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sabato, novembre 12, 2005

E adesso parliamo di donne 

Per affrontare un discorso che, spero, piacevole ma anche serio, sul rapporto uomo/donna, mi rifaccio ad un fatto di cronaca recente e a come i mezzi di informazione ce lo presentano.
“Ammazza Stefano, va con mia moglie”: questo è il titolo con cui un quotidiano presenta una storia di furti, violenze sessuali e, infine, delitto su commissione: due giovani rubano e rapinano per realizzare i soldi per commettere un omicidio e, in attesa di avere il contante si sollazzano con una giovane donna alla quale rubano anche i due cellulari; saranno proprio questi strumenti che consentiranno alla Polizia di incastrarli, all’indomani di un orrendo delitto compiuto nelle campagne della Brianza: scaricato l’intero caricatore della pistola nel petto di un ventitreenne reo di essere stato un (presunto) amante della moglie, già spedita “di forza” in Calabria dai parenti fin da questa estate.
Lasciamo stare le rapine, lasciamo stare la violenza sessuale e concentriamoci sul delitto su commissione che l’amico del marito compie per vendetta nei confronti del presunto amante della moglie: la prima considerazione che mi viene è che il marito ritiene la moglie puramente un oggetto (ed infatti la punisce blandamente) mentre l’amante viene ucciso in quanto considerato un “ladro” di mogli.
Quindi, si considera la donna come un oggetto che è lì a disposizione di chi la prende e l’uomo (in questo caso l’amante) uno che non si sarebbe dovuto permettere di osare.
Cosa voglio dire con questo? Anzitutto che in alcuni ambienti la donna continua ad essere considerata come un essere umano di serie B, alla quale non si può neppure imputare il tradimento, quasi non la si considerasse capace di effettuare una scelta; è soltanto un oggetto, a disposizione del marito e guai se qualche altro si frappone a questo rapporto, ci scappa la vendetta e conseguentemente il morto.
Non credevo neppure che potessero esistere degli uomini che continuano a pensare in questo modo, dopo oltre ventanni dalle prime lotte femministe e dopo la scontata vittoria del movimento: qualcuno si ricorderà i primi slogan “il corpo è mio e lo gestisco come voglio”, oppure “donna è bello” ed altri del genere, con cui la parte femminile del nostro creato cercava (e ci riusciva) di riappropriarsi dei propri diritti e affermare le proprie esigenze psicologiche.
La cosiddetta “rivoluzione femminista”, vera ed unica rivoluzione del dopoguerra, è stata fatta e vinta anche contro i maschietti che, prima di tutto non volevano perdere la propria egemonia e in secondo luogo avevano (come hanno, o forse è meglio se dico “abbiamo”) una paura fottuta di questo nuovo “animale” sconosciuto all’apparenza perché aveva perso quella docilità che era stata una delle sue caratteristiche principali.
Le donne infatti – da un certo tempo in poi – hanno cominciato ad affermare, giustamente, il desiderio di vedere riconosciuta la propria personalità di essere umano, simile all’uomo, con gli stessi suoi diritti, uguale nei desideri e nelle aspirazioni anche se diverse per ovvie diversità fisiologiche.
E mi sembrava che ci fossero abbastanza riuscite, ed invece debbo assistere a queste scene da Medio Evo oppure a quell’altra manfrina – veramente antifemminista – delle “quote rosa” per le prossime elezioni, come se ad esse venisse assegnato una parte del territorio considerandolo “riserva esclusiva”: direi che in questo modo ci comportiamo con i panda o comunque con gli animali in via di estinzione; le donne – cari amici – sono ben lontane dall’estinzione, per nostra fortuna, e sono sempre più agguerrite non solo nei nostri confronti, ma nei confronti del mondo intero.

