giovedì, settembre 15, 2005
La pandemia
Impropriamente stiamo dando la colpa della prossima (?) pandemia ai polli, quando invece essi non sono colpevoli – almeno per il momento – o se lo sono, non abbiamo ancora le prove per dimostrarlo.
Andiamo con ordine e chiariamo anzitutto cosa s’intende per “pandemia”: il termine deriva dal greco pandémia, cioè “tutto il popolo”, e sta ad indicare una epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti.
L’allarme è stato lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che – attraverso freddi calcoli statistici e non con prove del virus – avverte che “sono ormai passati 40 anni dall’ultima pandemia e i tecnici della materia si attendono un nuovo evento a breve termine; forse non sarà il virus dei polli – il famigerato H5N1 che dal 1997 tiene banco con i polli di provenienza orientale, Cina e Paesi vicini – forse sarà un nuovo virus, ma dobbiamo tenere alte le difese e non farci trovare impreparati”.
Quindi se ho capito bene, non ci sono prove che il virus dei polli, quello che uscì nel 1997 con il nome SARS e che è ricomparso nel 2003, sia colui che provocherà la pandemia del ventunesimo secolo.
Ricorderete che l’infezione aviaria (cioè prodotta da uccelli) colpì nel ’97 facendo 6 morti e si ripresentò nel 2003 con 63 morti, tutti nell’area cinese: direi che gli incidenti stradali che avvengono nella sola Italia in un fine settimana fanno più vittime.
Ciò premesso, la situazione del pollame è attualmente la seguente: il prezzo è crollato totalmente, mentre le voci – di provenienza ministeriale non degli amici del Bar Sport – parlano addirittura di 16 milioni di potenziali contagi entro l’anno (ma chi glielo ha detto?) e sulla scorta di tutto questo allarmismo sono state ordinate 6 milioni di dosi di vaccino subito e altre 20 milioni entro l’anno.
È ovvio che non si trova un cane che abbia il coraggio di affermare che sono tutte sciocchezze, anzitutto perché “non si sa mai” e poi perché nessuno ha voglia di inimicarsi i potenti.
La frase ricorrente è questa: “sulla pandemia è bene non fasciarsi la testa ma essere prontissimi; se si aspetta a ordinare le,scorte di vaccino all’ultimo momento, quando il virus avrà fatto il salto di specie e a trasmettersi da uomo a uomo, potrebbe essere tardi”.
Commento: con questo discorso che oltre ad essere allarmistico mi sembra che rasenti la fantascienza, come si fa a non fasciarsi la testa; inoltre, chi è autorizzato a fare le ordinazioni di vaccino, le può fare tranquillamente, ricevendo nella mano destra la consueta mazzetta e nella sinistra le lodi della comunità.
E intanto il prezzo del pollo è ai minimi storici, direi quasi che lo regalano; è venuto in mente a nessuno che se anche per i polli ci fosse la cosiddetta filiera della produzione e di questa ci si potesse fidare, il problema verrebbe risolto con il consumo esclusivamente di carni bianche nate ed allevate nel nostro paese?
Oppure non si può fare perché sembrerebbe un ritorno all’autarchia?
Andiamo con ordine e chiariamo anzitutto cosa s’intende per “pandemia”: il termine deriva dal greco pandémia, cioè “tutto il popolo”, e sta ad indicare una epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti.
L’allarme è stato lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che – attraverso freddi calcoli statistici e non con prove del virus – avverte che “sono ormai passati 40 anni dall’ultima pandemia e i tecnici della materia si attendono un nuovo evento a breve termine; forse non sarà il virus dei polli – il famigerato H5N1 che dal 1997 tiene banco con i polli di provenienza orientale, Cina e Paesi vicini – forse sarà un nuovo virus, ma dobbiamo tenere alte le difese e non farci trovare impreparati”.
Quindi se ho capito bene, non ci sono prove che il virus dei polli, quello che uscì nel 1997 con il nome SARS e che è ricomparso nel 2003, sia colui che provocherà la pandemia del ventunesimo secolo.
