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sabato, maggio 16, 2009

MULTIETNICO 

Il termine è chiaramente l’unione di due parole: multi che – secondo il Devoto Oli – significa “notevole quantità numerica” ed etnico che, sempre sullo stesso dizionario, appare come “caratteri che determinano l’appartenenza a una comunità nazionale o tribale”; in sostanza, il problema sul quale mi metto a riflettere, concerne l’afflusso nel nostro Paese di “migranti” dalle varie etnie del mondo, con la possibilità di instaurare uno stato multietnico.
Utilizzo alcune considerazioni dello storico Petacco, quando rilevo che il primo esempio di società multietnica è quella sorta sulle ceneri dell’Impero Romano. I nativi di Roma – caput mundi – erano alla frutta, ricchi, debosciati, fannulloni, affidavano i lavori più pesanti e quelli militari ai “migranti” di allora che venivano definiti “barbari”.
L’arrivo di questi signori non avvenea mezzo di barconi o altri mezzi di locomozione, ma semplicemente arrivavano a cavallo e con la lancia in resta, pronti ad infilare tutti quelli che gli si frapponevano.
Fattisi sempre più audaci e sempre più forti (numericamente), questi “barbari” si infiltrarono nella ormai sterile stirpe latina, la rinsanguarono e così facendo la trasformarono in una società multietnica, la cui base era formata dai migranti che erano diventati Alti Funzionari, addirittura Imperatori e via di questo passo.
La fine peggiore la fece “la cultura romana” in quanto la stessa scomparve del tutto; sparirono le scuole, gli atenei e anche le biblioteche: fu il trionfo dell’analfabetismo di ritorno e il tutto sfociò in quelli che furono chiamati “secoli bui”, durante i quali l’Europa fu dominata da una serie di imperatori “romani” per modo di dire, in quanto erano tutti di stirpe barbara e completamente analfabeti; alcuni esempi di questi signori imperatori-analfabeti, ma grandissimi personaggi? Da Odoacre a Carlo Magno.
Per vedere quando questa multietnicità potrà andare in porto, seguiamo quello che proviene da una ricerca americana che esegue alcune proiezioni: in base a questi dati, fra mezzo secolo – 2059 – la maggioranza della popolazione italiana potrebbe essere musulmana e questo in virtù degli sviluppi delle nascite che, alla stessa stregua di quanto avvenne nell’Impero Romano, sono nettamente favorevoli ai migranti in un rapporto di 2 a 10 e, all’interno di queste etnie, tre neonati su quattro sono musulmani; in alcune province del nord Italia, gli scolari italiani sono già in minoranza.
Gheddafi, il grande amico di Berlusconi, in una intervista di qualche anno fa, ebbe a dire “non c’è bisogno di combattere per conquistare l’Europa; Allah ci darà la vittoria con il ventre delle nostre donne”.
E vediamo allora come sta andando questa guerra atipica: la Germania, la Francia, il Belgio e la Danimarca si apprestano a diventare delle repubbliche islamiche attorno al 2050 (grosso modo quando noi), mentre la Gran Bretagna lo diventerà qualche anno dopo. In Russia un abitante su cinque è musulmano e il suo esercito è composto al 40% da musulmani; negli Stati Uniti, gli attuali 9 milioni di islamici diventeranno 50 milioni nel giro di trenta anni.
È probabile quindi che sulla multietnicità la battaglia sia perduta a medio termine; il ripiegamento dell’occidente potrebbe avvenire sulla multi-culturalità, quel senso di appartenenza che è fatto di lingua, idee, tradizioni e costumi.
Consentitemi di chiudere con una battuta: la più grande migrazione della storia si è avuta quando Colombo scoprì l’America, ma in quel caso i migranti che vi si trasferirono erano più colti dei nativi ed imposero la propria cultura.

venerdì, maggio 15, 2009

COSA AVREBBE FATTO FRANCESCO? 

