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sabato, febbraio 06, 2010

LA BARZELLETTA DI LUCA 

Ci risiamo a parlare della FIAT e, in particolare degli incentivi che – stando alle dichiarazioni – i massimi dirigenti della casa torinese affermano di “non desiderare affatto”; sia chiaro che gli incentivi sono denaro che entra nelle casse dell’azienda e che va a formare lo “sconto” praticato al cliente, quindi non un aiuto “diretto” ma sicuramente uno “indiretto” che serve a vendere più auto..
Nella stanza vicina a dove si parlava di “incentivi”, la discussione verteva sulla situazione di Termini Imerese e in quel contesto la FIAT ha riaffermato che non esistono possibilità che l’impianto siciliano possa continuare la propria attività, aggiungendo, però (e questa frase è sintomatica) che lo stabilimento – mobili ed immobili – è di proprietà dell’Azienda e quindi nessuno ci potrà fare qualcosa senza l’approvazione della destinazione d’uso che spetta, guarda caso, proprio alla FIAT (come dire: qui auto non se ne costruiscono; al massimo potrete metterci la lavorazione delle arance o qualcos’altro che stia bene a noi!!)).
Per ultimo è poi venuto il botto rappresentato dalla dichiarazione del Presidente Luca di Montezemolo: “da quando ci sono io lo Stato non ha dato un euro alla FIAT”; ora, dato che Luchino, pur non essendo un’aquila non è neppure uno sprovveduto totale, è bene chiederci il motivo di tale affermazione, facilmente confutabile anche da uno che non mi sembra proprio il massimo, Calderoni, che definisce il tutto “una barzelletta che non fa neppure ridere”. Dunque, a mio giudizio, il tutto deve essere suddiviso in due parti: la prima riguarda la libertà che FIAT “esige” di andare a produrre dove più le aggrada, dismettendo quindi tutti quegli stabilimenti italiani che hanno un costo del personale superiore a quanto preventivato; in sostanza, si ritorna a quanto da me affermato varie volte: la crisi, la globalizzazione, sono tutte cose che sono state “inventate” per poter regolare i conti con la mano d’opera nostrale senza rimetterci niente sotto il profilo delle iniziative giudiziarie. A questo proposito è bene sapere che mentre si sta dismettendo Termini, la FIAT sta assumendo operai per l’erigendo stabilimento in Serbia; mi sembra la chiara dimostrazione di quanto detto sopra.
La seconda parte del mio ragionamento riguarda specificatamente lo stabilimento FIAT di Termini Imerese, laddove si chiude perché – sono parole di Marchionne - ogni auto che vi esce ha un costo superiore di mille euro a quello degli altri luoghi industriali; per la verità nessuno ci ha spiegato il motivo di tale super-costo, ma io resto fiducioso che prima o poi qualcuno me lo dirà; daranno la colpa alla mafia ed al “pizzo”???
Dunque, a Termini la FIAT chiuderà la propria attività il prossimo anno: logica vorrebbe che qualcuno cominciasse a pensare a come sostituire tale polo industriale; sembra infatti che ci sia una cordata italiana interessata (ci spero poco) ma soprattutto dicono che una azienda cinese avrebbe intenzione di costruire in questo luogo una piccola auto da vendere in Cina, utilizzando impianti e mano d’opera già allogata a Termini.
A questa iniziativa la FIAT sembra opporsi, sostenendo che lo stabilimento è suo e non ci farà entrare un’altra casa concorrente; mi chiedo: può lo Stato “espropriare” lo Stabilimento per ragioni di pubblica utilità e farsi parte diligente con i potenziali acquirenti stranieri o italiani per portare avanti e, possibilmente, chiudere la trattativa? Ovviamente il ricavato verrebbe versato a FIAT, decurtato naturalmente delle spese sostenute per l’intera operazione. È fantaeconomia? Forse, ma a me sembra la cosa più logica da fare, a meno di non voler rimpinguare le fila della mafia con gli operai licenziati, perché quella è la loro fine! Chiaro il concetto??

