sabato, giugno 27, 2009
LA CRISI "SGONFIA" IL PALLONE?
Un comparto che non viene preso quasi mai in considerazione per quantificare la crisi che ci attanaglia è quello del mondo del calcio, con le sue spese folli e le “pazzie” dei presidenti sull’onda dell’entusiasmo e dell’incitamento dei tifosi.
A leggere i giornali specializzati e ad ascoltare i soliti “bene informati”, l’andamento della Borsa sembra non avere influito più di tanto sugli emolumenti di giocatori e tecnici: faccio un primo esempio, citando il trasferimento dal Milan al Real Madrid del brasiliano Kaka per 50milioni di euro, con un compenso assicurato al giocatore per i prossimi cinque anni di 10milioni netti all’anno; nota di servizio: quando si dice una cifra “netta” s’intende che la società o comunque il datore di lavoro paga anche le tasse del collaboratore che corrispondono all’incirca alla stessa cifra dell’ingaggio; quindi, così stando le cose, il “costo” viene ad essere quasi raddoppiato; chiaro?
Ma andiamo avanti: lo svedese Ibrahimovic, se dovesse passare dall’Inter al Barcellona, guadagnerebbe 12milioni di euro a stagione (sempre netti; da ora in poi non lo preciserò più), mentre Cassano, in caso di trasferimento dalla Sampdoria all’Inter, avrebbe un contratto di 3.5 milioni l’anno.
Potrei continuare, ma se tra i miei lettori c’è qualcuno interessato al genere, gli consiglio di seguire i quotidiani e le trasmissioni televisive specializzate.
Ma possiamo ancora considerare il gioco del calcio “uno sport”? Io che sono appassionato di cinema, ricordo con nostalgia il barattolo che i protagonisti de “I Vitelloni” di Fellini, fanno rotolare per una strada buia; forse il grande regista ha realizzato questa sequenza seguendo l’immagine poetica che scaturisce da questa frase di Louis Borges, il poeta cieco e visionario: “Dovunque un bambino fa rotolare un barattolo con i piedi, lì comincia, ogni volta, la storia bellissima del calcio”.
Ma allora, mi chiedo e vi chiedo, questo mercato delle vacche così impazzito rappresenta ancora la realtà del “gioco più bello del mondo” oppure ne è una conseguenza tumorale? Eppure, a tenere in piedi tutto il baraccone è “la povera gente”, coloro cioè che si privano di qualcosa per andare a versare nelle casse della società o in quelle della Pay-TV, le cifre occorrenti a far girare questi bilanci che peraltro sono sempre deficitari; mi dicono che le due squadre che hanno disputato a Roma la finale della Coppa dei Campioni – Manchester e Bercellona – hanno dei bilanci con debiti di qualche miliardo di euro!
Ma la ruota continua a girare perché se dovesse fermarsi cadrebbe tutto il giochino che fa campare un sacco di faccendieri, una miriade di procuratori o presunti tali, e tanti “esperti” spalmati tra giornali e televisioni.
Tutti questi personaggi sono coautori del più bello e più miserevole spettacolo del mondo, pieno di genialità e di classe pura nei giocatori e altrettanto ricolmo di teppismo e di cialtroneria; speriamo che venga adottato da noi quanto stabilito dalla normativa, per cui la partita verrà sospesa alla prima rissa tra tifosi, ai primi lanci di petardi (o peggio), ai primi accenni di xenofobia e razzismo.
Ma in tutto questo, dove si trova il “bambino” della frase di Borges? Non certo allo Stadio, perché “è pericoloso”, lì ci sono il padre ed i fratelli che si scazzottano con gli ultras, mentre lui – dalla TV – impara questa stupida lezione.
E allora? Forse, come ultima speranza di rivoltare il mondo, dovremo insegnare ai bambini che non va bene prendere a calci i barattoli e così il gioco del calcio, piano, piano, andrà a finire, ricoperto dai miliardi e dall’ignoranza dei suoi frequentatori.
A leggere i giornali specializzati e ad ascoltare i soliti “bene informati”, l’andamento della Borsa sembra non avere influito più di tanto sugli emolumenti di giocatori e tecnici: faccio un primo esempio, citando il trasferimento dal Milan al Real Madrid del brasiliano Kaka per 50milioni di euro, con un compenso assicurato al giocatore per i prossimi cinque anni di 10milioni netti all’anno; nota di servizio: quando si dice una cifra “netta” s’intende che la società o comunque il datore di lavoro paga anche le tasse del collaboratore che corrispondono all’incirca alla stessa cifra dell’ingaggio; quindi, così stando le cose, il “costo” viene ad essere quasi raddoppiato; chiaro?
Ma andiamo avanti: lo svedese Ibrahimovic, se dovesse passare dall’Inter al Barcellona, guadagnerebbe 12milioni di euro a stagione (sempre netti; da ora in poi non lo preciserò più), mentre Cassano, in caso di trasferimento dalla Sampdoria all’Inter, avrebbe un contratto di 3.5 milioni l’anno.
Potrei continuare, ma se tra i miei lettori c’è qualcuno interessato al genere, gli consiglio di seguire i quotidiani e le trasmissioni televisive specializzate.
