sabato, aprile 01, 2006
RITORNA UN PO' DI SPIRITUALITA' ?
E’ un po’ di tempo che sto avvertendo qualche segnale che mi induce a ritenere come l’uomo contemporaneo stia facendo ricorso – sempre più spesso – ad una qualche forma di spiritualità, più o meno ortodossa, più o meno sincera, più o meno dettata da quei furboni che stanno dietro i mass media.
Sarà che domani si compie un anno dalla morte di Papa Wojtyla e questo promuove tutta una serie di ricordi del Papa Santo che inducono a qualche forma di meditazione: pensate che sono attesi a Roma oltre 100.000 pellegrini, dei quale la metà proviene dalla Polonia; in questi stessi giorni avrebbe dovuto uscire su Canale 5 la seconda parte della fiction “Karol” – presentata ieri a Benedetto XVI e a uno scelto pubblico di alti prelati – che invece viene rimandata per non “disturbare” la sfida Berlusconi/Prodi in onda sulla RAI: a quanto è dato sapere al termine della visione del filmato la commozione ha preso tutti i presenti, in testa l’attuale Santo Padre.
Sono riprese le lacrimazioni delle statuette della Madonna; dopo quella della Chiesa di Santa Lucia a Forlì, per la quale sono in corso attente analisi da parte della Curia, ha pianto anche la statua che era stata messa a Civitavecchia in sostituzione di quella già lacrimante oltre dieci anni or sono e che era stata ritirata dalla Curia per farci accertamenti minuziosi che si sono orientati sulla “inspiegabilità” dell’evento; per quest’ultimo fatto c’è da aggiungere che nel momento in cui la statua ha emesso lacrime, era presente anche il Vescovo Girolamo Grillo che ha solo potuto ammettere quello che aveva visto (anche in questo caso sono in corso indagini).
Tutte queste manifestazioni esteriori non sono nient’altro che una proiezione del nostro bisogno di trascendente, bisogno che può manifestarsi anche con questi eventi straordinari; va da sé che per chi ci crede le lacrime della Madonna sono sicuramente un avvertimento per tutti noi e un modo anche evidente di incitarci ad essere più buoni; ma poiché ritengo che abbiano assistito a queste cose anche persone non proprio credenti, per loro penso che valga il discorso di poc’anzi: l’uomo contemporaneo sta cercando qualcosa che lo aiuti a tirare su i piedi dalla terra e ad elevarsi, almeno un po’, verso il Cielo.
Di questi episodi che possono far riflettere ne vorrei citare un terzo, l’ultimo, ed è quello che riguarda il film, in uscita in questi giorni sugli schermi italiani, “Il grande silenzio” che in 160 minuti per lo più muti, narra in forma documentaristica la vita che si svolge nella Grande Certosa sulle Alpi francesi, tra i monaci certosini della casa madre del leggendario ordine di eremiti.
È una feroce e bellissima disanima della pratica della clausura che ormai solo pochi ordini hanno conservato; con la fioca luce degli interni, come in quella abbagliante della splendida natura che circonda l’edificio, si assiste al ripetersi delle stesse giornate, immutate da decenni, e delle notti che non sono fatte solo di sonno, poiché ogni tre ore i monaci si ritirano in preghiera per altrettanto e a questo fanno seguire altre tre ore di sonno.
Il film è talmente “innaturale” per il panorama cinematografico che abbiamo nel mondo intero, da apparire ipnotizzante, con quel debordante e assordante silenzio che ne è la principale colonna sonora.
Il Papa Benedetto XVI lo ha consigliato al clero di tutto il mondo, ma non credo che sia stato per questo motivo che il film – uscito in Germania sotto di Natale – ha stracciato tutti i lavori costruiti per l’occasione delle Feste, tra i quali il fantastico e ipertecnologico “Harry Potter”: non credo che da solo questo possa significare un ritorno alla spiritualità, ma se non altro è una scelta precisa tra l’assordante baccano dei mass-media e il bellissimo, significativo silenzio dei monaci certosini: imparare a stare zitti e ascoltare lo stormire degli alberi potrebbe essere uno dei temi più appassionanti che ci potremmo dare.
Sarà che domani si compie un anno dalla morte di Papa Wojtyla e questo promuove tutta una serie di ricordi del Papa Santo che inducono a qualche forma di meditazione: pensate che sono attesi a Roma oltre 100.000 pellegrini, dei quale la metà proviene dalla Polonia; in questi stessi giorni avrebbe dovuto uscire su Canale 5 la seconda parte della fiction “Karol” – presentata ieri a Benedetto XVI e a uno scelto pubblico di alti prelati – che invece viene rimandata per non “disturbare” la sfida Berlusconi/Prodi in onda sulla RAI: a quanto è dato sapere al termine della visione del filmato la commozione ha preso tutti i presenti, in testa l’attuale Santo Padre.
