venerdì, febbraio 25, 2005
Le bestie di Satana
E’ di ieri l’altro la sentenza del G.U.P. (Giudice dell’Udienza Preliminare) su alcuni appartenenti al gruppo dei satanismi denominato “Bestie di Satana” e imputati di reati gravissimi tra cui svariati omicidi e due tentati omicidi: il capo della setta, Andrea Volpe, il grande pentito, è stato condannato a 30 anni di carcere.
Dove sta il particolare interesse per questa sentenza?
Facciamo un passo indietro: il processo si è svolto con il rito abbreviato (e quindi di fronte al G.U.P.) che, come è noto, comporta lo sconto di un terzo della pena comminata; in base a questo principio il P.M. aveva chiesto 20 anni, cioè i due terzi dei 30 che sarebbero stati richiesti ufficialmente.
Si sono alzate varie proteste da parte dei parenti dei ragazzi assassinati, i quali invocavano maggiore severità per questi personaggi che peraltro mi sembra che poco abbiano del “satanico” e molto dello “squallido”.
Ma torniamo alla sentenza del G.U.P.; essa - è una donna, di nome Maria Greca Zoncu -
ha ragionato in modo diverso dal P.M. e cioè non ha riconosciuto per il Volpe il vincolo aggravante della continuità tra i vari reat (pena massima 30 anni) e ha proceduto a una sommatoria di pene – già ridotte di un terzo per effetto del rito abbreviato – argomentando la sentenza come segue: 20 anni per l’omicidio Tollis e Marino, 16 anni per quello di Mariangela Pezzotta, 2 anni e mezzo per le altre imputazioni; un totale quindi di 38 anni e mezzo, ma poiché le pene che non siano l’ergastolo non possono superare i 30 anni, ha applicato quest’ultima misura e a tanto lo ha condannato.
Il primo commento è stato del Volpe che ha dichiarato: “Tanto valeva che non mi pentissi”, a dimostrazione della serietà e della convinzione che stanno dietro a certi pentimenti.
I parenti delle vittime si sono rincuorati e – riporto una dichiarazione per tutte – hanno detto: “Questa sera guarderò la foto di mia figlia e le dirò: finalmente c’è un po’ di giustizia anche per te”.
Ultima notazione la dichiarazione del guardasigilli Castelli, riferita anche e soprattutto alle polemiche che sono scoppiate per alcune sentenze della Magistratura considerate troppo blande; egli ha detto, fra l’altro: “La sentenza di oggi dimostra che le leggi fatte dal Parlamento sono adeguate e consentono ai magistrati di punire in modo esemplare chi si è macchiato di delitti efferati. I codici infatti danno ai giudici ampia libertà di scelta e consentono loro di comminare, caso per caso, le condanne ritenute più opportune”.
Questo lungo virgolettato mi sembra che consenta delle considerazioni paragonabili all’acqua calda, cioè pieno di ovvietà; mi sembra risaputo che i giudici sono lì proprio “per giudicare” e che la legge “è fatta per essere interpretata” e quindi ogni interpretazione può essere diversa da un’altra e da un’altra ancora. Direi che proprio questa è la bellezza e la estrema pericolosità dell’attività di giudice: questa insindacabilità che non comporta alcuna responsabilità, se non una eventuale variazione dell’interpretazione in sede di appello. Questo, e solo questo, è quello che “rischia” il giudice; nella sua affermazione di “essere soggetto solo alla legge”, c’è una grossa finzione, perché si sarebbe dovuto dire che il giudice ha dalla propria parte una legge che egli – con una sua specifica interpretazione – può arrivare anche a stravolgere.
Tornando alla sentenza del Volpe ci dobbiamo chiedere infatti: ma chi ha ragione, il P.M. o il G.U.P.? E se non ce l’avessero nessuno dei due?
E tutto questo, come non mi stancherò mai di ripetere “in nome del popolo italiano”.
Dove sta il particolare interesse per questa sentenza?
