venerdì, ottobre 23, 2009
COSA NE PENSATE??
Mi riferisco a due fatti che riporto dalla stampa e dagli altri mezzi di comunicazione: il primo riguarda la vicenda napoletana, nella quale è implicato l’ex ministro Mastella e la di lui consorte, attuale Presidente del Consiglio Regionale campano.
Ovviamente non entro nel merito della vicenda giudiziaria che, tra le altre cose, ancora è, o dovrebbe essere, coperta dal segreto istruttorio; mi limito a registrare alcune dichiarazioni del Mastella in merito ad un file scoperto dagli inquirenti, nel quale c’era una sfilza di nomi di persone “raccomandate” da vari personaggi politici locali e nazionali per delle assunzioni in una Agenzia regionale.
Mastella ha detto: “non ho mai preso una lira; mi sono limitato a raccomandare dei poveracci, i quali – se ci sarà il processo – verranno con me in Tribunale perché la Corte li possa vedere”; sulla raccomandazione a Napoli esiste tutta una letteratura che va da Peppino Marotta al più moderno Luciano De Crescenzo.
Il primo coniò la frase diventata celebre “Eccellenza, faciteme faticà, tengo famiglia”, perfetta espressione dell’arte napoletana di arrangiarsi, ma specchio anche di una situazione nella quale è impossibile trovare un posto di lavoro senza l’intervento di “qualcuno che conta”; ancora più gustoso è l’episodio della lettera, con cui il questuante un posto di lavoro, scrive all’eccellenza, rimproverandolo perché gli aveva trovato un impiego, ma lui aveva richiesto “uno stipendio” e non un “lavoro”.
Il secondo, De Crescenzo, nel celebre libro “Così parlò Bellavista”, descrive l’odissea di un milanese inviato a Napoli in qualità di Capo del Personale all’Alfa di Pomigliano: deve scappare varie volte per sfuggire alla folla di questuanti che non gli chiedono denaro ma “un posto di lavoro”; tant’è vero che egli si fa la convinzione che a Napoli è un suicidio dichiararsi una persona influente.
Questa è la vicenda, ma non vorrei che anche in seno alla Magistratura si pensasse che a Napoli “la raccomandazione” , cioè il favore, la protezione, l’appoggio a persona autorevole a danno di altri, venga sottostimata in virtù di una consuetudine popolaresca che in qualche caso può essere scambiata per norma: questa forma di raccomandazione è parente stretta del clientelismo ossia della politica fondata su favoritismi personali che vengono ricambiati con il voto.
L’altro fatto interessante è la dichiarazione del segretario del PD, Franceschini, in lizza alle primarie di domenica prossima per essere confermato alla guida del partito: “se sarò il vincitore dell’elezione, nominerò due vice segretari: uno è il deputato Touadi, perché è nero (è congolese), l’altra sarà una donna”, senza indicarne il nome, perché avrebbe delegato le donne del partito a sceglierla.
Mi sembrano due scelte fatte solo per calamitare l’attenzione dei votanti su due elementi che politicamente sono irrilevanti: il primo – cioè il nero – avrebbe le carte in regola per essere scelto anche senza il colore della sua pelle, essendo in possesso di tre lauree, ed essendo – oltre che deputato – professore universitario.
Il fatto però di sottolineare il colore della pelle come elemento derimente della scelta, anzitutto banalizza la potenziale “integrazione razziale”, rendendola soltanto funzionale al consenso ed inoltre offende una persona che – indipendentemente dal colore della pelle – ha i titoli per svolgere tale incarico.
Il demandare poi “alle donne”, la scelta della donna che sarà la seconda vice segretaria, mostra l’importanza che si da a tale incarico: mi sbaglierò, ma il discorso che sta sotto è: mettete pure chi volete, tanto per quello che conta!!”
Ovviamente non entro nel merito della vicenda giudiziaria che, tra le altre cose, ancora è, o dovrebbe essere, coperta dal segreto istruttorio; mi limito a registrare alcune dichiarazioni del Mastella in merito ad un file scoperto dagli inquirenti, nel quale c’era una sfilza di nomi di persone “raccomandate” da vari personaggi politici locali e nazionali per delle assunzioni in una Agenzia regionale.