Sono riprese le lacrimazioni delle statuette della Madonna; dopo quella della Chiesa di Santa Lucia a Forlì, per la quale sono in corso attente analisi da parte della Curia, ha pianto anche la statua che era stata messa a Civitavecchia in sostituzione di quella già lacrimante oltre dieci anni or sono e che era stata ritirata dalla Curia per farci accertamenti minuziosi che si sono orientati sulla “inspiegabilità” dell’evento; per quest’ultimo fatto c’è da aggiungere che nel momento in cui la statua ha emesso lacrime, era presente anche il Vescovo Girolamo Grillo che ha solo potuto ammettere quello che aveva visto (anche in questo caso sono in corso indagini).
Tutte queste manifestazioni esteriori non sono nient’altro che una proiezione del nostro bisogno di trascendente, bisogno che può manifestarsi anche con questi eventi straordinari; va da sé che per chi ci crede le lacrime della Madonna sono sicuramente un avvertimento per tutti noi e un modo anche evidente di incitarci ad essere più buoni; ma poiché ritengo che abbiano assistito a queste cose anche persone non proprio credenti, per loro penso che valga il discorso di poc’anzi: l’uomo contemporaneo sta cercando qualcosa che lo aiuti a tirare su i piedi dalla terra e ad elevarsi, almeno un po’, verso il Cielo.
Di questi episodi che possono far riflettere ne vorrei citare un terzo, l’ultimo, ed è quello che riguarda il film, in uscita in questi giorni sugli schermi italiani, “Il grande silenzio” che in 160 minuti per lo più muti, narra in forma documentaristica la vita che si svolge nella Grande Certosa sulle Alpi francesi, tra i monaci certosini della casa madre del leggendario ordine di eremiti.
È una feroce e bellissima disanima della pratica della clausura che ormai solo pochi ordini hanno conservato; con la fioca luce degli interni, come in quella abbagliante della splendida natura che circonda l’edificio, si assiste al ripetersi delle stesse giornate, immutate da decenni, e delle notti che non sono fatte solo di sonno, poiché ogni tre ore i monaci si ritirano in preghiera per altrettanto e a questo fanno seguire altre tre ore di sonno.
Il film è talmente “innaturale” per il panorama cinematografico che abbiamo nel mondo intero, da apparire ipnotizzante, con quel debordante e assordante silenzio che ne è la principale colonna sonora.
Il Papa Benedetto XVI lo ha consigliato al clero di tutto il mondo, ma non credo che sia stato per questo motivo che il film – uscito in Germania sotto di Natale – ha stracciato tutti i lavori costruiti per l’occasione delle Feste, tra i quali il fantastico e ipertecnologico “Harry Potter”: non credo che da solo questo possa significare un ritorno alla spiritualità, ma se non altro è una scelta precisa tra l’assordante baccano dei mass-media e il bellissimo, significativo silenzio dei monaci certosini: imparare a stare zitti e ascoltare lo stormire degli alberi potrebbe essere uno dei temi più appassionanti che ci potremmo dare.
venerdì, marzo 31, 2006
SONO TEMPI DIFFICILI
Il refrain di una nota canzone del cantautore satirico Tonino Carotone recita appunto “sono tempi difficili” e dobbiamo ammettere che è vero; sono tempi difficili ma sono anche tempi sorprendenti e pertanto anche tempi meravigliosi; vediamo quale aggettivo ci piace di più.
Sono tempi difficili perché lo dicono tutti e quindi ci deve essere qualcosa di vero, anche se – come ho già avuto modo di dire in passato – provate a mettervi su una strada di traffico e contare le auto del valore pari o superiore a 50.000 euro che transitano; io la prova l’ho fatta e sono rimasto sconcertato; fate voi la controprova e sappiatemi dire!.
Sono tempi difficili perché – come dice uno slogan politico – l’Italia è alla frutta: non so quali parametri vengono usati per trarre queste conclusioni, ma se provate a fare un altro esperimento poi mi direte: provate a prenotare un viaggio in posti anche costosi nelle prossime vacanze di Pasqua; oppure provate a prenotare un aereo per una normale città italiana come è capitato a me e vi sentirete rispondere che è tutto pieno fino a tre giorni dopo Pasqua; proviamo allora a fare una cosa più semplice e cioè ad andare in un Ristorante o in una Pizzeria in un giorno normale (escludiamo il sabato) e vedrete che è un problema trovare il posto.
