sabato, ottobre 01, 2011
L'ISLAM APRE ALLE DONNE?
Mentre le notizie di stampa riportano quasi quotidianamente notizie su abusi di genitori o coniugi di religione islamica nei confronti delle figlie o delle mogli che aspirerebbero a vivere all’occidentale, si ha notizie che nella capitale dell’islamismo – l’Arabia Saudita - il suo re Abdullah (87 anni) ha concesso il diritto di voto “anche” alle donne, per le elezioni amministrative previste per il 2015; nessuno nega che questo possa considerarsi un successo della lotta silenziosa (se parlavano le imprigionavano) che il movimento delle donne musulmane ha portato avanti per moltissimi anni, ma vediamo cosa comporta questa vittoria; intanto vorrei fare una notazione: la nuova norma entra in vigore nel 2015, quando cioè Abdullah avrà superato i 90 anni; non vorrei che avesse lasciato ai suoi eredi questa “scomoda eredità”!!
Come dicevo prima, la novità verrà sperimentata alle amministrative del 2015, semplicemente perché quelle sono le uniche elezioni presenti in Arabia Saudita, non essendoci nessuna consultazione politica.
Ma torniamo alle amministrative: vi si elegge la metà dei consiglieri comunali, mentre l’altra metà è scelta dal governo, il quale – sia ben chiaro - è di esclusiva nomina reale.
Altra storica vittoria delle donne è la concessione di poter entrare nella “Shura”, una sorta di Camera avente solo poteri consultivi per la Corona, composta da 150 membri di nomina reale; quindi dal 2015 il re potrà nominare anche delle donne!!
Queste prime affermazioni del “femminismo arabo”, prendono le mosse da un movimento che, sia in Arabia Saudita che in altri paesi arabi ed anche in Iran, cerca una legittimazione ideologica e religiosa alle istanze tese a conquistare una effettiva parità con gli uomini; dicono, in bella sostanza, che il Corano non assegna affatto alle donne un ruolo subordinato all’altro sesso, mentre garantisce i diritti femminili anche quando prescrive la segregazione rispetto al genere maschile.
La prima donna a teorizzare questo aspetto del femminismo è stata proprio una saudita, Mai Yamani, che nel 1996 ha pubblicato un suo libro dal titolo “Feminism and Islam”; poi sono arrivate alcune femministe turche ed anche marocchine ed iraniane, tra cui la moglie dell’anti Ahmadinejad, Moussavi.
Ma vediamo cosa è stato “conquistato”, al momento, in Arabia Saudita, cioè nella patria della prima donna che ha scritto di femminismo; anzitutto le donne non possono viaggiare da sole (viene loro negato il passaporto), non possono avere la patente, non possono lavorare o subire un intervento chirurgico senza il beneplacito del padre o del marito; quindi possiamo dire che sono tutte “conquiste” da fare!!
Tanto per dire, proprio in occasione dello storico annuncio del Re sul diritto di voto concesso alle donne, il Tribunale di Gedda ha condannato una ragazza a 10 frustate per aver guidato un’auto; la sentenza è stata annullata in extremis per l’intervento dello stesso sovrano saudita.
Insomma, così come il recita proverbio occidentale “una rondine non fa primavera”, così le aperture di qualche sovrano o le autorizzazioni che di volta in volta vengono concesse alle donne islamiche, non bastano affatto a far loro conseguire dei diritti almeno “vicini” a quelli già in possesso delle loro colleghe occidentali.
Il lavoro da fare è ancora moltissimo e al tempo stesso molto pericoloso, perché i signori maschietti mi sembrano assai violenti verso coloro che cercano di arrivare almeno al loro pari (le donne); e allora? Allora è indispensabile non scoraggiarsi e non perdersi d’animo ma continuare la lotta con tutte le armi a disposizione.
Come dicevo prima, la novità verrà sperimentata alle amministrative del 2015, semplicemente perché quelle sono le uniche elezioni presenti in Arabia Saudita, non essendoci nessuna consultazione politica.
