sabato, aprile 17, 2010
QUANDO UN COMUNE SI COMPORTA BENE
Quando gli Enti Pubblici, specie quelli locali, fanno la cosa giusta, bisogna dar loro il giusto merito e sottolineare che, nonostante le mille difficoltà, a volte anche i burocrati riescono ad ottenere delle cose utili per il cittadino.
Ma andiamo per ordine e raccontiamo di cosa sto parlando; nella mia città, il Comune ha adottato un giro di vite di una notevole importanza sugli affitti nelle case popolari, abitazioni che come è noto sono riservate a persone dal reddito basso; su quest’ultimo dato, vorrei notare che la cifra “da non superare” è quella di 38.734 euro sull’intera famiglia, che non mi sembra pochissimo (circa 3.000 euro mensili).
Ebbene, nonostante quanto già detto sulla cifra non bassissima (a mio giudizio), i primi controlli incrociati hanno mostrato una situazione sconfortante: 30 famiglie – per le quali è già stata avviata la procedura di espulsione – hanno un reddito superiore al consentito, 28 delle quali vantano introiti da 50mila a 100 mila euro e 2 oltre i 100mila euro; “campione” di questa disonorevole classifica (secondo i punti di vista) è una famiglia che abita un alloggio popolare pur avendo un reddito di ben 173.308 euro.
L’Ente Pubblico locale ha un importante patrimonio abitativo (8.000 alloggi) destinato ad edilizia popolare; la sua edificazione ed il suo mantenimento richiede un costo notevole, sostenuto dalla collettività proprio perché destinato a famiglie che si trovano in situazioni di bisogno; ovviamente la gestione di questo patrimonio richiede una attività di controllo e verifica circa il rispetto dei requisiti richiesti.
Inoltre, come faceva notare un funzionario comunale, la casa popolare non è assegnata “per la vita”, poiché nel tempo le condizioni economiche dei nuclei familiari possono cambiare e quindi è preciso compito dell’Ente Pubblico il controllare che i beneficiari abbiano mantenuto i requisiti avuti al momento dell’assegnazione.
Per fare questo, esiste un nuovo strumento che facilita il compito degli Enti: si tratta dell’ISEE, acronimo di “Indicatore della situazione economica equivalente” che è per certi versi una vera e propria fotografia della persona e della sua famiglia; l’ISEE è utilizzato quando si acceda a mense scolastiche. ad asili nido, a prestazioni agevolate oppure a richieste per assegni familiari, insomma in tutte quelle situazioni gestite dalla mano pubblica che prevedono una sorta di “graduatoria”
Tale strumento, oltre al reddito riveniente da stipendi o pensioni, tiene conto anche di tutti gli altri beni, sia immobiliari che mobiliari, tenendo in considerazione anche gli eventuali investimenti finanziari e l’ordinario conto corrente bancario o postale.
Quindi, per controllare questi signori affittuari di beni pubblici, basterebbe richiedere periodicamente – vogliamo fare annualmente? – la consegna dell’ISEE con l’intesa che eventuali situazioni discrepanti con la logica o assurde come quelle di non segnalare alcun reddito, dovrebbero essere segnalate alla Guardia di Finanza per i successivi adempimenti di competenza.Se la cosa prenderà piede, se cioè gli Enti Pubblici cominceranno a mettere mano a questi controlli, potremo smettere di vedere parcheggiate di fronte alle “Case Popolari” delle auto di grossa cilindrata il cui costo è inconciliabile con l’aggettivo “popolare” affibbiato alle loro abitazioni. Da notare – e questo è veramente il colmo – che da questi controlli è emerso che 21 nuclei familiari risultano proprietari di immobili (per 18 è già stata avviata la pratica di espulsione e 3 sono sotto verifica), mentre sono 26 le famiglie che hanno dichiarato di non avere alcun reddito (la pratica è stata inviata alla Guardia di Finanza). Sono fiducioso che ne venga fuori qualcosa di positivo; m’illudo?
