sabato, marzo 04, 2006
GHEDDAFI E LE TRUPPE CAMMELLATE
Il leader libico Muammar Gheddafi ha ripreso i suoi attacchi all’Italia, attacchi che si ripetono costantemente – quasi uguali – da trent’anni a questa parte.
Questa volta è un comizio a Sirte che scatena gli animi dei libici; di questo discorso mi piace riprendere due frasi: la prima “Il popolo libico detesta l’Italia e bisogna che non sia dominato dal sentimento della vendetta. I libici erano decisi ad uccidere il console italiano e i suoi familiari. Dicevano che gli italiani avevano ucciso 700mila libici” e l’altra ancora più inquietante: “Perché questo atto non si ripeta (attacco al consolato) occorre che l’Italia versi il prezzo affinché le sue compagnie, consolati ed ambasciate e i suoi cittadini residenti in Libia vivano in pace”.
La prima frase contiene una serie di bugie, anche storiche, in quanto non è assolutamente vero che ci sia inimicizia tra il popolo libico e quello italiano, anzi…Purtroppo questa inimicizia esiste – ed è violentissima – tra il colonnello Gheddafi e la frangia più estremista del paese, quei “Fratelli Musulmani” che sono stati esclusi dai gangli del potere e che non perdono occasione per creare difficoltà al governo.
A Gheddafi, infatti, di una una cosa dobbiamo dare atto: è tra i pochi leader mediorientali (insieme all’egiziano Mubarak) ad essere riuscito a creare uno stato laico, sia pure dittatoriale, ma fuori dal controllo islamico: il colonnello sa benissimo che questa laicità deve essere difesa strenuamente giorno dopo giorno e che per difenderla bisogna creare quelli che in politica si chiamano “i falsi scopi”.
La seconda frase – quella del dover pagare, sennò… - mi sembra di puro stampo mafioso, figlia di una cultura del racket che non credevo fosse patrimonio della Libia: voglio sperare che sia sfuggito a Gheddafi il senso esatto della frase e che si sia concentrato soltanto sul “dovete pagare” che è un grosso elemento da usare per la propaganda anti islamica.
Si noti pure che il leader libico ha l’onestà intellettuale di ammettere che i disordini scoppiati a Benghasi non hanno niente a che vedere con le vignette su Maometto, anche se i dimostranti sembravano motivati da questo evento; infatti, proprio a Benghasi c’è la colonia islamica più forte del paese e prende spunto da ogni possibile fatto per scagliarsi contro il dittatore libico, in questo caso cercando di metterlo in imbarazzo nei confronti dell’Italia, notoriamente paese amico.
Gheddafi però, con l’astuzia che gli è tipica, ha rovesciato verso gli “amici” una serie di contumelie distraendo così l’opinione pubblica libica dal vero problema e cioè dalla volontà dei “Fratelli Musulmani” di acquisire maggiore (o tutto!!) potere; l’astuzia del colonnello è stata anche quella di aver agitato le acque nei confronti dell’Italia proprio nel periodo pre-elettorale, certo che avrebbe trovato tutta una serie di truppe cammellate che lo avrebbero sostenuto.
E così è stato, in quanto molti esponenti politici dell’opposizione – ligi al detto “piove, governo ladro” – hanno fatto da cassa di risonanza per le accuse all’Italia e, sia pure con alcuni distinguo, si sono ritrovati a fare comunella con il dittatore libico, posizione non certo invidiabile ma utile per colpire gli avversari.
La dimostrazione che le cose stanno come le ho descritte io, si ricava soprattutto dal fatto che Gheddafi non ha ventilato alcuna ritorsione commerciale (leggi: forniture petrolifere) e si è limitato a vaghe e immotivate minacce per la sorte di consolati e strutture commerciali italiane; ben altra deterrenza avrebbe avuto la frase, già pronunciata dall’iraniano Ahmadinejad: “vi tolgo il petrolio e lo do a un altro Paese”.
Questa volta è un comizio a Sirte che scatena gli animi dei libici; di questo discorso mi piace riprendere due frasi: la prima “Il popolo libico detesta l’Italia e bisogna che non sia dominato dal sentimento della vendetta. I libici erano decisi ad uccidere il console italiano e i suoi familiari. Dicevano che gli italiani avevano ucciso 700mila libici” e l’altra ancora più inquietante: “Perché questo atto non si ripeta (attacco al consolato) occorre che l’Italia versi il prezzo affinché le sue compagnie, consolati ed ambasciate e i suoi cittadini residenti in Libia vivano in pace”.
La prima frase contiene una serie di bugie, anche storiche, in quanto non è assolutamente vero che ci sia inimicizia tra il popolo libico e quello italiano, anzi…Purtroppo questa inimicizia esiste – ed è violentissima – tra il colonnello Gheddafi e la frangia più estremista del paese, quei “Fratelli Musulmani” che sono stati esclusi dai gangli del potere e che non perdono occasione per creare difficoltà al governo.
A Gheddafi, infatti, di una una cosa dobbiamo dare atto: è tra i pochi leader mediorientali (insieme all’egiziano Mubarak) ad essere riuscito a creare uno stato laico, sia pure dittatoriale, ma fuori dal controllo islamico: il colonnello sa benissimo che questa laicità deve essere difesa strenuamente giorno dopo giorno e che per difenderla bisogna creare quelli che in politica si chiamano “i falsi scopi”.
La seconda frase – quella del dover pagare, sennò… - mi sembra di puro stampo mafioso, figlia di una cultura del racket che non credevo fosse patrimonio della Libia: voglio sperare che sia sfuggito a Gheddafi il senso esatto della frase e che si sia concentrato soltanto sul “dovete pagare” che è un grosso elemento da usare per la propaganda anti islamica.
Si noti pure che il leader libico ha l’onestà intellettuale di ammettere che i disordini scoppiati a Benghasi non hanno niente a che vedere con le vignette su Maometto, anche se i dimostranti sembravano motivati da questo evento; infatti, proprio a Benghasi c’è la colonia islamica più forte del paese e prende spunto da ogni possibile fatto per scagliarsi contro il dittatore libico, in questo caso cercando di metterlo in imbarazzo nei confronti dell’Italia, notoriamente paese amico.