Facciamo un passo indietro: il processo si è svolto con il rito abbreviato (e quindi di fronte al G.U.P.) che, come è noto, comporta lo sconto di un terzo della pena comminata; in base a questo principio il P.M. aveva chiesto 20 anni, cioè i due terzi dei 30 che sarebbero stati richiesti ufficialmente.
Si sono alzate varie proteste da parte dei parenti dei ragazzi assassinati, i quali invocavano maggiore severità per questi personaggi che peraltro mi sembra che poco abbiano del “satanico” e molto dello “squallido”.
Ma torniamo alla sentenza del G.U.P.; essa - è una donna, di nome Maria Greca Zoncu -
ha ragionato in modo diverso dal P.M. e cioè non ha riconosciuto per il Volpe il vincolo aggravante della continuità tra i vari reat (pena massima 30 anni) e ha proceduto a una sommatoria di pene – già ridotte di un terzo per effetto del rito abbreviato – argomentando la sentenza come segue: 20 anni per l’omicidio Tollis e Marino, 16 anni per quello di Mariangela Pezzotta, 2 anni e mezzo per le altre imputazioni; un totale quindi di 38 anni e mezzo, ma poiché le pene che non siano l’ergastolo non possono superare i 30 anni, ha applicato quest’ultima misura e a tanto lo ha condannato.
Il primo commento è stato del Volpe che ha dichiarato: “Tanto valeva che non mi pentissi”, a dimostrazione della serietà e della convinzione che stanno dietro a certi pentimenti.
I parenti delle vittime si sono rincuorati e – riporto una dichiarazione per tutte – hanno detto: “Questa sera guarderò la foto di mia figlia e le dirò: finalmente c’è un po’ di giustizia anche per te”.
Ultima notazione la dichiarazione del guardasigilli Castelli, riferita anche e soprattutto alle polemiche che sono scoppiate per alcune sentenze della Magistratura considerate troppo blande; egli ha detto, fra l’altro: “La sentenza di oggi dimostra che le leggi fatte dal Parlamento sono adeguate e consentono ai magistrati di punire in modo esemplare chi si è macchiato di delitti efferati. I codici infatti danno ai giudici ampia libertà di scelta e consentono loro di comminare, caso per caso, le condanne ritenute più opportune”.
Questo lungo virgolettato mi sembra che consenta delle considerazioni paragonabili all’acqua calda, cioè pieno di ovvietà; mi sembra risaputo che i giudici sono lì proprio “per giudicare” e che la legge “è fatta per essere interpretata” e quindi ogni interpretazione può essere diversa da un’altra e da un’altra ancora. Direi che proprio questa è la bellezza e la estrema pericolosità dell’attività di giudice: questa insindacabilità che non comporta alcuna responsabilità, se non una eventuale variazione dell’interpretazione in sede di appello. Questo, e solo questo, è quello che “rischia” il giudice; nella sua affermazione di “essere soggetto solo alla legge”, c’è una grossa finzione, perché si sarebbe dovuto dire che il giudice ha dalla propria parte una legge che egli – con una sua specifica interpretazione – può arrivare anche a stravolgere.
Tornando alla sentenza del Volpe ci dobbiamo chiedere infatti: ma chi ha ragione, il P.M. o il G.U.P.? E se non ce l’avessero nessuno dei due?
E tutto questo, come non mi stancherò mai di ripetere “in nome del popolo italiano”.
giovedì, febbraio 24, 2005
Il Berlusca e i politici
Quasi un anno fa, il Cavalier Berlusconi, nel pieno della sua carica di Presidente del Consiglio, dichiarava: “I politici sono fannulloni e ladri; non hanno mai lavorato in vita loro ed hanno ville e barche, ma come fanno con quel che guadagnano (che non è poco, dico io)? Sono soldi rubati”.
Apriti cielo spalancati terra: tutti o quasi si sono sentiti offesi, sia quelli di destra che quelli di sinistra, ma in particolare gli ex DC che da bravi centristi si sono quasi divisi tra i due poli; due autorevoli membri del Parlamento, il senatore Battisti e l’onorevole Giachetti, della “Margherita”, hanno preso carta e penna ed hanno querelato il premier presso la Procura della Repubblica di Roma.
