sabato, marzo 27, 2004
Ma siamo diventati tutti ricchi?
Il titolo di questo post è sicuramente un po’ provocatorio, ma poi mica tanto; mi spiego meglio: fino a qualche anno fa, le pubblicità di auto di lusso (Mercedes, Jaguar, ecc) venivano collocate soltanto su mezzi (giornali e riviste) che avessero un target di lettori adeguato alle cifre da spendere per acquistare le macchine in questione. Con questo intendimento, la televisione veniva scartata dai pianificatori in quanto considerato mezzo generalista (senza cioè un target di pubblico ben identificato) e quindi molto “dispersivo” in virtù anche delle cifre da spendere.
In concreto – e cerco di spiegarmi meglio – i mezzi pubblicitari vengono venduti sulla base delle “teste” potenziali da convincere: se i giornali e le riviste “da ricchi” (tipo Class per intenderci) hanno 100 utenti, di questi almeno 90 sono dei potenziali clienti da auto di lusso; quindi pago per cento ed ho 90 teste buone per me.
La televisione, invece, ha la fama di avere 100 utenti, dei quali interessati al prodotto di lusso soltanto 10; quindi pago per 100 ed ottengo 10: non è un grande affare! Poi anche la collocazione degli spot, accanto alle merendine o al detersivo, non era per niente gradito dagli investitori.
Adesso, invece, questa forma di ragionamento sembra non più valida: ha iniziato la Jaguar quando ha presentato l’ultima nata (il Diesel) e ora è la volta della Mercedes: se avete fatto caso i cluster pubblicitari sono letteralmente invasi dalla nuova auto (la SLK, roba da oltre 70 o 80 mila Euro) che ha anche il supporto della grande stampa (quindi non più quella di settore, ma il normale quotidiano) che annuncia per oggi 27/3 e domani domenica 28/3 la presentazione della nuova “top car”.
Quale è il motivo che ha fatto cambiare strategia ai pianificatori pubblicitari?
Tutti blaterano a destra e a manca che siamo più poveri dall’avvento dell’Euro e invece diventiamo destinatari di messaggi pubblicitari da ricchi. Come mai?
Difficile a dirsi, se non che anche le Case produttrici di auto di lusso hanno interesse ad avvicinare il cliente “normale”, se non per vendergli la macchina da oltre 150 milioni di vecchie lire, per veicolare un altro tipo di messaggio; la strategia, secondo me è quella di farlo entrare in Concessionaria e poi vedere di rifilargli qualche ferro vecchio un po’ risistemato.
Quindi, più che una pubblicità di prodotto è una forma di richiamo per il pubblico indiscriminato che viene invitato a visitare le auto di lusso ma che poi si cerca di portare su un usato ultradecennale: ricordate le varie campagne “porte aperte”?.
Se non è così allora è vero che siamo diventati tutti ricchi; io no di sicuro!!
In concreto – e cerco di spiegarmi meglio – i mezzi pubblicitari vengono venduti sulla base delle “teste” potenziali da convincere: se i giornali e le riviste “da ricchi” (tipo Class per intenderci) hanno 100 utenti, di questi almeno 90 sono dei potenziali clienti da auto di lusso; quindi pago per cento ed ho 90 teste buone per me.
La televisione, invece, ha la fama di avere 100 utenti, dei quali interessati al prodotto di lusso soltanto 10; quindi pago per 100 ed ottengo 10: non è un grande affare! Poi anche la collocazione degli spot, accanto alle merendine o al detersivo, non era per niente gradito dagli investitori.
Adesso, invece, questa forma di ragionamento sembra non più valida: ha iniziato la Jaguar quando ha presentato l’ultima nata (il Diesel) e ora è la volta della Mercedes: se avete fatto caso i cluster pubblicitari sono letteralmente invasi dalla nuova auto (la SLK, roba da oltre 70 o 80 mila Euro) che ha anche il supporto della grande stampa (quindi non più quella di settore, ma il normale quotidiano) che annuncia per oggi 27/3 e domani domenica 28/3 la presentazione della nuova “top car”.
Quale è il motivo che ha fatto cambiare strategia ai pianificatori pubblicitari?