Gheddafi però, con l’astuzia che gli è tipica, ha rovesciato verso gli “amici” una serie di contumelie distraendo così l’opinione pubblica libica dal vero problema e cioè dalla volontà dei “Fratelli Musulmani” di acquisire maggiore (o tutto!!) potere; l’astuzia del colonnello è stata anche quella di aver agitato le acque nei confronti dell’Italia proprio nel periodo pre-elettorale, certo che avrebbe trovato tutta una serie di truppe cammellate che lo avrebbero sostenuto.
E così è stato, in quanto molti esponenti politici dell’opposizione – ligi al detto “piove, governo ladro” – hanno fatto da cassa di risonanza per le accuse all’Italia e, sia pure con alcuni distinguo, si sono ritrovati a fare comunella con il dittatore libico, posizione non certo invidiabile ma utile per colpire gli avversari.
La dimostrazione che le cose stanno come le ho descritte io, si ricava soprattutto dal fatto che Gheddafi non ha ventilato alcuna ritorsione commerciale (leggi: forniture petrolifere) e si è limitato a vaghe e immotivate minacce per la sorte di consolati e strutture commerciali italiane; ben altra deterrenza avrebbe avuto la frase, già pronunciata dall’iraniano Ahmadinejad: “vi tolgo il petrolio e lo do a un altro Paese”.
venerdì, marzo 03, 2006
QUANTI SOLDI BUTTATI !
Poiché mi sono arrabbiato io quando ho letto queste cifre, adesso mi sembra giusto che anche voi prendiate la giusta dose di “bile”: le cifre a cui alludo sono quelle pubblicate dalla rivista “Box Office”, quindicinale dedicato al cinema, e relative ai finanziamenti percepiti nel 2003, 2004 e 2005 dai film considerati di “interesse culturale”.
Anzitutto è bene premettere una cosa di carattere legislativo: negli anni precedenti il 2003 le cose – sembrerebbe incredibile! – andavano addirittura peggio, perché la nuova regolamentazione è appunto di quell’anno ed è opera del Ministro dell’epoca, Giuliano Urbani: con questa normativa viene fissato nel 50% del budget complessivo la cifra da finanziare dallo Stato, a condizione – ripetiamolo ancora una volta – che una apposita commissione (non so da chi composta) consideri l’opera di interesse culturale.
Partendo da questo calcolo (un film costa 100, riceve finanziamento di 50 e incassa al botteghino 40, quindi rimette 10) si può affermare che in questi tre anni (il 2005 non è ancora esaurito, perché alcune pellicole sono uscite tardi) soltanto 4 film hanno guadagnato.
Subito i titoli: “Buongiorno notte” di Bellocchio del 2003 che ha ricevuto 1.600 mila euro circa e ne ha incassati 3.300 mila; “Agata e la tempesta” di Soldini del 2004 che ha ricevuto 1.726.000 euro e ne ha incassati 2milioni e cento; dello stesso anno c’è “La vita che vorrei” di Giuseppe Piccioni che ha avuto 1milione e 400 mila euro e ne ha incassati un milione e quattrocento settanta (di poco ma ce l’ha fatta); l’ultimo è “I giorni dell’abbandono” di Roberto Faenza che è uscito nel 2005 e non ha ancora i dati definitivi.
Quelli che vi ho elencato sono “i vincitori”, quelli che hanno messo in tasca qualche soldo; sentite ora alcuni esempi di “sconfitti”: cominciamo – per rispetto – dal grande Ermanno Olmi che per il suo “Cantando dietro i paraventi” ha ricevuto tre milioni e ne ha incassati uno; un altro grande, Ettore Scola, con “Gente di Roma”, riceve oltre 600 mila euro e incassa meno della metà (280.000); la scrittrice di successo Susanna Tamaro che per il suo “Nel mio amore” riceve 2.380.000 euro e ne incassa 168.000 (poco più di un ventesimo); clamoroso il caso di Pasquale Scimeca che per il suo “La passione di Giosué l’ebreo” riceve oltre 3 milioni e mezzo di euro e ne incassa appena 43.000; c’è poi – per concludere – il caso di Claudio Fracasso che per il film “Complesso di Colpa” riceve quasi tre milioni di euro e ne incassa al botteghino poco più di 78.000.
Ci sono poi alcuni casi – anche clamorosi – di film che dopo essere stati finanziati dallo Stato non riescono ad uscire nelle sale perché non trovano un distributore disposto ad investirci sopra: tra i più clamorosi quello di Lina Wertmuller che per il suo “Peperoni ripieni e pesci in faccia” ha ricevuto 3 milioni e settecento mila euro e al momento non è neppure apparso per un giorno; analoga sorte per “Tre giorni di anarchia” di Vito Zagarrio che ci è costato due milioni e ottocentomila euro mentre Angelo Antonucci per il suo Masaniello ha avuto la bellezza di 3 milioni e settecentomila euro.
Diamo adesso una cifra globale: nel periodo 2002-2005 sono stati finanziati188 film per una spesa complessiva di oltre 275 milioni di euro con una media “pro-capite” di quasi un milione e mezzo: non mi sembra male, forse il nostro cinema avrebbe potuto utilizzarli meglio, perché i film visti in questo triennio non si possono definire esaltanti.
Non diamo quindi la colpa alla mancanza di fondi! Se i film che ci capita di vedere nelle sale sono “mediocri” dipende da mancanza di idee e mancanza di mestiere: abbiamo tutti grandi artisti (o almeno che si ritengono tali) e invece avremmo bisogno di qualche bravo artigiano che conosca il mestiere.
Comunque se non vi siete arrabbiati abbastanza, vi ricordo che Panariello ha beccato un milione di euro per quello…di Sanremo.
Anzitutto è bene premettere una cosa di carattere legislativo: negli anni precedenti il 2003 le cose – sembrerebbe incredibile! – andavano addirittura peggio, perché la nuova regolamentazione è appunto di quell’anno ed è opera del Ministro dell’epoca, Giuliano Urbani: con questa normativa viene fissato nel 50% del budget complessivo la cifra da finanziare dallo Stato, a condizione – ripetiamolo ancora una volta – che una apposita commissione (non so da chi composta) consideri l’opera di interesse culturale.
Partendo da questo calcolo (un film costa 100, riceve finanziamento di 50 e incassa al botteghino 40, quindi rimette 10) si può affermare che in questi tre anni (il 2005 non è ancora esaurito, perché alcune pellicole sono uscite tardi) soltanto 4 film hanno guadagnato.