Mastella ha detto: “non ho mai preso una lira; mi sono limitato a raccomandare dei poveracci, i quali – se ci sarà il processo – verranno con me in Tribunale perché la Corte li possa vedere”; sulla raccomandazione a Napoli esiste tutta una letteratura che va da Peppino Marotta al più moderno Luciano De Crescenzo.
Il primo coniò la frase diventata celebre “Eccellenza, faciteme faticà, tengo famiglia”, perfetta espressione dell’arte napoletana di arrangiarsi, ma specchio anche di una situazione nella quale è impossibile trovare un posto di lavoro senza l’intervento di “qualcuno che conta”; ancora più gustoso è l’episodio della lettera, con cui il questuante un posto di lavoro, scrive all’eccellenza, rimproverandolo perché gli aveva trovato un impiego, ma lui aveva richiesto “uno stipendio” e non un “lavoro”.
Il secondo, De Crescenzo, nel celebre libro “Così parlò Bellavista”, descrive l’odissea di un milanese inviato a Napoli in qualità di Capo del Personale all’Alfa di Pomigliano: deve scappare varie volte per sfuggire alla folla di questuanti che non gli chiedono denaro ma “un posto di lavoro”; tant’è vero che egli si fa la convinzione che a Napoli è un suicidio dichiararsi una persona influente.
Questa è la vicenda, ma non vorrei che anche in seno alla Magistratura si pensasse che a Napoli “la raccomandazione” , cioè il favore, la protezione, l’appoggio a persona autorevole a danno di altri, venga sottostimata in virtù di una consuetudine popolaresca che in qualche caso può essere scambiata per norma: questa forma di raccomandazione è parente stretta del clientelismo ossia della politica fondata su favoritismi personali che vengono ricambiati con il voto.
L’altro fatto interessante è la dichiarazione del segretario del PD, Franceschini, in lizza alle primarie di domenica prossima per essere confermato alla guida del partito: “se sarò il vincitore dell’elezione, nominerò due vice segretari: uno è il deputato Touadi, perché è nero (è congolese), l’altra sarà una donna”, senza indicarne il nome, perché avrebbe delegato le donne del partito a sceglierla.
Mi sembrano due scelte fatte solo per calamitare l’attenzione dei votanti su due elementi che politicamente sono irrilevanti: il primo – cioè il nero – avrebbe le carte in regola per essere scelto anche senza il colore della sua pelle, essendo in possesso di tre lauree, ed essendo – oltre che deputato – professore universitario.
Il fatto però di sottolineare il colore della pelle come elemento derimente della scelta, anzitutto banalizza la potenziale “integrazione razziale”, rendendola soltanto funzionale al consenso ed inoltre offende una persona che – indipendentemente dal colore della pelle – ha i titoli per svolgere tale incarico.
Il demandare poi “alle donne”, la scelta della donna che sarà la seconda vice segretaria, mostra l’importanza che si da a tale incarico: mi sbaglierò, ma il discorso che sta sotto è: mettete pure chi volete, tanto per quello che conta!!”
mercoledì, ottobre 21, 2009
IL POSTO FISSO
Ha cominciato un paio di giorni fa il Ministro Tremonti, affermando che “il posto fisso è un valore da difendere che è alla base della stabilità della famiglia”; gli ha fatto eco, il giorno seguente, il Presidente Berlusconi, dichiarando di essere perfettamente d’accordo con il suo ministro.
Mi sbaglierò, ma le affermazioni dei due uomini di stato, mi assomigliano tanto alle battute del compianto Max Catalano, il trombettista che lavorava con Arbore e soleva dire: “meglio una moglie bella e ricca di una povera e brutta”; ricordate le sue banalità?