Ma possiamo ancora considerare il gioco del calcio “uno sport”? Io che sono appassionato di cinema, ricordo con nostalgia il barattolo che i protagonisti de “I Vitelloni” di Fellini, fanno rotolare per una strada buia; forse il grande regista ha realizzato questa sequenza seguendo l’immagine poetica che scaturisce da questa frase di Louis Borges, il poeta cieco e visionario: “Dovunque un bambino fa rotolare un barattolo con i piedi, lì comincia, ogni volta, la storia bellissima del calcio”.
Ma allora, mi chiedo e vi chiedo, questo mercato delle vacche così impazzito rappresenta ancora la realtà del “gioco più bello del mondo” oppure ne è una conseguenza tumorale? Eppure, a tenere in piedi tutto il baraccone è “la povera gente”, coloro cioè che si privano di qualcosa per andare a versare nelle casse della società o in quelle della Pay-TV, le cifre occorrenti a far girare questi bilanci che peraltro sono sempre deficitari; mi dicono che le due squadre che hanno disputato a Roma la finale della Coppa dei Campioni – Manchester e Bercellona – hanno dei bilanci con debiti di qualche miliardo di euro!
Ma la ruota continua a girare perché se dovesse fermarsi cadrebbe tutto il giochino che fa campare un sacco di faccendieri, una miriade di procuratori o presunti tali, e tanti “esperti” spalmati tra giornali e televisioni.
Tutti questi personaggi sono coautori del più bello e più miserevole spettacolo del mondo, pieno di genialità e di classe pura nei giocatori e altrettanto ricolmo di teppismo e di cialtroneria; speriamo che venga adottato da noi quanto stabilito dalla normativa, per cui la partita verrà sospesa alla prima rissa tra tifosi, ai primi lanci di petardi (o peggio), ai primi accenni di xenofobia e razzismo.
Ma in tutto questo, dove si trova il “bambino” della frase di Borges? Non certo allo Stadio, perché “è pericoloso”, lì ci sono il padre ed i fratelli che si scazzottano con gli ultras, mentre lui – dalla TV – impara questa stupida lezione.
E allora? Forse, come ultima speranza di rivoltare il mondo, dovremo insegnare ai bambini che non va bene prendere a calci i barattoli e così il gioco del calcio, piano, piano, andrà a finire, ricoperto dai miliardi e dall’ignoranza dei suoi frequentatori.
venerdì, giugno 26, 2009
L'ESAME DI MATURITA'
In questi “primi” sei anni di colloquio con i miei lettori non ho mai parlato della “maturità”, autentico banco di prova e primo muro da scavalcare per i giovani; cercherò di ovviare a questa mancanza, attualizzando l’evento iniziato ieri e mettendoci del mio in forma quindi un po’ autobiografica.
Si è cominciato, come di consueto, con i temi di italiano e si è spaziato da Svevo (La coscienza di Zeno) visto in controluce con Freud, al componimento storico “dall’unità d’Italia alla Repubblica”, andando poi ad un tema che avrà conquistato il cuore dei giovani, ed il mio se ci fossi stato: l’abbattimento del muro di Berlino come sinonimo di conquista della libertà; nel campo “saggio breve”, siamo andati da Internet a Facebook, entrambi nell’immaginario dei maturandi.
Tutti dicono che “dimenticare la maturità” è sinonimo di acquisita maturità; se questo è vero significa che io non sono ancora maturo – vecchio sì, maturo no – perché dell’esame ricordo quasi tutto, compreso ciò che l’ha preceduto e cioè la quindicina di giorni utilizzata, insieme ad un amico, per “ripassare” le tante materie che avrebbero fatto oggetto di domande (ai miei tempi, le materie “da portare” all’esame erano tutte quelle dell’ultimo anno di scuola).
In quei famosi quindici giorni non abbiamo imparato niente, ma ci siamo fatti tante risate, siamo stati a giro per la mia città, con la scusa di rilassarci e poi siamo finiti a passare qualche serata in compagnia di qualche donnina allegra (si chiamavano così a quei tempi); però, mano a mano che si avvicinava la data dell’inizio degli esami, il panico la faceva da padrone e ci immaginavamo la nostra figura “barbina” – come si dice dalle mie parti – e i conseguenti voti che avrebbero indotto gli insegnanti a bocciarci; e i genitori a completare l’opera con busse e punizioni vari, questo perché ai miei tempi i professori avevano sempre ragioni, non come adesso che è il contrario.
Io ero carente in inglese mentre andavo “bene e in alcuni casi benissimo” nelle altre materie: quindi il problema era trovare il sistema di ovviare alla mia carenza e l’unico modo era quello di farsi passare il compito; s’imponeva quindi un sopraluogo all’aula predestinata per trovare il posto migliore per ricevere l’elaborato, mentre io mi ero impegnato a far circolare gli altri.
E le ragazzine? Ricordo che all’epoca avevo una piccola storia – qualche bacio e qualche rapido toccamento – con una bella fanciulla bionda, e durante l’anno lei era la luce dei miei occhi, la guardavo sempre, ci scambiavamo ammiccamenti e via di questo passo; in occasione degli esami scritti invece, nemmeno uno sguardo, ognuno per se, ognuno pensava ai propri problemi e la relazione sarebbe ricominciata solo all’uscita dall’aula.
