sabato, novembre 06, 2010
ED ORA OBAMA CORRE AI RIPARI
Dopo la batosta elettorale di metà mandato, Il Presidente Barack Obama cerca di correre ai ripari in previsione, soprattutto, dell’appuntamento del 2012 per il rinnovo del suo mandato presidenziale; aveva già affermato – a botta calda – che “la colpa di tutto era sua” e adesso aggiunge, rivolgendosi alla gente, sia quella che lo ha votato che quella che gli ha voltato le spalle, “ho capito il vostro messaggio: si chiama lavoro”.
Subito un commento: anche il Presidente di uno stato che privilegia il liberalismo, dovrebbe sapere che tutte queste discussioni si fanno solo “a pancia piena” e i tanti disoccupati hanno ragionato poco e fatto la crocetta nella casella dell’avversario del presidente; della serie “così impari a dare i soldi alle Banche e a fregartene di noi”.
La prima mossa politica di Obama è stata una sorta di “convention” che radunerà attorno ad un tavolo i nuovi leader della maggioranza repubblicana alla Camera e quelli della minoranza – pure repubblicana – al Senato; in quella sede si tenterà una specie di accordo bipartisan per continuare a legiferare, ma i repubblicani hanno già detto che non ci stanno, che non avalleranno la politica del presidente in quanto egli si prenderebbe il credito delle riforme e gli diventerebbe più facile giocare la carta della rielezione nel 2012; i democratico accusano la scriteriata riforma sanitaria e l’attivismo sinistrorso della Nancy Pelosi, adesso estromessa dal Congresso; tutte queste cosa avrebbero potuto essere evitate se qualcuno avesse continuato a tastare il polso degli americani anche dopo il trionfo del 2008; e invece…..
Adesso l’ala più dura dei repubblicani rifiuta qualsiasi tipo di accordo e tende a rosolare il Presidente su una graticola che dovrebbe condurlo al 2012 già cotto a puntino; è inutile invitarli a pensare al bene della gente, perché da quell’orecchio non ci sentono: non sono interessati alla salute del Paese ma a quella del partito che, tuttavia, all’indomani della vittoria elettorale, appare spaccato in varie anime.
In particolare il “Tea Party”, che viene considerato da più parti il vero vincitore della contesa elettorale, si mostra come il più restio a cedere su qualunque tipo di accordo; la sola cosa che lo interessa è il movimento di popolo che porti Obama a ritirare la riforma sanitaria e faccia così risparmiare al Paese un bel po’ di quattrini che sarebbero meglio impiegati nel comparto dell’occupazione, dove l’America sta vivendo tempi magri ed ha superato la fatidica soglia del 10% dei senza lavoro.
Come del resto l’intero Mondo civilizzato, l’intero Universo globalizzato che – per effetto della strafamosa crisi finanziaria ha perduto - a partire dal 2007 - ulteriori 30milioni di posti di lavoro e rischia di arrivare alla stratosferica cifra di 400milioni di disoccupati, secondo le stime del Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale, il francese Dominique Strauss-Kahn.
Quest’ultimo signore, che mostra di avere le idee chiare, ha tirato fuori una frase ad effetto quando ha affermato che “nel quadro della nuova globalizzazione, la prima priorità è l’occupazione, la seconda è l’occupazione e la terza è l’occupazione”; non c’è che dire: l’enfatizzazione del problema mostra la sua urgenza e gravità.
È ovvio che in questo quadro drammatico, gli Stati Uniti debbono fare la loro parte, la parte cioè della Nazione più forte del mondo e quindi muoversi in questo senso; del resto, una ricerca fatta subito dopo le elezioni, mostra uno spaccato del Paese che vede il 32% definirsi “democratico”, un altro 32% “repubblicano” ed il restante 28% dirsi “indipendente” e, con queste fluttuazioni, potrebbe diventare ben presto maggioranza nel Paese: un potenziale “terzo polo” in cerca di un leader che lo guidi alla vittoria.