venerdì, novembre 11, 2005

Vediamo di capire qualcosa sulle bombe di Amman 

Si è trattato di 3 attacchi kamikaze che hanno provocato almeno 56 morti ed un numero ancora imprecisato di feriti; il più cruento è stato quello all’interno di un Hotel dove si teneva un banchetto di nozze e dove l’attentatore è arrivato tranquillamente fino al salone dove si festeggiavano gli sposi e, con altrettanta tranquillità, si è lasciato esplodere provocando una vera e propria carneficina.
La rivendicazione non si è fatta attendere e porta la firma del famigerato Al Zarqawi, plenipotenziario di Bin Laden per la Mesopotamia e territori circostanti; il messaggio recita che “un gruppo dei migliori leoni di Al Qaeda nella terra dei due fiumi ha preso di mira gli hotel perché sono diventati il posto preferito dalle spie americane e israeliane e da altri governi dell’Europa per lanciare i loro attacchi invisibili che definiscono guerra al terrorismo”.
Resta da aggiungere che tra le vittime ci sono una serie di alti funzionari del governo palestinese, compreso il capo dei servizi segreti dell’Autorità Nazionale Palestinese e quello della sicurezza personale del capo di stato, Abu Mazen.
Come si vede il risultato non riflette le intenzioni manifestate nella rivendicazione; possiamo dire che trattasi allora di un fallimento di Al Zarqawi? Assolutamente no, perché gli occidentali – nonostante il messaggio – non erano il bersaglio principale dell’attentato; e per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro.
I miei lettori più assidui forse si ricorderanno quanto ho fatto tutta un’analisi sugli obiettivi di Bin Laden e del suo vertice ideologico, Sayyad Qutb, detto il Karl Marx dell’Islam, che non sono affatto la conquista del mondo, ma il ripristino dell’antico Califfato su tutte le terre islamiche e cioè il Medio Oriente, l’Africa, la Turchia e alcuni paesi dell’Oriente tipo l’Indomesia e la Malesia, le Filippine e parte della Russia, l’Egitto e parte dell’India.
Non appena sarà costituito questo califfato – ovviamente sotto la spada di Osama Bin Laden – l’Islam potrà partire alla conquista del mondo per assoggettarlo alla parola di Maometto.
Per realizzare questa strategia Al Qaeda ha bisogno di avere tutte queste nazioni assolutamente fedeli alla parola del Profeta e quindi distaccati dai “cani infedeli” occidentali che stanno inquinando tutto l’oriente con le loro donne, droghe e alcol.
Ecco perché – nonostante i proclami – gli attentati più cruenti, se escludiamo quello alle Twin Towers, hanno avuto luogo in paesi islamici moderati, dove quel governo cerca di immettere un pizzico di modernità che dai fondamentalisti è vista come il fumo agli occhi e rappresenta il massimo della debolezza di quei paesi e della loro acquiescenza al capitalismo occidentale.
Se ricordate si sono avuto attentati a Riad, Casablanca, Istambul, in Egitto, più di una volta, ed ora in Giordania, tutti paesi che tendono la mano alle riforme di tipo occidentale; sembra quasi che si tratti di una sorta di “avvertimento” di non procedere su quella strada e di restare fedele all’ortodossia islamica.
Ad Amman è rimasto colpito anche un Congresso di medici che si erano riuniti in un albergo della capitale giordana: vedrete che prima di fare un altro congresso in quella nazione ci penseranno due volte, ed allora ecco la vittoria di Osama, questa forma surrettizia di allontanamento di ogni forma di contatto con l’occidente, questo scoraggiare il turismo (una delle poche fonti di guadagno degli imprenditori locali) e fare ripiombare il Paese indietro di alcuni secoli: ne riparleremo!