Sono stato promosso con la media dell’otto – la commissione era severa, mi meritavo di più – ed ho avuto i complimenti dei miei insegnanti e della mia famiglia; subito dopo la letture dei risultati, partenza per una breve permanenza a Rimini – dove ricordo di avere fatto strage di cuori – ed al ritorno subito a cercare lavoro e ad iscrivermi all’Università; e, sembra ieri, eccoci qua adesso, dopo cinquant’anni; sembra passato solo il battito di un ciglio ed invece è passata un’esistenza.
Ai giovani impegnati nell’esame dico una cosa sola: assaporate questo momento perché non tornerà e tra qualche anno avrete un forte rimpianto; a me stesso dico che mi impegnerò ogni anno a scrivere qualcosa sulla maturità ed agli amici che mi leggono, spero di avere suscitato dei ricordi sopiti e, in concreto, di averli resi felici.
Si è cominciato, come di consueto, con i temi di italiano e si è spaziato da Svevo (La coscienza di Zeno) visto in controluce con Freud, al componimento storico “dall’unità d’Italia alla Repubblica”, andando poi ad un tema che avrà conquistato il cuore dei giovani, ed il mio se ci fossi stato: l’abbattimento del muro di Berlino come sinonimo di conquista della libertà; nel campo “saggio breve”, siamo andati da Internet a Facebook, entrambi nell’immaginario dei maturandi.
Tutti dicono che “dimenticare la maturità” è sinonimo di acquisita maturità; se questo è vero significa che io non sono ancora maturo – vecchio sì, maturo no – perché dell’esame ricordo quasi tutto, compreso ciò che l’ha preceduto e cioè la quindicina di giorni utilizzata, insieme ad un amico, per “ripassare” le tante materie che avrebbero fatto oggetto di domande (ai miei tempi, le materie “da portare” all’esame erano tutte quelle dell’ultimo anno di scuola).
In quei famosi quindici giorni non abbiamo imparato niente, ma ci siamo fatti tante risate, siamo stati a giro per la mia città, con la scusa di rilassarci e poi siamo finiti a passare qualche serata in compagnia di qualche donnina allegra (si chiamavano così a quei tempi); però, mano a mano che si avvicinava la data dell’inizio degli esami, il panico la faceva da padrone e ci immaginavamo la nostra figura “barbina” – come si dice dalle mie parti – e i conseguenti voti che avrebbero indotto gli insegnanti a bocciarci; e i genitori a completare l’opera con busse e punizioni vari, questo perché ai miei tempi i professori avevano sempre ragioni, non come adesso che è il contrario.
Io ero carente in inglese mentre andavo “bene e in alcuni casi benissimo” nelle altre materie: quindi il problema era trovare il sistema di ovviare alla mia carenza e l’unico modo era quello di farsi passare il compito; s’imponeva quindi un sopraluogo all’aula predestinata per trovare il posto migliore per ricevere l’elaborato, mentre io mi ero impegnato a far circolare gli altri.
E le ragazzine? Ricordo che all’epoca avevo una piccola storia – qualche bacio e qualche rapido toccamento – con una bella fanciulla bionda, e durante l’anno lei era la luce dei miei occhi, la guardavo sempre, ci scambiavamo ammiccamenti e via di questo passo; in occasione degli esami scritti invece, nemmeno uno sguardo, ognuno per se, ognuno pensava ai propri problemi e la relazione sarebbe ricominciata solo all’uscita dall’aula.
Sono stato promosso con la media dell’otto – la commissione era severa, mi meritavo di più – ed ho avuto i complimenti dei miei insegnanti e della mia famiglia; subito dopo la letture dei risultati, partenza per una breve permanenza a Rimini – dove ricordo di avere fatto strage di cuori – ed al ritorno subito a cercare lavoro e ad iscrivermi all’Università; e, sembra ieri, eccoci qua adesso, dopo cinquant’anni; sembra passato solo il battito di un ciglio ed invece è passata un’esistenza.
Ai giovani impegnati nell’esame dico una cosa sola: assaporate questo momento perché non tornerà e tra qualche anno avrete un forte rimpianto; a me stesso dico che mi impegnerò ogni anno a scrivere qualcosa sulla maturità ed agli amici che mi leggono, spero di avere suscitato dei ricordi sopiti e, in concreto, di averli resi felici.
giovedì, giugno 25, 2009
LA CRISI E LE BANCHE
Imputare alle banche una gran parte dei motivi della crisi che attanaglia il mondo intero, è come dire che “l’acqua serve a dissetare la gente” o altre banalità del genere; eppure, nonostante tutte le considerazioni che vengono fatte, nessun provvedimento concreto è stato preso in nessuna parte del mondo, stante – a mio avviso – il fatto che le aziende di credito si trincerano dietro la presenza dei clienti che, al minimo sussulto finanziario, potrebbero perdere tutti i loro capitali.
L’ultima notizia che leggo a proposito delle banche ha dello scandaloso, ma nessuno muove un dito: il 78% dei prestiti bancari va al 10% degli “affidati” e cioè alle “grandi imprese” che però sono i clienti meno affidabili, visto che producono la percentuale di “sofferenze” più elevata; da questi dati si trae la conclusione che al restante 90% dei clienti (piccole e medie imprese, lavoratori autonomi e famiglie) vanno solo le briciole degli impieghi degli istituti di credito e cioè il 22%.
Però le banche sono anche quelle che quando c’è da mettere lo zampino in qualche situazione pericolosa non si tirano certo indietro, tanto “lo zampino” che si brucia non è il loro ma quello della clientela.