Ma andiamo per ordine e raccontiamo di cosa sto parlando; nella mia città, il Comune ha adottato un giro di vite di una notevole importanza sugli affitti nelle case popolari, abitazioni che come è noto sono riservate a persone dal reddito basso; su quest’ultimo dato, vorrei notare che la cifra “da non superare” è quella di 38.734 euro sull’intera famiglia, che non mi sembra pochissimo (circa 3.000 euro mensili).
Ebbene, nonostante quanto già detto sulla cifra non bassissima (a mio giudizio), i primi controlli incrociati hanno mostrato una situazione sconfortante: 30 famiglie – per le quali è già stata avviata la procedura di espulsione – hanno un reddito superiore al consentito, 28 delle quali vantano introiti da 50mila a 100 mila euro e 2 oltre i 100mila euro; “campione” di questa disonorevole classifica (secondo i punti di vista) è una famiglia che abita un alloggio popolare pur avendo un reddito di ben 173.308 euro.
L’Ente Pubblico locale ha un importante patrimonio abitativo (8.000 alloggi) destinato ad edilizia popolare; la sua edificazione ed il suo mantenimento richiede un costo notevole, sostenuto dalla collettività proprio perché destinato a famiglie che si trovano in situazioni di bisogno; ovviamente la gestione di questo patrimonio richiede una attività di controllo e verifica circa il rispetto dei requisiti richiesti.
Inoltre, come faceva notare un funzionario comunale, la casa popolare non è assegnata “per la vita”, poiché nel tempo le condizioni economiche dei nuclei familiari possono cambiare e quindi è preciso compito dell’Ente Pubblico il controllare che i beneficiari abbiano mantenuto i requisiti avuti al momento dell’assegnazione.
Per fare questo, esiste un nuovo strumento che facilita il compito degli Enti: si tratta dell’ISEE, acronimo di “Indicatore della situazione economica equivalente” che è per certi versi una vera e propria fotografia della persona e della sua famiglia; l’ISEE è utilizzato quando si acceda a mense scolastiche. ad asili nido, a prestazioni agevolate oppure a richieste per assegni familiari, insomma in tutte quelle situazioni gestite dalla mano pubblica che prevedono una sorta di “graduatoria”
Tale strumento, oltre al reddito riveniente da stipendi o pensioni, tiene conto anche di tutti gli altri beni, sia immobiliari che mobiliari, tenendo in considerazione anche gli eventuali investimenti finanziari e l’ordinario conto corrente bancario o postale.
Quindi, per controllare questi signori affittuari di beni pubblici, basterebbe richiedere periodicamente – vogliamo fare annualmente? – la consegna dell’ISEE con l’intesa che eventuali situazioni discrepanti con la logica o assurde come quelle di non segnalare alcun reddito, dovrebbero essere segnalate alla Guardia di Finanza per i successivi adempimenti di competenza.Se la cosa prenderà piede, se cioè gli Enti Pubblici cominceranno a mettere mano a questi controlli, potremo smettere di vedere parcheggiate di fronte alle “Case Popolari” delle auto di grossa cilindrata il cui costo è inconciliabile con l’aggettivo “popolare” affibbiato alle loro abitazioni. Da notare – e questo è veramente il colmo – che da questi controlli è emerso che 21 nuclei familiari risultano proprietari di immobili (per 18 è già stata avviata la pratica di espulsione e 3 sono sotto verifica), mentre sono 26 le famiglie che hanno dichiarato di non avere alcun reddito (la pratica è stata inviata alla Guardia di Finanza). Sono fiducioso che ne venga fuori qualcosa di positivo; m’illudo?
giovedì, aprile 15, 2010
MANTOVA E' LA GOCCIA
La “goccia” che cito nel titolo è quella che “fa traboccare il vaso” e si riferisce alla “perdita” da parte del Centro Sinistra del Comune di Mantova, storica roccaforte per 61 anni filati, prima del PCI, poi dei DS e dell’Ulivo; questa sconfitta elettorale ha aperto una scia di commenti e dibattiti in seno al PD al quale hanno partecipato un po’ tutti, anche – e questa è la vera novità – il professor Romano Prodi.