mercoledì, novembre 09, 2005

I politici non ci hanno capito niente 

E’ passata anche la prima notte di coprifuoco e – salvo lievi variazioni – non è cambiato niente né a Parigi e neppure nelle altre città francesi.
E non poteva essere altrimenti, visto che per il momento, l’unico deterrente messo in campo dalle Forze dell’Ordine è la repressione, dura e spietata – se ce li trovano – e il famigerato coprifuoco; qualcuno tra i miei lettori conosce il coprifuoco, sa cosa significa e le modalità di applicazione?
Diciamo subito che è una misura della massima repressività che, nella maggior parte dei casi, viene usata in tempo di guerra e soprattutto nei territori di occupazione; i francesi l’hanno sperimentata alla fine degli anni ’50 (quindi quasi cinquant’anni fa) in occasione della guerra di Algeria e delle ripercussioni che la stessa ebbe in patria per effetto della presenza dei cosiddetti “piedi neri”, cioè coloro che erano nati in Algeria e risiedevano ormai da tempo in Francia.
La misura quindi è veramente estrema e in tempo di pace viene emanata soltanto in occasione di gravi calamità; non credo però che questa sia la strada giusta per risolvere il problema, specie alla luce delle dichiarazioni che ho avuto modo di leggere, rilasciate dai giovani che stanno ribellandosi; ne stralcio due e ve le segnalo allo scopo di riflettere insieme su quello che sta succedendo.
La prima dice, rivolgendosi al Ministro dell’Interno che li aveva chiamati feccia e che si ostinava a ripetere di non riuscire a capirli: “Perché non viene a vivere per un po’ da queste parti, vedrà che riuscirà a capire meglio?
Il significato è chiaro, siamo in presenza di una situazione disastrosamente disperata nella quale questi ragazzi non hanno niente da sperare e niente che li attenda domani; l’invito a venire a vivere in quelle barbare periferie, è facilmente esportabile anche ai nostri politici, sempre disattenti alla disperazione di giovani (e di meno giovani) costretti a vivere in situazioni di vero disagio sociale.
Quante volte ci siamo detti: se i politici si facessero curare negli stessi ospedali dove andiamo noi, stai certo che la sanità funzionerebbe meglio; e invece io non ho mai visto un ministro, ma nemmeno un semplice onorevole, mettersi in fila insieme a me per fare le analisi del sangue; non ho mai visto un cosiddetto “VIP” (very important person) fare la fila insieme a tanti “NIP” (non important person) per prenotare una visita specialistica ad uno degli sportelli della ASL: da cosa dipenderà, forse che non combiniamo con gli orari, ma io non ne mai incontrato uno.
La seconda frase recita: “si interessano a noi solo i reclutatori della piccola criminalità e del fanatismo religioso”: in queste parole viene fuori evidentissima la disperazione di essere costretto, prima o poi, a cedere alle lusinghe della criminalità (malavitosa o integralista), ma si respira anche un profondo senso di giustizia che questi giovani mostrano di avere, in quanto riottosi ad accettare quell’unica cosa che viene loro proposto da questa società; in pratica, loro che già adesso vengono considerati dei malviventi, non vogliono essere costretti a diventarlo veramente allo stesso modo di come lo sono diventati tanti loro amici e coetanei.
L’invito ai politici a sporcarsi ed a presentarsi nelle banlieu e l’anelito di lavoro onesto che per ora tutti gli rifiutano, sono dei campanelli d’allarme molto forti che ripetono incessantemente: siamo disperati e non abbiamo niente da perdere.
Se non riusciamo a capirli e continuiamo a puntare soltanto sulla repressione, ce li avremo tutti sulla nostra coscienza e Dio ci aiuti a sopportare i rimorsi.

martedì, novembre 08, 2005

In Francia siamo arrivati al coprifuoco 

Avrete notato che parlo di Francia e non più di Parigi; infatti – come era facile prevedere – la “rivolta” si sta spandendo per tutta la Francia, in attesa di uscire dal paese ed arrivare nell’intera Europa: in pratica avremmo una sorta di pandemia incendiaria.
La novità è rappresentata dal coprifuoco che alcune autorità di pubblica sicurezza hanno proclamato, dalle 22 alle 6 del mattino; alcuni Comuni – con motivazioni rispettabili ma sicuramente strane – riservano questa limitazione ai minori di 18 o 20 anni, facendo così comprendere a noi estranei che questi signori avrebbero in mano una specie di “identità” dei dimostranti, cosa della quale dubito assai.
Le domande che continuiamo a farci sono sempre le stessa: chi sono, cosa vogliono e chi li guida; nessuno ancora è riuscito a rispondere a questi quesiti che sono talmente intrecciati insieme da rappresentare un tutt’uno e da richiedere quindi una sola risposta.
Proviamo a dare qualche contributo: sono, quasi tutti, giovani figli di immigrati, quindi di seconda o terza generazione, che per il fatto di essere nati in Francia non hanno nessun titolo preferenziale e l’attuale società li ha ghettizzati nelle infami periferie delle grandi città, dove possono formare bande di strada oppure rincretinirsi di fronte alla TV con uno spinello in mano.
Sono comunque dei disperati, dei ragazzi che non hanno niente da perdere e non hanno neppure alcun sogno da inseguire; i loro genitori sono stati ormai “domati” da questa società, ma i figli non hanno ancora una dipendenza tale dal mezzo televisivo da ricevere quell’indottrinamento che tanto bene ha funzionato per padri e madri.
Cosa vogliono? Forse non lo sanno neppure loro, sicuramente vogliono che qualcosa (anzi molto, anzi moltissimo) cambi in senso a loro favorevole; in quale modo questa mutazione possa verificarsi non lo sanno e non fanno quindi programmi e strategie future, vivono notte per notte e l’odore acre del fumo per ora li fa sentire vivi e vitali.
E non credo che rispondano a qualcuno che si è messo alla testa di questo stranissimo movimento; la spontaneità mi appare l’elemento fondamentale: forse il tutto nasce dal raduno in strada con la solita domanda “che si fa stasera” alla quale qualcuno ha risposto inneggiando alla violenza e gli altri hanno subito accolto l’invito.
Nella prima notte di coprifuoco le violenze non si sono fermate, a dimostrazione che gli autori sono “over 20 anni” oppure che se ne sono fregati della disposizione delle autorità.
Che cosa fare? Certo che affermare semplicisticamente che al primo posto viene l’ordine pubblico e che questo deve essere ripristinato a qualunque costo mi sembra riduttivo e soprattutto indice di persone che non vogliono vedere la piaga che si è aperta; anche aprire un dialogo con questi ragazzi non è facile perché nessuno è in grado di promettere (e soprattutto mantenere) cose di un qualche loro interesse.
E allora? Allora sono cavoli amari come si dice dalle mie parti; e sono tanto più amari in quanto l’espansione delle manifestazioni ad altri teatri è quantomeno probabile e coloro che hanno infamato il povero Mortadella Prodi per averlo detto, commettono un grave errore di sottovalutazione.
Io ripeto quello che ho detto giorni addietro: fatte le debite proporzioni e le differenze insite nei protagonisti, il movimento attuale richiama alla mente quello americano del ’67 e quello francese del ’68: come si difese allora la società? Se ricordate bene, con l’immissione di dosi massicce di droga sul mercato a prezzi “popolari”; specie i negri di San Francisco furono letteralmente rincretiniti dall’eroina e l’incendio andò placandosi poco a poco; la stessa cosa adesso non è praticabile in quanto la droga circola già liberamente ed a prezzi “popolari”, quindi dovranno pensare a qualche altra cosa.
Stiamo a vedere quel che succede!