Sentite questa: quasi tutti i paesi dell’est europeo sono in grave difficoltà e tra questi, in particolare, ci sono la Lettonia, che è a rischio bancarotta insieme alle altre nazioni baltiche (Estonia e Lituania), nonché la Bulgaria e la Romania.
Ebbene, queste situazioni di gravissima fibrillazione finanziaria, stanno per causare una sorta di “effetto domino”, nel senso che il crollo di questi paesi può trascinarsi appresso quello di altri che, improvvidamente, hanno concesso fido.
Vediamo il meccanismo: al momento i paesi maggiormente a rischio contagio finanziario sono la Svezia e l’Austria; per quanto riguarda il primo, il problema nasce dal fatto che le banche svedesi controllano – da sole – il 50% del mercato del credito lettone, mentre le banche viennesi hanno prestato cifre pari al 70% del Pil austriaco.
Ma non basta: anche altre banche europee e tra esse anche qualcuna italiana, hanno una fortissima esposizione finanziaria calcolata attorno a 1,3 trilioni di euro (con i numeri non riuscirei neppure a scriverlo).
Ovviamente, agganciato al problema della Svezia ci sarà quello delle nazioni legate al paese scandinavo – presumibilmente Danimarca, Norvegia e Finlandia in testa a tutte – mentre per l’Austria si teme per la Germania ed anche per l’Italia, entrambi paesi legati da stretti vincoli finanziari.
Il paese cui abbiamo fatto riferimento principale – la Lettonia – oltre ad avere dati macroeconomici disastrosi, ha una moneta, il “lat”, che dovrebbe essere svalutata almeno del 30% ed ha una situazione debitoria raccapricciante: ha ricevuto nel dicembre scorso un prestito di 7.5 miliardi di euro dall’U.E, e dal Fondo Monetario e, dopo aver pagato la prima rata (si fa sempre così) non ne ha rimborsate più e sembra intenzionata a cessare i pagamenti; anzi, corre voce che l’importo corrisposto appena sei mesi fa non sia sufficiente e quindi si debba provvedere a negoziarne uno nuovo.
Per quanto riguarda le banche, è stato rilevato che quelle svedesi avranno una perdita attorno al 6% del Pil svedese, mentre quelle austriache sono sull’11% del Pil austriaco; e l’effetto contagio ci mostra che anche altri paesi sono rimasti coinvolti: il Belgio con il 3,6% del Pil, l’Olanda il 2,3% e quelle italiane con l’1,5%.
Come si diceva tempo addietro, se le banche si limitassero a fare il proprio mestiere senza invadere la macrofinanza, queste cose non accadrebbero!!
L’ultima notizia che leggo a proposito delle banche ha dello scandaloso, ma nessuno muove un dito: il 78% dei prestiti bancari va al 10% degli “affidati” e cioè alle “grandi imprese” che però sono i clienti meno affidabili, visto che producono la percentuale di “sofferenze” più elevata; da questi dati si trae la conclusione che al restante 90% dei clienti (piccole e medie imprese, lavoratori autonomi e famiglie) vanno solo le briciole degli impieghi degli istituti di credito e cioè il 22%.
Però le banche sono anche quelle che quando c’è da mettere lo zampino in qualche situazione pericolosa non si tirano certo indietro, tanto “lo zampino” che si brucia non è il loro ma quello della clientela.
Sentite questa: quasi tutti i paesi dell’est europeo sono in grave difficoltà e tra questi, in particolare, ci sono la Lettonia, che è a rischio bancarotta insieme alle altre nazioni baltiche (Estonia e Lituania), nonché la Bulgaria e la Romania.
Ebbene, queste situazioni di gravissima fibrillazione finanziaria, stanno per causare una sorta di “effetto domino”, nel senso che il crollo di questi paesi può trascinarsi appresso quello di altri che, improvvidamente, hanno concesso fido.
Vediamo il meccanismo: al momento i paesi maggiormente a rischio contagio finanziario sono la Svezia e l’Austria; per quanto riguarda il primo, il problema nasce dal fatto che le banche svedesi controllano – da sole – il 50% del mercato del credito lettone, mentre le banche viennesi hanno prestato cifre pari al 70% del Pil austriaco.
Ma non basta: anche altre banche europee e tra esse anche qualcuna italiana, hanno una fortissima esposizione finanziaria calcolata attorno a 1,3 trilioni di euro (con i numeri non riuscirei neppure a scriverlo).
Ovviamente, agganciato al problema della Svezia ci sarà quello delle nazioni legate al paese scandinavo – presumibilmente Danimarca, Norvegia e Finlandia in testa a tutte – mentre per l’Austria si teme per la Germania ed anche per l’Italia, entrambi paesi legati da stretti vincoli finanziari.
Il paese cui abbiamo fatto riferimento principale – la Lettonia – oltre ad avere dati macroeconomici disastrosi, ha una moneta, il “lat”, che dovrebbe essere svalutata almeno del 30% ed ha una situazione debitoria raccapricciante: ha ricevuto nel dicembre scorso un prestito di 7.5 miliardi di euro dall’U.E, e dal Fondo Monetario e, dopo aver pagato la prima rata (si fa sempre così) non ne ha rimborsate più e sembra intenzionata a cessare i pagamenti; anzi, corre voce che l’importo corrisposto appena sei mesi fa non sia sufficiente e quindi si debba provvedere a negoziarne uno nuovo.