Subito i titoli: “Buongiorno notte” di Bellocchio del 2003 che ha ricevuto 1.600 mila euro circa e ne ha incassati 3.300 mila; “Agata e la tempesta” di Soldini del 2004 che ha ricevuto 1.726.000 euro e ne ha incassati 2milioni e cento; dello stesso anno c’è “La vita che vorrei” di Giuseppe Piccioni che ha avuto 1milione e 400 mila euro e ne ha incassati un milione e quattrocento settanta (di poco ma ce l’ha fatta); l’ultimo è “I giorni dell’abbandono” di Roberto Faenza che è uscito nel 2005 e non ha ancora i dati definitivi.
Quelli che vi ho elencato sono “i vincitori”, quelli che hanno messo in tasca qualche soldo; sentite ora alcuni esempi di “sconfitti”: cominciamo – per rispetto – dal grande Ermanno Olmi che per il suo “Cantando dietro i paraventi” ha ricevuto tre milioni e ne ha incassati uno; un altro grande, Ettore Scola, con “Gente di Roma”, riceve oltre 600 mila euro e incassa meno della metà (280.000); la scrittrice di successo Susanna Tamaro che per il suo “Nel mio amore” riceve 2.380.000 euro e ne incassa 168.000 (poco più di un ventesimo); clamoroso il caso di Pasquale Scimeca che per il suo “La passione di Giosué l’ebreo” riceve oltre 3 milioni e mezzo di euro e ne incassa appena 43.000; c’è poi – per concludere – il caso di Claudio Fracasso che per il film “Complesso di Colpa” riceve quasi tre milioni di euro e ne incassa al botteghino poco più di 78.000.
Ci sono poi alcuni casi – anche clamorosi – di film che dopo essere stati finanziati dallo Stato non riescono ad uscire nelle sale perché non trovano un distributore disposto ad investirci sopra: tra i più clamorosi quello di Lina Wertmuller che per il suo “Peperoni ripieni e pesci in faccia” ha ricevuto 3 milioni e settecento mila euro e al momento non è neppure apparso per un giorno; analoga sorte per “Tre giorni di anarchia” di Vito Zagarrio che ci è costato due milioni e ottocentomila euro mentre Angelo Antonucci per il suo Masaniello ha avuto la bellezza di 3 milioni e settecentomila euro.
Diamo adesso una cifra globale: nel periodo 2002-2005 sono stati finanziati188 film per una spesa complessiva di oltre 275 milioni di euro con una media “pro-capite” di quasi un milione e mezzo: non mi sembra male, forse il nostro cinema avrebbe potuto utilizzarli meglio, perché i film visti in questo triennio non si possono definire esaltanti.
Non diamo quindi la colpa alla mancanza di fondi! Se i film che ci capita di vedere nelle sale sono “mediocri” dipende da mancanza di idee e mancanza di mestiere: abbiamo tutti grandi artisti (o almeno che si ritengono tali) e invece avremmo bisogno di qualche bravo artigiano che conosca il mestiere.
Comunque se non vi siete arrabbiati abbastanza, vi ricordo che Panariello ha beccato un milione di euro per quello…di Sanremo.
giovedì, marzo 02, 2006
ANCORA SULLA SANITA'
Dopo avere “sognato” – nel post di ieri - su un certo tipo di approccio alla sanità pubblica, oggi si torna con i piedi per terra e si commenta l’ultima “invenzione” dell’Assessorato Regionale dei miei posti, circa le liste di attesa sulle visite specialistiche; anzitutto si stabilisce il principio che questo tipo di visita è “il primo passo” per il medico di base al fine di diagnosticare la patologia del paziente; tali visite, sono sette (come i samurai) e precisamente cardiologia, ginecologia, oculistica, neurologia, dermatologia, ortopedia e otorinolaringoiatria.
È compito della ASL “garantire” che tale visita avvenga entro 15 giorni dalla richiesta, pena un rimborso al paziente di 25 euro (entro sei mesi); analoga cifra è tenuto a corrispondere il cittadino che, dopo essersi prenotato per tali visite, non si presenta all’appuntamento senza avere disdetto entro 48 ore (sembra il 10%), oppure non ritira il referto entro 15 giorni dal responso (percentuale maggiore).
Primo commento: la ASL paga questa sorta di multe utilizzando, ovviamente, soldi nostri e non prelevandoli dai lauti stipendi dei dirigenti che hanno male organizzato; noi, d’altro canto, paghiamo le nostre inadempienze…sempre con i soldi nostri!! Forse sono io che non capisco, ma mi sembra che ci sia qualcosa che non quadra.
Dato che siamo in argomento “sanità”, continuiamo e poniamoci una nuova domanda: c’è qualcuno che mi sa dire il motivo per il quale la sistemazione dei denti non è a carico del S.S..R. (Servizio Sanitario Regionale)? Per quanto mi è dato conoscere, soltanto la mera estrazione dei denti fa parte delle prestazioni concesse, mentre la “rimessa” dei denti non è considerata un problema sanitario.
Ora, non mi vorrei dilungare sul problema, citando varie esemplificazioni, ma sono certo che sarete d’accordo quando affermo che una scorretta o insufficiente masticazione provoca tutta una serie di malattie; c’è poi la branca dell’ortodonzia infantile, quella cosa cioè che consiste nel mettere nella bocca dei fanciulli un apparecchio di lega ferrosa e con tale accorgimento provocare il raddrizzamento di uno o più denti che sono nati storti.
Tutte queste prestazioni sono a carico del cittadino e sono carissime; ora io capisco che la casta dei dentisti è potente, capisco pure che ad essa si è aggiunta quella degli ortodonzisti che ha portato in dote una specializzazione e un buon numero di adepti; per entrambe queste situazioni, le ASL si guardano bene dal mettere in opera una qualunque forma di assistenza e non ci pensano neppure a imbrigliare i lauti guadagni dei dentisti e assimilati: evidentemente non ne hanno il potere.
Però, anche qui si tratterebbe di fare delle scelte: poniamo il caso che queste prestazioni passino alla mano pubblica, come si dice in gergo, e quindi i signori dentisti ed assistenti diventino una sorta di “impiegati regionali” come sono in effetti molti medici ospedalieri.