Ovviamente da parte della Confindustria si è subito aperto un fuoco di contraerea messo in piedi addirittura dalla Presidente Marcegaglia che ha definito il discorso di Tremonti/Berlusconi come “un ritorno al passato”, riaffermando la validità del precariato (da lei definito lavoro flessibile) e precisando che gli imprenditori sono per la “stabilità delle imprese e dei posti di lavoro che non si fa per legge”; e infatti, il discorso dei due componenti del governo non è un impegno legislativo ma piuttosto un modo filosofico ed etico di affrontare il problema.
Peraltro, anche alcuni colleghi di Tremonti nel governo, si sono dimostrati scettici sulla validità del “lavoro fisso”, definendolo “ricetta del secolo scorso” (Brunetta) oppure liquidandolo come “una battuta” (Sacconi), mentre Scajola ritiene che “è sicuramente vero che c’è troppa precarietà e che dobbiamo trovare un modo per cui la precarietà, dopo un certo periodo, si stabilizzi”: ai miei tempi di chiamava “avventiziato”!
E ora veniamo ad alcune cifre: dal 2002 al 20087, l’occupazione in Italia è aumentata del 7,5%, grazie – dicono alcuni – alle misure che hanno reso meno rigido il mercato del lavoro; i lavoratori cosiddetti atipici sono l’11% dei lavoratori italiani (il 22% di coloro che hanno meno di 34 anni).
Nel mondo universitario, i colleghi di Biagi, si mostrano più netti: “il lavoro fisso non esiste più, diventa decisiva la formazione”; precisando ulteriormente il concetto con questa affermazione: “l’occupazione stabile non deve essere garantita da normative, ma dalla professionalità del dipendente”; l’autore di questa frase è un docente universitario, cioè uno di quelli che hanno “il posto fisso e ben remunerato” e che per essere mandati in pensione bisogna ricorrere al Consiglio di Stato; quindi, vige il detto “da che pulpito vien la predica, esimio professore!”. Ed a proposito della “professionalità” che dovrebbe avere il dipendente, una sola domanda: e se non ce l’ha come ci comportiamo? Lo abbattiamo subito, direttamente sul posto di lavoro, a monito dei colleghi affinché tutti si professionalizzino, oppure c’è in ballo qualche altra soluzione, magari un po’ meno cruenta? Certo, esimio professore, nell’ambiente dove lei prende lo stipendio, ce ne sarebbero tanti di “abbattuti”!
Ma insomma, ai 2.800,000 precari che in questo momento fanno felici Confindustria e compagnia bella, cosa raccontiamo: forse che “precario è bello”? E quando vanno in Banca per chiedere un prestito e glielo rifiutano perché non hanno la busta paga cosa gli possiamo suggerire?
Comunque, anche dalla sinistra il discorso di Tremonti/Berlusconi non viene preso per buono ed è comprensibile: se anche loro diventano “di sinistra” come si fa a combatterli?
Ma per i precari ed anche per i cassaintegrati (questi ultimi hanno più tempo libero) una buona notizia c’è: lunedì prossimo 26 ottobre ritorna “Il Grande Fratello”; queste sono le gioie della vita, altro che posto di lavoro!! Chiaro il concetto??
Mi sbaglierò, ma le affermazioni dei due uomini di stato, mi assomigliano tanto alle battute del compianto Max Catalano, il trombettista che lavorava con Arbore e soleva dire: “meglio una moglie bella e ricca di una povera e brutta”; ricordate le sue banalità?
Ovviamente da parte della Confindustria si è subito aperto un fuoco di contraerea messo in piedi addirittura dalla Presidente Marcegaglia che ha definito il discorso di Tremonti/Berlusconi come “un ritorno al passato”, riaffermando la validità del precariato (da lei definito lavoro flessibile) e precisando che gli imprenditori sono per la “stabilità delle imprese e dei posti di lavoro che non si fa per legge”; e infatti, il discorso dei due componenti del governo non è un impegno legislativo ma piuttosto un modo filosofico ed etico di affrontare il problema.
Peraltro, anche alcuni colleghi di Tremonti nel governo, si sono dimostrati scettici sulla validità del “lavoro fisso”, definendolo “ricetta del secolo scorso” (Brunetta) oppure liquidandolo come “una battuta” (Sacconi), mentre Scajola ritiene che “è sicuramente vero che c’è troppa precarietà e che dobbiamo trovare un modo per cui la precarietà, dopo un certo periodo, si stabilizzi”: ai miei tempi di chiamava “avventiziato”!