Ricorderete che l’infezione aviaria (cioè prodotta da uccelli) colpì nel ’97 facendo 6 morti e si ripresentò nel 2003 con 63 morti, tutti nell’area cinese: direi che gli incidenti stradali che avvengono nella sola Italia in un fine settimana fanno più vittime.
Ciò premesso, la situazione del pollame è attualmente la seguente: il prezzo è crollato totalmente, mentre le voci – di provenienza ministeriale non degli amici del Bar Sport – parlano addirittura di 16 milioni di potenziali contagi entro l’anno (ma chi glielo ha detto?) e sulla scorta di tutto questo allarmismo sono state ordinate 6 milioni di dosi di vaccino subito e altre 20 milioni entro l’anno.
È ovvio che non si trova un cane che abbia il coraggio di affermare che sono tutte sciocchezze, anzitutto perché “non si sa mai” e poi perché nessuno ha voglia di inimicarsi i potenti.
La frase ricorrente è questa: “sulla pandemia è bene non fasciarsi la testa ma essere prontissimi; se si aspetta a ordinare le,scorte di vaccino all’ultimo momento, quando il virus avrà fatto il salto di specie e a trasmettersi da uomo a uomo, potrebbe essere tardi”.
Commento: con questo discorso che oltre ad essere allarmistico mi sembra che rasenti la fantascienza, come si fa a non fasciarsi la testa; inoltre, chi è autorizzato a fare le ordinazioni di vaccino, le può fare tranquillamente, ricevendo nella mano destra la consueta mazzetta e nella sinistra le lodi della comunità.
E intanto il prezzo del pollo è ai minimi storici, direi quasi che lo regalano; è venuto in mente a nessuno che se anche per i polli ci fosse la cosiddetta filiera della produzione e di questa ci si potesse fidare, il problema verrebbe risolto con il consumo esclusivamente di carni bianche nate ed allevate nel nostro paese?
Oppure non si può fare perché sembrerebbe un ritorno all’autarchia?
mercoledì, settembre 14, 2005
I "PACS"
L’acronimo PACS deriva dalle iniziali di tre vocaboli - esattamente “Patto Civile di Solidarietà – e fa discendere i suoi effetti, appunto, da questa sorta di accordo tra due persone (Il Patto) che genera effetti di natura civilistica (Civile) e che riguarda una solidarietà tra le due persone circa la loro esistenza (di Solidarietà).
Una cornice così ampia e generica può contenere tutto ed il suo contrario: ad esempio due pensionati che uniscono le loro due pensioni e vivendo nella stessa casa ottimizzando le spese al fine di tentare di arrivare alla fine del mese; come si vede l’esempio non si riferisce a pensionati maschi o femmine, in teoria potrebbero essere anche maschio e femmina.
In quasi tutti gli stati europei – ultima la Spagna – questa normativa quadro è stata riempita da norme specifiche ed è stata utilizzata anche per le convivenze omosessuali (dal greco “omo”, cioè uguali, entrambi uomini oppure donne) fornendo questi soggetti di una serie di schemi sociali circa l’affitto dell’appartamento (è intestato a entrambi o a uno solo), circa la possibilità di concorrere all’assegnazione di alloggi popolari non come singolo ma come “duo”, il tutto condito da normative afferenti la sfera finanziaria ma non pensionistica (non è mai prevista la cosiddetta “reversibilità”), e neppure – in quasi tutta Europa – la possibilità di adozione.
Questa normativa è adesso al centro delle polemiche politiche perché sembrerebbe che il Centro Sinistra intenda porre nel suo programma uno specifico riferimento a questi PACS e, già al suo interno, smuove la consueta litigiosità che cerca soltanto un appiglio per scatenarsi.
Al suo esterno poi ci pensano i vescovi a gettare una sorta di anatema: giù le mani dalla famiglia e dal matrimonio; come se questi patti mettessero a rischio il matrimonio, un po’ come venne detto ai tempi del divorzio che sembrava innescare una spirale antimatrimonialista che poi non c’é stata.