Tutto questo cosa comporterebbe? Prima di tutto un notevole aggravio del bilancio sanitario regionale, ma per questo abbiamo detto che se la scelta è prioritaria si antepone ad altre spese; l’altro problema sarebbe lo smantellamento della casta dei dentisti ed assimilati: ma anche per questo, così come non ho incontrato nessun chirurgo ospedaliero a chiedere l’elemosina, penso proprio che non ci sarebbe nessun dentista che morirebbe di fame, tanto ci sarebbe sempre una certa parte della cittadinanza che preferirebbe farsi spennare in strutture private.
Come vedete, si torna al “dream” ed alle scelte: ricordate? Bambini vecchi e malati; dopo viene il resto!
È compito della ASL “garantire” che tale visita avvenga entro 15 giorni dalla richiesta, pena un rimborso al paziente di 25 euro (entro sei mesi); analoga cifra è tenuto a corrispondere il cittadino che, dopo essersi prenotato per tali visite, non si presenta all’appuntamento senza avere disdetto entro 48 ore (sembra il 10%), oppure non ritira il referto entro 15 giorni dal responso (percentuale maggiore).
Primo commento: la ASL paga questa sorta di multe utilizzando, ovviamente, soldi nostri e non prelevandoli dai lauti stipendi dei dirigenti che hanno male organizzato; noi, d’altro canto, paghiamo le nostre inadempienze…sempre con i soldi nostri!! Forse sono io che non capisco, ma mi sembra che ci sia qualcosa che non quadra.
Dato che siamo in argomento “sanità”, continuiamo e poniamoci una nuova domanda: c’è qualcuno che mi sa dire il motivo per il quale la sistemazione dei denti non è a carico del S.S..R. (Servizio Sanitario Regionale)? Per quanto mi è dato conoscere, soltanto la mera estrazione dei denti fa parte delle prestazioni concesse, mentre la “rimessa” dei denti non è considerata un problema sanitario.
Ora, non mi vorrei dilungare sul problema, citando varie esemplificazioni, ma sono certo che sarete d’accordo quando affermo che una scorretta o insufficiente masticazione provoca tutta una serie di malattie; c’è poi la branca dell’ortodonzia infantile, quella cosa cioè che consiste nel mettere nella bocca dei fanciulli un apparecchio di lega ferrosa e con tale accorgimento provocare il raddrizzamento di uno o più denti che sono nati storti.
Tutte queste prestazioni sono a carico del cittadino e sono carissime; ora io capisco che la casta dei dentisti è potente, capisco pure che ad essa si è aggiunta quella degli ortodonzisti che ha portato in dote una specializzazione e un buon numero di adepti; per entrambe queste situazioni, le ASL si guardano bene dal mettere in opera una qualunque forma di assistenza e non ci pensano neppure a imbrigliare i lauti guadagni dei dentisti e assimilati: evidentemente non ne hanno il potere.
Però, anche qui si tratterebbe di fare delle scelte: poniamo il caso che queste prestazioni passino alla mano pubblica, come si dice in gergo, e quindi i signori dentisti ed assistenti diventino una sorta di “impiegati regionali” come sono in effetti molti medici ospedalieri.
Tutto questo cosa comporterebbe? Prima di tutto un notevole aggravio del bilancio sanitario regionale, ma per questo abbiamo detto che se la scelta è prioritaria si antepone ad altre spese; l’altro problema sarebbe lo smantellamento della casta dei dentisti ed assimilati: ma anche per questo, così come non ho incontrato nessun chirurgo ospedaliero a chiedere l’elemosina, penso proprio che non ci sarebbe nessun dentista che morirebbe di fame, tanto ci sarebbe sempre una certa parte della cittadinanza che preferirebbe farsi spennare in strutture private.
Come vedete, si torna al “dream” ed alle scelte: ricordate? Bambini vecchi e malati; dopo viene il resto!
mercoledì, marzo 01, 2006
SALUTE PUBBLICA
Ho sentito in questi giorni un’intervista radiofonica a Gino Strada, Presidente di “Emergency”, nella quale veniva illustrato il progetto – ormai in fase conclusiva – del grande ospedale di cardiochirurgia che sta per aprire i battenti in pieno centro del Sudan, zona disastrata e dimenticata da Dio e dagli uomini.
L’apertura dell’ospedale, realizzato con criteri, strutture e tecnologie all’avanguardia, avverrà entro l’anno e “riceverà tutti coloro che ne hanno bisogno”: questa la definizione che Strada ha fatto dei propri pazienti; in teoria – ma fino ad un certo punto – potrebbero venire anche pazienti dagli Stati Uniti o da altri paesi del mondo occidentale: condizione irrinunciabile per i ricoveri è l’assoluta gratuità degli stessi.
Quasi sorpreso della domanda sul perché di questa iniziativa, il coraggioso Strada replica che il termine Ospedale deriva da “ospitalità” e questa non si nega a nessuno e tanto meno si fa pagare: da qui l’indiscriminata ammissione e l’assoluta gratuità – anche a Bill Gates, ha aggiunto Strada – perché quando si afferma un principio ci si deve attenere chiunque sia la persona di riferimento.
Non so come sia riuscito nell’intento di realizzare questa struttura all’avanguardia anche tecnologica, dove abbia preso i soldi, dove abbia trovato gli aiuti; adesso, infatti, è in Italia per supportare una sorta di campagna pubblicitaria a favore di specifiche donazioni per tale iniziativa, una specie di “telethon” ma con meno agganci con i media che contano (televisione e stampa) e quindi assai più difficoltoso; ma non per questo mi è sembrato preoccupato, segno che per queste nobili iniziative i soldi si trovano!
È una iniziativa bella, anzi splendida, ma destinata a restare fine a se stessa e a provocare soltanto delle risatine da parte dei soliti baroni della medicina; purtuttavia l’iniziativa c’è e resterà, se non altro avremo il ricordo del modo con cui è stata realizzata e dei successi in campo sanitario e farà scuola per coloro che in futuro si vorranno cimentare in questa operazione.
Qualcuno ricorderà che in passato ho avuto modo di esprimere alcune mie idee circa una ideale organizzazione mondiale della vita su questo bellissimo pianeta: io affermavo che le strutture di governo (il nostro, ma anche tutti gli altri) avrebbe dovuto occuparsi – in esclusiva e mettendo tutti i mezzi necessari – di tre campi della vita: bambini (cioè tutto il comparto dell’educazione), vecchi (cioè l’assistenza ad anziani, auto e non sufficienti) ed infine la salute, intendendo con questo termine tutto quello che concerne la sanità degli esseri umani, giovani o vecchi che siano.