E ora veniamo ad alcune cifre: dal 2002 al 20087, l’occupazione in Italia è aumentata del 7,5%, grazie – dicono alcuni – alle misure che hanno reso meno rigido il mercato del lavoro; i lavoratori cosiddetti atipici sono l’11% dei lavoratori italiani (il 22% di coloro che hanno meno di 34 anni).
Nel mondo universitario, i colleghi di Biagi, si mostrano più netti: “il lavoro fisso non esiste più, diventa decisiva la formazione”; precisando ulteriormente il concetto con questa affermazione: “l’occupazione stabile non deve essere garantita da normative, ma dalla professionalità del dipendente”; l’autore di questa frase è un docente universitario, cioè uno di quelli che hanno “il posto fisso e ben remunerato” e che per essere mandati in pensione bisogna ricorrere al Consiglio di Stato; quindi, vige il detto “da che pulpito vien la predica, esimio professore!”. Ed a proposito della “professionalità” che dovrebbe avere il dipendente, una sola domanda: e se non ce l’ha come ci comportiamo? Lo abbattiamo subito, direttamente sul posto di lavoro, a monito dei colleghi affinché tutti si professionalizzino, oppure c’è in ballo qualche altra soluzione, magari un po’ meno cruenta? Certo, esimio professore, nell’ambiente dove lei prende lo stipendio, ce ne sarebbero tanti di “abbattuti”!
Ma insomma, ai 2.800,000 precari che in questo momento fanno felici Confindustria e compagnia bella, cosa raccontiamo: forse che “precario è bello”? E quando vanno in Banca per chiedere un prestito e glielo rifiutano perché non hanno la busta paga cosa gli possiamo suggerire?
Comunque, anche dalla sinistra il discorso di Tremonti/Berlusconi non viene preso per buono ed è comprensibile: se anche loro diventano “di sinistra” come si fa a combatterli?
Ma per i precari ed anche per i cassaintegrati (questi ultimi hanno più tempo libero) una buona notizia c’è: lunedì prossimo 26 ottobre ritorna “Il Grande Fratello”; queste sono le gioie della vita, altro che posto di lavoro!! Chiaro il concetto??
martedì, ottobre 20, 2009
SOLDI ED EXTRACOMUNITARI
Nella mia Provincia si è verificato un caso di truffa – almeno in apparenza – messa in piedi da extracomunitari ai danni dell’INPS: si tratta di un trucco semplice e remunerativo che consiste nell’appropriarsi dell’assegno sociale che lo Stato elargisce a coloro che abbiano la residenza/soggiorno stabile in Italia per almeno 10 anni, oltre al limite di 65 anni; la truffa riguarda gli extracomunitari che pur avendo fatto rientro nel paese di origine, continuerebbero a ricevere dall’INPS la cosiddetta “pensione sociale” attuando dei rientri episodici – giusto qualche giorno – per rinnovare il permesso di soggiorno e poi ritornare nel loro paese.
Contro questo andazzo truffaldino, si è schierato un esponente che – direte voi – appartiene alla Lega; e invece è di Rifondazione Comunista ed ha fatto una dichiarazione interessante: “questi signori, vengono in Italia solo per incassare i soldi truffati allo Stato e sul nostro territorio non spendono neppure per un cappuccino”.
Ricorderete che recentemente facevo notare come uno dei problemi che si innesca nella questione degli extracomunitari è quello della cosiddetta “rimessa emigrati”, cioè di quei denari che tutti – o quasi – i migranti in Italia che guadagnano anche pochi soldi, una parte li inviano nel loro Paese: magari qui da noi vivono di carità e miseramente, ma tutto questo per poter effettuare il consueto versamento (più o meno grande) nella loro patria d’origine.