Il discorso del vescovi – e delle loro “truppe cammellate” travestite da uomini politici – è in sostanza questo: la normativa equipara di fatto anche se non lo dice esplicitamente la famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna con le cosiddette coppie di fatto, la cui composizione viene ad essere del tipo “omo”, cioè uguale, conferendo a queste ultime le stesse prerogative della famiglia.
Si aggiunge anche che la Chiesa intravede in questa operazione un modo di innescare la politica dei piccoli passi, prima equiparando nei fatti e poi in termini di diritto, la famiglia ad altre forme di unione.
In tutta Europa – ma in quei Paesi non hanno il Vaticano – la normativa sta andando di pari passo con quella matrimonialista che – a quanto dicono le statistiche – non è stata messo in crisi da queste nuove formule.
Credo che la dichiarazione più azzeccata sia quella di Niki Vendola, gay, che afferma che con questa nuova normativa non si intende minare le fondamenta della famiglia tradizionale, ma si tratta invece di fare i conti con quella che è la realtà dei nostri giorni.
Poi c’è anche chi afferma che la normativa è stata messa in Spagna da Zapatero nel suo programma elettorale ed egli ha vinto; anche per scaramanzia la sinistra italiana si adegua!
Una cornice così ampia e generica può contenere tutto ed il suo contrario: ad esempio due pensionati che uniscono le loro due pensioni e vivendo nella stessa casa ottimizzando le spese al fine di tentare di arrivare alla fine del mese; come si vede l’esempio non si riferisce a pensionati maschi o femmine, in teoria potrebbero essere anche maschio e femmina.
In quasi tutti gli stati europei – ultima la Spagna – questa normativa quadro è stata riempita da norme specifiche ed è stata utilizzata anche per le convivenze omosessuali (dal greco “omo”, cioè uguali, entrambi uomini oppure donne) fornendo questi soggetti di una serie di schemi sociali circa l’affitto dell’appartamento (è intestato a entrambi o a uno solo), circa la possibilità di concorrere all’assegnazione di alloggi popolari non come singolo ma come “duo”, il tutto condito da normative afferenti la sfera finanziaria ma non pensionistica (non è mai prevista la cosiddetta “reversibilità”), e neppure – in quasi tutta Europa – la possibilità di adozione.
Questa normativa è adesso al centro delle polemiche politiche perché sembrerebbe che il Centro Sinistra intenda porre nel suo programma uno specifico riferimento a questi PACS e, già al suo interno, smuove la consueta litigiosità che cerca soltanto un appiglio per scatenarsi.
Al suo esterno poi ci pensano i vescovi a gettare una sorta di anatema: giù le mani dalla famiglia e dal matrimonio; come se questi patti mettessero a rischio il matrimonio, un po’ come venne detto ai tempi del divorzio che sembrava innescare una spirale antimatrimonialista che poi non c’é stata.
Il discorso del vescovi – e delle loro “truppe cammellate” travestite da uomini politici – è in sostanza questo: la normativa equipara di fatto anche se non lo dice esplicitamente la famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna con le cosiddette coppie di fatto, la cui composizione viene ad essere del tipo “omo”, cioè uguale, conferendo a queste ultime le stesse prerogative della famiglia.
Si aggiunge anche che la Chiesa intravede in questa operazione un modo di innescare la politica dei piccoli passi, prima equiparando nei fatti e poi in termini di diritto, la famiglia ad altre forme di unione.
In tutta Europa – ma in quei Paesi non hanno il Vaticano – la normativa sta andando di pari passo con quella matrimonialista che – a quanto dicono le statistiche – non è stata messo in crisi da queste nuove formule.
Credo che la dichiarazione più azzeccata sia quella di Niki Vendola, gay, che afferma che con questa nuova normativa non si intende minare le fondamenta della famiglia tradizionale, ma si tratta invece di fare i conti con quella che è la realtà dei nostri giorni.