Subito un commento: anche il Presidente di uno stato che privilegia il liberalismo, dovrebbe sapere che tutte queste discussioni si fanno solo “a pancia piena” e i tanti disoccupati hanno ragionato poco e fatto la crocetta nella casella dell’avversario del presidente; della serie “così impari a dare i soldi alle Banche e a fregartene di noi”.
La prima mossa politica di Obama è stata una sorta di “convention” che radunerà attorno ad un tavolo i nuovi leader della maggioranza repubblicana alla Camera e quelli della minoranza – pure repubblicana – al Senato; in quella sede si tenterà una specie di accordo bipartisan per continuare a legiferare, ma i repubblicani hanno già detto che non ci stanno, che non avalleranno la politica del presidente in quanto egli si prenderebbe il credito delle riforme e gli diventerebbe più facile giocare la carta della rielezione nel 2012; i democratico accusano la scriteriata riforma sanitaria e l’attivismo sinistrorso della Nancy Pelosi, adesso estromessa dal Congresso; tutte queste cosa avrebbero potuto essere evitate se qualcuno avesse continuato a tastare il polso degli americani anche dopo il trionfo del 2008; e invece…..
Adesso l’ala più dura dei repubblicani rifiuta qualsiasi tipo di accordo e tende a rosolare il Presidente su una graticola che dovrebbe condurlo al 2012 già cotto a puntino; è inutile invitarli a pensare al bene della gente, perché da quell’orecchio non ci sentono: non sono interessati alla salute del Paese ma a quella del partito che, tuttavia, all’indomani della vittoria elettorale, appare spaccato in varie anime.
In particolare il “Tea Party”, che viene considerato da più parti il vero vincitore della contesa elettorale, si mostra come il più restio a cedere su qualunque tipo di accordo; la sola cosa che lo interessa è il movimento di popolo che porti Obama a ritirare la riforma sanitaria e faccia così risparmiare al Paese un bel po’ di quattrini che sarebbero meglio impiegati nel comparto dell’occupazione, dove l’America sta vivendo tempi magri ed ha superato la fatidica soglia del 10% dei senza lavoro.
Come del resto l’intero Mondo civilizzato, l’intero Universo globalizzato che – per effetto della strafamosa crisi finanziaria ha perduto - a partire dal 2007 - ulteriori 30milioni di posti di lavoro e rischia di arrivare alla stratosferica cifra di 400milioni di disoccupati, secondo le stime del Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale, il francese Dominique Strauss-Kahn.
Quest’ultimo signore, che mostra di avere le idee chiare, ha tirato fuori una frase ad effetto quando ha affermato che “nel quadro della nuova globalizzazione, la prima priorità è l’occupazione, la seconda è l’occupazione e la terza è l’occupazione”; non c’è che dire: l’enfatizzazione del problema mostra la sua urgenza e gravità.
È ovvio che in questo quadro drammatico, gli Stati Uniti debbono fare la loro parte, la parte cioè della Nazione più forte del mondo e quindi muoversi in questo senso; del resto, una ricerca fatta subito dopo le elezioni, mostra uno spaccato del Paese che vede il 32% definirsi “democratico”, un altro 32% “repubblicano” ed il restante 28% dirsi “indipendente” e, con queste fluttuazioni, potrebbe diventare ben presto maggioranza nel Paese: un potenziale “terzo polo” in cerca di un leader che lo guidi alla vittoria.
giovedì, novembre 04, 2010
ANATRA ZOPPA
Il titolo di questo post deriva dall’”idiotismo” americano (lame duck) che indica una carica politica che viene “azzoppata” da un qualche evento; nella circostanza, abbiamo la carica di Presidente degli Stati Uniti che viene azzoppata (in una zampa sola per la verità) dai risultati delle elezioni di medio termine in cui i repubblicani hanno trionfato alla Camera dei Rappresentanti guadagnando 60 deputati e portando così il totale a 239 contro i 183 dei democratici. Al Senato le cose vanno meglio per i democratici che, pur perdendo 6 seggi, riescono a mantenere la maggioranza (51 a 46).