Sentite come commenta la questione il politico di Rifondazione che ho citato sopra: “l’inerzia istituzionale (cioè la carenza dei controlli da parte dello Stato), favorisce un vero e proprio saccheggio delle nostre risorse sociali ed economiche”; non capisco cosa siano le “risorse sociali” (forse i sussidi intesi sotto l’aspetto della socialità) ma per quanto riguarda quelle “economiche” sono la stessa cosa di cui parlo nei miei articoli.
Infatti, gli extracomunitari che vivono nel nostro Paese, hanno l’abitudine di inviare una fetta, più o meno ampia, di quanto guadagnano ai parenti rimasti in patria, allo scopo di aiutarli a tirare avanti e, con il rimanente, costituire una sorta di “gruzzoletto” (in denari o beni immobili) per quando rientreranno dall’Italia: quindi, parlare di “saccheggio delle nostre risorse” mi sembra quanto mai appropriato.
Ma cerchiamo di andare avanti nell’esame del problema: i migranti che raggiungono in modo più o meno avventuroso il nostro Paese sono di varia estrazione e provenienza: la maggior parte è rappresentata da autentici “disperati” che nella loro terra non riescono a tirare avanti e quindi emigrano per cercare lavoro e un tozzo di pane; molti di loro hanno nostalgia per il loro paese e da qui discende l’invio del denaro al parenti rimasti a casa. Una parte di queste persone, non riesce a trovare lavoro e quindi cerca di arrangiarsi in ogni modo: venditori ambulanti, lavavetri, accattoni e, proprio in ultima analisi, spacciatori di droga.
Naturalmente, in questa caterva di gente che varca il nostro confine, è facile infiltrarsi per coloro che vengono per delinquere o per compiere azioni terroristiche; l’ultimo esempio è l’attentatore libico Game che si è ferito gravemente nell’azione alla caserma milanese: se ci fosse stata in vigore la legge della cittadinanza dopo 5 anni, anziché dopo 10 come è adesso, sarebbe già nostro concittadino.
È chiaro che con questi esempi e con tanti altri che la stampa enfatizza, l’opera di integrazione dei galantuomini – che, ripeto, sono la maggioranza – riceve forti spinte all’indietro e fornisce materiale agli xenofobi che, tra la nostra gente, non sono certo una sparuta minoranza. Chiaro il concetto??
Contro questo andazzo truffaldino, si è schierato un esponente che – direte voi – appartiene alla Lega; e invece è di Rifondazione Comunista ed ha fatto una dichiarazione interessante: “questi signori, vengono in Italia solo per incassare i soldi truffati allo Stato e sul nostro territorio non spendono neppure per un cappuccino”.
Ricorderete che recentemente facevo notare come uno dei problemi che si innesca nella questione degli extracomunitari è quello della cosiddetta “rimessa emigrati”, cioè di quei denari che tutti – o quasi – i migranti in Italia che guadagnano anche pochi soldi, una parte li inviano nel loro Paese: magari qui da noi vivono di carità e miseramente, ma tutto questo per poter effettuare il consueto versamento (più o meno grande) nella loro patria d’origine.
Sentite come commenta la questione il politico di Rifondazione che ho citato sopra: “l’inerzia istituzionale (cioè la carenza dei controlli da parte dello Stato), favorisce un vero e proprio saccheggio delle nostre risorse sociali ed economiche”; non capisco cosa siano le “risorse sociali” (forse i sussidi intesi sotto l’aspetto della socialità) ma per quanto riguarda quelle “economiche” sono la stessa cosa di cui parlo nei miei articoli.
Infatti, gli extracomunitari che vivono nel nostro Paese, hanno l’abitudine di inviare una fetta, più o meno ampia, di quanto guadagnano ai parenti rimasti in patria, allo scopo di aiutarli a tirare avanti e, con il rimanente, costituire una sorta di “gruzzoletto” (in denari o beni immobili) per quando rientreranno dall’Italia: quindi, parlare di “saccheggio delle nostre risorse” mi sembra quanto mai appropriato.
