giovedì, agosto 03, 2006
ANCORA DUE PAROLE SU NOI E I NOSTRI GIOVANI
Dopo il post di ieri sul rapporto con i nostri figli, vorrei ampliare un poco il discorso e spendere qualche parola sul “sistema educativo” dei genitori dei nostri tempi: diciamo subito che per guidare un’auto lo Stato esige una patente, ma per tirare su un figlio non occorre assolutamente niente.
Senza parlare poi della presenza della televisione con i suoi stereotipi tutti assolutamente negativi, ma dei quali pochissimi genitori si rendono conto della estrema nocività.
Ed allora parliamo di uno di questi “esempi” che ci viene veicolato attraverso uno spot televisivo di un noto gestore di telefonia mobile: l’interprete maschile del commercial è il giovane Muccino, fratello del più celebre regista che proprio in questi ultimi tempi ha mollato moglie e figlio di un anno per mettersi con la Canalis, sì, ricordate bene, proprio la ex di Vieri: uno stereotipo che ritorna, la velina e il calciatore.
Ma torniamo allo spot: in una chiesa abbiamo due sposi in procinto di pronunciare il fatidico si – lei una bella biondina, lui un ragazzo normale – quando squilla il cellulare della donna e sul display appare la parola NO e sarà questo il monosillabo che la ragazza scandisce al sacerdote allibito e, subito dopo se ne esce dalla chiesa per montare su una motocicletta guidata da un giovane non proprio bellissimo, anzi anche un po’ sudicio e in arretrato con il bagno.
I due se ne fuggono e lasciano intendere ai telespettatori che attraverso “quel” cellulare che regala telefonate e messaggini, è stata salvata una unione che probabilmente non sarebbe stata felice.
Domandiamoci alcune cosette che lo spot non spiega: il giovane misterioso e la ragazza bionda si conoscevano da prima? E in caso positivo, cosa c’era stato tra i due? Perché la bionda aveva scelto di convolare a nozze con il ragazzo “normale” a danno dello sdrucito Muccino?
Tutte queste sono domande che possiamo farci soltanto se riusciamo a non essere schiavi delle comunicazioni alonate delle quali è pieno il commercial; infatti tutta la narrazione “sembra” normale, tutto l’atteggiamento dei due giovani “sembra” naturale, ma questo effetto si ha soltanto per merito (o colpa) dell’immagine che ci rende naturale un qualcosa che naturale non è affatto.
E allora come comportarsi? Non è facile rispondere, perché bisogna essere sia psicologi che semiologi, cioè bisogna comprendere che l’atteggiamento dei ragazzi è questo per effetto di alcuni stereotipi che sono diventati “di moda”: il primo è quello che i ragazzi si comportano in un certo modo…”perché si”, cioè non sanno, nella maggior parte dei casi, il motivo delle loro scelte, però – se le fanno loro – vuol proprio dire che sono giuste.
E poi c’è l’aspetto semiologico, cioè la lettura e decodifica del segno, operazione che se fatta bene, porta il fruitore dell’immagine a comprendere appieno l’idea dell’autore; ma chi è in grado di affrontare questa operazione? Ben pochi si rendono conto che l’immagine ha un suo linguaggio e che questo ha una sua tipicità che, se non compresa appieno, ci rende tutti “analfabeti”.
E in questa condizione cosa volete che si possa insegnare ai nostri giovani? Soltanto il nostro fallimento!
Senza parlare poi della presenza della televisione con i suoi stereotipi tutti assolutamente negativi, ma dei quali pochissimi genitori si rendono conto della estrema nocività.
Ed allora parliamo di uno di questi “esempi” che ci viene veicolato attraverso uno spot televisivo di un noto gestore di telefonia mobile: l’interprete maschile del commercial è il giovane Muccino, fratello del più celebre regista che proprio in questi ultimi tempi ha mollato moglie e figlio di un anno per mettersi con la Canalis, sì, ricordate bene, proprio la ex di Vieri: uno stereotipo che ritorna, la velina e il calciatore.