Quindi tutto questo cosa sta ad indicare? Soprattutto che sono aumentati e di parecchio coloro che si possono permettere spese sopra la media e sono aumentati anche coloro che non si possono permettere neppure le cose normali; tutto questo perché è stata spazzata via la celebre “middle class”, il ceto medio, l’asse portante di ogni società industriale, categoria sociale che è stata risucchiata in parte dalla classe superiore e in parte ancora maggiore da quella inferiore: così si spiegano tante lamentazioni della cosiddetta borghesia sul tipo di vita che le viene imposto.
Soluzione a questo problema: molto semplice, una bella rivoluzione che azzeri tutte le posizioni e, in pratica, ridistribuisca le carte per una nuova partita; ne avete voglia?!
Ma dicevamo che sono anche tempi sorprendenti, tempi cioè che continuano a generare una massa di gente che non riesce a decifrare il concetto finzione/realtà e per questo continua a soffrire o a gioire delle cose altrui che gli vengono proposte dai mass media allo stesso modo che se fossero le proprie gioie o i propri dolori; ne sono esempi i casi del Processo di Cogne e la vicenda ancora misteriosa del rapimento del piccolo Tommaso, tanto per citarne solo due tra i tanti.
Ma sono anche tempi meravigliosi – a saperne cogliere l’intima essenza che non è il denaro – specie perché possiamo assistere a situazioni paradossali come i giovani veneti che mettono le bombe “per noia”, oppure il calabrese che dichiara di avere “sacrificato a Satana” quattro persone” ed anche – fatte le debite proporzioni tra tutto quanto – il caso di una o più persone che usano internet per richiedere un tipo di latte particolare per un bimbo che sta male e si scopre che è tutta una bufala, tutto un gioco, forse dettato ancora una volta dalla noia. Cosa c’è di meraviglioso in tutto questo? Ma c’è la vita stessa, la pulsione della vita che provoca anche queste demenze, ma fatte in presenza di uno splendido tramonto o affacciati su una terrazza di fronte al mare.
Statene certi che in un campo di concentramento di stampo hitleriano o in un gulag staliniano o in uno stadio “attrezzato” dai colonnelli argentini, non viene la voglia di scherzare sulla vita e sulla morte, tutto è troppo maledettamente serio per non incidere sugli atteggiamenti della gente. Quindi, contentiamoci almeno della libertà che abbiamo, o meglio, di questa libertà che la dà comunque vinta ai mass media.
Scusate la fine, forse un po’ troppo malinconica, ma oggi mi viene così!
Sono tempi difficili perché lo dicono tutti e quindi ci deve essere qualcosa di vero, anche se – come ho già avuto modo di dire in passato – provate a mettervi su una strada di traffico e contare le auto del valore pari o superiore a 50.000 euro che transitano; io la prova l’ho fatta e sono rimasto sconcertato; fate voi la controprova e sappiatemi dire!.
Sono tempi difficili perché – come dice uno slogan politico – l’Italia è alla frutta: non so quali parametri vengono usati per trarre queste conclusioni, ma se provate a fare un altro esperimento poi mi direte: provate a prenotare un viaggio in posti anche costosi nelle prossime vacanze di Pasqua; oppure provate a prenotare un aereo per una normale città italiana come è capitato a me e vi sentirete rispondere che è tutto pieno fino a tre giorni dopo Pasqua; proviamo allora a fare una cosa più semplice e cioè ad andare in un Ristorante o in una Pizzeria in un giorno normale (escludiamo il sabato) e vedrete che è un problema trovare il posto.
Quindi tutto questo cosa sta ad indicare? Soprattutto che sono aumentati e di parecchio coloro che si possono permettere spese sopra la media e sono aumentati anche coloro che non si possono permettere neppure le cose normali; tutto questo perché è stata spazzata via la celebre “middle class”, il ceto medio, l’asse portante di ogni società industriale, categoria sociale che è stata risucchiata in parte dalla classe superiore e in parte ancora maggiore da quella inferiore: così si spiegano tante lamentazioni della cosiddetta borghesia sul tipo di vita che le viene imposto.
Soluzione a questo problema: molto semplice, una bella rivoluzione che azzeri tutte le posizioni e, in pratica, ridistribuisca le carte per una nuova partita; ne avete voglia?!
Ma dicevamo che sono anche tempi sorprendenti, tempi cioè che continuano a generare una massa di gente che non riesce a decifrare il concetto finzione/realtà e per questo continua a soffrire o a gioire delle cose altrui che gli vengono proposte dai mass media allo stesso modo che se fossero le proprie gioie o i propri dolori; ne sono esempi i casi del Processo di Cogne e la vicenda ancora misteriosa del rapimento del piccolo Tommaso, tanto per citarne solo due tra i tanti.