lunedì, novembre 07, 2005

Ma la gente è migliorata o peggiorata? 

Fra tanti chiacchieroni saccenti che straparlano circa la realtà emergente della gente e la descrivono come molto più attenta alle cose che la circonda, sento il bisogno di dire la mia a costo di crearmi qualche amico e molti nemici in più.
Fornisco subito l’essenza del mio pensiero, che peraltro si rileva dal titolo, e affermo con decisione – assumendomi tutte le relative responsabilità – che l’opinione pubblica è sempre più in declino con l’andare degli anni e che a partire dal 1980 la china imboccata e di una ripidezza estrema: sia chiaro che la colpa non è sua!
Le cose che mi inducono a questa affermazione sono principalmente due: l’approccio all’informazione e l’uso dell’elettrodomestico-televisore con la leggerezza del legittimo desiderio di passare un paio d’ore in santa pace.
Andiamo con ordine e cominciamo con l’informazione: premetto che il nostro paese è agli ultimi posti della classifica sugli acquirente e lettori di quotidiani, ma questo vuol dire poco o niente, perché adesso – se si vuole – l’informazione può arrivarci da altre fonti (T.V., Internet, canali satellitari); il problema che ancora non abbiamo capito è che qualunque mezzo di informazione contiene – camuffato ma mica tanto – una sorta di comunicazione più o meno clandestina riguardante la notizia che ci viene data; insomma, la gente dovrebbe rendersi conto che insieme all’informazione, colui che ce la fornisce ci da anche la “sua idea” circa quell’evento, cioè una precisa comunicazione (idea su una realtà).
Dato questo principio, ne consegue che la gente si crede “molto informata” ed è invece molto “manipolata” da queste comunicazioni che entrano clandestinamente nella nostra psicologia e vanno a formare il nostro bagaglio delle esperienze, sul quale si fondono tutte le scelte che noi siamo chiamati a fare durante la nostra esistenza: finanziarie, religiose, etiche, politiche, ecc.
Il maggiore accusato di queste manipolazioni è indubbiamente l’elettrodomestico-televisore – e siamo così giunti al secondo punto in discussione – che viene da tutti noi gestito alla stessa stregua del tostapane e del frigorifero, cioè come un oggetto che è lì ai nostri comandi e fa quello che gli chiediamo; ed è qui che commettiamo il nostro errore più clamoroso, quando cioè nell’avvicinarci alla TV non mettiamo in funzione tutti i nostri filtri in modo da essere immuni (almeno in parte) dal televisore-comunicatore.
Usare il televisore è come andare al cinema (e questo nessuno lo vuole capire) in quanto viene usata la stessa forma linguistica (l’immagine tecnica audiovisiva), ma mentre nella cinematografia recepiamo che esiste una qualche espressività (cioè comunicazione), nella TV siamo indotti a considerare il mezzo come “finestra sul mondo” dalla quale affacciarsi e vedere quello che accade: ovviamente così non è, perché quell’apparente finestra è manovrata da abili comunicatori che ci stanno indottrinando su tutto quello che è possibile indottrinarci.
Ed è soprattutto una continua formazione di “nuova mentalità”, un nuovo atteggiamento verso le cose e verso gli altri: tutto questo ci viene indotto dalla passiva ricezione della televisione, a cominciare dai TG per continuare con gli “show” ed anche con i “serial” e gli “scemeggiati” (sì, proprio scemeggiati, non è un errore!), per finire ai dibattiti d’opinione, nel quali il mezzo raggiunge il massimo di astuzia in quanto sembra una ripresa asettica di varie opinioni, mentre è sempre l’idea di chi conduce il gioco che alla fine viene fuori, in forma clandestina, e diventa nostro patrimonio mentale.
Un capitolo a parte merita l’approccio dell’uomo contemporaneo con la cultura, ma rimandiamolo ad altra puntata che spero di mettere in cantiere quanto prima.