Ma cerchiamo di andare avanti nell’esame del problema: i migranti che raggiungono in modo più o meno avventuroso il nostro Paese sono di varia estrazione e provenienza: la maggior parte è rappresentata da autentici “disperati” che nella loro terra non riescono a tirare avanti e quindi emigrano per cercare lavoro e un tozzo di pane; molti di loro hanno nostalgia per il loro paese e da qui discende l’invio del denaro al parenti rimasti a casa. Una parte di queste persone, non riesce a trovare lavoro e quindi cerca di arrangiarsi in ogni modo: venditori ambulanti, lavavetri, accattoni e, proprio in ultima analisi, spacciatori di droga.
Naturalmente, in questa caterva di gente che varca il nostro confine, è facile infiltrarsi per coloro che vengono per delinquere o per compiere azioni terroristiche; l’ultimo esempio è l’attentatore libico Game che si è ferito gravemente nell’azione alla caserma milanese: se ci fosse stata in vigore la legge della cittadinanza dopo 5 anni, anziché dopo 10 come è adesso, sarebbe già nostro concittadino.
È chiaro che con questi esempi e con tanti altri che la stampa enfatizza, l’opera di integrazione dei galantuomini – che, ripeto, sono la maggioranza – riceve forti spinte all’indietro e fornisce materiale agli xenofobi che, tra la nostra gente, non sono certo una sparuta minoranza. Chiaro il concetto??
domenica, ottobre 18, 2009
ALCUNI SPOT TELEVISIVI
Il primo spot di cui desidero parlare è quello che vede impegnati Fiorello e i due Bongiorno - Mike, il padre e Leonardo, il figlio – per pubblicizzare un gestore di telefonia; molte le polemiche che sono sorte da questo commercial, in quanto lo stesso è uscito in TV dopo la morte del grandissimo Mike.
Sinceramente non ci ho trovato niente di scandaloso, dato che è la tecnologia a consentire il fissaggio delle immagini e la loro conservazione nel tempo, realizzando così – almeno a livello virtuale – il sogno dell’uomo di essere immortale.
L’aspetto principale dello spot, mi sembra però un altro: il desiderio di Mike di lanciare in scena il giovanissimo Leonardo, ultimogenito del grande presentatore, colui che probabilmente ha sentito più degli altri componenti della famiglia, il grande dolore per l’improvvisa perdita del padre.
Il succo del breve filmato è che adesso bisogna per forza fare “largo ai giovani” e quindi, mentre Mike è relegato a fare il regista, Fiorello, deve subire l’onta del ragazzino (appunto Leonardo) che gli viene affiancato per rappresentare la nuova generazione che lancia messaggi destinati appunto ai giovani.
Lo potremmo vedere anche come una sorta di “testamento artistico” del padre nei confronti del figlio, ma – a parte l’impegno del presentatore nei confronti di Leonardo – c’è da rilevare che tutta l’operazione rappresenta un grosso tornaconto economico per la famiglia Bongiorno e quindi siamo di nuovo a parlare di denaro come corruttore delle umane ambizioni artistiche.
L’altro spot è quello del piccolo dessert “Grand Soleil”, il fine pasto che ti tira su, come dice Montesano, ingaggiato per questa seconda versione del commercial; quello che mi intriga in questa operazione è che il protagonista del breve filmato è indubbiamente il “ruttino” che la giovane donna si lascia scappare dopo aver mangiato il prodotto in discussione. Ed è questo ruttino che Montesano – il protagonista deputato dalla produzione – chiama bonariamente “tirare su”, attirando anche la brava Antonella Clerici nella situazione di doppio senso; da notare che questo atteggiamento era già presente nella precedente edizione dello spot ed il fatto che appaia anche in questo – che ha due testimonial di prestigio come Montesano e la Clerici – mi dice che ha avuto successo nei confronti della platea dei consumatori.
In pubblicità, la grande battaglia che viene combattuta dagli autori è perennemente quella contro la “banalità”; niente è più deleterio nei confronti del prodotto che essere banale nella sua presentazione al grande pubblico: si dice che se non hai a disposizione il “glamour”, devi inventartelo!
Ebbene, è proprio quanto credo sia accaduto al commercial di “Calzedonia”, azienda produttrice di “intimo” femminile e maschile e della calzetteria per entrambi i sessi.