Ma torniamo alle amministrative: vi si elegge la metà dei consiglieri comunali, mentre l’altra metà è scelta dal governo, il quale – sia ben chiaro - è di esclusiva nomina reale.
Altra storica vittoria delle donne è la concessione di poter entrare nella “Shura”, una sorta di Camera avente solo poteri consultivi per la Corona, composta da 150 membri di nomina reale; quindi dal 2015 il re potrà nominare anche delle donne!!
Queste prime affermazioni del “femminismo arabo”, prendono le mosse da un movimento che, sia in Arabia Saudita che in altri paesi arabi ed anche in Iran, cerca una legittimazione ideologica e religiosa alle istanze tese a conquistare una effettiva parità con gli uomini; dicono, in bella sostanza, che il Corano non assegna affatto alle donne un ruolo subordinato all’altro sesso, mentre garantisce i diritti femminili anche quando prescrive la segregazione rispetto al genere maschile.
La prima donna a teorizzare questo aspetto del femminismo è stata proprio una saudita, Mai Yamani, che nel 1996 ha pubblicato un suo libro dal titolo “Feminism and Islam”; poi sono arrivate alcune femministe turche ed anche marocchine ed iraniane, tra cui la moglie dell’anti Ahmadinejad, Moussavi.
Ma vediamo cosa è stato “conquistato”, al momento, in Arabia Saudita, cioè nella patria della prima donna che ha scritto di femminismo; anzitutto le donne non possono viaggiare da sole (viene loro negato il passaporto), non possono avere la patente, non possono lavorare o subire un intervento chirurgico senza il beneplacito del padre o del marito; quindi possiamo dire che sono tutte “conquiste” da fare!!
Tanto per dire, proprio in occasione dello storico annuncio del Re sul diritto di voto concesso alle donne, il Tribunale di Gedda ha condannato una ragazza a 10 frustate per aver guidato un’auto; la sentenza è stata annullata in extremis per l’intervento dello stesso sovrano saudita.
Insomma, così come il recita proverbio occidentale “una rondine non fa primavera”, così le aperture di qualche sovrano o le autorizzazioni che di volta in volta vengono concesse alle donne islamiche, non bastano affatto a far loro conseguire dei diritti almeno “vicini” a quelli già in possesso delle loro colleghe occidentali.
Il lavoro da fare è ancora moltissimo e al tempo stesso molto pericoloso, perché i signori maschietti mi sembrano assai violenti verso coloro che cercano di arrivare almeno al loro pari (le donne); e allora? Allora è indispensabile non scoraggiarsi e non perdersi d’animo ma continuare la lotta con tutte le armi a disposizione.
giovedì, settembre 29, 2011
ANCORA SUL "DIVERSO"
Riprendo, in parte, la tematica del mio ultimo post riguardante l’immigrazione, in quanto mi è arrivata una notizia che mi ha colpito ed interessato molto; anche se non c’entra “direttamente” con il problema degli immigrati; ma andiamo avanti…
Se ricordate, nelle argomentazioni circa le tematiche dei migranti e la successiva “ripulsa” da parte degli indigeni, deve essere messo al primo posto il concetto di “paura del diverso”; è diversa la pelle, l’atteggiamento, la cultura, la lingua e soprattutto il modo di porgersi; insomma, la paura della diversità che ci arriva davanti è uno dei principali fattori che muove le altre problematiche dell’immigrazione.
E fin qui è tutto chiaro, anzi direi che è tutto “già detto”; allora qual è la novità che mi ha indotto a tornare sull’argomento? Forse non abbiamo completamente messo a fuoco il concetto di “diverso”, dato che situazioni di ripulsa le abbiamo anche tra noi, cittadini della stessa Nazione, anzi, della stessa Città, anzi dello stesso rione.