venerdì, febbraio 05, 2010

VISTO IN TV 

La nostra televisione – ma anche quella degli altri Paesi – è una miniera inesauribile di cose incredibili, di ripescaggi goffi, di notizie che portano solo sconcerto e di grandi manovre su eventi “strani” che si montano come la panna prima di usarla su un dolce. Come definire la “comparsata” di Mike Tyson alla trasmissione Ballando con le stelle? Forse la parola più rispondente al vero è “penoso”: siamo in presenza del ricordo di un pugile forte e pieno di talento con una potenza esplosiva che ha messo KO tanti campioni, poi il carcere, gli eccessi, le donne violentate, lo sport praticato con rabbia (il morso all’orecchio) fino a rimpicciolire la propria immagine di grande boxeur; ed ora ce lo ritroviamo ridacchiante come un idiota e sudato come un facchino mentre si dimena a ritmo di una canzoncina con la garrula Milly Carlucci che si spertica in lodi eccelse, fino a commentare – dopo una serie di risolini stupidi – “veramente strepitoso, fantastico, potrebbe diventare un grande anche nella danza”: tutto questo nella trasmissione “principe” della nostra mamma Rai, quella che va in onda il sabato sera, cioè nell’orario di maggiore ascolto settimanale. Che tristezza, amici miei!!
Un altro “personaggio” disposto a tutto pur di apparire – e guadagnare dei soldi – è lo scrittore “controcorrente” Aldo Busi che sembra in procinto di partecipare alla prossima edizione dell’“Isola dei famosi”.
Già in passato il Busi ha mostrato grandi doti di bravura esibizionistica, accompagnata da una indiscutibile cultura e grandi qualità civili; nel suo “invecchiare” sceglie di immiserirsi in un programma scelto da altri “ex” come ultima spiaggia, come ultima cosa “da scegliere”, come impugnare una bacchetta magica all’incontrario pur di ottenere questa stramaledetta “visibilità” che affascina tutti, dallo sportivo al macellaio, dall’intellettuale al postino, dal politico alla massaia.
Forse siamo in presenza di una “collettiva mancanza di rispetto di noi stessi”, frutto probabilmente dall’assenza di ruoli stabili in un mondo melmoso e paludoso che cerca di mischiare e cancellare competenze, categorie e ruoli e dove conta solo “apparire”.
Una società, insomma, di scrittori che fanno le comparse da avanspettacolo ed i buffoni intristiti, mentre i grandi pugili di un tempo ballano come burattini allo stesso modo in cui i vecchi comici del passato si riducevano ad inciampare e ruzzolare fuori dal palcoscenico pur di strappare l’applauso del pubblico.
E per ultimo consentitemi due parole sulla vicenda “Morgan”; di lui non conosco quasi niente, visto il mio disinteresse per la musica contemporanea, ma abbiamo voci contrastanti sulla sua levatura artistica; comunque il nostro cosa ti combina: poco tempo prima di partecipare al Festival di Sanremo dichiara ad un settimanale di essere un “quotidiano consumatore di cocaina a scopo curativo per la depressione e che si trova benissimo con questa cura”.
L’autore di siffatto “outing”, diventa l’uomo più famoso e più intervistato d’Italia e, sia pure dopo essere stato espulso dal Festival, partecipa – in spirito, ovviamente, non di persona - a tutti i talk show del nostro panorama televisivo: tutti parlano di lui, dai soliti intellettuali, ai soliti preti, ai soliti psicologi, alle solite “nullità”, insomma tutta la truppa che scorrazza sui nostri teleschermi: e Morgan diventa “un esempio”.
La pubblicità che viene fatta a Morgan, alla sua canzone e – purtroppo – anche al consumo della cocaina è eccezionale, impagabile per una qualsiasi causa di valore civile: peccato che si tratti di un tossico dalle dubbie capacità artistiche ma dalle sicure conoscenze del modo di gestire il mezzo televisivo: altro che Festival!!