Il Francesco di cui parlo è il cosiddetto “poverello d’Assisi”, colui che attraverso il suo esempio diede uno scrollane alla Chiesa del Medioevo così forte che rischiò di squassarla tutta; solo l’astuzia del Papa Innocenzo III fece leva sulla novità del giovane umbro, al fine di conquistare anche quella frangia di “poveri” che stavano sfuggendo alla parola di Dio, inseguiti da altri verbi che portavano a svariate eresie, di gran moda in quell’oscuro periodo. Ed in questa situazione, il mite fraticello si presenta al Papa e gli chiede “l’autorizzazione a servire Dio in povertà e umiltà e in rigorosa obbedienza con la gerarchia della Chiesa”.
Il furbo pontefice – ben raffigurato nella maschera di Alec Guiness in “Fratello Sole, Sorella luna” di Zeffirelli – capisce immediatamente che questo poteva diventare un sistema ottimale per portare avanti la parola di Dio; o meglio, per farla portare a chi vuole, perché il bello – o il brutto – della proposta francescana è sempre stata la considerazione che il loro modo di porgersi alla gente in nome di Dio è assolutamente “personale” e quindi non generalizzabile al altri credenti; in concreto, Francesco sapeva bene che la sua formula di “imitazione di Cristo” era la via maestra per salvare il cristianesimo sulla Terra, ma era anche altrettanto convinto che non aveva nessun potere e nessuna autorità per imporla alle società cristiane del suo tempo.
Vediamo in dettaglio un paio di caratteristiche della regola francescana: senz’altro la prima (perché più originale delle altre eresie dell’epoca) può considerarsi la rigorosa obbedienza al dettame della Chiesa; subito dopo viene la povertà e l’umiltà che – badate bene – non hanno niente di remissivo, di strisciante, di ipocrita, ma sono due norme dure e diritte come spade che forgiano il religioso e servono d’esempio.
Quando Francesco – che nasce ricco cavaliere di nobile schiatta – getta tutte le cose avute dal padre, non è un segno di ribellione verso l’autorità paterna, ma è un simbolo di rigetto per qualunque bene materiale; ricordiamoci che i suoi insegnamenti prevedevano il rifiuto non solo della ricchezza ma anche di qualunque forma di potere.
Ma queste regole sono ancora in vigore? Formalmente forse sì, ma nella concreta realtà, lo stesso Ordine si è ben guardato, a far data dalla morte del suo fondatore, di seguirle pedissequamente, segno di estrema difficoltà e “di poca fede” aggiungerei se non temessi di esser tacciato di anti-francescanesimo: comunque sia, il Santo è “uno” e i seguaci sono altra cosa.
Eppure quella veste formata da un rozzo camicione tipico dei contadini umbri e da un paio di sandali sdruciti, fu l’immagine che rimase scolpita nell’occhio del furbo Innocenzo III; quello era il simbolo di una cristianità nuova e moderna, fondata su principi e valori primordiali.
E se mi consentite uno dei miei paragoni assurdi, vi dico che la visione della vita di Francesco mi richiama alla memoria quanto già scritto da me circa il Mullah Omar: entrambi mi appaiono alla ricerca di valori della vita, fatti di cose semplici e prive di materialità; ovviamente non dimentico che Omar si è lordato le mani di sangue varie volte e questo lo mette in un’altra dimensione rispetto a Francesco, ma come prospettiva di vita, i due si assomigliano.
Insomma, se ci fosse oggi cosa farebbe? Distruggerebbe tute le banche e le finanziarie? O arriverebbe a bruciare tutto il denaro del mondo? Difficile dirlo e poi, scusate tanto, ma a chi volete che interessi come la pensa San Francesco e il Mullah Omar: non sono in nessun talk show di successo, quindi….

