<$BlogRSDUrl$>

sabato, ottobre 30, 2004

Buttiglione cacciato 

Dedichiamo questo post alla vicenda del povero Buttiglione, designato dal premier Berlusconi come membro della nuova Commissione Europea presieduta da Barroso e “rifiutato” dagli euro-parlamentari per aver avuto l’ardire di affermare che “per la sua coscienza gli omosessuali commettono peccato”, aggiungendo che queste sue convinzioni non avrebbero influito sulle sue decisioni di commissario..
Premetto che non ho nessuna intenzione di difendere Buttiglione che, peraltro, mi rimane anche antipatico sia sotto il profilo umano che politico; però non è questo il problema: di fatto è uno schiaffo sonoro agli italiani dato dai signori euro-parlamentari che nessuno conosce e, tanto meno stima (io per primo).
Al di là delle manfrine dei comunicati ufficiali, le cose sono andate così: gli euro-parlamentari hanno detto chiaramente a Barroso che gli avrebbero reso la vita difficile se nella sua commissione ci fosse stato Buttiglione, Barroso si è rivolto a Berlusconi per esternargli questa nuova situazione e il nostro premier – con gli “attributi” che tutti noi gli riconosciamo – ha detto obbedisco al portoghese, ma di fatto al nemico Schultz (capogruppo dei socialisti a Strasburgo) ed ha pregato (cioè costretto) Buttiglione a ritirarsi; al suo posto si profila la candidatura Frattini (con Fini agli Esteri) o della Moratti (con Bottiglione all’Istruzione).
Il nostro Berlusca, confermandosi ancora una volta fortissimo con i deboli e tremebondo con i forti, ha peraltro colto l’occasione di prendere due piccioni con una fava, come si dice: ha favorito Barroso che è della sua “scuderia” e, con il rientro di Buttiglione nel governo, può procedere ad un mini rimpasto che verrebbe incontro alle richieste di Fini; nel caso poi che riuscisse a imbarcare nella compagine governativa anche Follini (leader dell’UDC) alla vice presidenza, si avrebbe il tanto desiderato e mai potuto realizzare “governo dei segretari”.
Tutto bene, tutto giusto, ma ci sono due piccoli problemi che restano inevasi e che, almeno i cittadini più attenti, gradirebbero ricevere delle risposte.
Il primo è quello relativo allo schiaffo che Berlusconi (del quale me ne frego) e l’intero popolo italiano ha ricevuto da una buona parte dei deputati europei: non rendersene conto fa parte della confusione mentale che i mezzi di comunicazione di massa ingenerano nella gente, ma le cose stanno proprio così, e a me gli schiaffi non piacciono.
Giriamo la cosa da qualsiasi parte, ma lo schiaffo c’è stato: mi sarebbe piaciuto che al posto del nostro Buttiglione ci fosse stato “un Buttiglione” protetto da Chirac o da Blair e non da quel cacasotto di Berlusconi: sono certo che la commissione Barroso ne avrebbe viste delle belle, sicuramente non una acquiescenza così pronta ed assoluta ai diktat dei socialisti europei; come minimo saremmo andati alla conta e in quella sede ognuno si sarebbe assunto le proprie responsabilità.
Il secondo problema riguarda i rapporti con il Vaticano: se è vero che la Chiesa è già uscita scornata dalla Costituzione, dove non sono state inserite le famose “radici cristiane dell’Europa”, questo secondo smacco – cacciata dell’unico ministro dichiaratamente cattolico (sembra addirittura consigliere del Papa) – non farà certo piacere agli inquilini di San Pietro, tanto più che la cacciata è avvenuta per affermazioni dichiaratamente cattoliche.
Stiamo pur certi che questi due smacchi verranno pagati – in qualche modo – e in forma anche “dolorosa” per il nostro Governo, accusato di essersi poco impegnato nella difesa del cattolicesimo. Potrei continuare a fregarmene, ma per la gente che riflessi ci saranno?