In passato, questa situazione si è verificata altre volte e le cose – sia pure con una maggiore accortezza dell’esecutivo – sono continuate ad andare avanti tranquillamente: non dimentichiamoci che non siamo in Italia e che quindi il bene comune viene sempre anteposto al bene del partito; per inciso: Barack Obama si è assunto la responsabilità del disastro elettorale.
Ma torniamo all’evento e chiediamoci anzitutto cosa è successo; forse – scrivo queste note senza conoscere appieno i commenti dei giornalisti americani – due cose hanno influito in questa tornata elettorale: la prima è il rigurgito della crisi economica che ha colpito moltissimi americani i quali se la sono presa, com’è naturale, con il comandante in capo ed hanno cercato di fargliela pagare; la seconda è stata l’incertezza che stanno vivendo in America per la fine delle operazioni belliche in Afghanistan, dove i morti continuano a sommarsi.
Dai primissimi commenti sembra che il “Tea Party”, il nuovo raggruppamento che ha corso insieme ai repubblicani, sia stato una delle chiavi di volta per la vittoria: le cose propugnate – ritorno ai valori originari, basta con un debito pubblico così mostruoso, smettiamola con queste guerre ed altri del genere – hanno fatto presa specie sull’elettorato moderato che non ha gradito le spese faraoniche fatte da Obama per la riforma sanitaria che, alla fin fine, ha lasciato ben 22milioni di americani senza assistenza. La leader del movimento – quella Sara Palin molto chiacchierata in America – esulta per i bellissimi risultati conseguiti e pensa addirittura di mantenersi sulla cresta dell’onda fino alle nomination del 2012 quando si tratterà di sfidare nuovamente Obama per la permanenza alla Casa Bianca.
Un altro fattore che si è rivelato a favore del partito dell’elefante, è il voto espresso delle donne che – secondo vari sondaggi – ebbe grande importanza nel 2008 e che incarnò esattamente lo slogan di Obama “yes we can”; adesso, molte di loro hanno cambiato radicalmente bandiera, affermando “sono una mamma e non sono una scema: sono stanca di queste promesse non mantenute e delle troppe tasse imposte per pagare la riforma sanitaria”.
Due brevi notazioni per concludere; il primo riguarda lo stipendio dei nuovi eletti: sapete quanto guadagnano? Poco più di 124mila euro (174mila dollari) ovverosia 10.000 euro il mese; meno della metà di quanto guadagnano i nostri onorevoli; da cosa deriva questa differenza? Non lo so, ma forse dipende dal fatto che siamo più “furbi”?
La seconda notazione si riferisce al numero degli onorevoli: a fronte del nostro migliaio e passa di onorevoli, abbiamo una situazione americana che ci mostra un Senato composto da 100 elementi ed una Camera formata da 433 onorevoli; in tutto 533 persone, la metà circa dei nostri baldi deputati; il tutto di fronte ad una differenza territoriale mostruosa e ad un impegno sostanziale sia in campo nazionale che internazionale, assai diverso tra le due Nazioni; e non certo a favore nostro!!
In passato, questa situazione si è verificata altre volte e le cose – sia pure con una maggiore accortezza dell’esecutivo – sono continuate ad andare avanti tranquillamente: non dimentichiamoci che non siamo in Italia e che quindi il bene comune viene sempre anteposto al bene del partito; per inciso: Barack Obama si è assunto la responsabilità del disastro elettorale.
Ma torniamo all’evento e chiediamoci anzitutto cosa è successo; forse – scrivo queste note senza conoscere appieno i commenti dei giornalisti americani – due cose hanno influito in questa tornata elettorale: la prima è il rigurgito della crisi economica che ha colpito moltissimi americani i quali se la sono presa, com’è naturale, con il comandante in capo ed hanno cercato di fargliela pagare; la seconda è stata l’incertezza che stanno vivendo in America per la fine delle operazioni belliche in Afghanistan, dove i morti continuano a sommarsi.