Ma sono anche tempi meravigliosi – a saperne cogliere l’intima essenza che non è il denaro – specie perché possiamo assistere a situazioni paradossali come i giovani veneti che mettono le bombe “per noia”, oppure il calabrese che dichiara di avere “sacrificato a Satana” quattro persone” ed anche – fatte le debite proporzioni tra tutto quanto – il caso di una o più persone che usano internet per richiedere un tipo di latte particolare per un bimbo che sta male e si scopre che è tutta una bufala, tutto un gioco, forse dettato ancora una volta dalla noia. Cosa c’è di meraviglioso in tutto questo? Ma c’è la vita stessa, la pulsione della vita che provoca anche queste demenze, ma fatte in presenza di uno splendido tramonto o affacciati su una terrazza di fronte al mare.
Statene certi che in un campo di concentramento di stampo hitleriano o in un gulag staliniano o in uno stadio “attrezzato” dai colonnelli argentini, non viene la voglia di scherzare sulla vita e sulla morte, tutto è troppo maledettamente serio per non incidere sugli atteggiamenti della gente. Quindi, contentiamoci almeno della libertà che abbiamo, o meglio, di questa libertà che la dà comunque vinta ai mass media.
Scusate la fine, forse un po’ troppo malinconica, ma oggi mi viene così!
martedì, marzo 28, 2006
LE BATTAGLIE DEL CODACONS
Stamani, leggendo alcuni quotidiani, c’è da farsi venire un mezzo infarto: aumento Telecom del 117%, il Codacons è in rivolta per contrastare l’aumento. Poi uno legge meglio e vede che questo aumento stratosferico è riferito alle spese di spedizione e non alla bolletta, ed allora va a verificare le cifre e scopre che in un anno l’aggravio sarà di ben 1 euro e 42 centesimi, passando da 1,22 a 2,64. Ripeto, per chi non l’avesse afferrato: in un anno + 1,42 euro!!
Io sono un profondo estimatore delle associazioni consumatori e invece un accanito avversario di Telecom e quindi scoprite da soli come mi colloco in questa guerricciola; soltanto che mi sembrerebbe che le energie delle associazioni dovrebbero essere meglio utilizzate, intendo per battaglie di maggiore spessore che non 1,42 euro annuali.
E mi spiego meglio: nella bolletta che Telecom invia ai suoi clienti c’è una voce (quella del canone) che è rappresentata da un importo a due cifre (bimestrale) e che noi italiani abbiamo la “fortuna” di avere, unici in Europa, perché nessuna associazione, nessuna Authority l’ha spuntata su quel volpone di Tronchetti Provera.
Vi dico subito la mia impressione, poi continuiamo pure la discussione: ho una gran paura che tutti coloro che potevano, e soprattutto dovevano, combattere questa battaglia non si siano impegnati come avrebbero potuto e dovuto.
E vi spiego ancora meglio il mio pensiero: se qualcuno ha avuto occasione di contrattare un qualche servizio con Telecom (sia rete fissa che mobile), l’unica cosa che non può far parte di una qualsiasi trattativa è il canone; questo perché se l’azienda dovesse perdere questo introito andrebbe a carte quarantotto in pochi mesi.
A cosa si riferisce questo stramaledetto canone che – avrete notato – fa lievitare le bollette in modo esponenziale: si rifà addirittura al fatto storico che il predecessore di Telecom ha fatto correre i fili telefonici per tutta Italia e poi li ha fatti entrare nelle singole case degli italiani; bella forza, aveva il monopolio della telefonia e quindi nessun altro poteva fare questo lavoro.
In pratica, tutti i vari gestori delle reti fisse, pagano all’ex monopolista un diritto per l’utilizzo del cosiddetto “ultimo miglio” e con questi soldini – che entrano puliti, puliti – il bel Tronchetti Provera può fare alla bella Afef tutti i regali che vuole.
Ecco, tornando all’inizio del mio discorso, questa sarebbe una battaglia sacrosanta che le Associazioni dei Consumatori (Codacons in testa) dovrebbero impostare, magari ricorrendo anche alla Corte Europea, o comunque rendendola di respiro europeo; con queste battaglie le nostre associazioni si avvicinerebbero a quello che sono le colleghe americane che determinano il bello e cattivo tempo di una azienda se le viene fatto pollice verso da una di queste associazioni.