venerdì, ottobre 29, 2004

Libero anche l'irriducibile 

Il prof. Giovanni Senzani – soprannominato a suo tempo “Il professor bazooka” – è stato rimesso in libertà dopo diciotto anni di galera e cinque di semilibertà.
Era considerato uno degli ultimi irriducibili, perché non si è mai pentito, non si è mai dissociato e non ha mai chiesto perdono a nessuno, né tanto meno ha chiesto la grazia.
La Magistratura italiana lo ha considerato ravveduto in base a questa frase pronunciata dall’ex brigatista: “..sento molto forte il rammarico per i danni e le vittime causate dalla lotta armata”.
Con questa frase e per l’uso del termine “rammaricarsi”, i giudici hanno disposto la scarcerazione del Senzani sottoponendolo a restrizioni che definire risibili è poco.
Vediamole: 1) darsi a lavoro stabile (lo vorrebbero in tanti!!); 2) non uscire di casa dalle 23.00 alle 6 del mattino; 3)non associarsi a pregiudicati; 4) non detenere armi o oggetti atti ad offendere; 5) portare sempre addosso il decreto precettivo ; 6) presentarsi due volte al mese ai servizi sociali; 7) non allontanarsi dalla provincia di Firenze (suo luogo di residenza) senza il consenso dell’organo di vigilanza.
Parlare di Giovanni Senzani ad un giovane è come ricordargli Giulio Cesare o Catilina, tanto distante appare la sua vicenda; eppure tanto distante non è, ed anzi la possiamo collocare nel pieno fulgore della lotta armata (primi anni ’80).
Dopo aver rapito l’assessore regionale campano Ciro Cirillo, l’organizzazione rapisce il Giudice D’urso e uccide il generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi; ma la vicenda più efferata e che lo accomuna ai farneticanti brigatisti “attuali” (Lioce, Moranti, ecc) è senz’altro quella che si riferisce all’uccisione dell’operaio Roberto Peci, la cui unica colpa era quella di essere fratello di Patrizio Peci, brigatista catturato e poi dissociato.
Il volantino fatto trovare in occasione di quell’omicidio recita: “L’unico rapporto della rivoluzione proletaria con i traditori è l’annientamento. Morte al traditore Roberto Peci. Il processo è concluso e la condanna a morte è la giusta sentenza che emettono le forze rivoluzionarie”.
Se il discorso dovesse apparire poco chiaro consiglio una seconda lettura e la considerazione che questa sorta di epitaffio era vergato per il fratello del traditore che, ripeto, non c’entrava niente con loro e la loro lotta.
Invece, dopo l’esecuzione dell’ing. Taliercio, direttore del Petrolchimico di Porto Marghera si poteva leggere la seguente rivendicazione: “Di fronte all’esecuzione del porco Taliercio gli avvoltoi borghesi, i corvi revisionisti e le cornacchie radicali si troveranno ad aver lavorato ancora una volta invano. Il proletariato non si dividerà mai sulla giusta fine che meritano di fare i servi della borghesia come Taliercio e gli infami come Peci”.
Tutte queste affermazioni suscitano in noi sentimenti di riso mischiato al ridicolo; subito dopo però, ridiventati seri, dobbiamo convenire che le stesse assonanze letterarie si possono leggere nelle attuali “dichiarazioni” della Lioce o di altri brigatisti durante il processo in corso per l’uccisione del poliziotto aretino.
Ma di quelle dichiarazioni il nostro esimio prof. Senz’ani “si rammarica”: vi sembra sufficiente oppure lo Stato – cioè i cittadini – dovrebbero pretendere qualcosa di più?
A me sembra che l’analisi nuda e cruda dell’ex brigatista, scarna nella forma e nella sostanza, appare quasi come una dichiarazione rilasciata di mala voglia tanto per far contento qualcuno che lo sta scocciando.
Qualcuno chi? Forse noi? Ho paura di si. Allora siamo degli scocciatori!
Comunque io non sono soddisfatto; ben altro dovrebbe dire l’anziano professore per recuperare la libertà.