Poi c’è anche chi afferma che la normativa è stata messa in Spagna da Zapatero nel suo programma elettorale ed egli ha vinto; anche per scaramanzia la sinistra italiana si adegua!
martedì, settembre 13, 2005
Eroi lasciati soli per stare con gli onorevoli
Vi voglio raccontare un fatto, che viene riportato dalla stampa ma non con lo spazio dovuto: un piccolo commerciante di un paesino vicino a Castrovillari – tale Eugenio Ciliberti – è stato incriminato dalla Procura del capoluogo per omicidio e messo, per il momento, agli arresti domiciliari; è accusato di avere ucciso un boss della malavita locale – tale Gabriella – che lo taglieggiava da molto tempo, ricorrendo a vandalismi e minacce di morte. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata forse la violenza subita – un pugno alla testa – che gli ha fatto perdere completamente le staffe e non ci ha visto più: ha estratto la pistola ed ha sparato, uccidendo sul colpo il Gabriella.
Premesso che il Ciliberti aveva denunciato alla Polizia le violenze e le soperchierie che stava subendo, mi auguro che in sede processuale egli venga assolto con formula piena, perché la pistolettata non è altro che la risposta di un uomo disperato – e lasciato solo da tutti, lo Stato in testa - alle tante provocazioni del boss violento.
Questa vicenda mi ricorda quella di Francesco Richichi di un paesino in provincia di Catania , di professione benzinaio, che tempo fa aveva resistito alle minacce ed alle violenza della mafia locale, nonostante subisse quasi quotidianamente le prepotenze dei “picciotti” e regolarmente facesse denuncia alla Polizia. Un bel giorno due inviati della mafia giunsero al suo distributore di benzina con l’incarico di impartirgli una lezione, ma Richichi è stato più svelto di loro e li ha uccisi entrambi; da allora sullo spiazzo antistante il distributore era stato disegnata una grande croce nera sulla quale tutti i giorni veniva appoggiato un mazzo di fiori: il tutto andò avanti fino a quando il povero benzinaio non è uscito di prigione ed è stato fulminato da due colpi di lupara.
Cos’è che accomuna questi due fatti, apparentemente così dissimili tra loro?
A mio modo di vedere l’indifferenza dello Stato verso la povera gente, quella gente che “non conta niente”, quella gente che è destinata a fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro.
Poiché non credo che questa indifferenza derivi da uno specifico “partito preso” delle Forze dell’Ordine, ritengo che la motivazione reale sia quella della scarsità di uomini e mezzi, scarsità dovuta in gran parte alle imponenti scorte che vengono fornite a parlamentari e famiglie degli stessi e utilizzate per andare a fare la spesa, recarsi a casa dell’amante oppure al cinematografo: insomma tutti impegni istituzionali!
Questi “poveri diavoli” che vengono abbandonati, lasciati soli in questo mondo di lupi hanno a loro disposizione soltanto le proprie forze e – poiché chi subisce non ha il dovere di controllare le proprie emozioni – queste reazioni portano a tragedie in entrambi i sensi.
In pratica, in questi due casi gli uccisori non hanno fatto altro che surrogarsi allo Stato che – sempre latitante – in questi casi lo è stato in modo particolare perché, addirittura avvertito di quello che stava succedendo, non ha trovato il modo di intervenire per tutelare l’onesto.
Seguiamo tutti insieme quello che succederà a Ciliberti e speriamo che venga presto restituito alla libertà piena ed alla proprio piccolo commercio ed alla sua famiglia.
Se lo dovessero condannare sarebbe un aggiungere il danno alla beffa!
Premesso che il Ciliberti aveva denunciato alla Polizia le violenze e le soperchierie che stava subendo, mi auguro che in sede processuale egli venga assolto con formula piena, perché la pistolettata non è altro che la risposta di un uomo disperato – e lasciato solo da tutti, lo Stato in testa - alle tante provocazioni del boss violento.