Per quanto riguarda gli altri problemi – importanti ma non “essenziali” come questi – si sarebbe dovuto intervenire se le strutture private non ce l’avessero fatta: alludo al problema viario (le autostrade sono utili, ma non indispensabili), al comparto dei collegamenti ferroviari ed aerei (se funzionano meglio, ma insomma…ci siamo capiti) e via di questo passo.
Se una Nazione, meglio se un Continente, meglio ancora se tutta l’Umanità, riuscisse ad essere sollevata completamente dai tre problemi che ho sopra enunciato e che mi piace ripetere (bambini, vecchi e malati, ovviamente non in quest’ordine ma nella loro totalità) credo, anzi sono certo, che si sarebbe fatto un grandissimo passo avanti per raggiungere quella tanto conclamata e soltanto sognata, “felicità”.
È uno dei miei soliti “dream”? Può darsi, ma non mi sembrerebbe neppure un grossissimo problema realizzarlo, in quanto si tratta essenzialmente di dare priorità alle cose di cui occuparsi. E basta!
L’apertura dell’ospedale, realizzato con criteri, strutture e tecnologie all’avanguardia, avverrà entro l’anno e “riceverà tutti coloro che ne hanno bisogno”: questa la definizione che Strada ha fatto dei propri pazienti; in teoria – ma fino ad un certo punto – potrebbero venire anche pazienti dagli Stati Uniti o da altri paesi del mondo occidentale: condizione irrinunciabile per i ricoveri è l’assoluta gratuità degli stessi.
Quasi sorpreso della domanda sul perché di questa iniziativa, il coraggioso Strada replica che il termine Ospedale deriva da “ospitalità” e questa non si nega a nessuno e tanto meno si fa pagare: da qui l’indiscriminata ammissione e l’assoluta gratuità – anche a Bill Gates, ha aggiunto Strada – perché quando si afferma un principio ci si deve attenere chiunque sia la persona di riferimento.
Non so come sia riuscito nell’intento di realizzare questa struttura all’avanguardia anche tecnologica, dove abbia preso i soldi, dove abbia trovato gli aiuti; adesso, infatti, è in Italia per supportare una sorta di campagna pubblicitaria a favore di specifiche donazioni per tale iniziativa, una specie di “telethon” ma con meno agganci con i media che contano (televisione e stampa) e quindi assai più difficoltoso; ma non per questo mi è sembrato preoccupato, segno che per queste nobili iniziative i soldi si trovano!
È una iniziativa bella, anzi splendida, ma destinata a restare fine a se stessa e a provocare soltanto delle risatine da parte dei soliti baroni della medicina; purtuttavia l’iniziativa c’è e resterà, se non altro avremo il ricordo del modo con cui è stata realizzata e dei successi in campo sanitario e farà scuola per coloro che in futuro si vorranno cimentare in questa operazione.
Qualcuno ricorderà che in passato ho avuto modo di esprimere alcune mie idee circa una ideale organizzazione mondiale della vita su questo bellissimo pianeta: io affermavo che le strutture di governo (il nostro, ma anche tutti gli altri) avrebbe dovuto occuparsi – in esclusiva e mettendo tutti i mezzi necessari – di tre campi della vita: bambini (cioè tutto il comparto dell’educazione), vecchi (cioè l’assistenza ad anziani, auto e non sufficienti) ed infine la salute, intendendo con questo termine tutto quello che concerne la sanità degli esseri umani, giovani o vecchi che siano.
Per quanto riguarda gli altri problemi – importanti ma non “essenziali” come questi – si sarebbe dovuto intervenire se le strutture private non ce l’avessero fatta: alludo al problema viario (le autostrade sono utili, ma non indispensabili), al comparto dei collegamenti ferroviari ed aerei (se funzionano meglio, ma insomma…ci siamo capiti) e via di questo passo.
Se una Nazione, meglio se un Continente, meglio ancora se tutta l’Umanità, riuscisse ad essere sollevata completamente dai tre problemi che ho sopra enunciato e che mi piace ripetere (bambini, vecchi e malati, ovviamente non in quest’ordine ma nella loro totalità) credo, anzi sono certo, che si sarebbe fatto un grandissimo passo avanti per raggiungere quella tanto conclamata e soltanto sognata, “felicità”.
È uno dei miei soliti “dream”? Può darsi, ma non mi sembrerebbe neppure un grossissimo problema realizzarlo, in quanto si tratta essenzialmente di dare priorità alle cose di cui occuparsi. E basta!
martedì, febbraio 28, 2006
ANCORA DUE PAROLE SULL'EUROPA
Sono certo che ricorderete le due scalate “subite” dal nostro sistema bancario: quella degli olandesi nei confronti della Antonveneta e quella dei francesi (BPN – Parisbas) sulla BNL; in entrambi i casi il Governatore della Banca d’Italia aveva lasciato intendere che la sua opposizione nei confronti degli stranieri era dovuta ad una sorta di malcelato patriottismo: le pernacchie che ricevette sia in patria e sia a Bruxelles credo che gli rintronino ancora negli orecchi.
Come mai, mi chiedo e vi chiedo, Bruxelles ha già dichiarato di non aver nessuna intenzione di intervenire “ufficialmente” nella vicenda Gaz – Suez? Forse che il patriottismo sbandierato dal primo ministro francese ha un valore superiore al nostro?
Ancora nel settore degli Istituti di Credito, la nostra celeberrima Bancaintesa anche se in apparenza manovrata dagli italiani, in effetti è di proprietà dei francesi di Credit Agricole, e questo senza passare da nessuna OPA, ma soltanto rastrellando il mercato: ed anche qui tutti zitti e tutti d’accordo.
Ma la Francia non è la sola a mostrare le unghie quando si cerca di entrare in casa sua; il presidente del consiglio polacco, Marcinkiewicz, si oppone con il suo governo alla fusione delle banche polacche “Pekao” e Bph” da tempo progettata dalla nostra Unicredito: anche a lui nessuna reprimenda da Bruxelles, nessun richiamo dai soloni dell’economia europea, impegnati a “obbedire” al potente di turno.