giovedì, ottobre 28, 2004

Povera Roma 

Non sto alludendo alla squadra di calcio che, peraltro, stasera è stata sconfitta dalla Juventus, bensì proprio alla città di Roma che domani subirà l’assalto di una caterva di Capi di Stato (credo 25 o qualcosa del genere) che si raduneranno per firmare la nuova Costituzione Europea.
Per un “euro-contrario” (quindi non euro-scettico, di più) come sono io, la giornata è di quelle da contrassegnare con il bollino rosso: il parto di tutta un branco di impotenti e/o sterili personaggi dell’Europa che con questo ennesimo trattato (pensate 450 articoli) dovrebbe regolare i rapporti tra i vari stati.
Sappiamo bene che questa Costituzione è nata attraverso una serie di compromessi e che, proprio per questa caratteristica, non sarà idonea a risolvere nessuno dei problemi.
Diciamo anche che non sarebbe stato possibile fare altrimenti: l’Europa continua ad essere un aborto che non può far altro che generare porcherie o – nella migliore delle ipotesi – delle inutili sciocchezze.
Le ultime vicende sull’approvazione della nuova Commissione guidata dal portoghese Barroso hanno evidenziato – a mio modo di vedere – una sorta di “irresponsabilità”: sanno che tutto quello che possono combinare (in bene o in male) non modificherà di molto la vita degli europei e quindi si comportano come studenti che giocano a fare gli “apprendisti stregoni” e cercano di portare l’acqua al mulino della parte politica che rappresentano, ma riferendosi alle lotte politiche dei singoli paesi (fregandosene del bene dell’Europa).
Tra una ripicca e l’altra siamo giunti alla richiesta di Barroso di rinviare la votazione sulla propria Commissione (paragonabile al Consiglio dei Ministri di uno Stato e allora perché si chiama in modo diverso?); il caporione dell’opposizione a Barroso è il socialista tedesco Schultz, quello che ebbe la discussione con Berlusconi e si becco l’epiteto di Kapò dal nostro premier; ebbene, questo distinto signore ha dichiarato in tempi non sospetti che non sarebbe stato approvato nessun componente del governo italiano nel ruolo di commissario; quindi le discussioni sul cattolicesimo, sulla parola peccato usata da Bottiglione sono tutte da considerarsi “strumentali” in funzione dell’avversione mostrata verso il nostro governo.
E quindi, fermo restando quanto sopra, tutti noi dobbiamo sottostare agli ukase di un tedesco; vorrei sapere che logica sta in tutto questo e in base a quale principio la nostra vita dovrebbe essere condizionata da questo signore: se sono i nostri onorevoli a fare casino, sappiamo come sostituirli, ma il prode Schultz come si fa a mandarlo a casa?
C’è da aggiungere poi che nonostante tutti questi problemi nella funzionalità concreta dell’europarlamento, il grande Circo di Bruxelles e Strasburgo si porta a Roma per la firma di questa Costituzione che – tra parentesi – non accontenta nessuno stato e, possiamo dire che li scontenta fortemente quasi tutti.
Ma la festa deve continuare (The show must go on, dicono gli anglosassoni) e quindi tutti a Roma, ad intasare il traffico di questa splendida e martoriata città, a farci spendere un occhio della testa (con quanto ci costa questa manifestazione sono certo che si risolverebbero diversi problemi del “terzo mondo”).
Per concludere due paroline sulla nostra politica interna: ricorderete che nel post del 26 a commento delle elezioni, ho invitato il centro sinistra a stare fermo ad assistere al crollo degli avversari che si stanno suicidando da soli; se leggete i commenti di oggi e le diatribe tra Fini e Berlusconi converrete con me che avevo ragione.
Quindi la parola d’ordine rimane: lasciateli suicidarsi in pace e non agitatevi per non svegliarli da questo totale rincretinimento!


mercoledì, ottobre 27, 2004

Men on fire (L'uomo infuriato) 