Sappiamo tutti che queste cose restano a galla sulla stampa nazionale non più di una settimana, poi si pensa ad altro e si polemizza su una nuova situazione, e via di questo passo, tra una polemica e l’altra.
La magistratura però, pur con il suo passo da tartaruga, continua a fare il proprio corso e il fascicolo di quella denuncia è approdato, solo ora, sul tavolo della Procura di Roma, la quale ha chiesto al Tribunale dei Ministri – competente perché l’accusato è un ministro in carica – di archiviarlo.
Come mai? Perché quando si offende “tutti” alla fin fine non si offende nessuno, insomma era solo una battutaccia e per giunta molto generica, un po’ come quando l’uomo della strada dice “piove, governo ladro!” e non viene certo accompagnato in Questura per offesa a pubblico ufficiale (tali sono i ministri).
Resta da aggiungere che i due parlamentari della “Margherita” hanno prontamente annunciato opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura, affermando – tra l’altro, che “è scandaloso che frasi così offensive non siano state giudicate diffamatorie.”
Pochissimi giornali si sono ricordati l’evento di circa un anno fa e quindi non hanno dato corpo alla sentenza della Procura romana; ma io una mia piccola riflessione la voglio fare:i due deputati non hanno ancora capito che l’operato e le affermazioni del Berlusca non vanno prese di petto, pena fare il suo gioco che è proprio quello di sollevare polveroni su tutto e su tutti.
Come ho già avuto modo di dire, la sua politica – in particolare quella economica – lo sta facendo precipitare nel baratro della sconfitta alle prossime elezioni; unica ancora di salvataggio il “poter parlare di altro” sulla stampa e in televisione, atteggiandosi a “uno di noi” e facendo discorsi da Bar Sport.
Questa tattica la sta già perseguendo per suo conto, se poi c’è qualcuno che gli fornisce, su un piatto d’argento, l’occasione giusta per entrare in una polemica che niente ha di politico, il Cavaliere sono certo che gliene sarà grato.
Questo che cosa significa? Forse che si deve ingoiare tutto quello di rozzo e di impolitico esce dalla sua riverita bocca? Certo che dobbiamo evitare polemiche speciose come quella sull’orologio da 400 milioni che invece era quello regalato al papà con i primi soldi guadagnati e riavuto indietro alla sua morte. Informiamoci prima e non abbocchiamo a tutto quello che – specie all’estero – viene scritto.
Potrebbe essere una tattica giusta anche quella di “non considerarlo” quando non parla di politica (sia essa estera, interna od economica) e solo in tali occasioni replicare con argomenti altrettanto politici.
Altrimenti, ripeto per l’ennesima volta, viene fatto il suo gioco, con tutte le conseguenze che sono facilmente immaginabili!
Apriti cielo spalancati terra: tutti o quasi si sono sentiti offesi, sia quelli di destra che quelli di sinistra, ma in particolare gli ex DC che da bravi centristi si sono quasi divisi tra i due poli; due autorevoli membri del Parlamento, il senatore Battisti e l’onorevole Giachetti, della “Margherita”, hanno preso carta e penna ed hanno querelato il premier presso la Procura della Repubblica di Roma.
Sappiamo tutti che queste cose restano a galla sulla stampa nazionale non più di una settimana, poi si pensa ad altro e si polemizza su una nuova situazione, e via di questo passo, tra una polemica e l’altra.
La magistratura però, pur con il suo passo da tartaruga, continua a fare il proprio corso e il fascicolo di quella denuncia è approdato, solo ora, sul tavolo della Procura di Roma, la quale ha chiesto al Tribunale dei Ministri – competente perché l’accusato è un ministro in carica – di archiviarlo.