Ed ecco la notizia, come la ricevo da un quotidiano: una signora ha condotto il proprio fratello - invalido con una gamba amputata e con necessità di tubi per l’ossigeno e per i drenaggi – a dei giardini pubblici dove c’era una festa di bambini piccoli (tre anni circa); ad un certo momento, dopo che l’invalido si era goduto un po’ di sole e di bel tempo, una mamma dei bimbi che stavano giocando, si è avvicinata alla donna e le ha chiesto di spostarsi più in là, perché i bambini erano spaventati dell’invalido o meglio – per usare un termine più acconcio – del “diverso”.
Non è il primo caso che conosco di situazioni in cui la mancanza di una parte del proprio corpo diventa elemento discriminante: non molto tempo fa, alcune mamme inglesi portarono avanti una campagna affinché una emittente televisiva sospendesse un programma per bambini condotto da una bella e brava giornalista, alla quale però mancava un braccio: anche lei, secondo quelle mamme, spaventava i bambini!!
Anzitutto mi viene di dire “vergogna” a quelle madri che si trincerano dietro i bambini per trasmettere una loro idiosincrasia, derivata da questa modo di vivere nel quale ormai siamo condannati ad inseguire l’eterna giovinezza, ad ammirare solo “i sani e belli”; tutti gli altri si devono “attrezzare” per migliorarsi o…sparire!!
Ma questo è tipico dei grandi e non dei bambini! Loro, se i i grandi gliene parlano con calma e naturalezza non hanno certamente paura di un “diverso” fisico, ma anzi – in molti casi – riescono a comprendere la loro fortuna di non avere lo stesso problema di quel coetaneo al quale ben volentieri si dedicano per aiutarlo a superare le conseguenze dell’handicap.
Il luogo dove tutto ciò si sviluppa con maggiore frequenza è la scuola: in una classe di queste, c’era una bambina gravemente handicappata che – a detta dei genitori – “frenava l’apprendimento della classe”; tanto fu detto e tanto fu scritto per cui alla fine la bambina, sentendosi non accettata, ha cambiato scuola di sua volontà.
Ebbene, gli ex compagni di classe adesso la rimpiangono e le hanno scritto una bella lettera, chiedendole di ripensarci e di tornare sugli stessi banchi di prima; volete sapere il motivo che hanno indicato per tale richiesta? “Ci manchi; con te eravamo più buoni!!”
Certo che erano più buoni, soprattutto perché erano più ricchi, più forti, più attrezzati a gestire l’oggi e il domani; e di fatto, “più grandi”, proprio quando cominciano ad affacciarsi sul complesso mondo del vivere civile; ai bambini – salvo qualcuno con una madre “speciale” – non interessa la bellezza ma solo la bontà e la simpatia!! Tutto il resto sono “fisime dei grandi”, da non imputare ai bambini!!Chiaro??
Se ricordate, nelle argomentazioni circa le tematiche dei migranti e la successiva “ripulsa” da parte degli indigeni, deve essere messo al primo posto il concetto di “paura del diverso”; è diversa la pelle, l’atteggiamento, la cultura, la lingua e soprattutto il modo di porgersi; insomma, la paura della diversità che ci arriva davanti è uno dei principali fattori che muove le altre problematiche dell’immigrazione.
E fin qui è tutto chiaro, anzi direi che è tutto “già detto”; allora qual è la novità che mi ha indotto a tornare sull’argomento? Forse non abbiamo completamente messo a fuoco il concetto di “diverso”, dato che situazioni di ripulsa le abbiamo anche tra noi, cittadini della stessa Nazione, anzi, della stessa Città, anzi dello stesso rione.
Ed ecco la notizia, come la ricevo da un quotidiano: una signora ha condotto il proprio fratello - invalido con una gamba amputata e con necessità di tubi per l’ossigeno e per i drenaggi – a dei giardini pubblici dove c’era una festa di bambini piccoli (tre anni circa); ad un certo momento, dopo che l’invalido si era goduto un po’ di sole e di bel tempo, una mamma dei bimbi che stavano giocando, si è avvicinata alla donna e le ha chiesto di spostarsi più in là, perché i bambini erano spaventati dell’invalido o meglio – per usare un termine più acconcio – del “diverso”.