Per quanto riguarda le banche, è stato rilevato che quelle svedesi avranno una perdita attorno al 6% del Pil svedese, mentre quelle austriache sono sull’11% del Pil austriaco; e l’effetto contagio ci mostra che anche altri paesi sono rimasti coinvolti: il Belgio con il 3,6% del Pil, l’Olanda il 2,3% e quelle italiane con l’1,5%.
Come si diceva tempo addietro, se le banche si limitassero a fare il proprio mestiere senza invadere la macrofinanza, queste cose non accadrebbero!!
mercoledì, giugno 24, 2009
DOPO I BALLOTTAGGI
Da ieri siamo in possesso dei risultati completi delle elezioni amministrative, dopo i ballottaggi di domenica e lunedì, e quindi siamo in grado di trarre alcune riflessioni e fare qualche commento in proposito.
Il primo rilievo è quello sull’affluenza ai seggi e questo ci mostra un dato di poco più del 61%, quasi 15 punti in meno di quello del primo turno; secondo gli esperti del settore, questa astensione avrebbe punito il Pdl molto più del PD, ma sono considerazioni aleatorie, basate su convinzioni che potrebbero essere errate
I dati, invece, che non ammettono tante discussioni sono quelli riguardanti le acquisizioni delle amministrazioni locali: il Pdl ha “strappato” 9 comuni capoluogo e 23 province prima governati dal PD che non ne ha strappate nemmeno una.
Alcune situazioni eclatanti sono state quelle della Provincia di Venezia, storica roccaforte della sinistra passata al centro destra e quella della Provincia di Milano, strappata al PD per una manciata di voti dal Pdl; il PD riesce a confermarsi nelle storiche roccaforti di Bologna e Firenze, ma ne perde una altrettanto storica, Prato, passata dalla parte opposta.
Se facciamo un conto in soldoni – e i politici del centro destra lo hanno fatto e sbandierato – il Pdl, insieme alla Lega, amministrava prima di questa tornata elettorale 5milioni di elettori, mentre adesso ne amministra 21milioni: siamo in presenza di una quadruplicazione, cifra abbastanza importante.
Per cui risulta inconcepibile la battuta di Franceschini – segretario del PD – che ha così commentato: “comincia il declino della destra; c’è stato un risultato positivo e meglio delle aspettative”; facile e scontata la risposta di Berlusconi “mi piace perdere cosi!”.
Franceschini, forse, avrebbe fatto meglio ad andarsi a vedere i buoni risultati ottenuti dal compagno D’Alema nella “sua” Puglia, per merito del laboratorio politico messo in piedi che prevede una sorta di alleanza strategica con l’UDC e legami stretti di volta in colta con formazioni dell’estrema sinistra (non si dimentichi che il Presidente della Regione è Vendola, storico rappresentante delle estreme).
Questa soluzione è però invisa a Tonino Di Pietro che si è affrettato a scagliare l’anatema contro Casini dicendo “o lui o io”; e quindi siamo da capo, anche perché il peso elettorale delle due forze politiche e praticamente uguale e quindi se ne perdi una e ne acquisisci un’altra uguale non c’è un gran guadagno..
Una delle storiche roccaforti perdute dal centro sinistra è stata Sassuolo – detta “Piastrella city” – dove il sindaco , un “margheritino” di professione politico, è stato sconfitto da un avvocato che arriva adesso alla politica ed è stato sostenuto dal Pdl e dalla Lega; da notare che la cittadina emiliana conta 42mila abitanti, ha il 12% di stranieri “irregolari” e altri 5mila clandestini e sta vivendo pesantemente questo periodo di crisi: su 28 mila lavoratori, oltre 8 mila (quasi il 30%) sono in cassa integrazione o hanno contratti di solidarietà e quindi si conferma che la gente che affronta questa situazione critica si fida più del centro destra che del centro sinistra: sembra un paradosso ma è così.
Un ultimo commento: a proposito dell’andamento elettorale: il Direttore dell’Istituto Cattaneo, sostiene che questa continua diminuzione dei votanti ha avuto inizio con il periodo di Tangentopoli ed è continuata con la pubblicazione delle prebende davvero da “casta” della classe politica; le continue modifiche alla legge elettorale hanno fatto il resto, ma i partiti – sempre più autoreferenziali - .sembrano non accorgersene.
Il primo rilievo è quello sull’affluenza ai seggi e questo ci mostra un dato di poco più del 61%, quasi 15 punti in meno di quello del primo turno; secondo gli esperti del settore, questa astensione avrebbe punito il Pdl molto più del PD, ma sono considerazioni aleatorie, basate su convinzioni che potrebbero essere errate
I dati, invece, che non ammettono tante discussioni sono quelli riguardanti le acquisizioni delle amministrazioni locali: il Pdl ha “strappato” 9 comuni capoluogo e 23 province prima governati dal PD che non ne ha strappate nemmeno una.
Alcune situazioni eclatanti sono state quelle della Provincia di Venezia, storica roccaforte della sinistra passata al centro destra e quella della Provincia di Milano, strappata al PD per una manciata di voti dal Pdl; il PD riesce a confermarsi nelle storiche roccaforti di Bologna e Firenze, ma ne perde una altrettanto storica, Prato, passata dalla parte opposta.