Anzitutto diciamo che nelle Sezioni del PD ci dovrebbero essere le foto di Prodi accanto a quelle di Togliatti: il professore, infatti, è l’unico che sia riuscito, non una ma due volte, a sconfiggere Berlusconi e in entrambi i casi con le televisioni schierate non certo con lui; mi si dice che il personaggio ha un difetto: è permaloso e quindi mal collocabile all’interno di una compagine litigiosa come quella del PD, ma non possiamo certo negargli le glorie passate; ebbene, in questa circostanza, il buon Prodi, ha suggerito di riformare il partito dandogli una forma più federale, in particolare alla struttura che dovrebbe occuparsi del Nord, per contrastare l’emergente Lega Nord. Ebbene, tutti, o quasi, i maggiorenti del partito, hanno bocciato in pieno le proposte di Prodi, con un’arroganza ed una supponenza che vedrei bene in bocca a coloro che avessero vinto le elezioni, avessero stracciato il ”nemico” Berlusconi, riducendolo a “vendere tappeti a Montecarlo”, come gli preconizzo il bravo D’Alema, la cui figuraccia in terra di Puglia dovrebbe almeno farlo ravvedere.
E invece, come se fossero reduci da una sonante vittoria, i dirigenti del PD, rigettano al mittente le idee di Prodi, con frasi, a dir poco, insultanti; sentitene qualcuna: Marini, dice che “è una follia; alcuni dicono che Prodi ha agito in buona fede, ma io non condivido né la lettera né lo spirito di quell’intervento”.
Pensare che Prodi fosse addirittura in “malafede” nel proporre quel tipo di partito? Ma cosa aveva da nascondere il professore? Molti dicono che voleva vendicarsi nei confronti di coloro che lo avevano attaccato per avere proposto il Sindaco di Bologna, costretto poi a dimettersi per varie malversazioni.
Gli unici che hanno appoggiato l’idea di Prodi sono stati il Sindaco di Torino, Chiamparino e l’ex di Venezia, Cacciari, entrambi favorevoli – come è ovvio pensare – ad un federalismo del partito.
L’attuale segretario si è così espresso sulla proposta di Prodi: “non stiamo riaprendo il dibattito sulla forma-partito; non è questo il centro della discussione, perché noi dobbiamo parlare dell’Italia”; il che, se mi si permette, è come parlare della conquista della Luna, perché nella realtà delle cose, solo il potere (cioè i voti) ti consente di agire per il bene dell’Italia; tutto il resto è retorica, specie in questo momento che l’altra parte riempie i video con il dibattito sulle riforme, cioè con l’acqua fritta.
Ma attenzione, perché se passasse l’idea di Prodi, con un partito federale ed un segretario eletto dai rappresentanti regionali, l’attuale classe dirigente “romana” verrebbe spazzata via e avanzerebbero i rappresentanti del “ territorio”
Insomma, si chiederebbe al PD di chiudere con ogni eredità del passato, l’ultima sarebbe il glorioso “centralismo”, ed aprire le finestre ad un nuovo vento che anziché dall’est - come auspicato da Togliatti e compagni - proverrebbe dal Nord, visto come roccaforte dalla quale riprendere l’avanzata verso la riconquista dei tanti Municipi italiani caduti nelle mani del “nemico”.
Abbattere i gloriosi leader nazionali e trasformare tanti grigi burocrati locali in oggetto di culto: questa l’ipotesi di lavoro? Mah, staremo a vedere come finisce!!
Anzitutto diciamo che nelle Sezioni del PD ci dovrebbero essere le foto di Prodi accanto a quelle di Togliatti: il professore, infatti, è l’unico che sia riuscito, non una ma due volte, a sconfiggere Berlusconi e in entrambi i casi con le televisioni schierate non certo con lui; mi si dice che il personaggio ha un difetto: è permaloso e quindi mal collocabile all’interno di una compagine litigiosa come quella del PD, ma non possiamo certo negargli le glorie passate; ebbene, in questa circostanza, il buon Prodi, ha suggerito di riformare il partito dandogli una forma più federale, in particolare alla struttura che dovrebbe occuparsi del Nord, per contrastare l’emergente Lega Nord. Ebbene, tutti, o quasi, i maggiorenti del partito, hanno bocciato in pieno le proposte di Prodi, con un’arroganza ed una supponenza che vedrei bene in bocca a coloro che avessero vinto le elezioni, avessero stracciato il ”nemico” Berlusconi, riducendolo a “vendere tappeti a Montecarlo”, come gli preconizzo il bravo D’Alema, la cui figuraccia in terra di Puglia dovrebbe almeno farlo ravvedere.