Confortato da alcune vostre richieste (non moltissime, ma dobbiamo contentarci, pubblico un’altra “lettura” di un film che – per la spettacolarità e per la presenza in “dozzina d’oro” (record d’incassi) per svariate settimane, appare di un certo interesse; il film è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia “fuori concorso” ed ha avuto un ottimo successo sia di pubblico che di critica.
E’ la storia di John Creasy, un ex agente della CIA ormai bruciato, sull’orlo dell’alcolismo e alla ricerca di qualcosa di interessante da fare; in Messico un’ondata di rapimenti sconvolge il paese e alimenta il panico tra le classi ricche che si affrettano a stipulare sostanziose polizze assicurative che però li obbligano ad assumere guardie del corpo per i loro figli. E’ quello che capita a John che, tramite l’amico Rayburn, anche lui ex CIA, trova un ingaggio presso la famiglia dell’industriale Ramos, con incarico di guardia del corpo della figlia Pita (diminutivo di Lupita).
Il rapporto con la bambina, iniziato in modo turbolento, si sviluppa poi in maniera soddisfacente quando la bambina riesce a scalfire la sua apparentemente inattaccabile corazza e l’uomo allenta le sue difese e si apre con lei: le insegna la partenza nelle gare di nuoto, l’aiuta a non frequentare le lezioni di pianoforte; in una parola diventano amici. Quando tutto sembra andare per il meglio, la situazione viene sconvolta da un violento rapimento che, oltre a lasciare sul terreno alcuni rapitori, si conclude con il ferimento di John e la cattura della bambina.
Dopo che viene data la notizia della morte della bimba, il suo amico John – appena dimesso dall’ospedale – si mette in caccia dei rapitori e scopre tutto una specie di associazione – al cui vertice sta un poliziotto – che si occupa di questi crimini. A questo punto Creasy diventa una sorta di vendicatore e si pone in caccia del rapitori uccidendoli uno ad uno; riesce a raggiungere il vertice dell’organizzazione e vi trova un alto funzionario di Polizia: lo uccide e scopre che il vero vertice è rappresentato da un altro delinquente che ancora tiene Pita in ostaggio. Libera la bambina in un conflitto a fuoco, durante il quale però viene ferito gravemente e, dopo aver riconsegnato la bambina alla madre, si lascia condurre alla morte dai rapitori.
Realizzato con circa venticinque minuti di troppo, il film si fa tollerare sia per il ritmo impresso alla narrazione, sia per la buona recitazione di tutti gli attori e sia per la splendida regia; intendiamoci, si tratta di un film di vicenda che pone alla base della sua realizzazione una spettacolarità accattivante nei confronti del pubblico, ma il modo come è girato mostra anzitutto un uso sapiente della macchina da presa e quindi una forte presa nei confronti del pubblico.
Non a caso mi è scappato, subito dopo la proiezione, un accostamento della seconda parte del film all’epopea di Rambo: il nostro John Creasy ha una forza distruttrice che richiama il “berretto verde” dianzi citato; anche lui è un solitario che si dimostra praticamente invincibile, anche lui ha un nobile scopo e combatte contro conformismi e tradimenti. Non ci dimentichiamo che nel rapimento della bambina – oltre alla banda, chiamiamola così, ufficiale – ci sono implicati tutta una serie di personaggi che hanno attinto al malloppo del riscatto, pagato peraltro dall’assicurazione: dall’avvocato di famiglia, fino addirittura al padre che spera di sopperire alle difficoltà economiche della sua azienda con il malloppo esente tasse.
Al vendicatore che uccide in modo atroce tutti i componenti della banda, vanno sinceramente gli applausi degli spettatori: ma i consensi derivano dall’alonatura che l’autore ci porta davanti agli occhi, laddove qualunque azione del nostro John, anche la più spregevole, assume il contorno della vendetta “nuda e pura” nei confronti di una banda di feroci criminali.
Ed è così che tutti noi ci schieriamo dalla parte del nostro ex-CIA, impegnato a commettere più brutalità e scorrettezze dei suoi avversari: ma attenzione, è la forza dell’immagine che ci induce a ciò, se invece riuscissimo a ragionare il negro bellimbusto sarebbe da mettere quasi insieme agli altri.
Nel film c’è da notare un piccolo cammeo di Giancarlo Giannini nei panni di uno scafato Capo della Squadra Investigativa che lascia Creasy fare il lavoro sporco che dovrebbe essere il suo e si presenta in fondo a raccogliere il trionfo: la classe non è acqua e Giannini è sempre lui, anche se mi sembra di rilevare una sorta di “superficialità” derivata forse dalla pochezza del personaggio, veramente poco approfondito a livello di sceneggiatura.
Non voglio dire che siamo in presenza di un film assolutamente da non perdere, ma una sua visione ci farà trascorrere un paio di orette in piena tranquillità.

martedì, ottobre 26, 2004

Cavaliere, che batosta! 