Tutti blaterano a destra e a manca che siamo più poveri dall’avvento dell’Euro e invece diventiamo destinatari di messaggi pubblicitari da ricchi. Come mai?
Difficile a dirsi, se non che anche le Case produttrici di auto di lusso hanno interesse ad avvicinare il cliente “normale”, se non per vendergli la macchina da oltre 150 milioni di vecchie lire, per veicolare un altro tipo di messaggio; la strategia, secondo me è quella di farlo entrare in Concessionaria e poi vedere di rifilargli qualche ferro vecchio un po’ risistemato.
Quindi, più che una pubblicità di prodotto è una forma di richiamo per il pubblico indiscriminato che viene invitato a visitare le auto di lusso ma che poi si cerca di portare su un usato ultradecennale: ricordate le varie campagne “porte aperte”?.
Se non è così allora è vero che siamo diventati tutti ricchi; io no di sicuro!!
giovedì, marzo 25, 2004
I problemi del calcio
I problemi attuali del calcio professionistico in Italia mi sembrano di due ordini: finanziari e di violenza.
Esaminiamoli singolarmente.
Per quanto riguarda i debiti accumulati dal mondo del calcio il problema è complesso, soprattutto perché si tratta di società per azioni, addirittura qualcuna quotata in Borsa, e ritengo difficile poter sindacare da parte di una struttura sportiva quelli che sono degli investimenti approvati dal Consiglio di Amministrazione.
Pertanto, se il cosiddetto decreto spalmatasse presupponesse un diverso modo di spendere i soldi (meno quattrini agli atleti e allenatori), bisogna vedere se la compagine sociale approverà una condizione simile.
Insomma, quello che voglio dire, i divieti di superare determinati parametri, possono essere emanati a società senza scopo di lucro, sottoposte alle strutture federali in tutto e per tutto, ma non ad aziende che hanno tutti i diritti di fare come vogliono, salvo poi portare i libri in Tribunale.
Ed è proprio quello che verrà fatto da alcune squadre che vanno per la maggiore, specie ora che il famoso decreto smalmatasse sembra impraticabile, perché troppi sono stati i dinieghi opposti da forze politiche che fanno parte della compagine governativa. E questo ha impedito a Berlusconi di proseguire nella strategia del decreto (almeno per ora) e porterà varie squadre al tracollo; e sarà ancora una volta violenza.
Siamo così al secondo problema – quello della violenza – che non ritengo direttamente collegato al primo (i soldi), ma forse mi sbaglio ed è tutto un minestrone nel quale c’è di tutto.
Per la violenza, un sistema da sperimentare mi sembra quello di far disputare tutte, ripeto tutte, le partite di Serie A e B a porte chiuse e con ripresa di TV a pagamento.
Ognuno così si vede la partita della squadra del cuore in salotto, con pop corn o altro a fianco e l’unica litigata potrebbe essere quella con la moglie o con il figlio.
Sotto il profilo dei costi non credo che ci dovrebbero essere problemi insormontabili: se tutte le quaranta e più squadre vengono riprese – per esempio – da Sky e tali riprese sono l’unico modo di vedere la partita, tutti o quasi i cosiddetti sportivi si abboneranno alla pay tv e quindi, di conseguenza, il costo dell’abbonamento subirebbe un abbattimento ipotizzabile almeno in un 60 o 70 per conto rispetto al costo attuale, diventando così una cifra sostenibile da tutti (addirittura meno dell’ingresso nello stadio).
Non ci sarebbero così le numerose forze dell’ordine impegnate agli stadi e distratte quindi da altri compiti, per me più importanti. Tanto, a livello di tolleranza zero, non siamo in grado di mantenere le promesse: mentre scrivo queste note le Agenzie battono la notizia che il GIP romano “non ha convalidato gli arresti dei 3 teppisti entrati in campo durante il derby”: come volevasi dimostrare!
Esaminiamoli singolarmente.
Per quanto riguarda i debiti accumulati dal mondo del calcio il problema è complesso, soprattutto perché si tratta di società per azioni, addirittura qualcuna quotata in Borsa, e ritengo difficile poter sindacare da parte di una struttura sportiva quelli che sono degli investimenti approvati dal Consiglio di Amministrazione.