Questa vicenda mi ricorda quella di Francesco Richichi di un paesino in provincia di Catania , di professione benzinaio, che tempo fa aveva resistito alle minacce ed alle violenza della mafia locale, nonostante subisse quasi quotidianamente le prepotenze dei “picciotti” e regolarmente facesse denuncia alla Polizia. Un bel giorno due inviati della mafia giunsero al suo distributore di benzina con l’incarico di impartirgli una lezione, ma Richichi è stato più svelto di loro e li ha uccisi entrambi; da allora sullo spiazzo antistante il distributore era stato disegnata una grande croce nera sulla quale tutti i giorni veniva appoggiato un mazzo di fiori: il tutto andò avanti fino a quando il povero benzinaio non è uscito di prigione ed è stato fulminato da due colpi di lupara.
Cos’è che accomuna questi due fatti, apparentemente così dissimili tra loro?
A mio modo di vedere l’indifferenza dello Stato verso la povera gente, quella gente che “non conta niente”, quella gente che è destinata a fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro.
Poiché non credo che questa indifferenza derivi da uno specifico “partito preso” delle Forze dell’Ordine, ritengo che la motivazione reale sia quella della scarsità di uomini e mezzi, scarsità dovuta in gran parte alle imponenti scorte che vengono fornite a parlamentari e famiglie degli stessi e utilizzate per andare a fare la spesa, recarsi a casa dell’amante oppure al cinematografo: insomma tutti impegni istituzionali!
Questi “poveri diavoli” che vengono abbandonati, lasciati soli in questo mondo di lupi hanno a loro disposizione soltanto le proprie forze e – poiché chi subisce non ha il dovere di controllare le proprie emozioni – queste reazioni portano a tragedie in entrambi i sensi.
In pratica, in questi due casi gli uccisori non hanno fatto altro che surrogarsi allo Stato che – sempre latitante – in questi casi lo è stato in modo particolare perché, addirittura avvertito di quello che stava succedendo, non ha trovato il modo di intervenire per tutelare l’onesto.
Seguiamo tutti insieme quello che succederà a Ciliberti e speriamo che venga presto restituito alla libertà piena ed alla proprio piccolo commercio ed alla sua famiglia.
Se lo dovessero condannare sarebbe un aggiungere il danno alla beffa!
lunedì, settembre 12, 2005
Il disastro di New Orleans
Gli americani dovrebbero cancellare il mese di settembre dal normale calendario: due anni fa il dramma delle Twin Towers, adesso – o meglio nella prima decade del mese – il disastro di New Orleans, con una città che poteva essere considerata “la perla francese nel profondo sud americano” che sta per scomparire o comunque per essere snaturata sia sotto il profilo architettonico che antropologico.
Cosa è accaduto in concreto: il ciclone “Katrine” è passato come un’onda anomala su quella zona del sud ed ha lasciato dietro di se lutti e distruzioni.
Si dirà: ma non lo sapevano che stava arrivando? Ma se viene disegnata la rotta della tempesta con una precisione assoluta, perché è potuto accadere questo?
Ritengo – ma lo dico senza una precisa cognizione di causa – che i motivi siano due: da una parte la sottovalutazione dell’evento e della sua forza distruttrice, dall’altra la disorganizzazione e la pochezza dei mezzi inviati a soccorrere la popolazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto non ho elementi per giudicare le motivazioni che stanno alla base di questo atteggiamento, ma di sicuro la gente ha sottovalutato l’impatto del ciclone e, soprattutto, ha sopravalutato il grado di resistenza delle strutture abitative della città, quasi tutte realizzate in legno.
In merito al secondo aspetto del problema – pochi e disorganizzati i mezzi di soccorso – mi sembra che sia un dato di fatto: soltanto dopo “giorni” dal tragico evento, la popolazione provata ha visto qualche soldato o qualche volontario delle O.N.G. che timidamente faceva capolino alla periferia della città.
Sarebbe facile fare una sorta di teorema: dato che le forze armate americane sono impegnate al massimo grado nella altrettanto tragica vicenda irachena, non sono rimasti in patria dei nuclei operativi che possano dare affidabilità in caso di catastrofe nazionale come è questa.