Ma torniamo allo spot: in una chiesa abbiamo due sposi in procinto di pronunciare il fatidico si – lei una bella biondina, lui un ragazzo normale – quando squilla il cellulare della donna e sul display appare la parola NO e sarà questo il monosillabo che la ragazza scandisce al sacerdote allibito e, subito dopo se ne esce dalla chiesa per montare su una motocicletta guidata da un giovane non proprio bellissimo, anzi anche un po’ sudicio e in arretrato con il bagno.
I due se ne fuggono e lasciano intendere ai telespettatori che attraverso “quel” cellulare che regala telefonate e messaggini, è stata salvata una unione che probabilmente non sarebbe stata felice.
Domandiamoci alcune cosette che lo spot non spiega: il giovane misterioso e la ragazza bionda si conoscevano da prima? E in caso positivo, cosa c’era stato tra i due? Perché la bionda aveva scelto di convolare a nozze con il ragazzo “normale” a danno dello sdrucito Muccino?
Tutte queste sono domande che possiamo farci soltanto se riusciamo a non essere schiavi delle comunicazioni alonate delle quali è pieno il commercial; infatti tutta la narrazione “sembra” normale, tutto l’atteggiamento dei due giovani “sembra” naturale, ma questo effetto si ha soltanto per merito (o colpa) dell’immagine che ci rende naturale un qualcosa che naturale non è affatto.
E allora come comportarsi? Non è facile rispondere, perché bisogna essere sia psicologi che semiologi, cioè bisogna comprendere che l’atteggiamento dei ragazzi è questo per effetto di alcuni stereotipi che sono diventati “di moda”: il primo è quello che i ragazzi si comportano in un certo modo…”perché si”, cioè non sanno, nella maggior parte dei casi, il motivo delle loro scelte, però – se le fanno loro – vuol proprio dire che sono giuste.
E poi c’è l’aspetto semiologico, cioè la lettura e decodifica del segno, operazione che se fatta bene, porta il fruitore dell’immagine a comprendere appieno l’idea dell’autore; ma chi è in grado di affrontare questa operazione? Ben pochi si rendono conto che l’immagine ha un suo linguaggio e che questo ha una sua tipicità che, se non compresa appieno, ci rende tutti “analfabeti”.
E in questa condizione cosa volete che si possa insegnare ai nostri giovani? Soltanto il nostro fallimento!
mercoledì, agosto 02, 2006
COSA INSEGNARE AI FIGLI
In questi ultimi tempo si sono sprecati i casi di abusi sessuali a carico di minori e di sessualità – sempre tra minori – messa in moto da giovani o giovanissimi (sia maschi che femmine); la reale portata del fenomeno non è facilmente riscontrabile in quanto i media hanno funzionato da cassa di risonanza e – stante le poche notizie da pubblicare, eccetto la tragedia del Medio Oriente – si sono buttati a corto morto su queste vicende facendole diventare tutte dei “casi”.
Gli adulti implicati in queste storiacce sono sempre gli stessi “maiali” e non si meritano neppure dei commenti; quello invece che mi lascia perplesso e mi induce ad approfondire – sia pure con i pochi mezzi che ho a disposizione – è l’attiva presenza di giovani e giovanissimi che si rendono parte attiva in queste forme di stupro.
Ed allora, mi corre l’obbligo di fare il canonico passo indietro: stiamo parlando di giovani che vengono allevati a pane (poco) e televisione (molta), che trovano per casa tutta una serie di giornaletti, letti dalla mamma, che inneggiano a due elementi considerati vincenti nell’odierna società: la gioventù ed il sesso.
Se volete, questi due elementi sono anche legati tra loro, in quanto lo slogan sottaciuto palesemente ma evidenziato in modo inconscio è il seguente: per l’UOMO è sinonimo di successo avere la donna molto più giovane con la quale fare sesso (l’archetipo di questa tematica è Briatore, vagheggiato da oltre il 20% dei ragazzi come simbolo di persona arrivata); per la DONNA il ragionamento si articola in quest’altro modo: se voglio avere successo devo approfittare della mia gioventù e fare sesso con un uomo il più potente possibile fino a quando potrò vantare questa mia giovinezza.