Le elezioni suppletive di domenica e lunedì scorsi, relative a sette collegi resi vacantida eurodeputati, hanno fatto segnare due dati impressionanti: l’affluenza alle urne che ha superato di pochissimo il 40% e la vittoria, nettissima, del centro sinistra per sette a zero.
Nel mondo del calcio – del quale fa parte anche il Cavaliere – in una situazione del genere la prima mossa è quella di esonerare l’allenatore; ma in questo caso l’allenatore è anche presidente e quindi…
Il Day after delle due coalizioni è stato ovviamente contrappuntato da commenti di segno opposto; da una parte il “G.A.D.” – Grande Alleanza Democratica (nuovo nome dell’Ulivo) inneggia giustamente ai risultati conseguiti, sostenendo che, dopo le elezioni che hanno portato all’avvento dell’attuale governo, tutte le consultazioni che sono seguite hanno fatto registrare una schiacciante vittoria del GAD e che quindi – il governo attualmente in carica – non è legittimato a governare perché la maggioranza, sia pure “virtuale” non è più appannaggio del Centro Destra. Tesi opinabile ma non manifestamente peregrina.
Dalla fazione opposta si tende a sminuire l’importanza delle attuali elezioni, sia per la poca affluenza alle urne e sia per la limitatezza del campo. Alcune realtà comunque non vengono spiegate: ad esempio, il seggio che era di Bossi (passato al Parlamento Europeo) è stato perduto dalla Casa delle Libertà ed è andato ad un fiero avversario, quello Zaccaria che da presidente della RAI aveva ostacolato e non poco il prode Cavaliere. Comunque la si voglia rigirare, perdere lo “storico” seggio di Bossi a Milano, è sicuramente indice di malessere e di grosse difficoltà che la coalizione di centro destra mostra di avere.
Il problema, a mio modesto modo di vedere, è che la classe medio-bassa (bacino di voti per la Casa delle Libertà), si sta trovando in grosse difficoltà economiche, sia per l’avvento dell’Euro e del conseguente aumento dei prezzi, sia per il mancato controllo di questi ultimi oltre che delle tariffe amministrate e delle varie utenze; a questi aumenti non si sono registrati altrettanti incrementi stipendiali.
A tutte queste situazioni che hanno messo in grossa crisi una consistente parte dell’elettorato, si crede che basti la ventilata diminuzione delle aliquote fiscali: a livello di immagine è senz’altro una mossa vincente, ma quando dall’immagine il cittadino passa al controllo del proprio budget familiare e si accorge che le spese continuano ad essere superiori agli introiti, l’arrabbiatura aumenterà ancora di più.
La soluzione sta forse in quanto detto dal Presidente Ciampi: diminuire i prezzi, al fine di rendere più competitivo l’introito mensile degli italiani, cioè il cosiddetto “potere d’acquisto”; evidentemente questa mossa non è nelle corde del Centro Destra, forse perché cozza con il liberismo del quale tutti si riempiono la bocca, ma fatto sta che nessuno parla di mettere mano a dei controlli seri e sistematici per verificare l’andamento dei prezzi al consumo.
Caro Cavaliere, se non riesce a fare questa operazione è inutile qualsiasi abbassamento delle tasse (tanto le alzano gli Enti Locali!!) ed è inutile qualsiasi “invenzione” del tipo bandana o qualche altra diavoleria che il suo staff-marketing può mettere in piedi. La sconfitta è certa!
Dall’altra parte, il pericolo è racchiuso in due realtà: la prima è quella di dare per scontata la vittoria nel 2006 e la seconda è quella della litigiosità della coalizione. Direi che il GAD potrebbe, forse dovrebbe, non fare niente, tanto gli altri si suicidano da soli; non deve però contribuire a sollevare l’avversario già caduto in un quasi K.O.; si limiti ad osservarlo mentre cade.
Quindi, calma e gesso! Non agitarsi più del necessario che tanto ci pensa il Cavaliere con le sue invenzioni ad affossare la sua coalizione!