Come mai? Perché quando si offende “tutti” alla fin fine non si offende nessuno, insomma era solo una battutaccia e per giunta molto generica, un po’ come quando l’uomo della strada dice “piove, governo ladro!” e non viene certo accompagnato in Questura per offesa a pubblico ufficiale (tali sono i ministri).
Resta da aggiungere che i due parlamentari della “Margherita” hanno prontamente annunciato opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura, affermando – tra l’altro, che “è scandaloso che frasi così offensive non siano state giudicate diffamatorie.”
Pochissimi giornali si sono ricordati l’evento di circa un anno fa e quindi non hanno dato corpo alla sentenza della Procura romana; ma io una mia piccola riflessione la voglio fare:i due deputati non hanno ancora capito che l’operato e le affermazioni del Berlusca non vanno prese di petto, pena fare il suo gioco che è proprio quello di sollevare polveroni su tutto e su tutti.
Come ho già avuto modo di dire, la sua politica – in particolare quella economica – lo sta facendo precipitare nel baratro della sconfitta alle prossime elezioni; unica ancora di salvataggio il “poter parlare di altro” sulla stampa e in televisione, atteggiandosi a “uno di noi” e facendo discorsi da Bar Sport.
Questa tattica la sta già perseguendo per suo conto, se poi c’è qualcuno che gli fornisce, su un piatto d’argento, l’occasione giusta per entrare in una polemica che niente ha di politico, il Cavaliere sono certo che gliene sarà grato.
Questo che cosa significa? Forse che si deve ingoiare tutto quello di rozzo e di impolitico esce dalla sua riverita bocca? Certo che dobbiamo evitare polemiche speciose come quella sull’orologio da 400 milioni che invece era quello regalato al papà con i primi soldi guadagnati e riavuto indietro alla sua morte. Informiamoci prima e non abbocchiamo a tutto quello che – specie all’estero – viene scritto.
Potrebbe essere una tattica giusta anche quella di “non considerarlo” quando non parla di politica (sia essa estera, interna od economica) e solo in tali occasioni replicare con argomenti altrettanto politici.
Altrimenti, ripeto per l’ennesima volta, viene fatto il suo gioco, con tutte le conseguenze che sono facilmente immaginabili!
lunedì, febbraio 21, 2005
Il Capitano Ultimo
Nei giorni scorsi è scoppiata la bomba: la magistratura palermitana rinvia a giudizio il Generale Mori (attuale Capo del SISMI) e il leggendario Capitano Ultimo; dei due, mentre per il primo si conosce tutto (figura esile, portamento eretto, carabiniere dalla testa ai piedi) per il secondo non esiste una immagine fotografica e neppure una registrazione della voce.
Il nostro eroe ha però un sito WEB ed è molto interessante andare a scoprire cosa gli scrive la gente di tutti i giorni: ovviamente si inizia con “tieni duro, sei il nostro eroe” per arrivare fino a “non lasciarti demoralizzare, vinci per noi anche stavolta”.
Confesso subito che sono un ardente seguace del motto “Beato quel Paese che non ha bisogno di eroi”, ma questo capitano dei Carabinieri, passato “in clandestinità” (ovviamente solo per la stampa) fin dal momento che ha iniziato a cercare di catturare il Capo dei Capi – Totò Riina - e c’è rimasto anche dopo averlo catturato, nel lontano 1993, mi desta un grande interesse.
E qui mi riferisco in particolare all’interesse “mediatico” di questa figura, di come la gente possa rimanere attaccata ad un fantasma del quale non conosce né il volto né la voce; ed invece è qui l’errore che facciamo: un volto ed una voce ce lì ha, ed entrambi particolarmente accattivanti, perché sono quelle di Raoul Bova, uno dei belli del nostro cinema, che ha interpretato un serial televisivo dedicato proprio a questo investigatore.
Eppure pensiamo solo per un attimo a quello che deve essere stata – ed è tutt’ora – la vita di questo signore che aveva in passato una sua vita, degli amici, il barista sotto casa che gli faceva uno splendido caffè e via dicendo; improvvisamente tutto questo – oltre ovviamente alla famiglia – scompare nel nulla ed il Capitano diventa una specie di ectoplasma che viene rispolverato solo nei momenti di bisogno: particolari indagini, una pennellata di popolarità e simpatia all’Arma Benemerita, eccetera.