Forse – è solo una mia ipotesi – dopo aver realizzato uno spot senza infamia né lode con belle immagine e colori suadenti, non aggressivi, l’autore si deve essere accorto che il filmato aveva la maledizione della banalità e non avrebbe potuto avere quel successo che i soldi pagati dal committente richiederebbero.
Allora cosa ha fatto? Pensa e ripensa, le soluzioni erano due: la prima prevedeva il rifacimento completo del filmato, la seconda l’inserimento di qualche elemento che potesse dare tono e vivacità allo spot: detto fatto, è stata scelta la seconda soluzione e il filmato è stato musicato dall’Inno di Mameli, arrangiato come valzer lento: le polemiche sono scoppiate subito e il gioco – per l’azienda – è stato fatto!! Chiaro??
Sinceramente non ci ho trovato niente di scandaloso, dato che è la tecnologia a consentire il fissaggio delle immagini e la loro conservazione nel tempo, realizzando così – almeno a livello virtuale – il sogno dell’uomo di essere immortale.
L’aspetto principale dello spot, mi sembra però un altro: il desiderio di Mike di lanciare in scena il giovanissimo Leonardo, ultimogenito del grande presentatore, colui che probabilmente ha sentito più degli altri componenti della famiglia, il grande dolore per l’improvvisa perdita del padre.
Il succo del breve filmato è che adesso bisogna per forza fare “largo ai giovani” e quindi, mentre Mike è relegato a fare il regista, Fiorello, deve subire l’onta del ragazzino (appunto Leonardo) che gli viene affiancato per rappresentare la nuova generazione che lancia messaggi destinati appunto ai giovani.
Lo potremmo vedere anche come una sorta di “testamento artistico” del padre nei confronti del figlio, ma – a parte l’impegno del presentatore nei confronti di Leonardo – c’è da rilevare che tutta l’operazione rappresenta un grosso tornaconto economico per la famiglia Bongiorno e quindi siamo di nuovo a parlare di denaro come corruttore delle umane ambizioni artistiche.
L’altro spot è quello del piccolo dessert “Grand Soleil”, il fine pasto che ti tira su, come dice Montesano, ingaggiato per questa seconda versione del commercial; quello che mi intriga in questa operazione è che il protagonista del breve filmato è indubbiamente il “ruttino” che la giovane donna si lascia scappare dopo aver mangiato il prodotto in discussione. Ed è questo ruttino che Montesano – il protagonista deputato dalla produzione – chiama bonariamente “tirare su”, attirando anche la brava Antonella Clerici nella situazione di doppio senso; da notare che questo atteggiamento era già presente nella precedente edizione dello spot ed il fatto che appaia anche in questo – che ha due testimonial di prestigio come Montesano e la Clerici – mi dice che ha avuto successo nei confronti della platea dei consumatori.
In pubblicità, la grande battaglia che viene combattuta dagli autori è perennemente quella contro la “banalità”; niente è più deleterio nei confronti del prodotto che essere banale nella sua presentazione al grande pubblico: si dice che se non hai a disposizione il “glamour”, devi inventartelo!
Ebbene, è proprio quanto credo sia accaduto al commercial di “Calzedonia”, azienda produttrice di “intimo” femminile e maschile e della calzetteria per entrambi i sessi.
Forse – è solo una mia ipotesi – dopo aver realizzato uno spot senza infamia né lode con belle immagine e colori suadenti, non aggressivi, l’autore si deve essere accorto che il filmato aveva la maledizione della banalità e non avrebbe potuto avere quel successo che i soldi pagati dal committente richiederebbero.
Allora cosa ha fatto? Pensa e ripensa, le soluzioni erano due: la prima prevedeva il rifacimento completo del filmato, la seconda l’inserimento di qualche elemento che potesse dare tono e vivacità allo spot: detto fatto, è stata scelta la seconda soluzione e il filmato è stato musicato dall’Inno di Mameli, arrangiato come valzer lento: le polemiche sono scoppiate subito e il gioco – per l’azienda – è stato fatto!! Chiaro??