Se mi passate per buone queste considerazioni circa il lato femminile dell’umanità (per quello maschile non temo controlli, poiché è sicuramente così), abbiamo un forte ridimensionamento anche dei vari “stupri” commessi su “bambine di 16 anni”; bambine? Ma quali bambine, se è già diversi mesi che il loro atteggiamento è volutamente ispirato ad un continuo irretimento dell’altro sesso; con la differenza che nei loro coetanei trovano poco interesse perché i sedicenni maschi sono ancora intenti a giochi infantili; e allora? E allora ci si rivolge a giovanotti più maturi, ma anche più “pericolosi” perché più difficilmente controllabili.
Ma adesso torniamo al ruolo dei genitori e comunque di “insegnanti” nei confronti di questi giovani che vengono nutriti da questi stupidi stereotipi; anzitutto da ora in poi l’umanità occidentale che finora aveva promesso ai propri figli un benessere sempre maggiore del proprio non è più sicura di poter mantenere questa promessa: certo che potremo ancora regalare il cellulare al figlio che entra alle scuole medie, ma “il benessere”, quel certo tipo di progresso materiale che i nostri padri hanno assicurato a noi e noi ai nostri figli, non sono certo che sia una scommessa vincente in partenza.
Ed allora cosa ci costerebbe se invece del benessere materiale ci impegnassimo a fornire ai nostri successori un altro tipo di benessere, quello “morale” del quale hanno tanto bisogno e, a ben guardare alcune loro reazioni, anche tanta voglia di conoscere.
Ma per fare questo dovrebbe essere mobilitato un duplice esercito (insegnanti e genitori) con una formazione etica e morale che adesso non fa parte del loro patrimonio ma che potrebbero acquisire, se non altro per amore dei giovani.
È una scommessa, ma vale la pena tentarla, perché al di là di questo non c’è che il vuoto di questo ottuso materialismo.
Gli adulti implicati in queste storiacce sono sempre gli stessi “maiali” e non si meritano neppure dei commenti; quello invece che mi lascia perplesso e mi induce ad approfondire – sia pure con i pochi mezzi che ho a disposizione – è l’attiva presenza di giovani e giovanissimi che si rendono parte attiva in queste forme di stupro.
Ed allora, mi corre l’obbligo di fare il canonico passo indietro: stiamo parlando di giovani che vengono allevati a pane (poco) e televisione (molta), che trovano per casa tutta una serie di giornaletti, letti dalla mamma, che inneggiano a due elementi considerati vincenti nell’odierna società: la gioventù ed il sesso.
Se volete, questi due elementi sono anche legati tra loro, in quanto lo slogan sottaciuto palesemente ma evidenziato in modo inconscio è il seguente: per l’UOMO è sinonimo di successo avere la donna molto più giovane con la quale fare sesso (l’archetipo di questa tematica è Briatore, vagheggiato da oltre il 20% dei ragazzi come simbolo di persona arrivata); per la DONNA il ragionamento si articola in quest’altro modo: se voglio avere successo devo approfittare della mia gioventù e fare sesso con un uomo il più potente possibile fino a quando potrò vantare questa mia giovinezza.
Se mi passate per buone queste considerazioni circa il lato femminile dell’umanità (per quello maschile non temo controlli, poiché è sicuramente così), abbiamo un forte ridimensionamento anche dei vari “stupri” commessi su “bambine di 16 anni”; bambine? Ma quali bambine, se è già diversi mesi che il loro atteggiamento è volutamente ispirato ad un continuo irretimento dell’altro sesso; con la differenza che nei loro coetanei trovano poco interesse perché i sedicenni maschi sono ancora intenti a giochi infantili; e allora? E allora ci si rivolge a giovanotti più maturi, ma anche più “pericolosi” perché più difficilmente controllabili.
Ma adesso torniamo al ruolo dei genitori e comunque di “insegnanti” nei confronti di questi giovani che vengono nutriti da questi stupidi stereotipi; anzitutto da ora in poi l’umanità occidentale che finora aveva promesso ai propri figli un benessere sempre maggiore del proprio non è più sicura di poter mantenere questa promessa: certo che potremo ancora regalare il cellulare al figlio che entra alle scuole medie, ma “il benessere”, quel certo tipo di progresso materiale che i nostri padri hanno assicurato a noi e noi ai nostri figli, non sono certo che sia una scommessa vincente in partenza.