E invece, come se fossero reduci da una sonante vittoria, i dirigenti del PD, rigettano al mittente le idee di Prodi, con frasi, a dir poco, insultanti; sentitene qualcuna: Marini, dice che “è una follia; alcuni dicono che Prodi ha agito in buona fede, ma io non condivido né la lettera né lo spirito di quell’intervento”.
Pensare che Prodi fosse addirittura in “malafede” nel proporre quel tipo di partito? Ma cosa aveva da nascondere il professore? Molti dicono che voleva vendicarsi nei confronti di coloro che lo avevano attaccato per avere proposto il Sindaco di Bologna, costretto poi a dimettersi per varie malversazioni.
Gli unici che hanno appoggiato l’idea di Prodi sono stati il Sindaco di Torino, Chiamparino e l’ex di Venezia, Cacciari, entrambi favorevoli – come è ovvio pensare – ad un federalismo del partito.
L’attuale segretario si è così espresso sulla proposta di Prodi: “non stiamo riaprendo il dibattito sulla forma-partito; non è questo il centro della discussione, perché noi dobbiamo parlare dell’Italia”; il che, se mi si permette, è come parlare della conquista della Luna, perché nella realtà delle cose, solo il potere (cioè i voti) ti consente di agire per il bene dell’Italia; tutto il resto è retorica, specie in questo momento che l’altra parte riempie i video con il dibattito sulle riforme, cioè con l’acqua fritta.
Ma attenzione, perché se passasse l’idea di Prodi, con un partito federale ed un segretario eletto dai rappresentanti regionali, l’attuale classe dirigente “romana” verrebbe spazzata via e avanzerebbero i rappresentanti del “ territorio”
Insomma, si chiederebbe al PD di chiudere con ogni eredità del passato, l’ultima sarebbe il glorioso “centralismo”, ed aprire le finestre ad un nuovo vento che anziché dall’est - come auspicato da Togliatti e compagni - proverrebbe dal Nord, visto come roccaforte dalla quale riprendere l’avanzata verso la riconquista dei tanti Municipi italiani caduti nelle mani del “nemico”.
Abbattere i gloriosi leader nazionali e trasformare tanti grigi burocrati locali in oggetto di culto: questa l’ipotesi di lavoro? Mah, staremo a vedere come finisce!!
martedì, aprile 13, 2010
MA E' VERA SICUREZZA?
Sto parlando del nuovo patto nucleare tra gli Stati Uniti di Obama e la Russia del duo Putin- Medvedev, pubblicizzato da entrambi i contraenti – soprattutto a fini interni – come un grande risultato per la smilitarizzazione del nostro pianeta.
Ma è veramente quel successo che vorrebbero farci credere? È veramente un grandissimo passo avanti sul piano della sicurezza internazionale?
Anzitutto diciamo subito che “lo storico accordo” prevede una riduzione del 30% delle testate atomiche della Casa Bianca e del Cremlino; quindi, se ci contentiamo dell’aspetto “immagine per il mondo”, possiamo sorridere di questa nuova primavera anti-nucleare, ma se invece andiamo alla sostanza delle cose, non possiamo non notare che le restanti testate atomiche sono più che sufficienti per polverizzare l’intero pianeta almeno un centinaio di volte.
In sostanza, le testate rimaste ai due paesi sono 1.550 a testa e questo si può considerare un successo soltanto se lo guardiamo come una tendenza verso la lontanissima utopia dell’”opzione zero”, quella situazione cioè nella quale nessuno al mondo avrà armi atomiche.
C’è poi un’altra considerazione da fare: anche se il 96% delle armi atomiche è in possesso delle due superpotenze, il restante 4% - in mano a Stati che non hanno aderito al trattato di “non proliferazione” come Israele, India, Pakistan e Corea del Nord, senza contare la Cina – possono fare molto male all’intero mondo abitato: ad esempio, Israele potrebbe lanciare una sorta di rappresaglia contro l’Iran, oppure i due stati confinanti – Pakistan e India – potrebbero riaprire le ataviche ostilità che sono seguite all’indipendenza dall’Inghilterra. Per non parlare poi della Corea del Nord che potrebbe usare il deterrente atomico per trovare cibo per i suoi abitanti, in crisi da anni per le carestie che si susseguono in quel Paese.