lunedì, ottobre 25, 2004

I preti in TV 

Monta sempre più la polemica relativa alla presenza dei preti in TV; da una parte la gerarchia della Chiesa che imporrebbe l’obbligo del permesso preventivo, dall’altra i vari preti che se ne strabattono delle indicazioni dei superiori e continuano a fare come vogliono.
Cerchiamo – da bravi laici – di fare un po’ di chiarezza sull’argomento: il prete, per sua missione, dovrebbe evangelizzare tutta la gente, o per lo meno, tutta quella che lo sta ad ascoltare.
D’altro canto la gente, quando non è imbambolata ad ascoltare il prete di turno, guarda la televisione, legge il giornale, ascolta la radio oppure va al cinema, usa (o meglio per usare un verbo più appropriato) fruisce dei mezzi di comunicazione di massa.
Questi ultimi, per loro natura possiedono una forma linguistica sostanzialmente diversa dal “discorso o predica che dir si voglia”: infatti se con un linguaggio verbale mi si comunica: “qui dentro c’è un gran puzzo di fumo”, il concetto che questa forma di comunicazione vuole esprimere, mi si rende subito disponibile e – qualora sia in possesso degli stessi canoni linguistici del comunicante – comprendo immediatamente l’oggetto della comunicazione stessa, addirittura posso sentire il puzzo, che badate bene, non è di nient’altro che di fumo.
Se questo concetto debbo esprimerlo attraverso delle immagini, il problema si complica e, comunque debbo usare una forma linguistica completamente diversa: quello che in semiologia si chiama “il linguaggio contornale”, quel linguaggio cioè che mi diventa comprensibile attraverso la individuazione dei “contorni delle cose rappresentate”.
Mi scuso di tutto questo sproloquio ma non vuole essere uno sfoggio di cultura semiologica, bensì – ritornando ai nostri religiosi in TV – vuole essere una motivazione del perché i bravi preti “credono” che andare in TV sia come avere una platea smisurata davanti e quindi potere evangelizzare una massa di persone molto più grande di quella che loro possono radunare nelle loro Chiese.
Purtroppo, per loro, così non è, perché proprio per il fatto del linguaggio, le immagini televisive hanno caratteristiche diverse dalle “prediche”; nessun sacerdote – se escludiamo la buona volontà – ha il minimo bagaglio tecnico e scientifico per affrontare il problema del come fare a parlare in TV e, quindi, la figura del sacerdote assume quasi sempre le caratteristiche della durezza, della impermeabilità a qualsiasi nuovo modo di vedere le cose, della arretratezza delle idee.
Eppure il prete in TV non fa altro che traslarsi dall’altare al video, ma nelle due diverse posizioni ci sono delle diversità di modi di rappresentarsi per cui lo stesso discorso fatto in un luogo appare in un modo e fatto nell’altro risulta ben diverso.
Sia chiaro, che il sacerdote “deve” conoscere il modo di comunicare alla gente dei nostri giorni che vive in questo mondo dominato dai mass media; ma se non si conosce il mestiere di comunicatore, si rischia solo di fare le figuracce.
Il povero Don Mazzi, nella trasmissione di commento all’Isola dei Famosi, è sempre fuori ruolo, appare continuamente come un retrogrado che cerca soltanto di vietare, quando invece il buon sacerdote potrebbe anche essere, per indole e per coinvolgimento, disponibile a chiudere un occhio.
Ecco, questi stati d’animo che ai laici vengono fuori naturalmente, ai preti non riescono a varcare la soglia della comunicazione e chi li guarda non li apprezza.
Quindi statevene in Chiesa oppure imparate a comunicare attraverso i nuovi strumenti.