mercoledì, febbraio 03, 2010

LUCI ED OMBRE SU OBAMA 

Cominciamo dalle luci e mettiamoci dentro la “quasi” riforma della sanità americana; dico “quasi” perché ancora manca il voto definitivo che dia il via libero al pacchetto di riforme sulla salute degli americani.
La crisi finanziaria ed economica ha colpito gli USA ancora più pesantemente che ogni altro Paese, ma in questo frangente il bravo Obama ha “balbettato” alcune iniziative che lo hanno messo in cattiva luce nei confronti dei suoi entusiasti elettori: le conclamate iniziative a sostegno del lavoro non possono ancora decollare visto che il deficit del bilancio statunitense è a livelli assai preoccupanti e si trascinerà - secondo gli analisti – per l’intero decennio, raggiungendo la mostruosa cifra di nove trilioni di dollari (l’ho scritta in lettere perché con i numeri non saprei come fare); ed il problema è che la Cina, prestando buona parte del denaro che determina tale deficit, detiene anche le chiavi del futuro dell’America: ma di questo parleremo dopo.
La gente poi non comprende l’alternanza di atteggiamenti che il Presidente adotta in Afghanistan: da una parte si lascia trapelare (anche se non si afferma chiaramente) che la “exit-strategy” è sempre l’opzione primaria per il futuro, ma dall’altra si aumenta l’impiego delle truppe su quel teatro e…i morti aumentano; insomma, mentre con la precedente amministrazione, il popolo sapeva che da Bush e da Cheney si sarebbe potuto aspettare solo una politica “reazionaria”, da questo nuovo Presidente l’attesa era rivolta ad un cambio sostanziale di strategia, ma dopo un anno dall’insediamento ancora non si vede niente che faccia pensare al cambiamento.
E così si arriva alla seconda decade di gennaio ed alla “disfatta del Massachussetts”, ed alla sconfitta del candidato democratico, battuto sonoramente da tale Scott Brown, il cui maggior titolo di merito era quello di essere stato eletto in gioventù – anni ’80 – l’uomo più sexy d’America; l’avere perduto il seggio che fu per tantissimi anni appannaggio della dinastia Kennedy, ha dato modo alla compagine di Obama di riflettere sui motivi della sconfitta, ma al momento non si conoscono ancora le eventuali contromosse a questa disaffezione degli americani al loro Presidente; una curiosità: anche Hyannis, la mitica cittadina sull’Atlantico, dove sorge la spiaggia di Cape Cod, feudo dei Kennedy, dove JFK, Bob, Ted con mogli e figli soggiornavano (e i superstiti lo fanno ancora), ha voltato le spalle ai democratici: 12.331 voti per Brown e 7.543 per l’avversario.
Ma torniamo un momento ai rapporti con la Cina: in questi ultimi giorni abbiamo avuto lo scontro sulla fornitura di armi a Taiwan e la diatriba – tutta militare, ma spruzzata di politica - non è ancora rientrata; a fianco di questo problema, Obama ne ha aperto un altro: il “solito” Dalai Lama, che non sta fermo un momento, si trova a passare per gli Stati Uniti e il Presidente ha deciso di riceverlo (ancora non è dato sapere in quale “veste”) suscitando così le ira dei governanti cinesi che hanno subito dichiarato: “un eventuale incontro tra il Presidente Obama e il Dalai Lama sarebbe irragionevole e minerebbe seriamente le fondamenta delle relazioni tra Cina e Stati Uniti; ci opponiamo a qualsiasi tentativo di una forza straniera di interferire con le questioni interne cinesi usando come pretesto il leader spirituale tibetano”.
C’è poi il progressivo ma evidente distacco dall’Europa – come Istituzione – testimoniato dall’annullamento del vertice Ue-USA del prossimo maggio, programmato in Spagna: si tratta di un vero e proprio ”schiaffo” all’Europa e al suo presidente di turno, Zapatero; risibili le motivazioni: “questioni di agenda per Obama”.