Pertanto, se il cosiddetto decreto spalmatasse presupponesse un diverso modo di spendere i soldi (meno quattrini agli atleti e allenatori), bisogna vedere se la compagine sociale approverà una condizione simile.
Insomma, quello che voglio dire, i divieti di superare determinati parametri, possono essere emanati a società senza scopo di lucro, sottoposte alle strutture federali in tutto e per tutto, ma non ad aziende che hanno tutti i diritti di fare come vogliono, salvo poi portare i libri in Tribunale.
Ed è proprio quello che verrà fatto da alcune squadre che vanno per la maggiore, specie ora che il famoso decreto smalmatasse sembra impraticabile, perché troppi sono stati i dinieghi opposti da forze politiche che fanno parte della compagine governativa. E questo ha impedito a Berlusconi di proseguire nella strategia del decreto (almeno per ora) e porterà varie squadre al tracollo; e sarà ancora una volta violenza.
Siamo così al secondo problema – quello della violenza – che non ritengo direttamente collegato al primo (i soldi), ma forse mi sbaglio ed è tutto un minestrone nel quale c’è di tutto.
Per la violenza, un sistema da sperimentare mi sembra quello di far disputare tutte, ripeto tutte, le partite di Serie A e B a porte chiuse e con ripresa di TV a pagamento.
Ognuno così si vede la partita della squadra del cuore in salotto, con pop corn o altro a fianco e l’unica litigata potrebbe essere quella con la moglie o con il figlio.
Sotto il profilo dei costi non credo che ci dovrebbero essere problemi insormontabili: se tutte le quaranta e più squadre vengono riprese – per esempio – da Sky e tali riprese sono l’unico modo di vedere la partita, tutti o quasi i cosiddetti sportivi si abboneranno alla pay tv e quindi, di conseguenza, il costo dell’abbonamento subirebbe un abbattimento ipotizzabile almeno in un 60 o 70 per conto rispetto al costo attuale, diventando così una cifra sostenibile da tutti (addirittura meno dell’ingresso nello stadio).
Non ci sarebbero così le numerose forze dell’ordine impegnate agli stadi e distratte quindi da altri compiti, per me più importanti. Tanto, a livello di tolleranza zero, non siamo in grado di mantenere le promesse: mentre scrivo queste note le Agenzie battono la notizia che il GIP romano “non ha convalidato gli arresti dei 3 teppisti entrati in campo durante il derby”: come volevasi dimostrare!
mercoledì, marzo 24, 2004
Poveri vecchi
Avrete letto sui quotidiani di questi giorni, di quella coppia di anziani coniugi che ha denunciato di aver bevuto da una bottiglia di acqua minerale inquinata da un veleno (invero modesto); è stato accusato il famigerato e per ora sconosciuto “Acquabomber” e, solo dopo alcuni interrogatori sempre più stringenti, gli inquirenti hanno ricevuto le confessioni dei due anziani: erano stati loro a manomettere ed avvelenare la bottiglia di minerale. Il motivo? Semplicemente per ricevere dell’attenzione, perché qualcuno “parlasse” con loro, per sentirsi un po’ più importanti di quelle nullità che la moderna civiltà li considera.
Su questo evento, vorrei fare alcune considerazioni che servano magari perché ognuno di coloro che leggerà questo mio intervento, possa a sua volta riflettere e formarsi delle opinioni (magari anche diverse dalle mie).
Ho da sempre affermato che nel mio “programma di governo” ideale avrei collocato al primo posto la soluzione dei problemi e la migliore sistemazione per due categorie di persone: i bambini ed i vecchi. Le altre categorie all’interno di queste due sono ovviamente importanti, ma la soluzione dei loro eventuali problemi doveva venire dopo.
Perché questa scala di valori? Perché quelle due categorie (bambini ed anziani) non hanno, da soli, capacità di risolvere i loro problemi, specie quelli di natura psicologica.
Ed allora cosa dovrebbe fare uno Stato come io vorrei? Solamente mettere in testa all’agenda di tutte le sue strutture la priorità da assegnare a queste persone.
Per esempio: gli anziani che vivono con pensioni modeste, oltre ad avere difficoltà sul piano pratico, tendono anche ad estraniarsi dal contesto civile nel quale vivono, perché non hanno disponibilità finanziarie per seguire tutto quello che avviene intorno a loro.