Insomma, possiamo affermare che una parte di questi armamenti (ottimisticamente diciamo l’1%) è in mani non molto affidabili e difficilmente controllabili.
Che dire poi del terrorismo? Sappiamo che a quel settore i soldi non mancano e sappiamo anche che con i quattrini si riesce a trovare tutto, o quasi; pertanto, non c’è da stare allegri a pensare che una della tante sigle terroristiche potrebbe riuscire a entrare in possesso di una testata atomica, magari una di quelle dismesse e che qualche funzionario infedele di una delle due superpotenze, anziché distruggere, ha messo in commercio all’unico scopo di arricchirsi.
A fianco del problema nucleare, possiamo metterci l’Iran e la sua politica di arricchimento dell’uranio fuori da ogni controllo dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza ONU: al momento la situazione è in piena evoluzione e vede Obama, favorevole ad un inasprimento delle sanzioni, che cerca di accaparrarsi il sostegno di altri Paesi: la Russia sembra essere diventata più possibilista ed anche la Cina adesso sembra schierata con gli occidentali, pur continuando a “credere nella via diplomatica”; peraltro, la posizione cinese è sostenuta anche da uno dei membri più fedeli della Nato, la Turchia, la quale è uno stretto alleato americano.
Insomma, a tutti questi scenari non sembra che il trattato USA-Russia porti giovamento, se non in un futuro non prossimo; gli USA, intanto, sono chiamati a decidere la strategia da adottare nei confronti dell’Iran, avendo presente la difficoltà di gestire un alleato scomodo come Israele che sembra non vedere l’ora di avere “le mani libere” contro i campioni dell’islamismo; mi sembra tutto molto difficile: speriamo bene!
Ma è veramente quel successo che vorrebbero farci credere? È veramente un grandissimo passo avanti sul piano della sicurezza internazionale?
Anzitutto diciamo subito che “lo storico accordo” prevede una riduzione del 30% delle testate atomiche della Casa Bianca e del Cremlino; quindi, se ci contentiamo dell’aspetto “immagine per il mondo”, possiamo sorridere di questa nuova primavera anti-nucleare, ma se invece andiamo alla sostanza delle cose, non possiamo non notare che le restanti testate atomiche sono più che sufficienti per polverizzare l’intero pianeta almeno un centinaio di volte.
In sostanza, le testate rimaste ai due paesi sono 1.550 a testa e questo si può considerare un successo soltanto se lo guardiamo come una tendenza verso la lontanissima utopia dell’”opzione zero”, quella situazione cioè nella quale nessuno al mondo avrà armi atomiche.
C’è poi un’altra considerazione da fare: anche se il 96% delle armi atomiche è in possesso delle due superpotenze, il restante 4% - in mano a Stati che non hanno aderito al trattato di “non proliferazione” come Israele, India, Pakistan e Corea del Nord, senza contare la Cina – possono fare molto male all’intero mondo abitato: ad esempio, Israele potrebbe lanciare una sorta di rappresaglia contro l’Iran, oppure i due stati confinanti – Pakistan e India – potrebbero riaprire le ataviche ostilità che sono seguite all’indipendenza dall’Inghilterra. Per non parlare poi della Corea del Nord che potrebbe usare il deterrente atomico per trovare cibo per i suoi abitanti, in crisi da anni per le carestie che si susseguono in quel Paese.
Insomma, possiamo affermare che una parte di questi armamenti (ottimisticamente diciamo l’1%) è in mani non molto affidabili e difficilmente controllabili.
Che dire poi del terrorismo? Sappiamo che a quel settore i soldi non mancano e sappiamo anche che con i quattrini si riesce a trovare tutto, o quasi; pertanto, non c’è da stare allegri a pensare che una della tante sigle terroristiche potrebbe riuscire a entrare in possesso di una testata atomica, magari una di quelle dismesse e che qualche funzionario infedele di una delle due superpotenze, anziché distruggere, ha messo in commercio all’unico scopo di arricchirsi.
