi sulla necessità di integrare l’”estraneo” nella nostra civiltà, mi è venuta in mente una frase di Giovanni Sartori, professore di Storia della Politica in diverse Università americane; in un suo libro, apparso prima dell’11 settembre del 2003, in quanto edito nel 2000, Sartori afferma che “il musulmano non si integra, basti pensare che in India l’Islam arrivò 13 secoli fa, eppure quando gli Inglesi se ne andarono, dovettero smembrare il paese in tre (India, Pakistan e Bangladesh) perché indù e musulmani si scannavano, come del resto continuano a fare ancora adesso”.
Il libro – ripeto: edito nel 2000, cioè in tempi non sospetti - che consiglio ai miei lettori è “Pluralismo, multiculturalismo ed estranei: saggio sulla società multietnica” e credo sia il migliore strumento per ricacciare in gola tutte le fesserie che sentiamo dire all’indomani di ogni attentato, anche da persone di una certa cultura e di grande esperienza che avrei fatto più intelligenti.
Da questo “strumento” e da alcune interviste sulla materia, vorrei estrapolare alcuni concetti e comincio subito da quello che Sartori afferma circa il rapporto tra Islam e democrazia (concetto che, modestamente, ho già affermato varie volte): “Islam e democrazia liberale sono agli antipodi; la volontà di Dio è il nemico, l’esatto contrario della volontà del popolo; pertanto una immigrazione musulmana massiccia e incontrollata è un rischio mortale per l’Occidente”.
E fin qui mi sembra tutto molto chiaro e, andando avanti, Sartori ha da ridire anche sul concetto che la nostra economia abbia bisogno di lavoratori extracomunicari a basso prezzo; a questo proposito conferma che “diventando cittadini europei non sarebbero più a basso prezzo, o lo sarebbero per poco tempo; comunque sia, mettersi in casa delle persone che ti sono nemiche, dei contro-cittadini, significa risolvere (forse) un problema economico e crearne uno di convivenza culturale e civile”.
Ed a proposito della possibilità di integrazione, Sartori si dice scettico almeno per quanto riguarda la prima generazione, mentre nella seconda la scuola può fare molto; “certo una scuola laica: vanno vietate le scuole islamiche (anche se la Chiesa con poca lungimiranza non è contraria, pur di aumentare quelle cattoliche). E occorre stare molto attenti con le Moschee: luoghi di culto ma anche di indottrinamento e di fanatizzazione.
Circa la possibilità di concedere il voto e la cittadinanza, Sartori è nettamente contrario: “Per carità, questa e solo demagogia, esibizionismo ideologico. Nelle attuali condizioni di surriscaldamento dell’Islam, la cittadinanza e il voto creerebbero dei contro-cittadini che rivendicherebbero un loro sotto-Stato di matrice teocratica”.
Ed alla domanda se sia lecito ridurre i diritti democratici per combattere il terrorismo, Sartori risponde affermativamente, aggiungendo che “sempre durante le guerre ci sono limitazioni alle libertà. E ora siamo in guerra con il terrorismo. Dopo le guerre, nelle democrazie, questi diritti tornano. Le misure che possono ridurre alcuni diritti mi spaventano meno degli uomini-bomba”.
Vorrei concludere con un concetto che Sartori esprime circa la regolamentazione dell’immigrazione: “Ci vogliono controlli e filtri molto seri: dall’Africa potrebbero arrivare in Europa 200 milioni di persone, secondo alcune stime. E quindi non ci possiamo permettere porte semi aperte o, peggio ancora, spalancate”.
Trovare questi concetti espressi da un personaggio come Giovanni Sartori, dotto professore emerito, uomo di sinistra e forse anche un poco oltre, è per me motivo di grande soddisfazione in quanto le sue parole coincidono quasi alla perfezione con il mio pensiero.