In pratica, la loro esistenza è scandita da giorni – tutti uguali – in cui il rito del mangiare è l’unico che possono permettersi, insieme alla televisione.
E i figli, direte voi? E gli altri familiari, e gli amici?
In questa società non è facile far sentire un po’ di solidarietà; tutti sono presi dai loro impegni per “guadagnare sempre di più”, tutti corrono sempre più forte per arrivare alla meta nella migliore posizione possibile. Come è possibile che in questo turbinio di impegni e di attività ci possa rientrare il rapporto con l’anziano, con le sue turbe, le sue difficoltà di approccio, il suo sentirsi emarginato.
E infatti nessuno se ne cura, salvo alcune strutture (tipo Circoli, Misericordie, ecc.) che dedicano degli spazi a questi anziani: attività utile e meritoria, poiché se non altro li fa uscire di casa. Ma non può considerarsi esaustiva del problema, in quanto tali attività ricreano una sorta di ghetto dove rinchiudere solo anziani e dove essi non hanno nessun rapporto con il mondo vero, quello reale che è fuori del Circolo e che non ne vuole sapere di loro, specie se sono degli scarsi consumatori (e certo che con la pensione è ben difficile essere considerati dei potenziali “grandi acquirenti”).
L’articolo di giornale da cui ho tratto lo spunto per questa mia riflessione mi ha fatto stare male perché mi ha posto di fronte ad una realtà “da terzo mondo” in una società che si fa vanto della propria opulenza.
Comunque nessuna paura: tra due giorni non se ne parlerà più e le cronache torneranno ad essere piene di altre notizie “più patinate”.
Su questo evento, vorrei fare alcune considerazioni che servano magari perché ognuno di coloro che leggerà questo mio intervento, possa a sua volta riflettere e formarsi delle opinioni (magari anche diverse dalle mie).
Ho da sempre affermato che nel mio “programma di governo” ideale avrei collocato al primo posto la soluzione dei problemi e la migliore sistemazione per due categorie di persone: i bambini ed i vecchi. Le altre categorie all’interno di queste due sono ovviamente importanti, ma la soluzione dei loro eventuali problemi doveva venire dopo.
Perché questa scala di valori? Perché quelle due categorie (bambini ed anziani) non hanno, da soli, capacità di risolvere i loro problemi, specie quelli di natura psicologica.
Ed allora cosa dovrebbe fare uno Stato come io vorrei? Solamente mettere in testa all’agenda di tutte le sue strutture la priorità da assegnare a queste persone.
Per esempio: gli anziani che vivono con pensioni modeste, oltre ad avere difficoltà sul piano pratico, tendono anche ad estraniarsi dal contesto civile nel quale vivono, perché non hanno disponibilità finanziarie per seguire tutto quello che avviene intorno a loro.
In pratica, la loro esistenza è scandita da giorni – tutti uguali – in cui il rito del mangiare è l’unico che possono permettersi, insieme alla televisione.
E i figli, direte voi? E gli altri familiari, e gli amici?
In questa società non è facile far sentire un po’ di solidarietà; tutti sono presi dai loro impegni per “guadagnare sempre di più”, tutti corrono sempre più forte per arrivare alla meta nella migliore posizione possibile. Come è possibile che in questo turbinio di impegni e di attività ci possa rientrare il rapporto con l’anziano, con le sue turbe, le sue difficoltà di approccio, il suo sentirsi emarginato.
E infatti nessuno se ne cura, salvo alcune strutture (tipo Circoli, Misericordie, ecc.) che dedicano degli spazi a questi anziani: attività utile e meritoria, poiché se non altro li fa uscire di casa. Ma non può considerarsi esaustiva del problema, in quanto tali attività ricreano una sorta di ghetto dove rinchiudere solo anziani e dove essi non hanno nessun rapporto con il mondo vero, quello reale che è fuori del Circolo e che non ne vuole sapere di loro, specie se sono degli scarsi consumatori (e certo che con la pensione è ben difficile essere considerati dei potenziali “grandi acquirenti”).
L’articolo di giornale da cui ho tratto lo spunto per questa mia riflessione mi ha fatto stare male perché mi ha posto di fronte ad una realtà “da terzo mondo” in una società che si fa vanto della propria opulenza.