Se non ci fosse stato il rinvio a giudizio per favoreggiamento da parte della Procura palermitana, ci sarebbe stato da pensare seriamente che la figura di Ultimo era una figura virtuale, creata dal nulla e destinata a rientrare nel nulla quando non fosse più servita allo scopo.
Ed invece il personaggio esiste in carne ed ossa e sta passando anche dei guai di una certa serietà: viene infatti accusato – insieme al suo comandante, Mori – di avere ritardato la perquisizione in casa di Riina quel tanto che era servito ai picciotti per sgomberare il covo da tutto il materiale più compromettente, in particolare quello che si riferiva a contatti del boss mafioso con altissimi personaggi politici. Questo atteggiamento avrebbe fatto parte di una sorta di accordo con un altro boss che aveva permesso la cattura di Riina.
Sarà vero oppure no, questo – al momento – mi interessa poco: quello che mi colpisce è che – stando ai messaggi inviati al suo sito – gli italiani sono rimasti al Raoul Bova ed è impensabile che un tale eroe, così bello e così privo di qualunque macchia e di qualunque paura, possa commettere il benché minimo reato, neppure un divieto di sosta.Diceva bene Falcone quando affermava che “quelli che indagano sulla mafia devono avere il coraggio di sporcarsi le mani, altrimenti non si arriva da nessuna parte”; potrebbe darsi quindi che anche il nostro Capitano (ed il Generale) fossero stati “costretti” a scendere a patti con “qualcuno”, pur di raggiungere lo scopo: certo che questo “qualcuno” adesso li tiene in pugno e può giocare delle carte veramente interessanti.
Il nostro eroe ha però un sito WEB ed è molto interessante andare a scoprire cosa gli scrive la gente di tutti i giorni: ovviamente si inizia con “tieni duro, sei il nostro eroe” per arrivare fino a “non lasciarti demoralizzare, vinci per noi anche stavolta”.
Confesso subito che sono un ardente seguace del motto “Beato quel Paese che non ha bisogno di eroi”, ma questo capitano dei Carabinieri, passato “in clandestinità” (ovviamente solo per la stampa) fin dal momento che ha iniziato a cercare di catturare il Capo dei Capi – Totò Riina - e c’è rimasto anche dopo averlo catturato, nel lontano 1993, mi desta un grande interesse.
E qui mi riferisco in particolare all’interesse “mediatico” di questa figura, di come la gente possa rimanere attaccata ad un fantasma del quale non conosce né il volto né la voce; ed invece è qui l’errore che facciamo: un volto ed una voce ce lì ha, ed entrambi particolarmente accattivanti, perché sono quelle di Raoul Bova, uno dei belli del nostro cinema, che ha interpretato un serial televisivo dedicato proprio a questo investigatore.
Eppure pensiamo solo per un attimo a quello che deve essere stata – ed è tutt’ora – la vita di questo signore che aveva in passato una sua vita, degli amici, il barista sotto casa che gli faceva uno splendido caffè e via dicendo; improvvisamente tutto questo – oltre ovviamente alla famiglia – scompare nel nulla ed il Capitano diventa una specie di ectoplasma che viene rispolverato solo nei momenti di bisogno: particolari indagini, una pennellata di popolarità e simpatia all’Arma Benemerita, eccetera.
Se non ci fosse stato il rinvio a giudizio per favoreggiamento da parte della Procura palermitana, ci sarebbe stato da pensare seriamente che la figura di Ultimo era una figura virtuale, creata dal nulla e destinata a rientrare nel nulla quando non fosse più servita allo scopo.