giovedì, maggio 14, 2009

BATTUTE E PROBLEMI 

Mi riferisco al Presidente U.S.A., Barack Obama, in carica da poco più di 100 giorni e quindi già in procinto di fare un primo bilancio; per la verità il consueto “barbosissimo” discorso che elenca le cose fatte e quelle messe in cantiere, è stato sostituito da Obama con una cena di beneficenza (per la fame nel mondo) nel corso della quale ha pronunciato un monologo degno di qualsiasi grande showman.
Le battute di spirito, rigorosamente lette e quindi provenienti da una “grande penna”, sono state esilaranti, tanto da meritare gli applausi di tutti gli intervenuti (alcuni big: Sting, Spielberg, Lucas, Demi Moore); praticamente ha preso in giro tutti (amici e nemici) ma con una auto-ironia da grande personaggio.
Tra le battute più riuscite (a mio giudizio) vi voglio trascrivere quella su se stesso; “credo che il bilancio dei miei prossimi 100 giorni sarà talmente di successo che realizzerò tutte le cose che devo fare in 72 giorni e il 73° mi riposerò…”; questa è grande satira e il riferimento al Creatore è splendido.
È ovvio che i parrucconi e i benpensanti a oltranza non hanno gradito “lo stile” di Obama, tutto centrato sulla satira, ma questi non saranno mai contenti di niente; casomai si potrebbe osservare – come è stato già fatto per il personaggio “Berlusconi” – che siamo in un periodo storico in cui l’”apparire” è anteposto all’”essere” e quindi il modo di porgere la comunicazione può essere più importante dell’oggetto della comunicazione stessa.
Questo cambiamento – non sta a me dire se “in meglio” o “In peggio” – è stato determinato dall’influenza sempre maggiore esercitata dai mezzi di comunicazione di massa nei riguardi dei rapporti umani; è ovvio che quando si affida ad una immagine la nostra comunicazione, non possiamo poi pretendere di intravedere l’intima essenza del personaggio.
Ma per il nostro Obama, gli applausi sono finiti presto ed è ripreso il lavoro quotidiano, nel quale spicca il problema di Guantanamo; facciamo un po’ di storiella: in campagna elettorale il candidato presidente fece solenne promessa di chiudere quella che veniva definita “La prigione della vergogna”, quella specie di campo di concentramento che “ospitava”, all’indomani dell11 settembre, i prigionieri politici – veri o presunti terroristi – e che, infatti, nel gennaio di quest’anno ne è stata annunciata la dismissione entro il 2009. Il primo problema che si è posto è stato quello di dove mettere i 240 reclusi; non liberarli, perché i pochi usciti da Guantanamo erano poi stati rivisti in Iraq a mettere bombe contro i soldati USA.
Allora veniva pensato di metterli nelle prigioni americane, ma oltre al costo (quasi 50 milioni di dollari, prontamente negati dall’intero Parlamento USA) l’iniziativa registra un secco rifiuto da “tutti” i governatori degli Stati americani (50 su 50) i quali lanciano il fatidico slogan “non da noi, mandateli all’estero”.
Gli USA hanno subito pensato alla Polonia e all’Italia (perché proprio noi?) ma entrambi gli Stati hanno avuto facile gioco nel ribattere: ma come, non li volete voi e li mandate a noi??
Insomma, Obama si è reso conto – ammesso che non lo sapesse già – che il problema della sicurezza pubblica viene messo al di sopra di ogni altra considerazione da entrambi gli schieramenti politici e quindi i progetti presidenziali fondati sul simbolismo di alcune iniziative, cozzano con questa realtà che unisce democratici e repubblicani a votargli contro. Comunque, caro Obama, non preoccuparti: sono solo 100 giorni!!

mercoledì, maggio 13, 2009

L'ORA DEI POVERI 

È il titolo di un libro di Raoul Follereau, nel quale il celebre scrittore e saggista francese denuncia l’egoismo delle società opulente nei confronti dei problemi dell’Africa e propone – provocatoriamente – che gli operai, cioè la classe povera dell’occidente, devolva un’ora del proprio salario a favore dei poveri del Terzo Mondo. Riprendo così un mio post di pochi giorni fa sulle problematiche dei migranti – più o meno respinti – e cerco di portare alcune considerazioni sul problema, visto però alla radice e non credendo che la soluzione risieda nel trasferimento di questi disperati in altre culture.
Sempre in tema di opulenza e di provocazioni, quando ai tempi della guerra fredda Eisenhower e Malenkov (o altri leader dei due paesi) si vantavano di avere centomila aeroplani a testa, lo stesso Follereau chiese ai due di regalargliene uno per ciascuno; perché, gli fu chiesto? Semplice, per i due Stati non cambia niente e per i bisognosi ci sarebbe stato un po’ di speranza, in quanto con i soldi della vendita dei due aerei si sarebbero potuti acquistare i sulfamidici occorrenti per curare tutti i lebbrosi del mondo.
Per quello che ho potuto comprendere dalla lettura dell’opera di Follereau, il grande saggista e scrittore non ipotizzava la creazione di società multietniche come si sta vaticinando adesso, ma avrebbe “preteso” che tutti coloro che possono, aiutassero i bisognosi di qualunque parte del mondo a risolvere i problemi che li attanagliano.
Ma questo aiuto non avrebbe dovuto concretizzarsi in poche briciole di pane date a colui che non mangia da giorni, ma avrebbe invece dovuto essere risolutivo per le necessità che ci sono nei loro paesi; e si badi bene che alla base dei problemi ci sono due considerazioni: la prima è che il nostro sistema commerciale – più o meno globalizzato – non è stato compreso e neppure accettato da quelle popolazioni che sono cresciute tradizionalmente con il “baratto”. La seconda considerazione discende dalla consapevolezza che dobbiamo avere sulla rapinosità del nostro atteggiamento nei loro confronti, laddove li abbiamo privati delle loro materie prime, primo modo di impoverirli; sia chiaro che questi popoli hanno grandi potenzialità ed enormi ricchezze interiori, ma noi siamo abituati a guardare il povero dall’alto in basso con il nostro atteggiamento di superiorità ed è con questa considerazione che facciamo scivolare dal nostro piatto poche briciole avanzate al nostro pasto e le mandiamo a loro.
Magari ogni tanto organizziamo anche qualche nostro aereo e lo riempiamo di vecchie derrate alimentari (qualche volta scadute, ma chi se ne frega!!) per inviarle a quelle popolazioni in occasioni di emergenze particolari; e così tacitiamo il nostro senso di colpa e laviamo la nostra coscienza di “predatori”.
Sia chiaro che questi “predatori” hanno avuto la furbizia di creare dei complici tra le popolazioni derubate e questi adesso siedono nei posti di comando e di responsabilità, continuando a depredare la povera gente e dividendo il malloppo con i mandanti occidentali; volete un esempio? Avete mai fatto caso ai tantissimi signori di pelle scura che – grassi ed opulenti – siedono sui banchi della Nazioni Unite? Ebbene, con quanto spendono ognuno di loro in una settimana di permanenza in lussuosi alberghi o appartamenti di New York, si camperebbe lautamente una cittadina medio piccola del loro paese; ma queste incongruenze chi le può ovviare? Dato che le popolazioni non hanno la forza di ribellarsi, e che l’O.N.U. preferisce fare l’impiegato delle multinazionali, affidiamoci al Padreterno e chiediamogli di pensarci lui!! Ma e quelli che non ci credono? Forse l’ultima speranza è quella di un novello “Che Guevara” che porti la rivoluzione in giro per il mondo schiavizzato; speriamo di trovarlo!!