Comunque nessuna paura: tra due giorni non se ne parlerà più e le cronache torneranno ad essere piene di altre notizie “più patinate”.
martedì, marzo 23, 2004
Gli aiuti a questo calcio: ma siamo matti?!
Al termine di una settimana che ha visto le forze politiche impegnate nello studio di misure idonee a “salvare” il calcio dai pesanti debiti IRPEF, c’è stato, domenica, il bello spettacolo del derby romano, interrotto alla fine del primo tempo. Sarà stato un caso? Ma andiamo per ordine;
L’UEFA, l’organismo europeo che governa il calcio, ha emanato delle norme in base alle quali le società che non sono in regola con alcuni parametri, non potranno essere iscritte al prossimo campionato. Uno di questo parametri è quello di essere in regola con le tasse da corrispondere allo Stato (in particolare l’IRPEF); ovvio che molte società, anche tra quelle che vanno per la maggiore tipo Roma e Lazio, si sono…dimenticate di pagare l’IRPEF da molto tempo ed hanno accumulato un bel debito.
Niente paura, nel paese dei condoni vuoi che non si trovi un sistema per aggirare la norma? Detto fatto, si mette in fabbricazione un decreto definito “spalma trasse” che rateizza in cinque anni il pagamento alle società morose, senza penali e senza interessi.
Non tutti sono d’accordo con questo decreto, ma il nostro “premier levigato”, fiero della propria creatura (il Milan) non vuole trovarsi senza avversari con cui giocare e quindi ha tirato fuori un concetto che grosso modo recita: “non possiamo permettere che città grandi come Roma, Genova, Napoli, Palermo e Firenze rimangano senza calcio e quindi bisogna tutelare quei tifosi, sennò quelli fanno la rivoluzione”.
Già, quei tifosi, proprio quelli che domenica sera hanno dato uno spettacolo di inciviltà e di prepotenza unico al mondo: i capi ultras hanno in pratica “costretto” arbitro, giocatori, allenatori e dirigenti a non riprendere la partita dopo che una voce aveva annunciato che un bambino era stato investito da una camionetta della Polizia, cosa non vera e “subito” smentita dallo stesso Questore.
E non si dica che erano “poche frange violente” e la maggioranza se ne è stata buona buona; i cori erano fatti da centinaia e centinaia di persone. Inoltre le frasi dette a Totti, Peruzzi e agli allenatori sono “terribili”: è una vera costrizione a non riprendere il gioco e i giocatori, che proprio cuor di leone non sono, acconsentono alle minacce, ed anzi oggi tendono a smentire “per paura” quello che le telecamere mostrano e fanno sentire.
La partita è stata interrotta e nel defluire della folla ci sono stati tafferugli con i poliziotti: risultato 151 agenti e 21 tifosi all’ospedale (notate la proporzione)
Tutta la vicenda romana ha insegnato, caso mai non si fosse capito prima, che il calcio è in mano a spregevoli e violenti individui (i famosi ultras) che ricattano le società e gli stessi giocatori costringendoli a fare quello che loro vogliono.
Si è capito altresì che “non si è capito i motivi di tutto il bordello accaduto”, tant’è vero che un giornalista sportivo interpellato da una collega finlandese su quanto è accaduto, ha confessato di non averle saputo spiegare i fatti!
Ed è a questo mondo, a questi supporters che il governo si accingerebbe a fornire tali facilitazioni di pagamento?
Molte forze politiche, anche all’interno della compagine governativa, storcono la bocca a questa ipotesi, anche se – sotto il profilo strettamente economico – se lo Stato vuole rientrare nei propri crediti, questo è l’unico sistema, altrimenti si troverebbe di fronte ad una sequela di fallimenti e a quel punto recuperare i soldi diventerebbe molto più problematico.
Questo mi sembrerebbe l’unico motivo valido!
L’UEFA, l’organismo europeo che governa il calcio, ha emanato delle norme in base alle quali le società che non sono in regola con alcuni parametri, non potranno essere iscritte al prossimo campionato. Uno di questo parametri è quello di essere in regola con le tasse da corrispondere allo Stato (in particolare l’IRPEF); ovvio che molte società, anche tra quelle che vanno per la maggiore tipo Roma e Lazio, si sono…dimenticate di pagare l’IRPEF da molto tempo ed hanno accumulato un bel debito.