Un’altra lotta, sempre contro Telecom, dovrebbe essere quella di fare in modo che questo stramaledetto “ultimo miglio” andasse poi a finire in una centrale elettronica e non meccanica come avviene nell’oltre il 50% dei casi, impedendo così ad oltre la metà degli utenti – che paga lo stesso canone degli altri - di accedere alla cosiddetta “banda larga”, cioè alla ADSL, per i collegamenti internet.
Se le battaglie si limitano ai soldi della spedizione delle bollette, mi convinco sempre più che c’è qualcosa che non quadra tra associazioni consumatori e produttori di servizi, sembra quasi che ci sia una sorta di accordo su quello su cui si può battagliare e su quello che invece è vietato; penso male? Forse, ma a pensare male farò pure peccato, ma rischio di indovinarci quasi sempre!
Io sono un profondo estimatore delle associazioni consumatori e invece un accanito avversario di Telecom e quindi scoprite da soli come mi colloco in questa guerricciola; soltanto che mi sembrerebbe che le energie delle associazioni dovrebbero essere meglio utilizzate, intendo per battaglie di maggiore spessore che non 1,42 euro annuali.
E mi spiego meglio: nella bolletta che Telecom invia ai suoi clienti c’è una voce (quella del canone) che è rappresentata da un importo a due cifre (bimestrale) e che noi italiani abbiamo la “fortuna” di avere, unici in Europa, perché nessuna associazione, nessuna Authority l’ha spuntata su quel volpone di Tronchetti Provera.
Vi dico subito la mia impressione, poi continuiamo pure la discussione: ho una gran paura che tutti coloro che potevano, e soprattutto dovevano, combattere questa battaglia non si siano impegnati come avrebbero potuto e dovuto.
E vi spiego ancora meglio il mio pensiero: se qualcuno ha avuto occasione di contrattare un qualche servizio con Telecom (sia rete fissa che mobile), l’unica cosa che non può far parte di una qualsiasi trattativa è il canone; questo perché se l’azienda dovesse perdere questo introito andrebbe a carte quarantotto in pochi mesi.
A cosa si riferisce questo stramaledetto canone che – avrete notato – fa lievitare le bollette in modo esponenziale: si rifà addirittura al fatto storico che il predecessore di Telecom ha fatto correre i fili telefonici per tutta Italia e poi li ha fatti entrare nelle singole case degli italiani; bella forza, aveva il monopolio della telefonia e quindi nessun altro poteva fare questo lavoro.
In pratica, tutti i vari gestori delle reti fisse, pagano all’ex monopolista un diritto per l’utilizzo del cosiddetto “ultimo miglio” e con questi soldini – che entrano puliti, puliti – il bel Tronchetti Provera può fare alla bella Afef tutti i regali che vuole.
Ecco, tornando all’inizio del mio discorso, questa sarebbe una battaglia sacrosanta che le Associazioni dei Consumatori (Codacons in testa) dovrebbero impostare, magari ricorrendo anche alla Corte Europea, o comunque rendendola di respiro europeo; con queste battaglie le nostre associazioni si avvicinerebbero a quello che sono le colleghe americane che determinano il bello e cattivo tempo di una azienda se le viene fatto pollice verso da una di queste associazioni.
Un’altra lotta, sempre contro Telecom, dovrebbe essere quella di fare in modo che questo stramaledetto “ultimo miglio” andasse poi a finire in una centrale elettronica e non meccanica come avviene nell’oltre il 50% dei casi, impedendo così ad oltre la metà degli utenti – che paga lo stesso canone degli altri - di accedere alla cosiddetta “banda larga”, cioè alla ADSL, per i collegamenti internet.
Se le battaglie si limitano ai soldi della spedizione delle bollette, mi convinco sempre più che c’è qualcosa che non quadra tra associazioni consumatori e produttori di servizi, sembra quasi che ci sia una sorta di accordo su quello su cui si può battagliare e su quello che invece è vietato; penso male? Forse, ma a pensare male farò pure peccato, ma rischio di indovinarci quasi sempre!
lunedì, marzo 27, 2006
MA CHE BRAVO QUELLO CHIRAC !!
Jacques Chirac, Presidente della Repubblica Francese, in questi ultimi giorni ha compiuto alcuni atti e detto alcune frasi che meritano una qualche riflessione e che – a un euro contrario come me – suonano come musica dolcissima; vi spiego perché.
Il tutto è avvenuto nel corso dell’incontro di Bruxelles riservato ai Capi di Stato e di Governo; l’ineffabile presidente ha iniziato con un “colpo di teatro” assolutamente splendido: è in programma la relazione annuale del Presidente della Confindustria Europea, un francese di cui non ricordo il nome, e ad ascoltarlo c’erano tutti i convenuti; all’improvviso, dopo pochi minuti dall’inizio della relazione, Chirac, ostentatamente e con modo a dir poco maleducato, esce dalla stanza e, rivolgendosi ai giornalisti dice loro che non starà un minuto di più ad ascoltare “un francese che legge una relazione in inglese”.