Già, perché di una operazione di forza si tratta: la Francia ha gettato il sasso e sta aspettando per vedere cosa gli ritorna indietro, se reprimende e contumelie (sopportabili) oppure multe e rappresaglie (un po’ più fastidiose).
L’unico intervento, per il momento, è opera del commissario europeo al mercato interno, l’irlandese McCreevy, che – dopo avere manifestato il proprio malumore per la situazione creatasi – ammette che l’OPA francese rispetta “la lettera” ma non “lo spirito” della normativa europea che regola il movimento dei capitali.
In pratica, si mormora a voce non troppo bassa a Bruxelles, non c’è nessuna legge europea che impedisce ad una società dello Stato di acquisirne un’altra, ma questo non è particolarmente corretto, soprattutto se viene fatto per impedire una fusione trasnsfrontaliera.
Questo modo di comportarsi, che rispetta la lettera della normativa europea ma non lo spirito, darà sicuramente la stura a tutta una serie di rappresaglie di altri paesi nei confronti non della sola Francia, ma di coloro che vengono a turbare l’indipendenza di ciascun membro della U.E.
E questo – chiamatelo come volete, giratelo da qualunque parte – è nient’altro che lo sfasciamento totale e irreversibile dell’idea stessa di costruire un’Europa che si possa considerare un’unica entità sia sotto il profilo economico che politico.
Gli Schuman, gli Adenauer, i De Gasperi si rivolteranno certamente nelle rispettive tombe, a vedere quello che è diventata la loro creatura del dopoguerra; certo che se si fossero immaginati quello che sarebbe successo, sicuramente non avrebbero messo mano ad una costruzione che, sin dall’inizio, aveva il difetto di far leva su una serie infinita di compromessi e di frasi non dette e tanto meno scritte, la principale delle quali è “sto insieme a voi finché mi conviene, ma al primo apparire di un interesse specifico per la mia patria, torno a fare il nazionalista”: detto in soldoni è quello che sta accadendo!
Come mai, mi chiedo e vi chiedo, Bruxelles ha già dichiarato di non aver nessuna intenzione di intervenire “ufficialmente” nella vicenda Gaz – Suez? Forse che il patriottismo sbandierato dal primo ministro francese ha un valore superiore al nostro?
Ancora nel settore degli Istituti di Credito, la nostra celeberrima Bancaintesa anche se in apparenza manovrata dagli italiani, in effetti è di proprietà dei francesi di Credit Agricole, e questo senza passare da nessuna OPA, ma soltanto rastrellando il mercato: ed anche qui tutti zitti e tutti d’accordo.
Ma la Francia non è la sola a mostrare le unghie quando si cerca di entrare in casa sua; il presidente del consiglio polacco, Marcinkiewicz, si oppone con il suo governo alla fusione delle banche polacche “Pekao” e Bph” da tempo progettata dalla nostra Unicredito: anche a lui nessuna reprimenda da Bruxelles, nessun richiamo dai soloni dell’economia europea, impegnati a “obbedire” al potente di turno.
Già, perché di una operazione di forza si tratta: la Francia ha gettato il sasso e sta aspettando per vedere cosa gli ritorna indietro, se reprimende e contumelie (sopportabili) oppure multe e rappresaglie (un po’ più fastidiose).
L’unico intervento, per il momento, è opera del commissario europeo al mercato interno, l’irlandese McCreevy, che – dopo avere manifestato il proprio malumore per la situazione creatasi – ammette che l’OPA francese rispetta “la lettera” ma non “lo spirito” della normativa europea che regola il movimento dei capitali.
In pratica, si mormora a voce non troppo bassa a Bruxelles, non c’è nessuna legge europea che impedisce ad una società dello Stato di acquisirne un’altra, ma questo non è particolarmente corretto, soprattutto se viene fatto per impedire una fusione trasnsfrontaliera.
Questo modo di comportarsi, che rispetta la lettera della normativa europea ma non lo spirito, darà sicuramente la stura a tutta una serie di rappresaglie di altri paesi nei confronti non della sola Francia, ma di coloro che vengono a turbare l’indipendenza di ciascun membro della U.E.
E questo – chiamatelo come volete, giratelo da qualunque parte – è nient’altro che lo sfasciamento totale e irreversibile dell’idea stessa di costruire un’Europa che si possa considerare un’unica entità sia sotto il profilo economico che politico.
Gli Schuman, gli Adenauer, i De Gasperi si rivolteranno certamente nelle rispettive tombe, a vedere quello che è diventata la loro creatura del dopoguerra; certo che se si fossero immaginati quello che sarebbe successo, sicuramente non avrebbero messo mano ad una costruzione che, sin dall’inizio, aveva il difetto di far leva su una serie infinita di compromessi e di frasi non dette e tanto meno scritte, la principale delle quali è “sto insieme a voi finché mi conviene, ma al primo apparire di un interesse specifico per la mia patria, torno a fare il nazionalista”: detto in soldoni è quello che sta accadendo!
lunedì, febbraio 27, 2006
MA COSA STA SUCCEDENDO IN EUROPA ?
Pochi giorni dopo il post dedicato ai mugugni delle new entry in Europa si è avuta la notizia dell’intervento del governo francese – in puro stile protezionistico – per blindare la “Suez” dalla scalata della nostra ENEL: diciamo che questa operazione, se si fosse fatta in Italia, sarebbe come minimo saltato il governo.
Facciamo il canonico passo indietro: anche i sassi erano a conoscenza che ENEL avrebbe lanciato un’OPA sulla società francese “Suez”, con l’obiettivo di allargare la propria crescita in campo energetico, attraverso l’acquisizione di un’altra società – l’Electrabel, di matrice belga – che risulta controllata dalla “Suez”.
Tutto sembrava procedere per il meglio e la data fissata per il lancio dell’OPA era imminente, quando in appena ventiquattro ore e in pieno week end, il governo francese (sì, avete letto bene, proprio il “governo”) annuncia la fusione tra Gaz de France e Suez, operazione che blinda assolutamente e definitivamente l’industria energetica d’oltralpe e lascia la nostra compagnia di bandiera in campo elettrico con un palmo di naso; tanto per aggiungere al danno la beffa, a favore di questa operazione si schiera anche “E.D.F. – Electricité de France” azienda che fa parte del C.d.A. ENEL in virtù di un cospicuo pacchetto azionario posseduto.