Niente paura, nel paese dei condoni vuoi che non si trovi un sistema per aggirare la norma? Detto fatto, si mette in fabbricazione un decreto definito “spalma trasse” che rateizza in cinque anni il pagamento alle società morose, senza penali e senza interessi.
Non tutti sono d’accordo con questo decreto, ma il nostro “premier levigato”, fiero della propria creatura (il Milan) non vuole trovarsi senza avversari con cui giocare e quindi ha tirato fuori un concetto che grosso modo recita: “non possiamo permettere che città grandi come Roma, Genova, Napoli, Palermo e Firenze rimangano senza calcio e quindi bisogna tutelare quei tifosi, sennò quelli fanno la rivoluzione”.
Già, quei tifosi, proprio quelli che domenica sera hanno dato uno spettacolo di inciviltà e di prepotenza unico al mondo: i capi ultras hanno in pratica “costretto” arbitro, giocatori, allenatori e dirigenti a non riprendere la partita dopo che una voce aveva annunciato che un bambino era stato investito da una camionetta della Polizia, cosa non vera e “subito” smentita dallo stesso Questore.
E non si dica che erano “poche frange violente” e la maggioranza se ne è stata buona buona; i cori erano fatti da centinaia e centinaia di persone. Inoltre le frasi dette a Totti, Peruzzi e agli allenatori sono “terribili”: è una vera costrizione a non riprendere il gioco e i giocatori, che proprio cuor di leone non sono, acconsentono alle minacce, ed anzi oggi tendono a smentire “per paura” quello che le telecamere mostrano e fanno sentire.
La partita è stata interrotta e nel defluire della folla ci sono stati tafferugli con i poliziotti: risultato 151 agenti e 21 tifosi all’ospedale (notate la proporzione)
Tutta la vicenda romana ha insegnato, caso mai non si fosse capito prima, che il calcio è in mano a spregevoli e violenti individui (i famosi ultras) che ricattano le società e gli stessi giocatori costringendoli a fare quello che loro vogliono.
Si è capito altresì che “non si è capito i motivi di tutto il bordello accaduto”, tant’è vero che un giornalista sportivo interpellato da una collega finlandese su quanto è accaduto, ha confessato di non averle saputo spiegare i fatti!
Ed è a questo mondo, a questi supporters che il governo si accingerebbe a fornire tali facilitazioni di pagamento?
Molte forze politiche, anche all’interno della compagine governativa, storcono la bocca a questa ipotesi, anche se – sotto il profilo strettamente economico – se lo Stato vuole rientrare nei propri crediti, questo è l’unico sistema, altrimenti si troverebbe di fronte ad una sequela di fallimenti e a quel punto recuperare i soldi diventerebbe molto più problematico.
Questo mi sembrerebbe l’unico motivo valido!
lunedì, marzo 22, 2004
L'astuzia dei pubblicitari
La televisione italiana, sempre alla ricerca di cose mai viste o comunque sempre più eclatanti, aveva ideato una trasmissione, “Bisturi”, che faceva perno sulla passione delle donne (ma anche degli uomini) italiane per la cosiddetta perfezione estetica: il naso bitorzoluto da ritoccare, il seno cadente o scarso da potenziare con il silicone, i glutei e le cosce da rimodellare come se fossero di proprietà di ballerine brasiliane.
Queste operazioni chirurgiche, dopo una breve intervista prima dell’intervista, rappresentavano il perno della trasmissione e venivano mostrate in tutta la loro crudezza; il sangue in primo piano, i ferri chirurgici, le iniezioni, insomma tutto l’armamentario tipico delle sale chirurgiche ospedaliere.
A condurre la trasmissione uno strano mix: Platinette insieme a Irene Pivetti che ricorderete come terza carica dello Stato non tanti anni or sono dal suo alto scranno di Presidente della Camera. Poveri noi!!
Le proteste delle varie associazioni non avevano avuto grandi risultati e lo show ha continuato ad andare in onda in prima serata (ore 20.30 circa) su Italia 1.