domenica, novembre 06, 2005

Ancora sui disordini a Parigi 

Il contribuito di un amico – mi permetto di chiamarlo così anche se non lo conosco – che ha commentato un mio post di ieri, mi ha aperto gli occhi sulla situazione parigina più di tanti giornali o servizi televisivi: in pratica l’amico, che ha abitato a lungo in Francia, mi fornisce una sorta di spaccato socio antropologico sui giovani delle banlieu parigine ed anche sui metodi della polizia francese.
Per il primo aspetto egli afferma che le bande di rivoltosi sono composte da figli di immigrati musulmani ma anche da giovani di origine italiana, francese, polacca, portoghese, ecc. i quali sono stufi di essere considerati dei pezzenti e di essere totalmente esclusi da qualunque forma di integrazione sociale (e quindi il problema non è solo razziale) e di dover rimanere ai margini di questa società in apparenza così luccicante ed opulenta.
Tutto quello che l’amico mi riporta mi torna assai con quello che era il mio pensiero, forse dovrei chiamarlo pensiero fisso, e cioè che la colpa di tutte queste situazioni di degrado è della stramaledetta globalizzazione che – come ho avuto modo di affermare molte volte – è responsabile di tantissime storture sul piano sociale in quanto demanda tutto l’andamento delle leggi del vivere civile a quello che può considerarsi “il mercato”, quell’entità cioè che è formata da coloro che stanno sempre e comunque a galla e che se un anno guadagnano 100 e l’anno dopo 80, affermano che hanno perduto 20.
Tutte queste situazioni portano a cattiverie ed a strozzature di interventi in forza dei quali le grandi capitali europee, laddove più alta è la concentrazione abitativa, sono stracolme di situazioni che rasentano e superano la miseria assimilabile al terzo mondo; chiamo miseria anche l’impossibilità di comprarsi il cellulare e di utilizzare Internet, poiché gli slogan che ci arrivano dalla pubblicità ci fanno apparire questi beni come irrinunciabili ai fini della vita contemporanea.
Ed ora mi quadra anche la paura che si va espandendo in tutta Europa: è ovvio che anche i governanti di queste altre nazioni stiano in campana, poiché nelle loro megalopoli ci sono altrettanti assembramenti abitativi che sono stracolmi di storture sociali.
A fronte di tutte queste prese di posizione mi sembra poi che non ci siano delle idee di intervento né da parte delle forze politiche e neppure da parte di economisti ed intellettuali in genere; ed ecco perché serpeggia la paura, perché non si hanno risposte a queste istanze.
E mi quadra anche la non presenza del tipico “capopopolo”, di colui cioè che detta la strategia e quindi la tattica: questo è per il momento un movimento assolutamente spontaneo dettato da esigenze “di pancia” che niente ha a che fare con gli sbrodolamenti intellettualistici che si incontrano nei nostri paesi; speriamo che non si guasti in futuro!
Per quanto riguarda poi l’atteggiamento della Polizia francese, l’amico me la descrive a livello statunitense, ferocemente repressiva con gente di colore e immigrati in genere e mi fornisce anche vari particolari su questi atteggiamenti, da lui vissuti in prima persona; non posso fare altro che crederci e, in effetti, qualcosa mi era già venuto agli orecchi.
Comunque sia, nel caso che la situazione sia veramente quella che neppure oso immaginare, l’incendio parigino è l’avanguardia di un incendio di ben più vaste proporzioni, nel quale tutti noi siamo implicati e tutti noi siamo chiamati ad operare in qualità di pompieri prima e di “riallineatori” poi.