Ed allora cosa ci costerebbe se invece del benessere materiale ci impegnassimo a fornire ai nostri successori un altro tipo di benessere, quello “morale” del quale hanno tanto bisogno e, a ben guardare alcune loro reazioni, anche tanta voglia di conoscere.
Ma per fare questo dovrebbe essere mobilitato un duplice esercito (insegnanti e genitori) con una formazione etica e morale che adesso non fa parte del loro patrimonio ma che potrebbero acquisire, se non altro per amore dei giovani.
È una scommessa, ma vale la pena tentarla, perché al di là di questo non c’è che il vuoto di questo ottuso materialismo.
lunedì, luglio 31, 2006
NUOVE REALTA' LAVORATIVE
Nella nuova realtà del mondo del lavoro, si è avuto un rapido sviluppo dell’impiego di mano d’opera straniera (cosiddetta “extracomunitaria”) per ricoprire posti che i lavoratori italiani non intendono più coprire, sia per la particolare onerosità del lavoro e sia per la scarsità della remunerazione.
Questo è – detto in soldoni – quello che la struttura padronale tende a presentare come una situazione non più modificabile ed alla quale è gioco forza atteggiare i nostri futuri comportamenti (la colpa è della “globalizzazione” ci viene detto!).
La mia idea in materia l’ho espressa più volte e – guarda caso – non coincide con quella padronale che, dopo avere riscoperto la “schiavitù” non intende fare marcia indietro ma proseguire su questo cammino con passi sempre più pesanti.
Lasciamo però da parte questo discorso di ordine generale e spostiamoci su un particolare aspetto di questa realtà che vede l’estero fare aggio sull’Italia: il settore che intendo affrontare è quello della “prostituzione”, sì, avete letto bene, proprio quello che ingloba ragazze da marciapiede, entreneuses dei locali notturni e call-girl, cioè fanciulle che pubblicizzandosi in vari modi, segnalano il proprio numero di telefono per fissare incontri nelle loro case, ovviamente a pagamento; alcune di loro hanno messo su anche un sito internet nel quale mostrano le loro grazie ai potenziali clienti.
Anche in questo caso possiamo parlare di “lavoratrici” che hanno preso il posto di colleghe che non ne vogliono più sapere?
Ed allora facciamo un rapido esame della situazione e, in particolare, di come era fino a qualche decennio fa e di come si presenta adesso; la “prostituta nazionale” (in qualunque modo svolgesse la propria attività) partiva da un retroterra di miseria, anche morale, ma dal quale desiderava affrancarsi in qualsiasi modo, usando qualsiasi mezzo: il vendere il proprio corpo era uno di questi sistemi che le ragazze utilizzavano per raggiungere la propria evoluzione sociale.
Di questa attività le varie operatrici del settore (cioè le prostitute) non dovevano rendere conto a nessuno, almeno nella stragrande maggioranza dei casi; il vituperato sfruttatore (o “pappone”) come veniva chiamato una volta, solo in percentuali modeste faceva sentire la sua presenza e – sotto il profilo antropologico – quasi mai discendeva dalla malavita organizzata ma interpretava la propria attività come “un mestiere” di un certo prestigio, perché gli consentiva una certa agiatezza.
Quello che invece avviene adesso con l’arrivo di prostitute straniere – in gran parte dell’est Europa o dell’Africa – è molto diverso: anzitutto le ragazze giungono in Italia in forma clandestina e quindi coloro che ne facilitano l’ingresso hanno buon gioco a ricattarle con la minaccia del rimpatrio coatto da parte delle nostre autorità.
In secondo luogo, dobbiamo chiaramente dirci che quasi tutte vengono intrappolate con la scusa di trovare loro un lavoro da badante o cose similari, mentre poi lo sbocco che viene presentato è uno solo: la prostituzione; e si fa presto a dire che potrebbero rifiutarsi, ma proviamo a metterci nei loro panni, sono ragazze sole, in un Paese straniero del quale molto spesso neppure sanno la lingua, non conoscono nessuno se non il proprio aguzzino; non è facile lottare in simili condizioni, non è facile ribellarsi ed uscire dalla situazione degradante nella quale sono andate a cacciarsi.