Non è il primo caso che conosco di situazioni in cui la mancanza di una parte del proprio corpo diventa elemento discriminante: non molto tempo fa, alcune mamme inglesi portarono avanti una campagna affinché una emittente televisiva sospendesse un programma per bambini condotto da una bella e brava giornalista, alla quale però mancava un braccio: anche lei, secondo quelle mamme, spaventava i bambini!!
Anzitutto mi viene di dire “vergogna” a quelle madri che si trincerano dietro i bambini per trasmettere una loro idiosincrasia, derivata da questa modo di vivere nel quale ormai siamo condannati ad inseguire l’eterna giovinezza, ad ammirare solo “i sani e belli”; tutti gli altri si devono “attrezzare” per migliorarsi o…sparire!!
Ma questo è tipico dei grandi e non dei bambini! Loro, se i i grandi gliene parlano con calma e naturalezza non hanno certamente paura di un “diverso” fisico, ma anzi – in molti casi – riescono a comprendere la loro fortuna di non avere lo stesso problema di quel coetaneo al quale ben volentieri si dedicano per aiutarlo a superare le conseguenze dell’handicap.
Il luogo dove tutto ciò si sviluppa con maggiore frequenza è la scuola: in una classe di queste, c’era una bambina gravemente handicappata che – a detta dei genitori – “frenava l’apprendimento della classe”; tanto fu detto e tanto fu scritto per cui alla fine la bambina, sentendosi non accettata, ha cambiato scuola di sua volontà.
Ebbene, gli ex compagni di classe adesso la rimpiangono e le hanno scritto una bella lettera, chiedendole di ripensarci e di tornare sugli stessi banchi di prima; volete sapere il motivo che hanno indicato per tale richiesta? “Ci manchi; con te eravamo più buoni!!”
Certo che erano più buoni, soprattutto perché erano più ricchi, più forti, più attrezzati a gestire l’oggi e il domani; e di fatto, “più grandi”, proprio quando cominciano ad affacciarsi sul complesso mondo del vivere civile; ai bambini – salvo qualcuno con una madre “speciale” – non interessa la bellezza ma solo la bontà e la simpatia!! Tutto il resto sono “fisime dei grandi”, da non imputare ai bambini!!Chiaro??
martedì, settembre 27, 2011
IL CINEMA E L'IMMIGRAZIONE
La tematica preminente nei film presentati alla Mostra del Cinema di Venezia è stata sicuramente quella dell’immigrazione – regolare e non – e questo, probabilmente perché gli autori non vivono in cima ad una montagna, ma frequentano le strade ed i locali come tutti noi e si rendono conto che questo problema sta a cuore alla gente.
Ma qual’è la posizione prevalente tra la gente comune, quella del Bar vicino a casa o del Supermercato all’angolo? Da quello che ho capito io – e so benissimo di non portare avanti un modo facile di pensare – la gente, quella gente, non gradisce molto la presenza di questi “stranieri”, ai quali imputa anche cose che non li riguardano affatto, come la mancanza di lavorio eccetera; d’altra parte esistono da noi tutta una serie di lavori che gli indigeni non gradiscono più fare (badanti, donne di servizio, infermieri/e generici, manovali nell’edilizia, eccetera), ma nessuno di noi ci pensa e si decide “a fare concorrenza agli extracomunitari”, che continuiamo a considerare come persone che arrivano in casa nostra pur non essendo stati invitati.
Il cinema ovviamente vede la cosa molto diversamente: per esempio, in “Terraferma”, contro la scrupolosa osservanza delle norme sul respingimento, il giovane siciliano si prende la responsabilità di portare personalmente, con la propria barca, una emigrata che ha partorita in casa sua, assistita dalla madre: insomma, il problema “immigrazione” è presentato come lo sfondo di varie vicende “umane” e non come problematica emergente per la gente di tutti i giorni, che continua a scansarsi quando si ritrova un negro vicino sulla metropolitana o su altri mezzi di trasporto.