L’arroccarsi del governo francese attorno alla propria industria energetica è stato ufficializzato addirittura dal Primo Ministro, de Villepin, che ha dichiarato come “le forniture elettriche sono di importanza strategica per noi e la fusione tra Gaz e Suez appare oggi la più appropriata; l’obiettivo è di creare uno dei primi gruppi mondiali”, sparando poi, quest’oggi questa assurda definizione: trattasi semplicemente di “patriottismo economico”.
Cosa si può ricavare da queste dichiarazioni? Anzitutto che la Francia – pensate, uno dei padri fondatori dell’Europa – se ne frega altamente della politica comune europea e pensa unicamente al proprio interesse ed al proprio tornaconto; inoltre, ritiene che avere in Francia una delle principali aziende energetiche posseduta da quegli straccioni di italiani è quanto meno disdicevole (chiunque di noi ha soggiornato per qualche tempo in Francia ha avuto modo di toccare con mano come siamo “visti” dai nostri cugini d’oltralpe).
Per quanto riguarda il farsi i propri interessi, non possiamo essere in disaccordo con il primo ministro francese, purché si tenga presente questo atteggiamento anche in futuro e si cominci da subito a smontare tutto il baraccone targato “Unione Europea” e che ognuno riprenda la propria libertà d’azione.
Dagli “euro-scettici” sono già cominciate le prime bordate (e non è possibile dar loro torto!!); ha cominciato il ministro Maroni: “La vicenda Enel in Francia dimostra che l’Europa è morta e che è arrivato il momento di comportarsi di conseguenza. L’Italia deve agire a difesa dei propri interessi, liberandosi dei vincoli europei”; il ministro dell’industria, Scajola, dopo avere annullato un vertice con il suo omologo francese, ha affermato: “Non si possono violare le leggi del libero mercato in Europa. Se prevale il neo protezionismo, il destino economico e politico dell’Unione Europea è compromesso”.
Ed il Presidente della Camera, Casini, “siamo europeisti, ma non si può esserlo a intermittenza: come per l’Islam ci vuole reciprocità anche in Europa”.
E questi sono – come detto – gli “euro-scettici”; figuratevi quelli che invece si considerano “euro-contrari” come me!!
Comunque ne riparleremo, perché la vicenda tende a montare e non mancheranno le novità e le polemiche!
Facciamo il canonico passo indietro: anche i sassi erano a conoscenza che ENEL avrebbe lanciato un’OPA sulla società francese “Suez”, con l’obiettivo di allargare la propria crescita in campo energetico, attraverso l’acquisizione di un’altra società – l’Electrabel, di matrice belga – che risulta controllata dalla “Suez”.
Tutto sembrava procedere per il meglio e la data fissata per il lancio dell’OPA era imminente, quando in appena ventiquattro ore e in pieno week end, il governo francese (sì, avete letto bene, proprio il “governo”) annuncia la fusione tra Gaz de France e Suez, operazione che blinda assolutamente e definitivamente l’industria energetica d’oltralpe e lascia la nostra compagnia di bandiera in campo elettrico con un palmo di naso; tanto per aggiungere al danno la beffa, a favore di questa operazione si schiera anche “E.D.F. – Electricité de France” azienda che fa parte del C.d.A. ENEL in virtù di un cospicuo pacchetto azionario posseduto.
L’arroccarsi del governo francese attorno alla propria industria energetica è stato ufficializzato addirittura dal Primo Ministro, de Villepin, che ha dichiarato come “le forniture elettriche sono di importanza strategica per noi e la fusione tra Gaz e Suez appare oggi la più appropriata; l’obiettivo è di creare uno dei primi gruppi mondiali”, sparando poi, quest’oggi questa assurda definizione: trattasi semplicemente di “patriottismo economico”.
Cosa si può ricavare da queste dichiarazioni? Anzitutto che la Francia – pensate, uno dei padri fondatori dell’Europa – se ne frega altamente della politica comune europea e pensa unicamente al proprio interesse ed al proprio tornaconto; inoltre, ritiene che avere in Francia una delle principali aziende energetiche posseduta da quegli straccioni di italiani è quanto meno disdicevole (chiunque di noi ha soggiornato per qualche tempo in Francia ha avuto modo di toccare con mano come siamo “visti” dai nostri cugini d’oltralpe).
Per quanto riguarda il farsi i propri interessi, non possiamo essere in disaccordo con il primo ministro francese, purché si tenga presente questo atteggiamento anche in futuro e si cominci da subito a smontare tutto il baraccone targato “Unione Europea” e che ognuno riprenda la propria libertà d’azione.
Dagli “euro-scettici” sono già cominciate le prime bordate (e non è possibile dar loro torto!!); ha cominciato il ministro Maroni: “La vicenda Enel in Francia dimostra che l’Europa è morta e che è arrivato il momento di comportarsi di conseguenza. L’Italia deve agire a difesa dei propri interessi, liberandosi dei vincoli europei”; il ministro dell’industria, Scajola, dopo avere annullato un vertice con il suo omologo francese, ha affermato: “Non si possono violare le leggi del libero mercato in Europa. Se prevale il neo protezionismo, il destino economico e politico dell’Unione Europea è compromesso”.
Ed il Presidente della Camera, Casini, “siamo europeisti, ma non si può esserlo a intermittenza: come per l’Islam ci vuole reciprocità anche in Europa”.
E questi sono – come detto – gli “euro-scettici”; figuratevi quelli che invece si considerano “euro-contrari” come me!!
Comunque ne riparleremo, perché la vicenda tende a montare e non mancheranno le novità e le polemiche!
domenica, febbraio 26, 2006
ATTACCATA ANCHE LA PASTASCIUTTA !!
Mi chiederete subito: ma chi è che osa attaccare la pastasciutta? Forse sono gli islamici come rivalsa per la maglietta di Calderoli? Forse è Osama Bin Laden che porta avanti il suo processo di attacco all’occidente? Macché, siamo noi stessi e, in particolare le nostre istituzioni che non ci consentono di stare tranquilli neppure quando si mangia un piatto di spaghetti.