Dai primissimi commenti sembra che il “Tea Party”, il nuovo raggruppamento che ha corso insieme ai repubblicani, sia stato una delle chiavi di volta per la vittoria: le cose propugnate – ritorno ai valori originari, basta con un debito pubblico così mostruoso, smettiamola con queste guerre ed altri del genere – hanno fatto presa specie sull’elettorato moderato che non ha gradito le spese faraoniche fatte da Obama per la riforma sanitaria che, alla fin fine, ha lasciato ben 22milioni di americani senza assistenza. La leader del movimento – quella Sara Palin molto chiacchierata in America – esulta per i bellissimi risultati conseguiti e pensa addirittura di mantenersi sulla cresta dell’onda fino alle nomination del 2012 quando si tratterà di sfidare nuovamente Obama per la permanenza alla Casa Bianca.
Un altro fattore che si è rivelato a favore del partito dell’elefante, è il voto espresso delle donne che – secondo vari sondaggi – ebbe grande importanza nel 2008 e che incarnò esattamente lo slogan di Obama “yes we can”; adesso, molte di loro hanno cambiato radicalmente bandiera, affermando “sono una mamma e non sono una scema: sono stanca di queste promesse non mantenute e delle troppe tasse imposte per pagare la riforma sanitaria”.
Due brevi notazioni per concludere; il primo riguarda lo stipendio dei nuovi eletti: sapete quanto guadagnano? Poco più di 124mila euro (174mila dollari) ovverosia 10.000 euro il mese; meno della metà di quanto guadagnano i nostri onorevoli; da cosa deriva questa differenza? Non lo so, ma forse dipende dal fatto che siamo più “furbi”?
La seconda notazione si riferisce al numero degli onorevoli: a fronte del nostro migliaio e passa di onorevoli, abbiamo una situazione americana che ci mostra un Senato composto da 100 elementi ed una Camera formata da 433 onorevoli; in tutto 533 persone, la metà circa dei nostri baldi deputati; il tutto di fronte ad una differenza territoriale mostruosa e ad un impegno sostanziale sia in campo nazionale che internazionale, assai diverso tra le due Nazioni; e non certo a favore nostro!!
martedì, novembre 02, 2010
LE ELEZIONI IN AMERICA
Proprio oggi si tengono negli Stati Uniti le elezioni di “mid-term” cioè di metà mandato presidenziale e, come è logico, vengono interpretate da tutti come una sorta di esame per questi primi due anni di mandato svolto da Barack Obama; premetto che quando scrivo queste note non conosco alcun risultato, neppure gli exit-poll.
Si tratta di eleggere 435 deputati , 100 senatori e 37 nuovi governatori; inoltre, in vari stati, sono in pista 160 referendum relativi alle materia più disparate, dalla legalizzazione della coltivazione e del commercio della marijuana all’obbligo di sottoscrivere una assicurazione medica per tutti i cittadini.
Al momento l’unica cosa che conosco è un sondaggio Gallup che indica nel 49% il risultato dei repubblicani e nel 43% quello dei democratici; da notare che nell’attuale Parlamento, i democratico hanno una larga maggioranza: 59 a 41 in Senato e 255 a 178 alla Camera.
Se i dati definitivi confermassero il sorpasso dei repubblicani ai danni dei democratici, si potrebbe affermare che la conduzione del Paese nei prossimi anni sarebbe un problema non da poco per Obama; ma non sarebbe un caso isolato, dato che altre volte i Presidenti si sono ritrovati ad essere in minoranza nel Parlamento eppure il governo del Paese ha funzionato ugualmente (proprio come in Italia!!).
Cosa rimprovera la gente ad Obama? Anzitutto un debito pubblico raddoppiato e questo – per molti americani – è stato fatto per trovare i soldi per ripianare i deficit delle banche americane in crisi per errate speculazioni; gli contestano anche, ovviamente, il provvedimento più importante – che definirei “storico” - attuato da Obama e cioè la riforma sanitaria, il cui costo è stato di un trilione di dollari ed ha lasciato scoperti 22 milioni di cittadini americani: ne è valsa la pena, affermano i repubblicani?
Tra questi ultimi, come ho avuto modo di indicare in un mio post del 17 ottobre, c’è quello che molti analisti politici definiscono il fenomeno “tea party”, alla testa del quale ritroviamo una candidata alla Vice Presidenza sconfitta dall’attuale amministrazione, quella Sarah Palin che ha avuto anche qualche scaldaletto che ora deve fare dimenticare.
