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sabato, novembre 01, 2008

I PRIVILEGI 

Anzitutto, assistiti dal fido Devoto-Oli, cerchiamo di dare l’esatta definizione del termine privilegi: “vantaggio speciale che può essere attribuito a una o più persone e che consente di sottrarsi a determinati obblighi”; questo è quanto ci riporta il dizionario, ma possiamo aggiungere che tutti coloro che hanno per qualche ragione uno o più privilegi, non sanno poi come farne a meno considerandoli ormai delle realtà acquisite.

E adesso scegliamo degli esempi che ci illustrino questa situazione: il primo che mi viene in mente è quello dei sindacati (confederali e autonomi), i quali – da tempo immemorabile in possesso di un privilegio - lo considerano ormai come un fatto acquisito: mi riferisco alle 45.000 giornate lavorative delle quali avevano il pieno diritto in qualità di “permessi sindacali” in Alitalia.

Se facciamo due conti, vediamo che 45.000 giornate lavorative, rapportate ad un anno che ha all’incirca 230/250 giorni lavorativi mi comporta una brigata di 200 persone circa che è a disposizione dei sindacati e dei fatti propri e non dell’azienda; la nuova cordata che sta rilevando Alitalia ha proposto l’abbassamento del numero delle giornate lavorative a 3.500, ma i sindacati – specie gli autonomi – non ci sentono da quell’orecchio: ormai si sono abituati a quel tetto e con meno ore non possono proprio fare il proprio lavoro, o i propri interessi (partite a tennis, tornei di calcetto, ecc.).

Un altro privilegio: il Rettore dell’Università di Siena è ormai aduso a comportarsi come un “Re”, con tutti i diritti del mondo e nessun dovere, ed infatti ha creato in questi ultimi anni un buco di 250milioni di euro; come si fa, direte voi, a sommare questa montagna di debiti senza accorgersi del baratro nel quale stava scivolando l’Ateneo? È molto semplice, basta comportarsi con la convinzione che il denaro è fatto per essere speso e quindi ci possiamo dotare di oltre 100 bibliotecari, oltre 1000 dipendenti amministrativi e – ciliegina sulla torta – prendere in affitto per quasi 150mila euro l’anno un appartamento con vista su Piazza del Campo, all’unico scopo di invitare amici e parenti a vedere il Palio che – come è noto – si corre due volte l’anno.

E non si vada a dirgli che è stato speso troppo e male, perché anche lui, da quell’orecchio non ci sente: spendere è un suo privilegio e lui lo ha assolto in pieno.

Ho già detto altre volte che nel mondo del lavoro ci sono due sole categorie che non hanno l’obbligo di documentare l’entrata e l’uscita dal proprio posto e cioè i magistrati ed i professori universitari: entrambi hanno “il privilegio” di venire al lavoro quando vogliono e di trattenersi per il tempo che ritengono necessario. Punto e basta.

Il Ministro Brunetta, nella sua furia iconoclasta di far rispettare le regole, ha deciso di mettere i tornelli (barriere che si aprono solo con la marcatura di un cartellino) nei Tribunali e nelle Procure ed ecco che le Associazioni dei Magistrati si sono subito scatenate per non perdere il privilegio e continuare a fare il proprio comodo: hanno asserito che molto lavoro il magistrato lo svolge a casa propria; la battuta è in testa alla classifica sulle maggiori bufale dell’anno.

Spero di avere reso l’idea di cosa è un privilegio, ma adesso voglio rivolgermi ai “principi del privilegio” e cioè ai parlamentari tutti, per chiedere loro se in questo momento nel quale il Paese è chiamato a tirare la cinghia e ogni giorni assistiamo ad un “taglio” (non sempre doloroso) delle spese di quel ministero o di quella amministrazione, non sarebbe opportuno che il buon esempio venisse da coloro che stanno ai vertici e che, dopo aver sancito tagli ed eliminazioni di spese, continuano a crogiolarsi nei propri sfacciati privilegi, degni di una corte borbonica??


giovedì, ottobre 30, 2008

LE PREFERENZE 

Tra le varie polemiche che dividono – come è giusto che sia – la maggioranza dall’opposizione, c’è la ventilata riforma delle legge elettorale per le “europee”, dandogli un’impronta, secondo il centro destra, simile a quella attuale di Camera e Senato e invece facendola tutta diversa, secondo il centro sinistra.

Principale motivo del contendere sembra essere quello della indicazione sulla scheda del nominativo di coloro che poi la gente può “scegliere” e quindi – in caso di vittoria del proprio partito – essere eletti.

In gergo politico si chiamano “preferenze” e dovrebbero dare un maggior contenuto di democraticità alle elezioni; e qui siamo a chiederci una cosa assai semplice: ma questa democrazia interessa a tutti i partiti oppure sono più propensi ad optare per il potere a qualunque costo?