Se facciamo un conto in soldoni – e i politici del centro destra lo hanno fatto e sbandierato – il Pdl, insieme alla Lega, amministrava prima di questa tornata elettorale 5milioni di elettori, mentre adesso ne amministra 21milioni: siamo in presenza di una quadruplicazione, cifra abbastanza importante.
Per cui risulta inconcepibile la battuta di Franceschini – segretario del PD – che ha così commentato: “comincia il declino della destra; c’è stato un risultato positivo e meglio delle aspettative”; facile e scontata la risposta di Berlusconi “mi piace perdere cosi!”.
Franceschini, forse, avrebbe fatto meglio ad andarsi a vedere i buoni risultati ottenuti dal compagno D’Alema nella “sua” Puglia, per merito del laboratorio politico messo in piedi che prevede una sorta di alleanza strategica con l’UDC e legami stretti di volta in colta con formazioni dell’estrema sinistra (non si dimentichi che il Presidente della Regione è Vendola, storico rappresentante delle estreme).
Questa soluzione è però invisa a Tonino Di Pietro che si è affrettato a scagliare l’anatema contro Casini dicendo “o lui o io”; e quindi siamo da capo, anche perché il peso elettorale delle due forze politiche e praticamente uguale e quindi se ne perdi una e ne acquisisci un’altra uguale non c’è un gran guadagno..
Una delle storiche roccaforti perdute dal centro sinistra è stata Sassuolo – detta “Piastrella city” – dove il sindaco , un “margheritino” di professione politico, è stato sconfitto da un avvocato che arriva adesso alla politica ed è stato sostenuto dal Pdl e dalla Lega; da notare che la cittadina emiliana conta 42mila abitanti, ha il 12% di stranieri “irregolari” e altri 5mila clandestini e sta vivendo pesantemente questo periodo di crisi: su 28 mila lavoratori, oltre 8 mila (quasi il 30%) sono in cassa integrazione o hanno contratti di solidarietà e quindi si conferma che la gente che affronta questa situazione critica si fida più del centro destra che del centro sinistra: sembra un paradosso ma è così.
Un ultimo commento: a proposito dell’andamento elettorale: il Direttore dell’Istituto Cattaneo, sostiene che questa continua diminuzione dei votanti ha avuto inizio con il periodo di Tangentopoli ed è continuata con la pubblicazione delle prebende davvero da “casta” della classe politica; le continue modifiche alla legge elettorale hanno fatto il resto, ma i partiti – sempre più autoreferenziali - .sembrano non accorgersene.
martedì, giugno 23, 2009
(DIS)INFORMAZIONE
Ricorderete che in Unione Sovietica, la disinformazione era di rigore in quanto la stampa era rigidamente controllata dal partito e su questo campo ebbe inizio la battaglia di Gorbaciov che tirò fuori la parola “glasnost” che significa appunto “trasparenza”; inforcando questo cavallo diede inizio alla sua battaglia per ottenere una sempre maggiore libertà in Russia: si potrebbe dire che adesso i giornali sono tutti nelle mani dei multimiliardari russi (alcuni mafiosi pure) e possono dire solo le cose che piacciono ai loro padroni, ma lasciamo perdere!!
Ma quando parlo di (dis)informazione, mi riferisco solo marginalmente alla vicenda dell’allora URSS e provo a trovare qualche esempio nella nostra “liberissima stampa quotidiana”: faccio bene a chiamarla liberissima??
A questo proposito mi è caduto l’occhio su una notizia che “tutti” i giornali presentano con titoli molto simili ma soprattutto con impaginazione e uso delle tabelle identico: l’Italia ha il record europeo delle tasse che gravano gli stipendi; la notizia è “strillata” in pagina economica ma ha anche richiami in quella politica ed è suffragata da una accattivante tabella che mostra una statistica nella quale si evidenziano, con strisce più o meno lunghe, le varie nazioni europee in successione decrescente, da quella che ha la tassazione più alta a quella che ce l’ha più bassa.
Così si parte dall’Italia (44,0%) e si scende fino all’Irlanda che presenta un 25,7%; all’interno di questi due valori si trovano tutte le altre nazioni.
Primo problema: di chi è la fonte di questa tabella? Si legge essere l’Eurostat, cioè l’ente europeo che si occupa delle rilevazioni statistiche, struttura degna di fede e direi totalmente affidabile.
Secondo problema: qual è il periodo di riferimento preso per comporre questa tabella? Si legge che i valori sono riferiti al 2007, cioè due anni fa; ora, tutti voi sapete che in politica, ma anche in economia, due anni sono come due secoli e presentare dati e cifre riferitii a due anni addietro non ha molto valore, ma tant’è! Per noi italiani in particolare, significano veramente poco, in quanto tali valori non sono imputabili direttamente al governo attuale (entrato in carica nel giugno 2008) ma a quello precedente cioè all’accoppiata Prodi-Visco.
Ma questo aspetto della notizia chi lo nota? Solo chi legge i giornali quasi “per mestiere” come faccio io e altri, ma la stragrande maggioranza si limita a leggere i titoli degli articoli e, in questo caso in cui la tabella è particolarmente fatta bene, a scorrerne i dati più significativi; che il valore si riferisca a due anni addietro, è accennato solo di sfuggita nel corpo dell’articolo e sopra alla tabella dei valori, quindi non è facile a trovarsi, direi che viene notato da una percentuale assai bassa di lettori.