domenica, ottobre 24, 2004

Tipologia di ostaggi 

L’ argomento di cui desidero trattare riguarda sostanzialmente il “modo” come i mezzi di comunicazione stanno gestendo gli atteggiamenti (veri o presunti) dei nostri ostaggi provenienti dall’Irak e rientrati nella vita di tutti i giorni:in particolare, mi riferisco alla manfrina che i giornali contrapposti politicamente stanno mettendo su circa la tipologia degli ostaggi: i “body guard” vengono definititi da un improvvido magistrato barese come “mercenari” (e la stampa di destra si arrabbia), mentre le due Simone che vanno in giro per l’Italia invitate da Aziende Turistiche e Alberghi, vengono chiamate “Vispe Terese” e i giornali di sinistra s’infuriano.
Il compito principale della stampa dovrebbe essere quello di trasmettere ai lettori la verità (senza se e senza ma) perché si badi bene, una verità esiste sempre e se non riusciamo ad entrarne in possesso dobbiamo dirlo chiaramente: “questa è la parte di verità che ho potuto apprendere, per il resto non so”.
Se partiamo da questo presupposto, possiamo definire i primi ostaggi italiani (di cui uno barbaramente sgozzato) come delle persone che sono andate in Irak per guadagnare più soldi di quelli che avrebbero potuto guadagnare in Italia facendo il buttafuori in qualche discoteca o qualche altra attività consona al loro fisico: vogliamo definirli “mercenari”? A rigore di logica il termine gli si attaglia benissimo (“persone che compiono un’azione per denaro”), ma poiché il termine “mercenario” ha subito una grossa modifica nel tempo, prendendo il significato di “persona che, per denaro, è disposta a compiere qualunque cosa”) allora dobbiamo essere più cauti nell’usarlo.
E infatti il magistrato barese che ha innescato la polemica, si è subito scusato e – dando come al solito la colpa ai giornalisti – ha detto di essere stato “frainteso” (cioè mal compreso, a casa mia).
Per quanto riguarda le due ragazzine che, a mio modo di vedere, sono state assunte in pianta stabile dall’esercito dei pacifisti ad oltranza (i vari disobbedienti, no-global, ecc) diventandone una bandiera, probabilmente – voglio essere fiducioso – neppure se ne sono rese conto della strumentalizzazione che veniva innescandosi alle loro spalle e neppure le famiglie hanno ben compreso la manfrina e quindi non le hanno consigliate ad usare un po’ di cautela, come sarebbe stato il loro dovere.
Certo che le foto che le ritraggono in una amena località eolica in minuscolo due pezzi, mentre escono dalle onde del mare, possono dare esca a commenti – diciamo così – un po’ sfacciati.: la verità è che anch’esse, come i “mercenari” hanno sofferto per svariati giorni e che un po’ di vacanza non può che far loro bene; tutto il resto – inviti, alberghi gratis, sponsorizzazioni – come diceva un noto slogan televisivo “è vita”.
Perché mettere insieme queste due vicende? Anzitutto perché siamo in presenza di una uniformità di base (entrambe riguardano ostaggi) e poi perché sono, ritengo, emblematiche di come la nostra (solo??) stampa affronta gli argomenti, anche quelli più importanti: lasciando perdere il concetto di verità e cercando di tirare l’acqua ognuno al proprio mulino.
E noi che ci stiamo in mezzo? Dobbiamo rendercene conto (e il primo passo di un apprendimento) e muoversi quindi con estrema cautela, renderci conto che la verità che traspare dal giornale (o dal telegiornale) è solo quella che l’autore dell’articolo o del servizio televisivo “vuole” che appaia;e badate bene che questo “vuole” può essere anche a livello puramente inconscio, dato che ognuno di noi quando si esprime, prima di ogni altra cosa “esprime se stesso”, con la sua idealogia (cioè complesso di idee) che si è andato formando negli anni.

This page is powered by Blogger. Isn't yours?