martedì, maggio 12, 2009

L'EXPO 

In Italia si è gridato al successo per l’assegnazione a Milano della prossima Esposizione Universale del 2015; vediamo un po’ cosa ci sta dietro.
Anzitutto è bene precisare che nessuno può dire in che stato sarà il Mondo a quella data e neppure fare previsioni sull’andamento dell’economia.
Peraltro, dobbiamo ricordare che tali manifestazioni nascono in lontanissimi periodi storici nei quali l’andamento del mondo era ben diverso da quello attuale: la prima è stata quella di Londra del 1851 e la seconda quella di Parigi del 1900; erano anni – o meglio: secoli – nei quali tali manifestazioni servivano a presentare, agli “altri”, ogni Stato con i propri prodotti e le sue ultime invenzioni; adesso, in piena era di globalizzazione – chissà come saremo nel 2015 ma facciamo finta che tutto continui come ora – tutti sanno tutto di tutti e non ci sarebbe nessuna ragione – almeno in apparenza – per concentrare in un solo luogo un’esposizione di tale fatta, specie se facciamo mente locale alla situazione del 2015 in cui ovviamente la grande fiducia nell’economia sarà come minimo appannata. E allora quale sarà il motivo per cui tale manifestazione continua ad interessare tanti Stati del Mondo? Per rispondere non dobbiamo dimenticarci che – nonostante tutti gli scossoni avuti dalla crisi ancora in atto – la globalizzazione la fa ancora da padrona come sistema di vita dell’umanità.
Nessuno, o pochissimi, mettono in discussione il modello di sviluppo che stiamo tutti adottando e che si basa su uno sviluppo continuo e su crescite esponenziali (che esistono solo in matematica e non nella vita reale) delle nostre produzioni.
È ovvio quindi che una expo – sia in fase di preparazione che di attuazione – diventa una bellissima ed efficacissima droga per cercare di rianimare il cavallo ormai sfinito (leggi: economia mondiale) e farlo percorrere ancora un po’ di strada.
Perché signori, se il nostro establishment non c’è l’ha fatto vedere, nascondendola sotto lustrini e paillets, la situazione del settore occupazionale è già scivolata nel drammatico ed a farne le spese sono gli over 50, coloro cioè che sono di difficilissima ricollocazione. Ma su questo problema non si sente un alitare della politica – sia della maggioranza che della minoranza – occupati come sono a parlare di grosse cazzate o di strategie per raggiungere delle posizioni sempre più importanti.
Come ho già avuto modo di dire in altri miei recenti post, con un governo sostanzialmente acquiescente a Confindustria e con i sindacati impegnati a farsi la guerra, è facile per gli imprenditori dotati di nessuna etica, disporre delle loro maestranze come fossero delle figurine, senza minimamente entrare nelle problematiche sociali che ognuno di loro si porta addosso.
Ma purtroppo sono costretto ad aggiungere una cosa: non si creda che un cambio di maggioranza possa scalfire questa situazione; come ho già detto – anche questo, varie volte – il problema si risolve solo (purtroppo, ripetuto varie volte) con “la forza” e questa è l’occasione che si presenta al popolo per dire la sua senza timori verso niente e nessuno, ma armato solo della proprie convinzioni di giustizia sociale.
Se in questa diatriba qualcuno si dovesse far male, non date la colpa alla gente, perché ognuno deve essere arbitro del proprio destino e quindi agire secondo quello che gli sembra essere la giusta via per raggiungere l’obiettivo, che poi sarebbe quello sbandierato (a parole) da quasi tutte le forze politiche che ne parlano (a bocca piena, dopo aver trangugiato lauti pasti) come se fossero cose che riguardano un altro Paese, mentre sono cose che attanagliano la loro gente! Poveri loro!!