Sentite perché: il 23 settembre 2005 vengono sequestrate nel porto di Bari 58 mila tonnellate di grano canadese destinato all’alimentazione, avvelenato con “ocratossina” (tenete a mente questo nome); dopo alcuni mesi – gennaio 2006 – la Guardia di Finanza arresta l’imprenditore Francesco Casillo, al quale viene contestato il reato di avvelenamento, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari: Casillo infatti, grazie a “qualcosa” era riuscito a far dissequestrare il carico ottenendo addirittura false attestazione di salubrità del prodotto.
Si scopre successivamente che delle 58 mila tonnellate soltanto 44 mila sono di proprietà del mugnaio pugliese, il quale le trasforma in semola che rivende ad aziende pugliesi e nazionali; le rimanenti 14 mila tonnellate sono sparse tra varie aziende che le trasformano anch’esse in semola e lo sparpagliano per l’intero territorio nazionale.
Si comprende bene che la caccia al grano e alla semola contaminata si fa davvero difficile, in quanto molte sono le “rivendite” tra aziende che si passano la merce l’una con l’altra con una velocità impressionante, probabilmente anche per ingarbugliare la matassa, come si dice dalle mie parti, impedendo così di trovarne il bandolo.
Il 6 febbraio, i NAS di Foggia prelevano due campioni presso una azienda agro-alimentare del foggiano e, entrambi, risultano positivi all’”ocratossina” con una percentuale di ben tre volte superiore a quella consentita dalla legge.
Ovviamente tutto è stato sequestrato e il titolare dell’azienda indagato per gravi reati, ma ormai – a mio modesto modo di vedere – la frittata è stata fatta quando si è consentito il dissequestro delle famose 58 mila tonnellate di grano che hanno originato l’intera storia.
Dice Storace, Ministro della Salute: “Quello che è grave è che non si conoscono i motivi per i quali il magistrato ha dissequestrato il grano senza attendere l’esito delle analisi, e questo impegnerà gli uomini del NAS di Bari ad un lavoro improbo per rintracciare le partite contaminate e i prodotti eventualmente trasformati”.
Gli replica a strettissimo giro di posta il PM di Trani che conduce l’inchiesta: “ Il ministro Storace può stare tranquillo, il grano risultato inquinato da ocratossina trovato nei due silos dell’azienda foggiana non è stato immesso nel ciclo produttivo”.
Quest’ultima affermazione mi sembra – oltre che ovvia – piena di supponenza: è ovvia perché “quel grano sequestrato” non è stato immesso sul mercato, proprio perché sequestrato, ma come possiamo fare a identificare tutta la partita inquinata e le sue destinazioni? E’ supponente perché ritiene di poter “gestire” un fenomeno come quello della identificazione delle 58 mila tonnellate di grano inquinato, ormai sparse per l’intera Italia.
A quest’ultimo proposito, chi avesse avuto modo di vedere il sito internet della Casillo – prima che fosse spento d’imperio – si sarebbe trovato di fronte, in qualità di clienti dell’azienda, tutto il fior fiore delle “marche” italiane del settore della pasta e dei prodotti da forno.
Ecco perché – e torno al titolo – non possiamo stare tranquilli neppure a mangiare il canonico piatto di pastasciutta! E allora cosa ci resta? Poco, amici miei, veramente poco!!
Sentite perché: il 23 settembre 2005 vengono sequestrate nel porto di Bari 58 mila tonnellate di grano canadese destinato all’alimentazione, avvelenato con “ocratossina” (tenete a mente questo nome); dopo alcuni mesi – gennaio 2006 – la Guardia di Finanza arresta l’imprenditore Francesco Casillo, al quale viene contestato il reato di avvelenamento, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari: Casillo infatti, grazie a “qualcosa” era riuscito a far dissequestrare il carico ottenendo addirittura false attestazione di salubrità del prodotto.
Si scopre successivamente che delle 58 mila tonnellate soltanto 44 mila sono di proprietà del mugnaio pugliese, il quale le trasforma in semola che rivende ad aziende pugliesi e nazionali; le rimanenti 14 mila tonnellate sono sparse tra varie aziende che le trasformano anch’esse in semola e lo sparpagliano per l’intero territorio nazionale.
Si comprende bene che la caccia al grano e alla semola contaminata si fa davvero difficile, in quanto molte sono le “rivendite” tra aziende che si passano la merce l’una con l’altra con una velocità impressionante, probabilmente anche per ingarbugliare la matassa, come si dice dalle mie parti, impedendo così di trovarne il bandolo.
Il 6 febbraio, i NAS di Foggia prelevano due campioni presso una azienda agro-alimentare del foggiano e, entrambi, risultano positivi all’”ocratossina” con una percentuale di ben tre volte superiore a quella consentita dalla legge.
Ovviamente tutto è stato sequestrato e il titolare dell’azienda indagato per gravi reati, ma ormai – a mio modesto modo di vedere – la frittata è stata fatta quando si è consentito il dissequestro delle famose 58 mila tonnellate di grano che hanno originato l’intera storia.
Dice Storace, Ministro della Salute: “Quello che è grave è che non si conoscono i motivi per i quali il magistrato ha dissequestrato il grano senza attendere l’esito delle analisi, e questo impegnerà gli uomini del NAS di Bari ad un lavoro improbo per rintracciare le partite contaminate e i prodotti eventualmente trasformati”.
Gli replica a strettissimo giro di posta il PM di Trani che conduce l’inchiesta: “ Il ministro Storace può stare tranquillo, il grano risultato inquinato da ocratossina trovato nei due silos dell’azienda foggiana non è stato immesso nel ciclo produttivo”.
Quest’ultima affermazione mi sembra – oltre che ovvia – piena di supponenza: è ovvia perché “quel grano sequestrato” non è stato immesso sul mercato, proprio perché sequestrato, ma come possiamo fare a identificare tutta la partita inquinata e le sue destinazioni? E’ supponente perché ritiene di poter “gestire” un fenomeno come quello della identificazione delle 58 mila tonnellate di grano inquinato, ormai sparse per l’intera Italia.
A quest’ultimo proposito, chi avesse avuto modo di vedere il sito internet della Casillo – prima che fosse spento d’imperio – si sarebbe trovato di fronte, in qualità di clienti dell’azienda, tutto il fior fiore delle “marche” italiane del settore della pasta e dei prodotti da forno.
Ecco perché – e torno al titolo – non possiamo stare tranquilli neppure a mangiare il canonico piatto di pastasciutta! E allora cosa ci resta? Poco, amici miei, veramente poco!!