A parole sembrerebbero tutti votati anima e corpo alla causa della “democrazia”, ma poi nella situazione concreta si vedono strane cose; una su tutte è l’esempio che posso portare nella mia Regione, dove le due compagini politiche sono sui fronti opposti rispetto alla situazione nazionale: il centro sinistra ha promulgato una legge che abolisce le “preferenze” e questa normativa è accanitamente combattuta dall’opposizione di centro destra; ma allora come si conciliano queste diverse posizioni su una cosa che dovrebbe essere uguale sia al centro che alla periferia e cioè il maggior conferimento possibile della “democrazia” alla tornata elettorale.

Sulla vicenda pesa anche la solita “moral suasion”, cioè l’affermazione del Presidente della Repubblica che una tale legge deve essere condivisa da “quasi” tutto il Parlamento; tale concetto non mi riesce proprio di afferrarlo: ma come si fa ad andare d’accordo su qualcosa se non ci si incontra su niente? E poi, ditemi cosa succede se questo accordo non si trova? Resta la norma in vigore, la quale prevede le preferenze ma anche l’assenza di qualsiasi sbarramento, per cui largo a gruppi e gruppuscoli.

Già, ma è proprio questo il tasto che userà la maggioranza per premere sull’opposizione, in quanto l’uso dell’attuale normativa per le prossime elezioni porterà, presumibilmente ad una emorragia di voti del PD verso Di Pietro e, soprattutto, verso i piccoli partiti dell’ultra sinistra che attualmente sono fuori dal Parlamento (con grande giubilo della componente diessina): entrambe queste situazioni porteranno Veltroni sotto il livello di sopravvivenza della propria segreteria, con gravi rischi di stabilità anche per l’intero Paese che già si trova inguaiato per proprio conto.

Inoltre, l’attuale legge, ha la possibilit6à di scegliere le preferenze e quindi all’interno del PD si scatenerà la lotta tra le correnti ex diessine e quelle ex DC, con risultati facilmente prevedibili per la leadership; ovviamente tale situazione avverrà anche nella attuale maggioranza, tra Forza Italia e AN, ma qui abbiamo un leader che sembra – almeno per ora – ben visto da entrambe le forze politiche e quindi “più forte”.

Tutto questo in nome della presunta democrazia che alligna nelle nostre istituzioni o almeno che dovrebbe esserci; a questo proposito mi piace chiudere questo mio intervento con un breve cenno alle elezioni americane: come consideriamo la spesa da parte di Obama di circa 20 milioni di dollari (soldi trovati da lui e non statali!!) per un maxi spot di 30 minuti che è stato passato proprio ieri in contemporanea su cinque network (l’unica che si è dissociata è la CNN)? Cosa c’entra con la democrazia? Eppure gli Stati Uniti vengono portati ad esempio della democrazia: pensate se questo fosse accaduto da noi cosa sarebbe successo? Meditiamo, gente, meditiamo!

martedì, ottobre 28, 2008

ANCORA SULLA SCUOLA 

Qualche sprovveduto dell’estrema sinistra ha immaginato che le manifestazioni contro il Decreto Gelmini sulla scuola – che entrerà in vigore tra un anno – fossero i prodromi di una bella e santa rivoluzione; evidentemente il sessantottino, durante quelle manifestazioni deve essere stato malato, tante sono le differenze con quelle di adesso.

Nel 1968 la rivolta fu a livello mondiale e tutta centrata sulla lotta “all’autorità” che, nel caso degli studenti, era identificata nel corpo docente che, infatti, era l’obiettivo primario di slogan e sberleffi.

Nel 2008, invece, si ha una situazione diametralmente opposta: il corpo docente che “prega” i propri studenti di protestare per i tagli che avverranno nelle prebende di insegnanti e compagnia bella: mi sembra che la differenza sia evidente e di non poco conto: come dire? Dov’è l’anelito rivoluzionario?

Nel 1968 c’era una solidarietà totale di tutti gli studenti che manifestavano, mentre adesso si hanno già i primi movimenti “scissionisti”, di ragazzi cioè che vogliono rientrare in classe per studiare; forse capiscono che in questa società altamente competitiva, andrà avanti chi saprà certe cose oppure il figlio dell’amico del socio di tizio: coloro che non hanno amicizie di tale lignaggio, vogliono vedere di andare avanti ugualmente con le proprie forze, ma hanno bisogno di studiare per apprendere e - come si diceva una volta – per crescere.

Ma e gli insegnanti? Essi mi sembrano molto avulsi dal problema “insegnamento” e sono invece assai presi dai propri problemi: quale avanzamento di carriera? Che tipo di pensione? Ci taglieranno mica lo stipendio! Insomma, roba di questo genere, cose che conflittano assai con la fresca spiritualità dei giovani che sono sempre – o quasi – mossi da interessi non esclusivamente individualistici.

Sull’onda delle prime contromanifestazioni volte ad ottenere il rientro in classe, mi sono chiesto come si stanno comportando i “genitori dell’opposizione”, coloro cioè che da una parte debbono combattere una normativa partorita dalla maggioranza e dall’altra hanno i figli che sono sulla strada per diventare ancora più somari di quello che erano poco tempo fa.