Ripeto, sarebbe facile, ma debbo ammettere che è anche vero; infatti, sono stati carenti addirittura i mezzi di trasporto, in quanto usati prevalentemente nell’inferno di Bagdad e da lì non ritirabili; sembra un assurdo, ma i mezzi abnormi per numero e qualità, impiegati in Iraq hanno contribuito alle carenze che ci sono state nella fase degli aiuti a New Orleans; e non mi si venga a dire che la Commissione d’Inchiesta appositamente nominata da Bush e da lui stesso presieduta, possa fare luce su questo dramma e possa trovare motivazioni diverse da queste.
La stampa poi ha fatto il resto, inviando dalla città della Louisiana dei reportage pieni di colore, ma soprattutto pieni di sangue; ma non poteva essere diversamente, poiché l’immagine dei corpi degli annegati mangiati dai coccodrilli è troppo suggestiva per non essere usata a più riprese.
Se vogliamo trarre un pensierino conclusivo sulla vicenda possiamo affermare che “La Natura” ha voluto mostrare a tutti che la sua potenza è mille volte superiore a qualunque altra forma di potenza e che con lei non si scherza.
Comunque sia, l’umanità sta rischiando di perdere uno dei suoi tesori – la particolarità di New Orleans è unica – e forse stiamo rischiando una catastrofe etnografica dalle proporzioni non facilmente prevedibili; lo stesso discorso – chi non è più giovanissimo lo ricorderà – venne fatto per l’allusione a Firenze nel 1966, ma lì le condizioni architettoniche erano diverse e dopo qualche mese tutto tornò alla normalità; a New Orleans questo non potrà accadere, sarà indispensabile una accurata e costosissima ricostruzione ambientale.
Con il bilancio tutto dedito alle forze armate, ci sarà spazio per questo recupero?
Cosa è accaduto in concreto: il ciclone “Katrine” è passato come un’onda anomala su quella zona del sud ed ha lasciato dietro di se lutti e distruzioni.
Si dirà: ma non lo sapevano che stava arrivando? Ma se viene disegnata la rotta della tempesta con una precisione assoluta, perché è potuto accadere questo?
Ritengo – ma lo dico senza una precisa cognizione di causa – che i motivi siano due: da una parte la sottovalutazione dell’evento e della sua forza distruttrice, dall’altra la disorganizzazione e la pochezza dei mezzi inviati a soccorrere la popolazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto non ho elementi per giudicare le motivazioni che stanno alla base di questo atteggiamento, ma di sicuro la gente ha sottovalutato l’impatto del ciclone e, soprattutto, ha sopravalutato il grado di resistenza delle strutture abitative della città, quasi tutte realizzate in legno.
In merito al secondo aspetto del problema – pochi e disorganizzati i mezzi di soccorso – mi sembra che sia un dato di fatto: soltanto dopo “giorni” dal tragico evento, la popolazione provata ha visto qualche soldato o qualche volontario delle O.N.G. che timidamente faceva capolino alla periferia della città.
Sarebbe facile fare una sorta di teorema: dato che le forze armate americane sono impegnate al massimo grado nella altrettanto tragica vicenda irachena, non sono rimasti in patria dei nuclei operativi che possano dare affidabilità in caso di catastrofe nazionale come è questa.
Ripeto, sarebbe facile, ma debbo ammettere che è anche vero; infatti, sono stati carenti addirittura i mezzi di trasporto, in quanto usati prevalentemente nell’inferno di Bagdad e da lì non ritirabili; sembra un assurdo, ma i mezzi abnormi per numero e qualità, impiegati in Iraq hanno contribuito alle carenze che ci sono state nella fase degli aiuti a New Orleans; e non mi si venga a dire che la Commissione d’Inchiesta appositamente nominata da Bush e da lui stesso presieduta, possa fare luce su questo dramma e possa trovare motivazioni diverse da queste.