lunedì, maggio 11, 2009

TELEDIGIUNO 

La parola che appare nel titolo non la troviamo neppure sul Devoto-Oli e quindi dobbiamo cercarla in altro modo: è l’unione di due termini “tele” e “digiuno”, dei quali il primo si riferisce allo TV ed il secondo – dal dizionario sopra indicato – significa “astensione dagli alimenti, sia volontaria che imposta”; quindi, se agli alimenti ci sostituiamo la televisione il gioco è fatto è si comprende quanto avvenuto in un paese del parmense, dove la gente ha scelto di non guardare la TV per una settimana.
Tutto ha inizio quando David, un ragazzino di 12 anni, per imitare una esecuzione vista in TV, decide di impiccarsi, lasciando in un logico turbamento amici, conoscenti e, naturalmente l’intera famiglia che ancora non riesce a dimenticare l’accaduto.
Molto belle e sintomatiche del problema le parole usate dal Parroco del paese per commentare l’evento: “La TV purtroppo ruba l’infanzia. Guai a demonizzarla ma è nostro dovere renderla più a misura di bambino”; mi associo pienamente al pensiero del religioso, ma vorrei solo aggiungere che la TV non ruba solo l’infanzia, ma “la vita” a tutti coloro che vi si piantano davanti e quindi il problema è anche per gli adulti.
E aggiungo poi un’altra considerazione: guai a noi se pensiamo che i “creatori” della TV possano farla più o meno a misura d’uomo o di bambino, poiché il fine di costoro è uno solo: fare soldi attraverso il maggiore ascolto possibile, condizione realizzabile ad ogni costo, cioè facendo vedere qualsiasi cosa che possa essere utile a tal fine.
E allora? Allora bisogna rovesciare il problema e vederlo dalla parte dei fruitori dei programmi televisivi e comunque di coloro che vanno al cinema, leggono il giornale, le riviste e guardano le pubblicità sui cartelloni o altri mezzi: insomma dei normali cittadini che vengono investiti dai mezzi di comunicazione di massa.
Fra questi strumenti esistono alcune differenze e cioè, il cinema e la stampa subiscono una scelta preliminare (che film andiamo a vedere oppure che giornale compriamo), mentre per la TV il telecomando è solo un falso mito di libertà: se guardiamo bene, anche se scappiamo da alcuni programmi (Il Grande Fratello o consimili) ci ritroviamo a guardarne altri che solo in apparenza sono diversi e “fanno meno male”.
Quindi, amici cari, prima di ogni altra considerazione bisogna che la gente si attrezzi e “impari” il linguaggio tipico dei mezzi di comunicazione di massa, materia che non viene insegnata nelle scuole, dove si “fanno vedere film” come se quello fosse il modo di risolvere il problema. Cerchiamo di capirci: il linguaggio dell’immagine tecnica è un complesso di regole specifiche per l’argomento; se nessuno ce le insegna, significa che “il potere” (politico, economico, religioso, ecc.) ha interesse che noi non lo impariamo, ma continuiamo a subirlo, ricevendo – come avviene quotidianamente – le comunicazioni inavvertite e quelle clandestine che sono tipici modi dell’immagine per veicolarci delle idee che diventano nostro patrimonio idealogico; con queste idee – forniteci da “altri” – andiamo a fare le nostre scelte, sia etiche che commerciali, sia morali che politiche e così il gioco è fatto e arriviamo a “pensare con le idee di altri”.
Badate bene, non buttiamo via il bambino insieme all’acqua sporca; la TV è un grandissimo strumento di evoluzione della gente, ma deve essere “usato” con attenzione e soprattutto con la conoscenza del linguaggio che viene adoperato per comunicare “l’idea dell’autore sull’evento”. Quando diciamo che “l’abbiamo visto in TV” come se lo avessimo visto dalla nostra finestra, commettiamo il primo errore, perché inconsciamente accettiamo quel fatto come se fosse la realtà, mentre è l’idea che il mezzo televisivo vuole propinarci su quella realtà. Chiaro il concetto; capito il trucco?