Ma c’è di più; il sotto-titolo dell’articolo è: “ Eurostat: il fisco italiano pesa per il 44%” il che, in forma inconscìa, comunica che “adesso” il fisco italiano pesa per il 44%; ovviamente io non so quanto “adesso” sia il peso del fisco italiano sul lavoratore, ma la tabella che mi fornisce i dati di riferisce a due anni fa; il giornalista – se avesse voluto essere completo – avrebbe dovuto fare una sua ricerca (più faticosa che discettare su una tabellina fornita) e dire che “adesso” il fisco italiano pesa allo stesso modo del 2007 oppure fornire i dati aggiornati.
Perché non l’ha fatto, o meglio: perché nessuno di quelli che ho letto lo hanno fatto? Non è facile dare una risposta, ma penso che ci sia un concorso di motivazioni, la prima della quale è la “faciloneria” (male tipico dei giornalisti) e la seconda è che ……
Ma quando parlo di (dis)informazione, mi riferisco solo marginalmente alla vicenda dell’allora URSS e provo a trovare qualche esempio nella nostra “liberissima stampa quotidiana”: faccio bene a chiamarla liberissima??
A questo proposito mi è caduto l’occhio su una notizia che “tutti” i giornali presentano con titoli molto simili ma soprattutto con impaginazione e uso delle tabelle identico: l’Italia ha il record europeo delle tasse che gravano gli stipendi; la notizia è “strillata” in pagina economica ma ha anche richiami in quella politica ed è suffragata da una accattivante tabella che mostra una statistica nella quale si evidenziano, con strisce più o meno lunghe, le varie nazioni europee in successione decrescente, da quella che ha la tassazione più alta a quella che ce l’ha più bassa.
Così si parte dall’Italia (44,0%) e si scende fino all’Irlanda che presenta un 25,7%; all’interno di questi due valori si trovano tutte le altre nazioni.
Primo problema: di chi è la fonte di questa tabella? Si legge essere l’Eurostat, cioè l’ente europeo che si occupa delle rilevazioni statistiche, struttura degna di fede e direi totalmente affidabile.
Secondo problema: qual è il periodo di riferimento preso per comporre questa tabella? Si legge che i valori sono riferiti al 2007, cioè due anni fa; ora, tutti voi sapete che in politica, ma anche in economia, due anni sono come due secoli e presentare dati e cifre riferitii a due anni addietro non ha molto valore, ma tant’è! Per noi italiani in particolare, significano veramente poco, in quanto tali valori non sono imputabili direttamente al governo attuale (entrato in carica nel giugno 2008) ma a quello precedente cioè all’accoppiata Prodi-Visco.
Ma questo aspetto della notizia chi lo nota? Solo chi legge i giornali quasi “per mestiere” come faccio io e altri, ma la stragrande maggioranza si limita a leggere i titoli degli articoli e, in questo caso in cui la tabella è particolarmente fatta bene, a scorrerne i dati più significativi; che il valore si riferisca a due anni addietro, è accennato solo di sfuggita nel corpo dell’articolo e sopra alla tabella dei valori, quindi non è facile a trovarsi, direi che viene notato da una percentuale assai bassa di lettori.
Ma c’è di più; il sotto-titolo dell’articolo è: “ Eurostat: il fisco italiano pesa per il 44%” il che, in forma inconscìa, comunica che “adesso” il fisco italiano pesa per il 44%; ovviamente io non so quanto “adesso” sia il peso del fisco italiano sul lavoratore, ma la tabella che mi fornisce i dati di riferisce a due anni fa; il giornalista – se avesse voluto essere completo – avrebbe dovuto fare una sua ricerca (più faticosa che discettare su una tabellina fornita) e dire che “adesso” il fisco italiano pesa allo stesso modo del 2007 oppure fornire i dati aggiornati.
Perché non l’ha fatto, o meglio: perché nessuno di quelli che ho letto lo hanno fatto? Non è facile dare una risposta, ma penso che ci sia un concorso di motivazioni, la prima della quale è la “faciloneria” (male tipico dei giornalisti) e la seconda è che ……
lunedì, giugno 22, 2009
L'INFORMAZIONE
L’overdose di notizie che giornalmente ci piomba addosso dovrebbe far sì che il cittadino di questa nostra società sia veramente “informato”, nel senso che conosca tutti i fatti e quindi assuma le sue decisioni sulla base di queste conoscenze, vero assioma della formazione del pensiero dell’uomo.
In realtà, quando si parla di “overdose” si cita una situazione patologicamente malata e quindi non affidabile sotto il profilo della autentica conoscenza; ma del resto, basta fare mente locale a come si compone tecnicamente un giornale o un telegiornale, per dire che siamo ben lontani dall’effettiva conoscenza di ciò che avviene intorno a noi.
Dunque, teniamo presente che in ogni redazione – sia di giornale che di telegiornale – affluisce, attraverso le tante Agenzie mondiali, una massa di notizie che non potrebbe essere contenuta in nessun quotidiano e neppure in nessun TG.
Per cui, a questo punto avviene la prima operazione che sposta l’asse dell’informazione dalla parte della comunicazione cioè su “cosa voglio dire”:i responsabili della redazione debbono scegliere tra questa gran massa di notizie quelle che a ciascuno di loro interessa far conoscere ai propri lettori o telespettatori.