La stampa poi ha fatto il resto, inviando dalla città della Louisiana dei reportage pieni di colore, ma soprattutto pieni di sangue; ma non poteva essere diversamente, poiché l’immagine dei corpi degli annegati mangiati dai coccodrilli è troppo suggestiva per non essere usata a più riprese.
Se vogliamo trarre un pensierino conclusivo sulla vicenda possiamo affermare che “La Natura” ha voluto mostrare a tutti che la sua potenza è mille volte superiore a qualunque altra forma di potenza e che con lei non si scherza.
Comunque sia, l’umanità sta rischiando di perdere uno dei suoi tesori – la particolarità di New Orleans è unica – e forse stiamo rischiando una catastrofe etnografica dalle proporzioni non facilmente prevedibili; lo stesso discorso – chi non è più giovanissimo lo ricorderà – venne fatto per l’allusione a Firenze nel 1966, ma lì le condizioni architettoniche erano diverse e dopo qualche mese tutto tornò alla normalità; a New Orleans questo non potrà accadere, sarà indispensabile una accurata e costosissima ricostruzione ambientale.
Con il bilancio tutto dedito alle forze armate, ci sarà spazio per questo recupero?
domenica, settembre 11, 2005
Il ritorno dal Festival di Venezia
Sono rientrato da poche ore nella mia sede abituale dopo dodici giorni trascorsi al Festival di Venezia, il primo “festival blindato che si ricordi nella storia del cinema; ovviamente, appena disfatta la valigia, il mio primo pensiero si è rivolto ai lettori del mio blog e grande è stato il desiderio di raccontare qualcosa circa questo avvenimento.
Anzitutto la “blindatura”: avrete visto dai TG e da altri servizi televisivi, che i frequentatori della zona del Festival erano sottoposti a controlli ed a continui passaggi sotto il metal detector, ma vorrei spiegarvi per bene quello che è stato organizzato – bene peraltro – per tutelare la sicurezza di tutti.
Allora, la zona del Lido dove si muovono gli addetti ai lavori per seguire i vari film che vengono giornalmente presentati, è stata interamente recintata con dei pannelli di colore bianco ed è stata chiamata appunto “zona bianca”: per accedervi erano indispensabili due cose, la tessera stampa o comunque una sorta di accredito e il controllo sia del metal detector per il corpo e sia dell’agente della sicurezza per frugare eventuali borse che qualcuno portava con se.
Subito un problema, fermo restando che l’atteggiamento di estrema collaborazione e di squisita cortesia degli addetti agli ingressi non è mai venuto meno, nonostante la strafottenza e la supponenza che solo i giornalisti/giornalai sanno mostrare, mi domando se tutto quel passare sotto il metal detector (per quanto mi riguarda mi sono divertito a contarle in un giorno normale e sono state 30) farà male alla salute oppure no? Speriamo di no, perché sarebbe un guaio. Comunque se qualcuno lo sa me lo dica.
L’altra cosa che vorrei narrarvi: le previsioni della vigilia – unanimi dei critici e del pubblico – indicavano il film di George Clooney come il netto favorito per il Leone d’Oro, con l’unica possibilità di insidiarlo assegnata al film cinese “Seven Swords” di Tsui Hark; invece – come avviene quasi sempre in questi casi – ha vinto un altro cinese (ormai americanizzato), Ang Lee, con il film “Brokeback Mountain”, meglio conosciuto da pubblico e stampa come la storia dei cow-boy gay (il povero John Wayne si rivolterà nella tomba). Del film, eventualmente, ne riparleremo quando uscirà nelle sale.