E quando strutture come la Chiesa invitano la popolazione a prestare aiuto e soccorso nei confronti di questi disperati, la cosa più frequente che sento dire è: ma perché non li mettono in Vaticano, dove invece non ce n’è nemmeno uno??
Il mio pensiero in proposito – per quello che può valere – lo conoscete e lo riepilogo in poche parole: anzitutto se queste persone avessero una vita decente a casa propria non verrebbero a fare gli schiavi da noi; non si tratta di una “immigrazione”, ma di una autentica “migrazione”, sul tipo di quelle di cui leggiamo sui libri di storia; queste popolazioni abitano in luoghi che non assicurano neppure il minimo indispensabile e quindi è giocoforza andarsene per cercare qualcosa che permetta loro di sopravvivere; questo sta accadendo; fenomeni di criminalità sono “normali” appendici al problema..
Però una cosa vorrei che fosse compresa bene: questi signore e signori debbono seguire le leggi dei Paesi che vanno ad “investire”, senza nessuno sconto per incomprensioni od altre scuse del genere; per fare questo è necessario che riescano – in tempi ragionevoli – ad entrare in possesso della lingua del paese ospitante, soprattutto per poter leggere tutto quello che forma la normativa di legge.
Ed a questo proposito vi voglio raccontare una storia: in una città vicino a dove risiedo: nel 2007 un cinese arrivato in Italia da un anno, viene trovato al volante della sua auto privo di patente; nel verbale della Polizia c’è scritto “parla un po’ d’italiano”; nel 2009 stessa storia e nuovo verbale; adesso gli è stato inviato il verbale di conclusione delle indagini e del rinvio a giudizio, ma il Giudice preposto alla causa ha accolto l’eccezione dell’avvocato difensore che sostiene come il verbale non sia stato tradotto in “mandarino” e quindi il suo cliente non poteva capirne il contenuto.
Ecco perché sostengo, ormai da tempo, che imparare la nostra lingua è il primo passo per una effettiva integrazione; a meno che non si voglia assumere alle Procure una pletora di interpreti al solo scopo di tradurre gli atti a beneficio degli immigrati! Chiaro??
Ma qual’è la posizione prevalente tra la gente comune, quella del Bar vicino a casa o del Supermercato all’angolo? Da quello che ho capito io – e so benissimo di non portare avanti un modo facile di pensare – la gente, quella gente, non gradisce molto la presenza di questi “stranieri”, ai quali imputa anche cose che non li riguardano affatto, come la mancanza di lavorio eccetera; d’altra parte esistono da noi tutta una serie di lavori che gli indigeni non gradiscono più fare (badanti, donne di servizio, infermieri/e generici, manovali nell’edilizia, eccetera), ma nessuno di noi ci pensa e si decide “a fare concorrenza agli extracomunitari”, che continuiamo a considerare come persone che arrivano in casa nostra pur non essendo stati invitati.
Il cinema ovviamente vede la cosa molto diversamente: per esempio, in “Terraferma”, contro la scrupolosa osservanza delle norme sul respingimento, il giovane siciliano si prende la responsabilità di portare personalmente, con la propria barca, una emigrata che ha partorita in casa sua, assistita dalla madre: insomma, il problema “immigrazione” è presentato come lo sfondo di varie vicende “umane” e non come problematica emergente per la gente di tutti i giorni, che continua a scansarsi quando si ritrova un negro vicino sulla metropolitana o su altri mezzi di trasporto.
E quando strutture come la Chiesa invitano la popolazione a prestare aiuto e soccorso nei confronti di questi disperati, la cosa più frequente che sento dire è: ma perché non li mettono in Vaticano, dove invece non ce n’è nemmeno uno??
Il mio pensiero in proposito – per quello che può valere – lo conoscete e lo riepilogo in poche parole: anzitutto se queste persone avessero una vita decente a casa propria non verrebbero a fare gli schiavi da noi; non si tratta di una “immigrazione”, ma di una autentica “migrazione”, sul tipo di quelle di cui leggiamo sui libri di storia; queste popolazioni abitano in luoghi che non assicurano neppure il minimo indispensabile e quindi è giocoforza andarsene per cercare qualcosa che permetta loro di sopravvivere; questo sta accadendo; fenomeni di criminalità sono “normali” appendici al problema..