Ma questa scelta porta a far sì che tutte le impaginazioni e tutte le prime notizie televisive siano le stesse? In parte è vero, salvo i casi in cui ci siano mezzi d’informazione dichiaratamente “di parte” che quindi seguono una loro linea di attacco o di difesa di questo o quel personaggio.
Comunque, salvo queste situazioni particolari – ma non troppo – il resto agisce come già anni addietro osservava un “principe dei reporter” come Kapuscinski: “i media si spostano sul globo terrestre in massa, si incontrano tutti nello stesso unico posto e in quello si fermano e lavorano; intanto il resto del mondo sprofonda nella nebbia”.
Già, perché se una certa informazione non ci proviene dai canali a cui noi siamo abituati, non esiste, quel fatto non è mai avvenuto e via di questo passo; quindi è facile comprendere che il venire in possesso o meno di una certa informazione ha importanza decisiva per la nostra presa di coscienza.
E questo fenomeno della conoscenza di questo o di quell’evento pare addirittura radicalizzarsi nella nostra attuale epoca di comunicazione globale, fino al punto che qualcuno arriva ad affermare che siamo in presenza di un così grande bombardamento di notizie che alla fine riesce difficile orientarsi e “scegliere” quelle che mi servono, per cui possiamo far nostro un ossimoro del genere: il massimo dell’informazione coincide con il massimo della disinformazione.
Come esemplificazione possiamo prendere a modello una situazione che è ormai diventata ricorrente: la violenza nelle strade, contro gli anziani e le donne; se ci fate caso, queste notizie hanno una sorta di ciclicità che dura un certo periodo di tempo, per poi scomparire e riapparire dopo un alcuni giorni e via di questo passo.
Eppure le manifestazioni di violenza che portano ad invocare “maggiore sicurezza” avvengono sempre, ma sui quotidiani ed alla TV se ne parla “non sempre”; questo è un problema di scelta della notizia da dare che, sia per motivi di spazio o per altri interessi, diventa sintomatico di quanto prima affermato: anche se l’evento tragico avviene sotto i nostri occhi ma i mass media non ne parlano, non esiste!!
Questa è la nostra tragica condizione di forzati dell’informazione, alla quale è vano cercare di ribellarsi: ormai il gioco è questo e dobbiamo seguirlo!!
In realtà, quando si parla di “overdose” si cita una situazione patologicamente malata e quindi non affidabile sotto il profilo della autentica conoscenza; ma del resto, basta fare mente locale a come si compone tecnicamente un giornale o un telegiornale, per dire che siamo ben lontani dall’effettiva conoscenza di ciò che avviene intorno a noi.
Dunque, teniamo presente che in ogni redazione – sia di giornale che di telegiornale – affluisce, attraverso le tante Agenzie mondiali, una massa di notizie che non potrebbe essere contenuta in nessun quotidiano e neppure in nessun TG.
Per cui, a questo punto avviene la prima operazione che sposta l’asse dell’informazione dalla parte della comunicazione cioè su “cosa voglio dire”:i responsabili della redazione debbono scegliere tra questa gran massa di notizie quelle che a ciascuno di loro interessa far conoscere ai propri lettori o telespettatori.
Ma questa scelta porta a far sì che tutte le impaginazioni e tutte le prime notizie televisive siano le stesse? In parte è vero, salvo i casi in cui ci siano mezzi d’informazione dichiaratamente “di parte” che quindi seguono una loro linea di attacco o di difesa di questo o quel personaggio.
Comunque, salvo queste situazioni particolari – ma non troppo – il resto agisce come già anni addietro osservava un “principe dei reporter” come Kapuscinski: “i media si spostano sul globo terrestre in massa, si incontrano tutti nello stesso unico posto e in quello si fermano e lavorano; intanto il resto del mondo sprofonda nella nebbia”.
Già, perché se una certa informazione non ci proviene dai canali a cui noi siamo abituati, non esiste, quel fatto non è mai avvenuto e via di questo passo; quindi è facile comprendere che il venire in possesso o meno di una certa informazione ha importanza decisiva per la nostra presa di coscienza.
E questo fenomeno della conoscenza di questo o di quell’evento pare addirittura radicalizzarsi nella nostra attuale epoca di comunicazione globale, fino al punto che qualcuno arriva ad affermare che siamo in presenza di un così grande bombardamento di notizie che alla fine riesce difficile orientarsi e “scegliere” quelle che mi servono, per cui possiamo far nostro un ossimoro del genere: il massimo dell’informazione coincide con il massimo della disinformazione.
Come esemplificazione possiamo prendere a modello una situazione che è ormai diventata ricorrente: la violenza nelle strade, contro gli anziani e le donne; se ci fate caso, queste notizie hanno una sorta di ciclicità che dura un certo periodo di tempo, per poi scomparire e riapparire dopo un alcuni giorni e via di questo passo.
Eppure le manifestazioni di violenza che portano ad invocare “maggiore sicurezza” avvengono sempre, ma sui quotidiani ed alla TV se ne parla “non sempre”; questo è un problema di scelta della notizia da dare che, sia per motivi di spazio o per altri interessi, diventa sintomatico di quanto prima affermato: anche se l’evento tragico avviene sotto i nostri occhi ma i mass media non ne parlano, non esiste!!
Questa è la nostra tragica condizione di forzati dell’informazione, alla quale è vano cercare di ribellarsi: ormai il gioco è questo e dobbiamo seguirlo!!