È chiaro il motivo del contendere? Il Presidente francese non sopporta che la lingua dell’Europa sia l’inglese e si arrabbia quando un francese viene costretto ad usarla.
Poche ore dopo ritorna a galla la vicenda della mancata O.P.A. di ENEL su Gdf e su questa operazione l’ineffabile Chirac ha ribadito quanto detto in altra occasione e cioè che l’OPA italiana era “ostile” (chiaramente una balla perché un’OPA è sempre ostile) e che il governo francese ha fatto quadrato attorno alla propria azienda per difendere gli interessi dei lavoratori, delle imprese e dei lavoratori francesi.
A queste dichiarazioni è stato facile rispondere – da parte degli euro scettici – che Chirac fa i propri interessi ed è l’ora che anche noi ci preoccupiamo dei nostri anziché seguire le farraginose normative della Comunità Europea: questo è quanto dichiarato dal Ministro Maroni che ha poi proseguito: “La Francia è uno dei paesi che hanno fondato l’Unione Europea; se tiene un comportamento del genere – che peraltro non viene sanzionato – non vedo perché condannarlo. Bisogna invece fare come loro. È un esempio di tutela dei propri interessi nell’ambito delle regole europee”.
Ecco spiegato perché le parole e gli atteggiamenti di Chirac portano molta acqua al mulino degli euro contrari (come me), perché sono complessivamente improntati ad un protezionismo esasperato, addirittura il contrario di quanto si dovrebbe fare come aderenti alla Comunità Europea.
E sempre nell’ottica della tutela degli interessi francesi, il governo dei nostri cugini d’oltralpe ha “aiutato” svariate scalate di banche francesi a nostre istituzioni creditizie; facciamo dei nomi: il Credit Agricole controlla Banca Intesa; BNP Paribas ha lanciato un’OPA sulla nostra BNL, peraltro già autorizzata dal nuovo Governatore di Bankitalia; la DEXIA controlla Crediop; la CIC è a capo di una cordata francese che controlla oltre il 20% di Mediobanca (il salotto buono della nostra finanza).
Come si vede, gli interessi francesi sono stati molto ben tutelati; mi sembra che i nostri lo siano un po’ meno e ricordiamoci l’ammonimento di uno storico Governatore – Guido Carli - che affermava come le banche, a seguito del monumentale indebitamento delle aziende italiane, erano gli effettivi proprietari delle nostre industrie: non mi risulta che le cose siano cambiate, anzi…
Comunque, ingordigia e affermazioni di superiorità non sono altro che incentivi per gli altri Paesi della Comunità per prendere coscienza dell’impossibilità di tirare avanti un baraccone di 25 stati, ognuno diverso dall’altro e con interessi contrastanti.
E quindi, a gioco lungo, l’avremo vinta noi euro-contrari!! Peccato che si perda tutto questo tempo:
Il tutto è avvenuto nel corso dell’incontro di Bruxelles riservato ai Capi di Stato e di Governo; l’ineffabile presidente ha iniziato con un “colpo di teatro” assolutamente splendido: è in programma la relazione annuale del Presidente della Confindustria Europea, un francese di cui non ricordo il nome, e ad ascoltarlo c’erano tutti i convenuti; all’improvviso, dopo pochi minuti dall’inizio della relazione, Chirac, ostentatamente e con modo a dir poco maleducato, esce dalla stanza e, rivolgendosi ai giornalisti dice loro che non starà un minuto di più ad ascoltare “un francese che legge una relazione in inglese”.
È chiaro il motivo del contendere? Il Presidente francese non sopporta che la lingua dell’Europa sia l’inglese e si arrabbia quando un francese viene costretto ad usarla.
Poche ore dopo ritorna a galla la vicenda della mancata O.P.A. di ENEL su Gdf e su questa operazione l’ineffabile Chirac ha ribadito quanto detto in altra occasione e cioè che l’OPA italiana era “ostile” (chiaramente una balla perché un’OPA è sempre ostile) e che il governo francese ha fatto quadrato attorno alla propria azienda per difendere gli interessi dei lavoratori, delle imprese e dei lavoratori francesi.