Nel paradiso del Lido di Venezia le beghe politiche arrivavano ovattate, anche se i giornali si continuava a leggerli ovviamente, ma con meno interesse di quando siamo a casa; poi l’ultimo giorno il programma prevedeva un “Film a sorpresa” e ci hanno presentato un collage di battute di Sabina Guzzanti – dal titolo “Viva Zapatero” – interamente votato a parlare male di Berlusconi:due problemi, anzitutto quello non è un film, ma soprattutto non è un film da presentare in una Mostra Internazionale di Arte Cinematografica (immaginiamoci che cosa gli interessa di questi problemi ai giornalisti cinesi, giapponesi oppure australiani: ci avranno etichettati con il solito “provincialismo”); secondo problema, abbiamo rivisto tutta la solita banda che “ha fatto vincere le scorse elezioni al Berlusca”, alludo a Dario Fo, Michele Santoro, Marco Travaglio e Enzo Biagi, mancava solo Nanni Moretti: siamo alle solite, si continua a denigrarlo in questa forma e non si capisce che, specie per gli elettori indecisi, è una forma di attacco martirizzante che si rivolge sempre a suo favore.
Ma possibile che non ci sia nessuno nel Centro Sinistra che se ne accorga, eppure non mi sembra che ci voglia l’algebra!
Anzitutto la “blindatura”: avrete visto dai TG e da altri servizi televisivi, che i frequentatori della zona del Festival erano sottoposti a controlli ed a continui passaggi sotto il metal detector, ma vorrei spiegarvi per bene quello che è stato organizzato – bene peraltro – per tutelare la sicurezza di tutti.
Allora, la zona del Lido dove si muovono gli addetti ai lavori per seguire i vari film che vengono giornalmente presentati, è stata interamente recintata con dei pannelli di colore bianco ed è stata chiamata appunto “zona bianca”: per accedervi erano indispensabili due cose, la tessera stampa o comunque una sorta di accredito e il controllo sia del metal detector per il corpo e sia dell’agente della sicurezza per frugare eventuali borse che qualcuno portava con se.
Subito un problema, fermo restando che l’atteggiamento di estrema collaborazione e di squisita cortesia degli addetti agli ingressi non è mai venuto meno, nonostante la strafottenza e la supponenza che solo i giornalisti/giornalai sanno mostrare, mi domando se tutto quel passare sotto il metal detector (per quanto mi riguarda mi sono divertito a contarle in un giorno normale e sono state 30) farà male alla salute oppure no? Speriamo di no, perché sarebbe un guaio. Comunque se qualcuno lo sa me lo dica.
L’altra cosa che vorrei narrarvi: le previsioni della vigilia – unanimi dei critici e del pubblico – indicavano il film di George Clooney come il netto favorito per il Leone d’Oro, con l’unica possibilità di insidiarlo assegnata al film cinese “Seven Swords” di Tsui Hark; invece – come avviene quasi sempre in questi casi – ha vinto un altro cinese (ormai americanizzato), Ang Lee, con il film “Brokeback Mountain”, meglio conosciuto da pubblico e stampa come la storia dei cow-boy gay (il povero John Wayne si rivolterà nella tomba). Del film, eventualmente, ne riparleremo quando uscirà nelle sale.
Nel paradiso del Lido di Venezia le beghe politiche arrivavano ovattate, anche se i giornali si continuava a leggerli ovviamente, ma con meno interesse di quando siamo a casa; poi l’ultimo giorno il programma prevedeva un “Film a sorpresa” e ci hanno presentato un collage di battute di Sabina Guzzanti – dal titolo “Viva Zapatero” – interamente votato a parlare male di Berlusconi:due problemi, anzitutto quello non è un film, ma soprattutto non è un film da presentare in una Mostra Internazionale di Arte Cinematografica (immaginiamoci che cosa gli interessa di questi problemi ai giornalisti cinesi, giapponesi oppure australiani: ci avranno etichettati con il solito “provincialismo”); secondo problema, abbiamo rivisto tutta la solita banda che “ha fatto vincere le scorse elezioni al Berlusca”, alludo a Dario Fo, Michele Santoro, Marco Travaglio e Enzo Biagi, mancava solo Nanni Moretti: siamo alle solite, si continua a denigrarlo in questa forma e non si capisce che, specie per gli elettori indecisi, è una forma di attacco martirizzante che si rivolge sempre a suo favore.
Ma possibile che non ci sia nessuno nel Centro Sinistra che se ne accorga, eppure non mi sembra che ci voglia l’algebra!