Ed invece il personaggio esiste in carne ed ossa e sta passando anche dei guai di una certa serietà: viene infatti accusato – insieme al suo comandante, Mori – di avere ritardato la perquisizione in casa di Riina quel tanto che era servito ai picciotti per sgomberare il covo da tutto il materiale più compromettente, in particolare quello che si riferiva a contatti del boss mafioso con altissimi personaggi politici. Questo atteggiamento avrebbe fatto parte di una sorta di accordo con un altro boss che aveva permesso la cattura di Riina.
Sarà vero oppure no, questo – al momento – mi interessa poco: quello che mi colpisce è che – stando ai messaggi inviati al suo sito – gli italiani sono rimasti al Raoul Bova ed è impensabile che un tale eroe, così bello e così privo di qualunque macchia e di qualunque paura, possa commettere il benché minimo reato, neppure un divieto di sosta.Diceva bene Falcone quando affermava che “quelli che indagano sulla mafia devono avere il coraggio di sporcarsi le mani, altrimenti non si arriva da nessuna parte”; potrebbe darsi quindi che anche il nostro Capitano (ed il Generale) fossero stati “costretti” a scendere a patti con “qualcuno”, pur di raggiungere lo scopo: certo che questo “qualcuno” adesso li tiene in pugno e può giocare delle carte veramente interessanti.
domenica, febbraio 20, 2005
Il calcetto come lavoro!
Forse qualcuno di voi ricorderà un mio post del novembre scorso che parlava dei controllori di volo dell’aeroporto di Linate rinviati a giudizio in 61 per “truffa” in quanto, durante il normale orario di lavoro, andavano in giro per loro conto, a fare shopping e financo a giocare al calcetto in una squadra messa in piedi tra di loro.
Nei giorni scorsi si è concluso il processo e forse avrete appreso dai mass-media come è andata; vi ricapitolo il dispositivo finale: dei 61 rinviati a giudizio il P.M. ha chiesto il proscioglimento per 25, mentre per i restanti 36 ha richiesto pene variabili tra i 5 mesi e un anno di carcere. Il giudice ha mandato tutti assolti con una sentenza che non ha mancato di sollevare polemiche; non si conosce ancora il dispositivo della sentenza quindi possiamo solo arguire che è stata accolta la tesi difensiva che – tra le altre amenità – recita pressappoco così: poiché il datore di lavoro conosceva l’esistenza della squadra di calcetto, doveva dare per scontato che i giocatori facessero regolari allenamenti e gare e tutto ciò – ovviamente – in orario di lavoro, regolarmente retribuito.
Anche per lo shopping, immagino, si è ragionato allo stesso modo: poiché i dipendenti avevano una famiglia e, comunque, delle esigenze di mangiare, bere, lavarsi, ecc. e per fare queste attività era necessario comprare delle cose, è ovvio che tali acquisti sarebbero stati eseguiti durante il normale orario di lavoro.
Mi sembra di sognare e mi viene da piangere a sentire queste cose che – ripeto – non fanno parte del dispositivo di assoluzione del giudice bensì sono soltanto la tesi difensiva; c ‘è da ritenere però che il magistrato giudicante sia stato favorevolmente influenzato da questo argomentare e l’abbia fatto suo. Comunque staremo a vedere!
Dal canto suo la magistratura, insieme a questa sentenza, non ha mancato di illuminare tutto “il popolo” in nome del quale giudica, con una nuova “perla”: un figlio degenere che picchia a sangue il padre e ne brucia il corpo non ancora defunto, è stato liberato per trascorsi termini di custodia cautelare senza che si sia ancora arrivati al processo; questo anche perché nel frattempo il reato è stato derubricato da omicidio volontario a colposo, per effetto di una mancata totale confessione del reo.
Se ancora assistiamo a queste cose, con processi che vanno in prescrizione per termini trascorsi invano, sarebbe opportuno che qualcuno potesse mettere il becco nell’attività dei singoli magistrati e, quanto meno, indirizzarla a sistemare le cose più urgenti: mi sembra ovvio che – come ognuno di noi – prima si eseguono le cose che vanno a scadenza e dopo le altre.