Questo partito che utilizza il nome usato per la rivoluzione americana del 1773 contro gli inglesi, ha rianimato il conservatorismo americano e lo stesso partito repubblicano, diventando una sorta di “rivoluzione di base”, popolare non populista, organizzata su una galassia di organizzazioni autonome – ben 647 nell’intero Paese – che senza una vera e propria struttura, senza una autentica ideologia, porta avanti una linea di condotta che si riferisce alla difesa dei valori autentici dei primi coloni americani e lancia uno slogan particolare: “via i socialisti dalla Casa Bianca”.
Con questo scopre un nervo che è ancora dolente in molti elettori moderati americani: votarono per Obama, salvo accorgersi dopo solo un paio di mesi di avere sbagliato cavallo, di avere mandato alla Casa Bianca un leader intenzionato a trapiantare negli States un “socialismo” di tipo europeo; se pensiamo che la parola socialismo fa venire l’orticaria agli americani moderati e tradizionalisti, è facile capire il motivo del successo del “Tea Party”, il quale presenta ben 138 candidati tra Camera e Senato.
Molti cittadini americani riconoscono che Obama ha ereditato un’America malata, ma sostengono anche che il medico chiamata a curarla abbia sbagliato la cura e l’abbia sbagliata per motivi ideologici, gli stessi per cui è diventato un beniamino per l’Europa.
Staremo a vedere, ma comunque sia, anche da noi si risentirà di questi risultati!!
Si tratta di eleggere 435 deputati , 100 senatori e 37 nuovi governatori; inoltre, in vari stati, sono in pista 160 referendum relativi alle materia più disparate, dalla legalizzazione della coltivazione e del commercio della marijuana all’obbligo di sottoscrivere una assicurazione medica per tutti i cittadini.
Al momento l’unica cosa che conosco è un sondaggio Gallup che indica nel 49% il risultato dei repubblicani e nel 43% quello dei democratici; da notare che nell’attuale Parlamento, i democratico hanno una larga maggioranza: 59 a 41 in Senato e 255 a 178 alla Camera.
Se i dati definitivi confermassero il sorpasso dei repubblicani ai danni dei democratici, si potrebbe affermare che la conduzione del Paese nei prossimi anni sarebbe un problema non da poco per Obama; ma non sarebbe un caso isolato, dato che altre volte i Presidenti si sono ritrovati ad essere in minoranza nel Parlamento eppure il governo del Paese ha funzionato ugualmente (proprio come in Italia!!).
Cosa rimprovera la gente ad Obama? Anzitutto un debito pubblico raddoppiato e questo – per molti americani – è stato fatto per trovare i soldi per ripianare i deficit delle banche americane in crisi per errate speculazioni; gli contestano anche, ovviamente, il provvedimento più importante – che definirei “storico” - attuato da Obama e cioè la riforma sanitaria, il cui costo è stato di un trilione di dollari ed ha lasciato scoperti 22 milioni di cittadini americani: ne è valsa la pena, affermano i repubblicani?
Tra questi ultimi, come ho avuto modo di indicare in un mio post del 17 ottobre, c’è quello che molti analisti politici definiscono il fenomeno “tea party”, alla testa del quale ritroviamo una candidata alla Vice Presidenza sconfitta dall’attuale amministrazione, quella Sarah Palin che ha avuto anche qualche scaldaletto che ora deve fare dimenticare.
Questo partito che utilizza il nome usato per la rivoluzione americana del 1773 contro gli inglesi, ha rianimato il conservatorismo americano e lo stesso partito repubblicano, diventando una sorta di “rivoluzione di base”, popolare non populista, organizzata su una galassia di organizzazioni autonome – ben 647 nell’intero Paese – che senza una vera e propria struttura, senza una autentica ideologia, porta avanti una linea di condotta che si riferisce alla difesa dei valori autentici dei primi coloni americani e lancia uno slogan particolare: “via i socialisti dalla Casa Bianca”.