Comunque sia, adesso e proprio per queste ragazze, possiamo parlare tranquillamente di “schiavitù di ritorno”; non saprei infatti come definire la condizione di queste disgraziate, delle quali ogni tanto si legge che un cittadino italiano “paga” una certa cifra per sposare una di loro, come se si trattasse di un cavallo o di una mucca.
Come possiamo definire questa situazione se non con il termine “schiavitù”? Pensiamoci bene e arrossiamo di vergogna, se ancora ci riusciamo!
Questo è – detto in soldoni – quello che la struttura padronale tende a presentare come una situazione non più modificabile ed alla quale è gioco forza atteggiare i nostri futuri comportamenti (la colpa è della “globalizzazione” ci viene detto!).
La mia idea in materia l’ho espressa più volte e – guarda caso – non coincide con quella padronale che, dopo avere riscoperto la “schiavitù” non intende fare marcia indietro ma proseguire su questo cammino con passi sempre più pesanti.
Lasciamo però da parte questo discorso di ordine generale e spostiamoci su un particolare aspetto di questa realtà che vede l’estero fare aggio sull’Italia: il settore che intendo affrontare è quello della “prostituzione”, sì, avete letto bene, proprio quello che ingloba ragazze da marciapiede, entreneuses dei locali notturni e call-girl, cioè fanciulle che pubblicizzandosi in vari modi, segnalano il proprio numero di telefono per fissare incontri nelle loro case, ovviamente a pagamento; alcune di loro hanno messo su anche un sito internet nel quale mostrano le loro grazie ai potenziali clienti.
Anche in questo caso possiamo parlare di “lavoratrici” che hanno preso il posto di colleghe che non ne vogliono più sapere?
Ed allora facciamo un rapido esame della situazione e, in particolare, di come era fino a qualche decennio fa e di come si presenta adesso; la “prostituta nazionale” (in qualunque modo svolgesse la propria attività) partiva da un retroterra di miseria, anche morale, ma dal quale desiderava affrancarsi in qualsiasi modo, usando qualsiasi mezzo: il vendere il proprio corpo era uno di questi sistemi che le ragazze utilizzavano per raggiungere la propria evoluzione sociale.
Di questa attività le varie operatrici del settore (cioè le prostitute) non dovevano rendere conto a nessuno, almeno nella stragrande maggioranza dei casi; il vituperato sfruttatore (o “pappone”) come veniva chiamato una volta, solo in percentuali modeste faceva sentire la sua presenza e – sotto il profilo antropologico – quasi mai discendeva dalla malavita organizzata ma interpretava la propria attività come “un mestiere” di un certo prestigio, perché gli consentiva una certa agiatezza.
Quello che invece avviene adesso con l’arrivo di prostitute straniere – in gran parte dell’est Europa o dell’Africa – è molto diverso: anzitutto le ragazze giungono in Italia in forma clandestina e quindi coloro che ne facilitano l’ingresso hanno buon gioco a ricattarle con la minaccia del rimpatrio coatto da parte delle nostre autorità.
In secondo luogo, dobbiamo chiaramente dirci che quasi tutte vengono intrappolate con la scusa di trovare loro un lavoro da badante o cose similari, mentre poi lo sbocco che viene presentato è uno solo: la prostituzione; e si fa presto a dire che potrebbero rifiutarsi, ma proviamo a metterci nei loro panni, sono ragazze sole, in un Paese straniero del quale molto spesso neppure sanno la lingua, non conoscono nessuno se non il proprio aguzzino; non è facile lottare in simili condizioni, non è facile ribellarsi ed uscire dalla situazione degradante nella quale sono andate a cacciarsi.
Comunque sia, adesso e proprio per queste ragazze, possiamo parlare tranquillamente di “schiavitù di ritorno”; non saprei infatti come definire la condizione di queste disgraziate, delle quali ogni tanto si legge che un cittadino italiano “paga” una certa cifra per sposare una di loro, come se si trattasse di un cavallo o di una mucca.
Come possiamo definire questa situazione se non con il termine “schiavitù”? Pensiamoci bene e arrossiamo di vergogna, se ancora ci riusciamo!