A queste dichiarazioni è stato facile rispondere – da parte degli euro scettici – che Chirac fa i propri interessi ed è l’ora che anche noi ci preoccupiamo dei nostri anziché seguire le farraginose normative della Comunità Europea: questo è quanto dichiarato dal Ministro Maroni che ha poi proseguito: “La Francia è uno dei paesi che hanno fondato l’Unione Europea; se tiene un comportamento del genere – che peraltro non viene sanzionato – non vedo perché condannarlo. Bisogna invece fare come loro. È un esempio di tutela dei propri interessi nell’ambito delle regole europee”.
Ecco spiegato perché le parole e gli atteggiamenti di Chirac portano molta acqua al mulino degli euro contrari (come me), perché sono complessivamente improntati ad un protezionismo esasperato, addirittura il contrario di quanto si dovrebbe fare come aderenti alla Comunità Europea.
E sempre nell’ottica della tutela degli interessi francesi, il governo dei nostri cugini d’oltralpe ha “aiutato” svariate scalate di banche francesi a nostre istituzioni creditizie; facciamo dei nomi: il Credit Agricole controlla Banca Intesa; BNP Paribas ha lanciato un’OPA sulla nostra BNL, peraltro già autorizzata dal nuovo Governatore di Bankitalia; la DEXIA controlla Crediop; la CIC è a capo di una cordata francese che controlla oltre il 20% di Mediobanca (il salotto buono della nostra finanza).
Come si vede, gli interessi francesi sono stati molto ben tutelati; mi sembra che i nostri lo siano un po’ meno e ricordiamoci l’ammonimento di uno storico Governatore – Guido Carli - che affermava come le banche, a seguito del monumentale indebitamento delle aziende italiane, erano gli effettivi proprietari delle nostre industrie: non mi risulta che le cose siano cambiate, anzi…
Comunque, ingordigia e affermazioni di superiorità non sono altro che incentivi per gli altri Paesi della Comunità per prendere coscienza dell’impossibilità di tirare avanti un baraccone di 25 stati, ognuno diverso dall’altro e con interessi contrastanti.
E quindi, a gioco lungo, l’avremo vinta noi euro-contrari!! Peccato che si perda tutto questo tempo:
domenica, marzo 26, 2006
LA GRANDE TRUFFA
In questi giorni ricomincia la solita sceneggiata dalla Coppa America di vela, nella quale una serie di team capitanati da straricchi si disputa una Coppa il cui valore non è certamente paragonabile con quanto viene speso.
Noi italiani abbiamo nomi di scafi assolutamente suggestivi, da “Mascalzone Latino” a “Luna Rossa” o, come sembra vogliano modificare, “Luna Nera”.
Ho preso l’avvio per questo mio post dalla Coppa di vela, manifestazione che nel periodo in cui si svolge, trattiene di fronte alla televisione una gran massa di italiani che il giorno dopo tira fuori neologismi del tipo “vado di bolina” oppure “cazzo la randa” ed altri del genere dei quali non si conosce il significato esatto ma che è molto fine pronunciare.
Di questa competizione, noi italiani che viviamo come il maggior evento marino i quindici giorni a Rimini, rimaniamo affascinati, la seguiamo come se fosse il Campionato Mondiale di calcio.
Ma non volevo parlare di questo, volevo invece parlare di truffe: i nostri rappresentanti sono Tronchetti Provera, misterioso ultramiliardario, del quale non si conosce bene come sia arrivato dove è arrivato, seguito come un’ombra dalla splendida anche se non più di primo pelo Afef; ma non volevo parlare neppure di loro, ma dell’altro “velista”, il Bertelli titolare della griffe “Prada” del quale si conosce benissimo come abbia fatto a ritrovarsi tutti i soldi che si ritrova; ed allora parliamo di lui – in quanto archetipo di titolari di griffe – e facciamo il proverbiale passo indietro.
Alcune settimane fa ho avuto notizia che un oggetto griffato, acquistato fuori dal normale circuito ma di provenienza assolutamente lecita – cioè dall’azienda che lo realizza – costa un ottavo del suo prezzo al pubblico.
Cioè, mi spiego meglio e vorrei anche rincarare la dose: nella filiera del prodotto, dalla sua realizzazione all’acquisto da parte del cliente, l’oggetto aumenta dell’ottocento per cento; cosa è che imprime questa accelerata – a mio modo di vedere – eccessiva, direi quasi truffaldina?
Poiché l’oggetto non ha molti passaggi, ma passa dall’azienda produttrice al negozio, quasi sempre di proprietà della stessa griffe, dobbiamo ritenere che l’aumento venga messo esponenzialmente nella fase finale.
Quale il ragionamento che il titolare della griffe pone in essere? E’ molto semplice, questo oggetti che viene da me marchiato con la griffe, non vale per valori intrinseci all’oggetto stesso ma soltanto perché è in possesso di questa griffe.