lunedì, febbraio 01, 2010

ANCORA SUL LAVORO 

Ritorno sul problema del lavoro in Italia – ma potrei dire “nel mondo”, purtroppo – e prendo a pretesto un’affermazione del Papa (uno che neppure mi è tanto simpatico) pronunciata in occasione dell’Angelus di ieri: “ bisogna fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l’occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie”.
La frase del Papa non è niente di particolarmente impegnativo, non è neppure tanto ”cattiva” nei confronti dei poteri forti che regolano questo problema, ma almeno è qualcosa, specie perché viene pronunciata il giorno successivo all’ennesima tragedia che si è consumata a causa della perdita del lavoro: a Bergamo un operaio di 36 anni è morto dopo aver perso il lavoro ed ha scelto un modo atroce per farlo, in quanto si è cosparso di benzina e si è dato fuoco; il ricovero al Centro Grandi Ustioni non è servito a salvargli la vita.
Poco tempo dopo il messaggio del Papa, il nostro Ministro del Lavoro, Sacconi, di solito prudente e attento a non scontentare nessuno, si è lanciato in una affermazione che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia: “le imprese debbono esprimere quella responsabilità sociale che deve indurre a non compiere scelte di ridimensionamento occupazionale, dopo avere avuto lunghi anni di utili e magari di aiuti pubblici”.
L’affermazione di Sacconi si riferisce in particolare ai casi FIAT e Alcoa per i quali – continua il ministro – “il nostro compito è quello di scoraggiare i licenziamenti e mettere a disposizione ammortizzatori sociali come la Cig e i contratti di solidarietà”.
Ma del discorso del nostro ministro, vorrei riprendere il concetto degli aiuti pubblici che vengono posti in una forma che parrebbe impegnare l’azienda ricevente a comportarsi in modo “socialmente solidale”; ebbene, su questi aiuti, sarebbe opportuno che dal Ministero competente cominciassero ad uscire alcuni numeri, in modo che la gente si renda conto di “quali cifre” stiamo parlando.
Ed a questo proposito, cominciamo subito dalla FIAT e mettiamo alcuni punti fermi: nel 2009 l’azienda torinese ha venduto 2 milioni e 150 mila autoveicoli; se il ministro ci fornisce la cifra unitaria dell’incentivo pagato dallo Stato, siamo abbastanza bravi da fare la moltiplicazione da soli e ricavare così l’importo che lo Stato ha speso complessivamente “per aiutare la Fiat lo scorso anno”; non credo che sia una cifra da poco, ma comunque mi piacerebbe conoscerla.
Ma nel rapporto FIAT/Stato, è sempre presente il principio che l’azienda è uno dei “poteri forti”, forse il primo di questa categoria e lo Stato in un eventuale braccio di ferro, rischierebbe di spezzarsi le ossa.
Eppure, in Europa, tutti gli stati più importanti (Germania, Francia, Inghilterra) hanno subordinato la concessione di tali “aiuti” a comportamenti “virtuosi” – sotto il profilo sociale – delle aziende che li ricevevano; possibile che solo in Italia non si possano mettere delle clausole di questo genere, ma ci dobbiamo accontentare delle “raccomandazioni” del ministro?
L’affermazione fatta da Sarkozy alcune settimane fa, secondo la quale “la Francia con dà aiuti alle aziende automobilistiche per poi vederle delocalizzare la produzione verso altri Paesi”, mi vede molto consenziente; e in questo non dobbiamo credere che si tratti di vieto “protezionismo”, ma solo che in questo periodo di crisi globale, se le strutture europee consentono di aiutare determinati comparti, lo fanno per salvaguardarne i livelli occupazionali e non per impinguarne i bilanci. Chiaro il concetto??.

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