A fianco del problema nucleare, possiamo metterci l’Iran e la sua politica di arricchimento dell’uranio fuori da ogni controllo dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza ONU: al momento la situazione è in piena evoluzione e vede Obama, favorevole ad un inasprimento delle sanzioni, che cerca di accaparrarsi il sostegno di altri Paesi: la Russia sembra essere diventata più possibilista ed anche la Cina adesso sembra schierata con gli occidentali, pur continuando a “credere nella via diplomatica”; peraltro, la posizione cinese è sostenuta anche da uno dei membri più fedeli della Nato, la Turchia, la quale è uno stretto alleato americano.
Insomma, a tutti questi scenari non sembra che il trattato USA-Russia porti giovamento, se non in un futuro non prossimo; gli USA, intanto, sono chiamati a decidere la strategia da adottare nei confronti dell’Iran, avendo presente la difficoltà di gestire un alleato scomodo come Israele che sembra non vedere l’ora di avere “le mani libere” contro i campioni dell’islamismo; mi sembra tutto molto difficile: speriamo bene!
domenica, aprile 11, 2010
VENDERE IL PROPRIO CORPO
A scanso di equivoci la vendita di cui si accenna nel titolo non ha niente a che vedere con quello che concerne la prostituzione e annessi vari; qui si tratta di vendere vere parti del proprio corpo, come se fossimo in una macelleria.
Ha cominciato Shakespeare che nel “Mercante di Venezia” fa chiedere al creditore di Antonio sette libbre del suo corpo in pagamento del debito; in parte questa tematica è stata ripresa da Gabriele Muccino nel suo film “Sette Anime” con il protagonista che cede, gratuitamente, sette parti del proprio corpo, compreso il cuore, in espiazione di una sua colpa per un incidente automobilistico che ha provocato sette vittime.
In entrambi i casi, coloro che cedono parti del loro corpo sono dei “debitori”, sia pure a vario titolo; quello invece che vi voglio raccontare non riguarda un debitore – almeno non nel termine che intendiamo noi – ma una signora di 51 anni, di professione “imprenditrice nel settore moda” che ha deciso di mettere sul mercato tutti i propri organi utilizzabili dalla medicina, compreso il cuore, per tentare di salvare la propria azienda dal fallimento.
Anzitutto una precisazione di carattere giuridico: la nostra legge fa espresso divieto di vendere, ma anche di acquistare, organi del corpo umano; la cessione del rene, a pagamento, è diventata una cosa abbastanza ricorrente, in quanto non produce danni irreparabili per il cedente e salva colui che lo riceve; oltre un anno or sono, un cinquantenne del Sud lanciò un appello disperato: “ho bisogno di soldi, se a qualcuno serve vendo un rene”; non conosco come andò a finire la storia.
Ma torniamo alla nostra imprenditrice cinquantunenne e ai suoi problemi; da avere una piccola ma fiorente azienda, la donna si è trovata improvvisamente senza un soldo, con 50 centesimi in tasca con cui, dice, “non posso comprare neppure un panino”; la donna quindi non è in grado di mantenersi e neppure di mantenere la figlia di 20 anni che si allinea alla vendita, offrendo però “solo un rene”.
Le due donne vendono “al migliore offerente”, così da poter saldare i tanti debiti e ritrovare almeno un minimo di dignità; il motivo di tanta indigenza sembra che vada ricercata nel “solito” rifiuto delle Banche di concederle un credito di 30mila euro, indispensabile per continuare a lavorare.
Dopo aver bussato a tutte le porte che conosceva (fondazioni bancarie, prefettura, enti locali, organizzazioni di categoria, ecc.) l’imprenditrice dette inizio ad uno sciopero della fame e della sete, mettendosi in uno spiazzo centrale della città; la protesta venne interrotta quando una banca si rese disponibile per un finanziamento che però – allo stesso modo di tutti i precedenti – non è andato a buon fine.