Ponendoci poi nei panni dell’acquirente, il ragionamento è il medesimo anche se ovviamente all’opposto e cioè: io cerco la griffe che è l’elemento conferente valore all’oggetto e quindi mi disinteresso del valore intrinseco dello stesso.
Badate bene che quando parliamo di valore intrinseco intendiamo – oltre che la qualità della materia prima usata – anche lo stile e la bellezza dell’oggetto; cioè questo elemento di “bellezza” che – come dice la stessa parola – è totalmente soggettivo, al di là dell’opera d’arte che non mi sembra il caso di scomodare.
Tutto questo discorso per dire che i titolari di griffe sono coloro che hanno i maggiori “guadagni” (cioè ricavi meno costi) e da qui discende la loro potenzialità a mettere in campo queste tipiche “spese pazze” come paiono essere quelle della sponsorizzazione delle barche da Coppa America.
E le tasse? Va bene, questo è un altro discorso, visto che in Italia riusciamo a “scaricare” anche il rifacimento delle condutture del bagno di casa, come ha fatto di recente il nostro Roberto Cavalli.
Noi italiani abbiamo nomi di scafi assolutamente suggestivi, da “Mascalzone Latino” a “Luna Rossa” o, come sembra vogliano modificare, “Luna Nera”.
Ho preso l’avvio per questo mio post dalla Coppa di vela, manifestazione che nel periodo in cui si svolge, trattiene di fronte alla televisione una gran massa di italiani che il giorno dopo tira fuori neologismi del tipo “vado di bolina” oppure “cazzo la randa” ed altri del genere dei quali non si conosce il significato esatto ma che è molto fine pronunciare.
Di questa competizione, noi italiani che viviamo come il maggior evento marino i quindici giorni a Rimini, rimaniamo affascinati, la seguiamo come se fosse il Campionato Mondiale di calcio.
Ma non volevo parlare di questo, volevo invece parlare di truffe: i nostri rappresentanti sono Tronchetti Provera, misterioso ultramiliardario, del quale non si conosce bene come sia arrivato dove è arrivato, seguito come un’ombra dalla splendida anche se non più di primo pelo Afef; ma non volevo parlare neppure di loro, ma dell’altro “velista”, il Bertelli titolare della griffe “Prada” del quale si conosce benissimo come abbia fatto a ritrovarsi tutti i soldi che si ritrova; ed allora parliamo di lui – in quanto archetipo di titolari di griffe – e facciamo il proverbiale passo indietro.
Alcune settimane fa ho avuto notizia che un oggetto griffato, acquistato fuori dal normale circuito ma di provenienza assolutamente lecita – cioè dall’azienda che lo realizza – costa un ottavo del suo prezzo al pubblico.
Cioè, mi spiego meglio e vorrei anche rincarare la dose: nella filiera del prodotto, dalla sua realizzazione all’acquisto da parte del cliente, l’oggetto aumenta dell’ottocento per cento; cosa è che imprime questa accelerata – a mio modo di vedere – eccessiva, direi quasi truffaldina?
Poiché l’oggetto non ha molti passaggi, ma passa dall’azienda produttrice al negozio, quasi sempre di proprietà della stessa griffe, dobbiamo ritenere che l’aumento venga messo esponenzialmente nella fase finale.
Quale il ragionamento che il titolare della griffe pone in essere? E’ molto semplice, questo oggetti che viene da me marchiato con la griffe, non vale per valori intrinseci all’oggetto stesso ma soltanto perché è in possesso di questa griffe.
Ponendoci poi nei panni dell’acquirente, il ragionamento è il medesimo anche se ovviamente all’opposto e cioè: io cerco la griffe che è l’elemento conferente valore all’oggetto e quindi mi disinteresso del valore intrinseco dello stesso.
Badate bene che quando parliamo di valore intrinseco intendiamo – oltre che la qualità della materia prima usata – anche lo stile e la bellezza dell’oggetto; cioè questo elemento di “bellezza” che – come dice la stessa parola – è totalmente soggettivo, al di là dell’opera d’arte che non mi sembra il caso di scomodare.
Tutto questo discorso per dire che i titolari di griffe sono coloro che hanno i maggiori “guadagni” (cioè ricavi meno costi) e da qui discende la loro potenzialità a mettere in campo queste tipiche “spese pazze” come paiono essere quelle della sponsorizzazione delle barche da Coppa America.
E le tasse? Va bene, questo è un altro discorso, visto che in Italia riusciamo a “scaricare” anche il rifacimento delle condutture del bagno di casa, come ha fatto di recente il nostro Roberto Cavalli.