Alcuni giorni fa si sono schierati contro la trasmissione un gruppo di pubblicitari che sponsorizzavano la trasmissione: si sono rifiutati di continuare a far parte delle fasce pubblicitarie incluse nel programma e, in pratica, hanno decretato la sua chiusura.
E’ la prima volta a quanto mi consta che le strutture pubblicitarie decretano la fine anticipata di una trasmissione; se pensiamo bene, la cosa ha una sua particolarità: le Agenzie si sono rivolte alla rete ed hanno annunciato che non avrebbero più partecipato al programma, viste anche le polemiche sorte con le varie associazioni.
Fin qui tutto bene; però, c’è un però e molto grosso. Si da il caso che la trasmissione fosse stata già bocciata dai telespettatori ed infatti il suo livello di audience era inferiore al 10%, il che non è accettabile nel “prime-time” (20.30 – 22.30).
Si potrebbe quindi affermare che “hanno fatto una bella figura spendendo poco”: cioè, avrebbero dovuto comunque contestare il programma sulla base dei dati di ascolto; hanno agganciato tale circostanza alle proteste delle associazioni e ….ecco il risultato.
Il che dimostra, ancora una volta, che le strutture pubblicitarie ne conoscono una più del Diavolo; quelle italiane forse anche due!!
Queste operazioni chirurgiche, dopo una breve intervista prima dell’intervista, rappresentavano il perno della trasmissione e venivano mostrate in tutta la loro crudezza; il sangue in primo piano, i ferri chirurgici, le iniezioni, insomma tutto l’armamentario tipico delle sale chirurgiche ospedaliere.
A condurre la trasmissione uno strano mix: Platinette insieme a Irene Pivetti che ricorderete come terza carica dello Stato non tanti anni or sono dal suo alto scranno di Presidente della Camera. Poveri noi!!
Le proteste delle varie associazioni non avevano avuto grandi risultati e lo show ha continuato ad andare in onda in prima serata (ore 20.30 circa) su Italia 1.
Alcuni giorni fa si sono schierati contro la trasmissione un gruppo di pubblicitari che sponsorizzavano la trasmissione: si sono rifiutati di continuare a far parte delle fasce pubblicitarie incluse nel programma e, in pratica, hanno decretato la sua chiusura.
E’ la prima volta a quanto mi consta che le strutture pubblicitarie decretano la fine anticipata di una trasmissione; se pensiamo bene, la cosa ha una sua particolarità: le Agenzie si sono rivolte alla rete ed hanno annunciato che non avrebbero più partecipato al programma, viste anche le polemiche sorte con le varie associazioni.
Fin qui tutto bene; però, c’è un però e molto grosso. Si da il caso che la trasmissione fosse stata già bocciata dai telespettatori ed infatti il suo livello di audience era inferiore al 10%, il che non è accettabile nel “prime-time” (20.30 – 22.30).
Si potrebbe quindi affermare che “hanno fatto una bella figura spendendo poco”: cioè, avrebbero dovuto comunque contestare il programma sulla base dei dati di ascolto; hanno agganciato tale circostanza alle proteste delle associazioni e ….ecco il risultato.
Il che dimostra, ancora una volta, che le strutture pubblicitarie ne conoscono una più del Diavolo; quelle italiane forse anche due!!
domenica, marzo 21, 2004
Le merendine
Ho avuto occasione di registrare lo sfogo di una giovane madre che si è sentita attaccare dal suo pediatra circa il “modo” di alimentarsi del suo bambino.
Il problema è molto semplice: la signora, onestamente, ha confessato che il bambino mangia sulla scorta di quanto gli propina la pubblicità (merendine, succhi di frutta, snack, hamburger, ecc.); il pediatra – non più giovanissimo – ha controbattuto, puntando su cibi genuini (almeno in partenza), quali pane e olio, spremute di frutta, carne di ogni genere e tipo, mangiata con cotture varie.
Ma chi ha ragione in questa diatriba?
Come al solito, entrambi hanno una parte di ragione.
Il pediatra che inneggia alla perduta genuinità, combatte una battaglia più grande di lui e si presenta – da solo – contro le multinazionali, appoggiate da Uffici Marketing agguerritissimi e da cifre iperboliche per la pubblicità.