Con questo scopre un nervo che è ancora dolente in molti elettori moderati americani: votarono per Obama, salvo accorgersi dopo solo un paio di mesi di avere sbagliato cavallo, di avere mandato alla Casa Bianca un leader intenzionato a trapiantare negli States un “socialismo” di tipo europeo; se pensiamo che la parola socialismo fa venire l’orticaria agli americani moderati e tradizionalisti, è facile capire il motivo del successo del “Tea Party”, il quale presenta ben 138 candidati tra Camera e Senato.
Molti cittadini americani riconoscono che Obama ha ereditato un’America malata, ma sostengono anche che il medico chiamata a curarla abbia sbagliato la cura e l’abbia sbagliata per motivi ideologici, gli stessi per cui è diventato un beniamino per l’Europa.
Staremo a vedere, ma comunque sia, anche da noi si risentirà di questi risultati!!
domenica, ottobre 31, 2010
ANCORA SUL RAZZISMO (L'ULTIMO)
La “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo”” afferma al primo articolo che “tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti”; sappiamo che varie situazioni di fatto calpestano tale principio, ma come la mettiamo se è una religione a comportarsi così ufficialmente? Infatti, l’induismo è l’unica grande religione – che in India è “quasi” religione di stato - a seguire un parametro diverso e precisamente una scala di diritti che discendono da una gerarchia di “purezza” che si tramuta in “casta”
In vetta a tale scala abbiamo la casta sacerdotale dei bramini, poi vengono i guerrieri, poi i commercianti e giù giù fino ad arrivare alle caste basse che includono gli agricoltori e vari altri mestieri “impuri” come barbieri o lavandai; alla fine di questa gerarchia, abbiamo i “fuori casta”, i cosiddetti “intoccabili”, i dalit.
Il concetto ispiratore di queste suddivisioni e di queste scale (che rappresentano una singolare rappresentazione del razzismo) è che la convinzione che la prosperità di uno Stato dipenda dalla giusta gerarchia delle funzioni e dell’ordine del sacrificio; le caste infatti sono nate dal sacrificio: nell’ordine sacro, il lavoro di tutti gli uomini è necessario, sacro, ed ha perfino una sua dignità: dal re al bramino e dal vasaio allo spazzino.
Il tutto, però secondo un ordine rigoroso, in quanto la confusione delle caste segna la morte di una società, trasformandola in una folla amorfa.
Ovviamente, questa situazione gerarchizzata ha prodotto varie ondate di violenza sia all’interno dell’induismo – per abbattere le singole barriere derivate dalla nascita – e sia contro le altre religioni, indicate come artefici del male del mondo.
Ma è stato veramente solo l’induismo a violare il principio cardine dell’uguaglianza degli uomini? Oppure anche due grandi religioni monoteiste – cristianesimo e islam – hanno avuto precise responsabilità nella storia delle discriminazioni nascenti dal razzismo?
Dobbiamo subito dire che sulla carta – cioè sui testi sacri – non si può affermare ciò; non c’è un solo versetto del Corano, afferma convinto ogni buon mussulmano, dove si teorizzi la minima differenza davanti ad Allah tra bianchi e neri, gialli e rossi; ed altrettanto farà ogni buon cristiano che scorrendo i Vangeli ha la convinzione che davanti a Dio ogni uomo è uguale a Lui, in quanto creato a sua immagine e somiglianza e quindi il colore della pelle è solo un fatto marginale.
Entrambe le religioni dicono che il primo antenato di tutti noi è Adamo e lui – creato dalla terra – non era di nessun colore e quindi la differenza che si crea nel mondo tra bianchi, gialli e neri è tutta una questione degli uomini e dei loro interessi.
Nella realtà, entrambe le religioni hanno avuto i loro bravi problemi a mettere d’accordo i colori della pelle dei loro adepti; si cominciò con lo schiavismo – “tollerato” da entrambi – fino ad arrivare ai giorni nostri, dove un mussulmano doc come Osama Bin Laden ebbe a dire al neo Presidente Barack Obama “ricordati, sei solo un servo negro” ed anche l’altra affermazione “sei solo un negro di casa”: in entrambe le frasi si ha la certezza del disprezzo con cui viene usato il termine negro.