Quindi, la vendita del proprio corpo – a pezzi ed ai migliori offerenti – è rimasta l’ultima provocazione per cercare di sensibilizzare “qualcuno” sui problemi della donna e della figlia; l’ultima dichiarazione della imprenditrice è la sintesi della vicenda: “dicono che non è legale vendere il proprio corpo, ma non lo è nemmeno far morire di fame le persone che per anni si sono comportate onestamente ed ora vengono abbandonate come sta succedendo a noi; quindi, non avendo altro a disposizione (ci hanno portato via tutto) non ci resta che questa strada”.
Da notare che la signora, sempre nella scia della provocazione, ha inviato una e-mail ad una diecina di grandi ospedali in tutta Italia, con la quale propone a queste strutture l’acquisto di uno o più organi del proprio corpo, compreso il cuore.
Come provocazione è sicuramente originale, ma non è colpa della donna, anzi…..
Ha cominciato Shakespeare che nel “Mercante di Venezia” fa chiedere al creditore di Antonio sette libbre del suo corpo in pagamento del debito; in parte questa tematica è stata ripresa da Gabriele Muccino nel suo film “Sette Anime” con il protagonista che cede, gratuitamente, sette parti del proprio corpo, compreso il cuore, in espiazione di una sua colpa per un incidente automobilistico che ha provocato sette vittime.
In entrambi i casi, coloro che cedono parti del loro corpo sono dei “debitori”, sia pure a vario titolo; quello invece che vi voglio raccontare non riguarda un debitore – almeno non nel termine che intendiamo noi – ma una signora di 51 anni, di professione “imprenditrice nel settore moda” che ha deciso di mettere sul mercato tutti i propri organi utilizzabili dalla medicina, compreso il cuore, per tentare di salvare la propria azienda dal fallimento.
Anzitutto una precisazione di carattere giuridico: la nostra legge fa espresso divieto di vendere, ma anche di acquistare, organi del corpo umano; la cessione del rene, a pagamento, è diventata una cosa abbastanza ricorrente, in quanto non produce danni irreparabili per il cedente e salva colui che lo riceve; oltre un anno or sono, un cinquantenne del Sud lanciò un appello disperato: “ho bisogno di soldi, se a qualcuno serve vendo un rene”; non conosco come andò a finire la storia.
Ma torniamo alla nostra imprenditrice cinquantunenne e ai suoi problemi; da avere una piccola ma fiorente azienda, la donna si è trovata improvvisamente senza un soldo, con 50 centesimi in tasca con cui, dice, “non posso comprare neppure un panino”; la donna quindi non è in grado di mantenersi e neppure di mantenere la figlia di 20 anni che si allinea alla vendita, offrendo però “solo un rene”.
Le due donne vendono “al migliore offerente”, così da poter saldare i tanti debiti e ritrovare almeno un minimo di dignità; il motivo di tanta indigenza sembra che vada ricercata nel “solito” rifiuto delle Banche di concederle un credito di 30mila euro, indispensabile per continuare a lavorare.
Dopo aver bussato a tutte le porte che conosceva (fondazioni bancarie, prefettura, enti locali, organizzazioni di categoria, ecc.) l’imprenditrice dette inizio ad uno sciopero della fame e della sete, mettendosi in uno spiazzo centrale della città; la protesta venne interrotta quando una banca si rese disponibile per un finanziamento che però – allo stesso modo di tutti i precedenti – non è andato a buon fine.
Quindi, la vendita del proprio corpo – a pezzi ed ai migliori offerenti – è rimasta l’ultima provocazione per cercare di sensibilizzare “qualcuno” sui problemi della donna e della figlia; l’ultima dichiarazione della imprenditrice è la sintesi della vicenda: “dicono che non è legale vendere il proprio corpo, ma non lo è nemmeno far morire di fame le persone che per anni si sono comportate onestamente ed ora vengono abbandonate come sta succedendo a noi; quindi, non avendo altro a disposizione (ci hanno portato via tutto) non ci resta che questa strada”.
Da notare che la signora, sempre nella scia della provocazione, ha inviato una e-mail ad una diecina di grandi ospedali in tutta Italia, con la quale propone a queste strutture l’acquisto di uno o più organi del proprio corpo, compreso il cuore.
Come provocazione è sicuramente originale, ma non è colpa della donna, anzi…..