Ma il dilemma mi è stato risolto da un quotidiano che ha pubblicato la posizione educativa, diciamo così, di una serie di big della sinistra; ho atteso qualche giorno prima di farmi megafono, poi – visto che non ho letto di nessuna smentita – ve ne rendo partecipi, caso mai vi fosse sfuggito.

Michele Santoro, reuccio della contraerea di sinistra contro gli aerei del governo, ha la propria figlia che studia “serenamente” in un lussuoso liceo dove si parla addirittura esclusivamente in francese; Rutelli ha scelto per le due figlie un liceo privato ed un prestigioso istituto, ma possiamo continuare con due “madri di sinistra” e vedere come si comportano: l’Anna Finocchiaro usufruisce di scuole private catanesi e la vezzosa Giovanna Meandri di un istituto a pagamento.

E ti credo che se ne fregano se i ragazzi perdono ore ed ore di lezione! Tanto non sono mica i suoi che al contrario se ne stanno calmi e pacifici a preparare con cura il loro futuro.

Un’ultima notizia: sapete chi c’è in questa pletora di gente che non usa le scuole pubbliche? Addirittura il guru della sinistra, il re dei girotondi, il grande Nanni Moretti, la cui figlia frequenta la scuola privata americana di Roma: quando si dice la coerenza!!


domenica, ottobre 26, 2008

FRA INTEGRAZIONE E RAZZISMO 

Un centro di ricerche demografiche – l’Eures – ha prodotto uno studio sulle forme di integrazione di un certo numero (1.105) di stranieri “regolarmente” in Italia; la ricerca si è basata su un campione assolutamente casuale di cui il 55% è rappresentato da uomini e il 45% da donne; che cosa è saltato fuori: anzitutto che l’83% degli intervistati ha un lavoro, in gran parte subordinato e si è dichiarato “molto” o “abbastanza” soddisfatto del rapporto con i colleghi.

Ma il punto dolente deve ancora venire fuori: il 66% degli intervistati ha dichiarato di avere lavorato “in nero” e – buona parte di loro – afferma che tale condizione continua tuttora; ma c’è di più, in quanto un terzo di loro rivela che è “regolare” come presenza, ma è assunto senza contributi e senza una busta paga, quindi è costretto – ai fini della permanenza in Italia – a pagarsi di tasca propria i contributi: ricorderete che varie volte ho sostenuto come le dichiarazioni di alcuni industriali sulla “necessità” di fare arrivare questi lavoratori, rivelavano una volontà del “padrone” di inquadrare degli schiavi nella propria azienda, trasformandosi così da imprenditore a schiavista.

Ma torniamo alla nostra ricerca; ovviamente al primo posto negli obiettivi di questi immigrati è la legalità e la regolarità dei contratti di lavoro (64% di risposte), mentre al secondo posto emerge la sicurezza sui luoghi di lavoro a pari merito con le tutele sociali; infatti, per sostenere queste rivendicazioni, l’80% degli intervistati si auspica la nascita di un sindacato dei lavoratori stranieri in Italia, non ritenendo evidentemente sufficiente e incisiva la tutela dei sindacati confederali; e per concludere, l’80% sarebbe disposto a scioperare.

Facciamo un momento mente locale su cosa significa questo concetto “scioperare”: vi rendete conto che le badanti, addette agli anziani, metterebbero in grave crisi un altissimo numero di famiglie ed altrettanto farebbero gli addetti all’agricoltura (varie raccolte), nonché quelli dei ristoranti e alberghi (sguatteri e facchini) e delle costruzioni (manovali); pensiamoci un attimo e, dopo aver fatto gli scongiuri, smettiamo di considerarli come “schiavi” e guardiamoli come “collaboratori”..

Come si può vedere questi immigrati non hanno paura dei nostri atteggiamenti razzistici ma delle cose concrete che avvengono nel mondo del lavoro; per il razzismo – o presunto tale – ci sono due notizie che in certo qual modo si legano: il primo episodio è avvenuto nelle vicinanze di Genova, dove un venticinquenne italiano ha aggredito un diciannovenne di origine albanese e l’ha colpito violentemente alla testa con un manganello telescopico di ferro, riducendolo in fin di vita.

L’altro episodio si è svolto a Ragusa, dove due minorenni hanno preso a calci e pugni un somalo mandandolo all’ospedale con prognosi riservata: sapete chi sono gli aggressori? Due minorenni, come detto sopra, ma di origine romena.

Eccolo quindi il legame: se volessimo stare alle origini di aggressori e aggrediti, avremmo una situazione assai complessa, in quanto alcune etnie (provenienza dall’Europa dell’Est) risulterebbero sia come aggrediti che come aggressori, mentre l’africano è solo vittima e l’italiano è soltanto aggressore; ma questa “classifica” ha un senso solo in quanto indica che sia noi che gli immigrati siamo nello stesso calderone dal quale si esce soltanto con una robusta dose di “conoscenza reciproca”, senza la quale tutto si complica e finisce in questa lotta tra poveri, nella quale ci siamo anche noi, se non altro in qualità di “poveri di spirito” che, come recita il Vangelo, è la peggiore povertà.


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