Però una cosa vorrei che fosse compresa bene: questi signore e signori debbono seguire le leggi dei Paesi che vanno ad “investire”, senza nessuno sconto per incomprensioni od altre scuse del genere; per fare questo è necessario che riescano – in tempi ragionevoli – ad entrare in possesso della lingua del paese ospitante, soprattutto per poter leggere tutto quello che forma la normativa di legge.
Ed a questo proposito vi voglio raccontare una storia: in una città vicino a dove risiedo: nel 2007 un cinese arrivato in Italia da un anno, viene trovato al volante della sua auto privo di patente; nel verbale della Polizia c’è scritto “parla un po’ d’italiano”; nel 2009 stessa storia e nuovo verbale; adesso gli è stato inviato il verbale di conclusione delle indagini e del rinvio a giudizio, ma il Giudice preposto alla causa ha accolto l’eccezione dell’avvocato difensore che sostiene come il verbale non sia stato tradotto in “mandarino” e quindi il suo cliente non poteva capirne il contenuto.
Ecco perché sostengo, ormai da tempo, che imparare la nostra lingua è il primo passo per una effettiva integrazione; a meno che non si voglia assumere alle Procure una pletora di interpreti al solo scopo di tradurre gli atti a beneficio degli immigrati! Chiaro??
domenica, settembre 25, 2011
LA MERKEL PERDE ANCHE A BERLINO
Dopo sei elezioni regionali sonoramente perdute, Frau Angela è stata sconfitta anche nella settima consultazione elettorale, quella che si è tenuta a Berlino e che ha visto la vittoria della SPD ma, soprattutto, un inaspettato risultato ottenuto dai “Piraten”, un partito recentissimo, fondato da Andreas Baum, uno specialista di internet di soli 33 anni che – a riprova della sua intelligenza – ha riconosciuto di aver avuto un buon risultato (8,9%) non perché è stato bravo, ma perché i vecchi partiti sono uno peggio dell’altro. Al primo punto del programma dei piraten c’è la metropolitana e il bus gratis per tutti, al seguito dello slogan “muoversi è un diritto elementare e non può essere a pagamento”; magari non ci riuscirà, ma l’originalità della richiesta è notevole; e tra due anni ci saranno le elezioni per il parlamento nazionale e i piraten non mancheranno l’appuntamento.
Magari possiamo riflettere un momento su quello che è al momento la capitale tedesca, quella Berlino che attrae gli artisti come la Parigi degli anni venti, ma che è un concentrato di contraddizioni: dei 3.5 milioni di abitanti, uno su cinque vive grazie a svariate misure sociali e un bambino su tre è sulla soglia della povertà; eppure la città trasuda benessere e felicità, ma i dati sono questi e il benessere è riservato a un quartiere ad est che si è trasformato in una sorta di “ghetto” per coppie benestanti.
Per la verità, la Merkel non ha avuto quel tracollo che molti si aspettavano e non è escluso che il borgomastro socialdemocratico liquidi i “rossi” – calati al 10% - e li sostituisca con le truppe di Frau Angela.
Il questo periodo la Cancelliera tedesca ha molti altri guai ai quali cercare di porre rimedio; alcuni sono addirittura “coreografici”, come il quarto di pagina sulla “Frankfurter Allgemeine” acquistata da un ricchissimo emigrante greco – Dimetri Marchesini – per accusarla di non volere aiutare la Grecia, rimproverandogli il suo “egoismo”, mostrato in questa circostanza drammatica della crisi economica dell’intera Europa.