La mamma, dal canto suo, è una donna che lavora, sente il peso della sua assenza dalla famiglia e ritiene di porvi rimedio – sia pure parzialmente – riempiendo tutti (e quindi anche il figlio, forse soprattutto) con le porcherie proposte dalla pubblicità, la quale – badate bene – fa leva su questa sorta di complesso di colpa e, a livello inconscio ovviamente, trasmette alla donna lavoratrice il seguente messaggio: “tu che lavori e fai mancare la tua presenza a marito e figlio, puoi in parte “redimerti” comprando per loro le merendine XXX e gli hamburger YYY”.
Lo so che è un modo scorretto di fare pubblicità, ma il bisogno impellente di consumare ha portato la nostra civiltà a far leva su oscuri sentimenti di colpa (come se lavorare fosse un peccato) e trarre da questi gli stimoli giusti per un sempre maggiore acquisto di…cose delle quali potremmo fare a meno.
Quindi, il pediatra ha ragione a propagandare il cibo genuino, ma così facendo induce la mamma ad avere sempre più complessi di colpa e, infine, a non capire più che cosa si voglia da lei. Insomma, la battaglia del medico contro i mass media – segnatamente la pubblicità televisiva – è persa in partenza (purtroppo); il problema è che non se ne rende conto e quindi non tenta neppure di aggiustare il tiro per vedere se riesce a far breccia in qualche altro modo.
In fin dei conti chi sconta questa “guerra” sono i bambini che crescono obesi e con il fegato a pezzi già ad un’età che in altre epoche non si prendeva neppure in considerazione.
E tutto questo sull’altare del consumismo, del superfluo e del “sempre più”, alla faccia di chi – anche in questa ricchissima civiltà dei consumi – continua a morire di fame all’età in cui i nostri bambini cominciano le prime analisi al fegato.
Il problema è molto semplice: la signora, onestamente, ha confessato che il bambino mangia sulla scorta di quanto gli propina la pubblicità (merendine, succhi di frutta, snack, hamburger, ecc.); il pediatra – non più giovanissimo – ha controbattuto, puntando su cibi genuini (almeno in partenza), quali pane e olio, spremute di frutta, carne di ogni genere e tipo, mangiata con cotture varie.
Ma chi ha ragione in questa diatriba?
Come al solito, entrambi hanno una parte di ragione.
Il pediatra che inneggia alla perduta genuinità, combatte una battaglia più grande di lui e si presenta – da solo – contro le multinazionali, appoggiate da Uffici Marketing agguerritissimi e da cifre iperboliche per la pubblicità.
La mamma, dal canto suo, è una donna che lavora, sente il peso della sua assenza dalla famiglia e ritiene di porvi rimedio – sia pure parzialmente – riempiendo tutti (e quindi anche il figlio, forse soprattutto) con le porcherie proposte dalla pubblicità, la quale – badate bene – fa leva su questa sorta di complesso di colpa e, a livello inconscio ovviamente, trasmette alla donna lavoratrice il seguente messaggio: “tu che lavori e fai mancare la tua presenza a marito e figlio, puoi in parte “redimerti” comprando per loro le merendine XXX e gli hamburger YYY”.
Lo so che è un modo scorretto di fare pubblicità, ma il bisogno impellente di consumare ha portato la nostra civiltà a far leva su oscuri sentimenti di colpa (come se lavorare fosse un peccato) e trarre da questi gli stimoli giusti per un sempre maggiore acquisto di…cose delle quali potremmo fare a meno.
Quindi, il pediatra ha ragione a propagandare il cibo genuino, ma così facendo induce la mamma ad avere sempre più complessi di colpa e, infine, a non capire più che cosa si voglia da lei. Insomma, la battaglia del medico contro i mass media – segnatamente la pubblicità televisiva – è persa in partenza (purtroppo); il problema è che non se ne rende conto e quindi non tenta neppure di aggiustare il tiro per vedere se riesce a far breccia in qualche altro modo.
In fin dei conti chi sconta questa “guerra” sono i bambini che crescono obesi e con il fegato a pezzi già ad un’età che in altre epoche non si prendeva neppure in considerazione.
E tutto questo sull’altare del consumismo, del superfluo e del “sempre più”, alla faccia di chi – anche in questa ricchissima civiltà dei consumi – continua a morire di fame all’età in cui i nostri bambini cominciano le prime analisi al fegato.