Nella vicenda degli schiavi e della relativa “tratta”, anche le autorità cristiane ebbero voce in capitolo e non presero mai posizione netta nei confronti di un’abolizionismo che avrebbe scardinato una serie di principi anche etici ai quali le varie società si stavano adeguando. Insomma, le scritture dicono che “tutti gli uomini sono uguali”, ma poi, in concreto, l’islam ha avuto il primo Imam “nero” alla Mecca solo nel 2009 e il cattolicesimo ha atteso il 1960 per festeggiare il primo Cardinale “nero”.
In vetta a tale scala abbiamo la casta sacerdotale dei bramini, poi vengono i guerrieri, poi i commercianti e giù giù fino ad arrivare alle caste basse che includono gli agricoltori e vari altri mestieri “impuri” come barbieri o lavandai; alla fine di questa gerarchia, abbiamo i “fuori casta”, i cosiddetti “intoccabili”, i dalit.
Il concetto ispiratore di queste suddivisioni e di queste scale (che rappresentano una singolare rappresentazione del razzismo) è che la convinzione che la prosperità di uno Stato dipenda dalla giusta gerarchia delle funzioni e dell’ordine del sacrificio; le caste infatti sono nate dal sacrificio: nell’ordine sacro, il lavoro di tutti gli uomini è necessario, sacro, ed ha perfino una sua dignità: dal re al bramino e dal vasaio allo spazzino.
Il tutto, però secondo un ordine rigoroso, in quanto la confusione delle caste segna la morte di una società, trasformandola in una folla amorfa.
Ovviamente, questa situazione gerarchizzata ha prodotto varie ondate di violenza sia all’interno dell’induismo – per abbattere le singole barriere derivate dalla nascita – e sia contro le altre religioni, indicate come artefici del male del mondo.
Ma è stato veramente solo l’induismo a violare il principio cardine dell’uguaglianza degli uomini? Oppure anche due grandi religioni monoteiste – cristianesimo e islam – hanno avuto precise responsabilità nella storia delle discriminazioni nascenti dal razzismo?
Dobbiamo subito dire che sulla carta – cioè sui testi sacri – non si può affermare ciò; non c’è un solo versetto del Corano, afferma convinto ogni buon mussulmano, dove si teorizzi la minima differenza davanti ad Allah tra bianchi e neri, gialli e rossi; ed altrettanto farà ogni buon cristiano che scorrendo i Vangeli ha la convinzione che davanti a Dio ogni uomo è uguale a Lui, in quanto creato a sua immagine e somiglianza e quindi il colore della pelle è solo un fatto marginale.
Entrambe le religioni dicono che il primo antenato di tutti noi è Adamo e lui – creato dalla terra – non era di nessun colore e quindi la differenza che si crea nel mondo tra bianchi, gialli e neri è tutta una questione degli uomini e dei loro interessi.
Nella realtà, entrambe le religioni hanno avuto i loro bravi problemi a mettere d’accordo i colori della pelle dei loro adepti; si cominciò con lo schiavismo – “tollerato” da entrambi – fino ad arrivare ai giorni nostri, dove un mussulmano doc come Osama Bin Laden ebbe a dire al neo Presidente Barack Obama “ricordati, sei solo un servo negro” ed anche l’altra affermazione “sei solo un negro di casa”: in entrambe le frasi si ha la certezza del disprezzo con cui viene usato il termine negro.
Nella vicenda degli schiavi e della relativa “tratta”, anche le autorità cristiane ebbero voce in capitolo e non presero mai posizione netta nei confronti di un’abolizionismo che avrebbe scardinato una serie di principi anche etici ai quali le varie società si stavano adeguando. Insomma, le scritture dicono che “tutti gli uomini sono uguali”, ma poi, in concreto, l’islam ha avuto il primo Imam “nero” alla Mecca solo nel 2009 e il cattolicesimo ha atteso il 1960 per festeggiare il primo Cardinale “nero”.