Eppure da questa crisi c’è chi spera di guadagnarci: Dambisa Moyo, una signora di 41 anni, esperta finanziaria dello Zambia, afferma che “la crisi dell’occidente è una grande chance per noi africani”; nel suo argomentare, parte dal presupposto che per effetto di questa crisi, vengano meno o comunque diminuiscano gli aiuti che l’occidente profonde per l’Africa, tutti aiuti che non sembrano spostare la situazione: gli africani continuano a morire di fame e di sete, dato che tutti questi dollari non sono legati a nessun piano d’investimento e finiscono in mano a dittatori ed a speculatori corrotti, molti dei quali sono addirittura legate a cosche criminali occidentali.
“La vostra crisi ci costringerà a prendere ibn mano il nostro destino, dato che gli aiuti presumibilmente caleranno in modo vistoso e quindi tutti noi africani dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci a lavorare seriamente per il nostro futuro”.
Probabilmente la signora Dambisa non ci crede realmente che tutto si svolga come lei prevede, ma evidentemente le sue parole rappresentano l’ennesima e più forte provocazione che lancia nei confronti degli africani.
Ma torniamo a Berlino ed alla sua immagine: tra le capitali europee è quella più “giovane”, dove si mangia e si dorme con pochi soldi; la città offre una chance a tutti, ma se non vali te lo dice subito in faccia e non di dà nessuna possibilità di riprovarci; è tollerante con tutti e quindi è la capitale gay d’Europa (il suo borgomastro è un omosessuale orgoglioso di esserlo). La crisi metterà in crisi anche lei??
Magari possiamo riflettere un momento su quello che è al momento la capitale tedesca, quella Berlino che attrae gli artisti come la Parigi degli anni venti, ma che è un concentrato di contraddizioni: dei 3.5 milioni di abitanti, uno su cinque vive grazie a svariate misure sociali e un bambino su tre è sulla soglia della povertà; eppure la città trasuda benessere e felicità, ma i dati sono questi e il benessere è riservato a un quartiere ad est che si è trasformato in una sorta di “ghetto” per coppie benestanti.
Per la verità, la Merkel non ha avuto quel tracollo che molti si aspettavano e non è escluso che il borgomastro socialdemocratico liquidi i “rossi” – calati al 10% - e li sostituisca con le truppe di Frau Angela.
Il questo periodo la Cancelliera tedesca ha molti altri guai ai quali cercare di porre rimedio; alcuni sono addirittura “coreografici”, come il quarto di pagina sulla “Frankfurter Allgemeine” acquistata da un ricchissimo emigrante greco – Dimetri Marchesini – per accusarla di non volere aiutare la Grecia, rimproverandogli il suo “egoismo”, mostrato in questa circostanza drammatica della crisi economica dell’intera Europa.
Eppure da questa crisi c’è chi spera di guadagnarci: Dambisa Moyo, una signora di 41 anni, esperta finanziaria dello Zambia, afferma che “la crisi dell’occidente è una grande chance per noi africani”; nel suo argomentare, parte dal presupposto che per effetto di questa crisi, vengano meno o comunque diminuiscano gli aiuti che l’occidente profonde per l’Africa, tutti aiuti che non sembrano spostare la situazione: gli africani continuano a morire di fame e di sete, dato che tutti questi dollari non sono legati a nessun piano d’investimento e finiscono in mano a dittatori ed a speculatori corrotti, molti dei quali sono addirittura legate a cosche criminali occidentali.
“La vostra crisi ci costringerà a prendere ibn mano il nostro destino, dato che gli aiuti presumibilmente caleranno in modo vistoso e quindi tutti noi africani dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci a lavorare seriamente per il nostro futuro”.
Probabilmente la signora Dambisa non ci crede realmente che tutto si svolga come lei prevede, ma evidentemente le sue parole rappresentano l’ennesima e più forte provocazione che lancia nei confronti degli africani.
Ma torniamo a Berlino ed alla sua immagine: tra le capitali europee è quella più “giovane”, dove si mangia e si dorme con pochi soldi; la città offre una chance a tutti, ma se non vali te lo dice subito in faccia e non di dà nessuna possibilità di riprovarci; è tollerante con tutti e quindi è la capitale gay d’Europa (il suo borgomastro è un omosessuale orgoglioso di esserlo). La crisi metterà in crisi anche lei??