E soprattutto si cerca di evitare le perdite d tempo con procedimenti che portano il singolo magistrato sui giornali, ma che all’atto pratico realizzano ben poca giustizia: il caso dell’attuale Capo del SISMI (Servizio Segreto) e del leggendario Capitano Ultimo rinviati a giudizio per una cosa avvenuta ben 13 anni fa, quando i due ricoprivano tutt’altro ruolo; indipendentemente dalla ragione o meno, è comunque “un lusso” che forse il nostro apparato giudiziario non si può permettere: indagare ancora su un fatto avvenuto a così tanto tempo di distanza.
E notare bene che l’evento non deve essere chiarissimo, se non riescono trovare un PM che sostenga l’accusa in un eventuale processo, in quanto tutti i magistrati di Palermo sembrano schierati con gli accusati.
Nei giorni scorsi si è concluso il processo e forse avrete appreso dai mass-media come è andata; vi ricapitolo il dispositivo finale: dei 61 rinviati a giudizio il P.M. ha chiesto il proscioglimento per 25, mentre per i restanti 36 ha richiesto pene variabili tra i 5 mesi e un anno di carcere. Il giudice ha mandato tutti assolti con una sentenza che non ha mancato di sollevare polemiche; non si conosce ancora il dispositivo della sentenza quindi possiamo solo arguire che è stata accolta la tesi difensiva che – tra le altre amenità – recita pressappoco così: poiché il datore di lavoro conosceva l’esistenza della squadra di calcetto, doveva dare per scontato che i giocatori facessero regolari allenamenti e gare e tutto ciò – ovviamente – in orario di lavoro, regolarmente retribuito.
Anche per lo shopping, immagino, si è ragionato allo stesso modo: poiché i dipendenti avevano una famiglia e, comunque, delle esigenze di mangiare, bere, lavarsi, ecc. e per fare queste attività era necessario comprare delle cose, è ovvio che tali acquisti sarebbero stati eseguiti durante il normale orario di lavoro.
Mi sembra di sognare e mi viene da piangere a sentire queste cose che – ripeto – non fanno parte del dispositivo di assoluzione del giudice bensì sono soltanto la tesi difensiva; c ‘è da ritenere però che il magistrato giudicante sia stato favorevolmente influenzato da questo argomentare e l’abbia fatto suo. Comunque staremo a vedere!
Dal canto suo la magistratura, insieme a questa sentenza, non ha mancato di illuminare tutto “il popolo” in nome del quale giudica, con una nuova “perla”: un figlio degenere che picchia a sangue il padre e ne brucia il corpo non ancora defunto, è stato liberato per trascorsi termini di custodia cautelare senza che si sia ancora arrivati al processo; questo anche perché nel frattempo il reato è stato derubricato da omicidio volontario a colposo, per effetto di una mancata totale confessione del reo.
Se ancora assistiamo a queste cose, con processi che vanno in prescrizione per termini trascorsi invano, sarebbe opportuno che qualcuno potesse mettere il becco nell’attività dei singoli magistrati e, quanto meno, indirizzarla a sistemare le cose più urgenti: mi sembra ovvio che – come ognuno di noi – prima si eseguono le cose che vanno a scadenza e dopo le altre.
E soprattutto si cerca di evitare le perdite d tempo con procedimenti che portano il singolo magistrato sui giornali, ma che all’atto pratico realizzano ben poca giustizia: il caso dell’attuale Capo del SISMI (Servizio Segreto) e del leggendario Capitano Ultimo rinviati a giudizio per una cosa avvenuta ben 13 anni fa, quando i due ricoprivano tutt’altro ruolo; indipendentemente dalla ragione o meno, è comunque “un lusso” che forse il nostro apparato giudiziario non si può permettere: indagare ancora su un fatto avvenuto a così tanto tempo di distanza.
E notare bene che l’evento non deve essere chiarissimo, se non riescono trovare un PM che sostenga l’accusa in un eventuale processo, in quanto tutti i magistrati di Palermo sembrano schierati con gli accusati.