domenica, maggio 10, 2009

I RESPINGIMENTI 

La parola che attualmente va di moda nei salotti della politica è “respingimenti”, termine che sta ad indicare la prassi instaurata da breve con la Libia di rimandare indietro i clandestini che arrivano nelle nostre coste a mezzo di navi della Guardia Costiera; in sostanza, i migranti non autorizzati passano direttamente dal barcone alla nave italiana che parte subito per la Libia, dove sbarcano in un porto locale..
Noi che siamo amanti del bello scrivere, andiamo a vedere cosa significa “respingimento” e, consultando il Devoto-Oli, scopriamo che esso è un “energico allontanamento”. L’immagine che mi viene in mente è quella di chi viene importunato da qualcuno e quindi lo respinge, eventualmente con energia se l’interessato non capisce: chiaro il concetto??
Prima di affrontare il problema, vediamone la genesi e scopriamo così che i popoli progrediti hanno sempre esercitato una sorta di prevaricazione nei confronti di coloro che venivano definiti “popoli della natura”; in un primo tempo direttamente con il colonialismo e successivamente – quando tale operazione era diventata anacronistica – con una specie di protettorato economico che si traduceva in una “vera e propria spoliazione delle risorse di quel paese”. Ed è così che gli ex colonizzati, dopo avere spezzato le loro catene, si sono ritrovati alla mercé di oscuri personaggi senza nessuna conoscenza di governo e, soprattutto, senza un briciolo di onestà. la logica della storia ha voluto che questi “ex” andassero a cercare cibo e un po’ di libertà, proprio da coloro che potremmo definire “ex colonizzatori”, chiedendo di provvedere ai loro bisogni con una minima parte di quello che hanno “rubato” nei paesi colonizzati.
Naturalmente i colonizzatori hanno già speso i proventi dei loro furti e non sano in grado di provvedere a queste richieste emergenziali; alcuni esempi in materia sono gli Stati Uniti che hanno eretto muri a profusione per difendersi dall’arrivo dei sudamericani e analogamente – forse anche peggio – hanno fatto i francesi e gli spagnoli, tutti paesi che nel colonialismo hanno avuto molti “demeriti”.
L’Italia, adagiata sul mediterraneo come una immensa portaerei, è un logico approdo di tanti disgraziati in fuga dai loro paesi e quindi reagisce con queste misure che fanno inorridire tante anime belle non gravate da questi problemi: è il caso di tanti personaggi dell’O.N.U. che impugnano nobili principi per indurre l’Italia (come mai non dicono niente a Francia e Spagna?) a vergognarsi della decisione di riportare i migranti clandestini nei porti di partenza oppure – in alternativa – detenerli in luoghi vigilati per tutto il tempo occorrente alla identificazione ed al rimpatrio.
Sembra ormai chiarito che il sistema delle “porte aperte per tutti” è diventato non solo insostenibile economicamente ma anche portatore di disordini e di sconquassi sociali nella stessa popolazione dello stato accogliente.
Che fare? Un’idea ce l’avrei e potrebbe essere quella di impegnare l’ONU a dismettere la politica delle reprimende nazionali per affrontare con mezzi – forniti da tutti – e uomini – soprattutto onesti - il dissesto globale nel quale le nazioni del terzo mondo fanno la fine del vaso di coccio in mezzo a quelli di acciaio; e affronti – se del caso – il fardello del potere reale sui territori che non hanno un “vero” governo, anche se questo è formalmente rappresentato all’Assemblea delle Nazioni Unite.
Lo slogan informatore dovrebbe essere che questi disgraziati che scappano da casa loro lo fanno perché è diventato impossibile viverci, quindi cerchiamo di ovviare a questa situazione e vedrete che non scapperanno più; è uno dei miei tanti sogni?

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