domenica, luglio 24, 2005

Le belle ricette di Confindustria 

Ho avuto modo di leggere una lunga intervista rilasciata dal Dott. Guidalberto Guidi, per svariati anni ai vertici di Confindustria in qualità di vicepresidente: ovviamente si sprecano le lamentazioni circa il tragico momento in cui sta versando l’economia italiana e segnatamente – a suo dire – l’industria manifatturiera, quella, guarda caso nella quale opera l’azienda del nostro Guidi che – a differenza di Montezemolo che è solo un top manager -–è invece un “vero” industriale che più guadagna la sua azienda e più si mette in tasca "“il padrone” (nella circostanza stiamo parlando di Ducati Energia).
Una delle prime affermazioni che lasciano interdetti è la seguente: “entro 3-5 anni la nostra capacità manifatturiera sarà dimezzata” ipotizzando anche che all’Italia resteranno i servizi ed il turismo.
Le motivazioni di questa apocalittica visione delle scenario prossimo futuro sono duplici: anzitutto le solite lamentazioni verso lo Stato incompetente e maldisposto verso la grande industria (questa poi!!) e la seconda lo squilibrio del costo del lavoro tra l’Italia ed alcuni altri Paesi; e qui la cosa diventa interessante e meritevole di essere approfondita: i dati che Guidi fornisce al suo intervistatore sono che un’ora di lavoro costa da noi 20 euro mentre in Croazia si scende a 2,80, in Romania a 0,86 e in Cina addirittura a mezzo dollaro, cioè circa 0,60 centesimi di euro.
Il Dott. Guidi mi trova consenziente quando afferma che queste sperequazioni tra Paesi , per quanto riguarda la mano d’opera, stanno fortemente incidendo sull’andamento economico e specificatamente sull’andamento della nostra occupazione; è sulla medicina che trovo qualcosa da ridire, specie quando viene affermato che “…bisogna lavorare di più e a parità di retribuzione. Non potremmo permetterci più di 15 giorni di ferie all’anno”.
Credo che dopo avere ammirato il coraggio di fare queste affermazioni – anche se sbagliate – dovremmo invocare da parte di un così alto esponente dell’imprenditoria italiana almeno un briciolo di coerenza, proprio perché quando l’intervistatore ha chiesto quali ricette ha applicato alla “sua” azienda si è sentito rispondere che sta tentando di sostituire le braccia con gli ingegneri (cioè maggiore tecnologia) e quindi “ho delocalizzato:
la Ducati ha realtà ormai consolidate in Romania e Croazia, stiamo per aprire in India e presto sbarcheremo in Cina"
E conclude: “andiamo dove sono i nostri clienti”; e qui casca l’asino, ma non solo, casca anche il cavallo e il cammello, perché il nostro “grande imprenditore – a parte una ricerca di clientela che per alcuni paesi è quanto meno prematura – quelle nazioni gli forniscono “schiavi”, sì avete letto bene, “schiavi.
Dopo avere prodotto – ripeto utilizzando questi “schiavi” come facevano i piantatori di cotone nel settecento – Lei non vende sul posto o se colloca qualcosa è una minima quantità, ma invia i manufatti in occidente (cioè qui da noi) dove continua a mantenere gli stessi prezzi nonostante gli abbassamenti dei costi procurando così alla sua Azienda dei guadagni favolosi, i quali magari vengono lasciati all’estero per motivi fiscali; e in Italia? Ci veniamo per le ferie!
E queste sarebbero le “invenzioni” di un grande imprenditore, cioè andare dove costa meno produrre e vendere dove ancora ci sono degli imbecilli che comprano (finché durano!), attingendo ad una massa salari sempre più bassa proveniente da turismo, servizi e apparato statale. Gli è venuto in mente – esimio Dott.Guidi – che nel rimandare le merci all’occidente potrebbe trovare una sorta di ostracismo economico per cui gli viene detto: la merce prodotta in Croazia vendila ai croati, quella fatta in Romania ai romeni, mentre quella prodotta in India e Cina vendila pure a quei due mercati giganteschi che tu – novello Marco Polo – sei andato ad aprire; noi inglesi o francesi o italiani o tedeschi usiamo soltanto manufatti “Made in …”, indicando ciascuno il proprio Paese.Che gliene sembra come idea? Sarebbe una bella sorpresa, non trova?

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