La paura dei "casseur" si spande in Europa 

Anzitutto – come le altre volte - traduciamo per gli scarsi in francese, come me, il termine “casseur”: letteralmente significa rompitore, e questo ci immette all’interno della vicenda dei saccheggi e degli incendi nella periferia parigina, aggiungendo che oltre ad altre parti della Francia (dove già iniziano i primi focolai), questa forma di rivolta sembra destinata a espatriare verso il resto d’Europa.
Se queste previsioni sono attendibili – e non vedo perché non dovrebbero esserlo – è assai comprensibile il timore che sta affiorando nelle altre capitali europee, compresa l’Italia; a questo proposito vorrei esprimere una mia opinione in proposito, circa le motivazioni di questa paura: ritengo che essa sia motivata principalmente dal fatto che non si conoscono ancora le motivazioni che hanno dato luogo a tutto questo bordello.
E tutto noi sappiamo che non c’è peggior paura di quella dell’ignoto, di quell’ignoto che nessuno riesce a ricondurre ad una o più motivazioni di rivolta.
Pensate che i francesi sono arrivati a rivolgere una sorta di appello ai genitori di questi “casseurs” in cui li invitano a controllare maggiormente i loro figli quando rientrano a casa; infatti – da alcune prime considerazioni – sembra trattarsi di emigrati ma di seconda generazione, cioè nati in Francia, che si sentono sempre più frustrati dalla realtà sociale della grande metropoli che tende ad emarginarli sempre più.
Voglio riportare due dichiarazioni dei giovani che partecipano o assistono a questi saccheggi: la prima è di un ragazzo di 22 anni che afferma: “Sarkozy (il Ministro dell’Interno francese) ci ha offesi. Ci ha definiti feccia, canaglie, teppisti. È venuto qui a dire che farà piazza pulita di noi. Non è così che si pratica il dialogo. Sarkozy deve chiederci scusa o dimettersi: è il prezzo da pagare se si vuole che la guerriglia delle banlieu abbia fine”.
Come si vede una dichiarazione di guerra in piena regola che però non ci fornisce alcun elemento per giungere alle motivazioni della rivolta che appaiono ancora molto oscure, sia sotto il profilo dei perché e sia sotto quelli di chi c’è alla testa di questi saccheggiatori.
La seconda dichiarazione è di un giovane di 20 anni che afferma: “Chi sono gli incendiari, i “casseurs”? Non lo sappiamo. Sono mascherati, arrivano di notte, spaccano tutto e se ne vanno. Molti sono giovanissimi, hanno 14 o 15 anni. Colpiscono alla cieca. Hanno bruciato la macchina di mio padre, che è musulmano e non ha mai fatto torto a nessuno”.
Questo secondo discorso ci mostra una sorta di impotenza di tutti contro la cieca violenza di pochi; una lettrice del mio post di ieri mi segnala di avere appreso da una sua amica che abita in quelle zone che la Polizia francese è stata molto condiscendente, per il momento, verso i rivoltosi, senza intervenire con la durezza che viene invocata da tutti, specialmente dagli abitanti delle zone incriminate, anche e soprattutto immigrati musulmani, che tendono a distinguersi dagli incendiari ed anzi ne chiedono la cattura.
Ed anche stasera, se non interverrà qualche fatto nuovo, al calare della luce, gli abitanti delle periferie parigine – ma anche in altre città francesi, tipo Lione ed altre – si chiuderanno in casa e dalle finestre assisteranno impotenti agli incendi ed ai saccheggi, sperando che non sia la loro macchina quella che vedono bruciare.
Le forze dell’ordine sono comunque convinte che gli incidenti rispondano ad una strategia che presuppone una notevole capacità tattica; è la stessa domanda che mi facevo anche ieri: chi c’è alla testa di questi ragazzi? È pensabile che il tutto sia completamente spontaneo?
Lo vedremo nei prossimi giorni.

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